domenica 30 agosto 2020

“Iliade” di Omero (traduzione di Dora Marinari)

Questo poema non ha ovviamente bisogno di alcuna presentazione né è mia intenzione in questa sede riproporvi l’annosa questione omerica, in realtà lo scopo di questo post è invece quello di parlarvi di una recente traduzione dell’Iliade (2010) edita da La Lepre Edizioni, traduzione di Dora Marinari (1930-2013) con il commento di Giulia Capo.

Le traduzioni dei poemi omerici sono state innumerevoli nel corso dei secoli, ma quella più conosciuta, sebbene forse non la più fedele al testo, è senza dubbio quella di Vincenzo Monti.

Ricordo ancora il mio primo incontro con il poema, ero alle medie e l’antologia si intitolava “Armi Eroi Popoli” a cura di Salvatore Guglielmino, fu subito amore.

Qualche anno dopo mia nonna mi regalò le edizioni integrali di entrambi i poemi in sei volumi: l’Iliade nella classica traduzione del Monti e l’Odissea, traduzione di Ippolito Pindemonte.

Avevo sempre ritenuto impossibile, quasi fosse un sacrilegio, leggere una traduzione dell’Iliade diversa da quella del Monti, fino a quando, la settimana scorsa, mi sono decisa ad avvicinarmi alla traduzione di Dora Marinari e, grazie a lei, ho scoperto che esiste un altro modo di approcciarsi al poema omerico, altrettanto piacevole e fruttuoso seppur differente.

Senza nulla togliere all’espressività poetica della traduzione del Monti, un’espressività che per me resterà sempre di una forza e di una bellezza ineguagliabili, avvicinandomi ad una nuova traduzione ho riscontrato che il rischio di finire per identificare il poema omerico con la traduzione montiana è effettivamente molto alto, quasi che il vero testo dell’Iliade fosse quello scritto da Monti.

Grazie alla traduzione di Dora Marinari la lettura dell’Iliade diviene scorrevole, pur rispettando tanto la narrazione in versi quanto il linguaggio poetico originale.

La fluidità del testo così come l’eleganza che contraddistinguono questa moderna traduzione, attenta e fedele allo spirito omerico, ci permettono di apprezzare meglio sia quanto ci viene narrato da Omero sia la bellezza di quel mondo popolato da eroi, dei e semidei senza l’incessante sforzo di cercare di interpretare quella che, in verità, è una traduzione che, seppur di grande intensità poetica e forse proprio per questa sua stessa caratteristica, tende a mettere in ombra il testo omerico.

Per fare un esempio concreto: nel proemio nella traduzione di Monti si fa riferimento agli inferi traducendo quello che nel testo è Ἂïδi (Ἂïδης) con Orco (dal latino Orcus,i).

Tradurre con il termine più letterale Ade nulla toglie alla poeticità del testo, ma facilita invece molto la comprensione da parte del lettore che nel caso della traduzione del Monti necessita di una nota a piè pagina, mentre nel caso della traduzione della Marinari comprende immediatamente ed è pertanto più libero di concentrasi sulla narrazione dei fatti.

Orco era definizione presente anche nei Sepolcri del Foscolo però ciò che all’epoca del Monti, contemporaneo del Foscolo, era un termine forse di facile identificazione non è detto debba esserlo per noi oggi tanto più se digiuni di studi classici.

Non dimentichiamo infatti che i poemi omerici nacquero con un intento comunicativo cioè con lo scopo di trasmettere storie e concetti di tipo sociale e politico.

Una traduzione fluida permette di raggiungere ai giorni nostri lo stesso scopo e di rendere accessibili a tutti quei concetti che sono alla base nella nostra cultura e che si svilupparono proprio su suolo greco.

Questa nuova traduzione così scorrevole ci permette inoltre di leggere il poema quasi fosse un romanzo in versi, dandoci la possibilità di apprezzarne anche la trama e quei personaggi che con tanta armonia mantengono i loro epiteti (Era dalle bianca braccia, Achille dal passo veloce, Atena la dea dagli occhi azzurri).

Al termine di ogni libro è presente il relativo commento a cura di Giulia Capo; il fatto di porlo alla fine anziché all'inizio del libro come si è soliti fare, è una soluzione che ho apprezzato davvero molto perché questo permette di leggere il testo omerico in maniera libera apprezzando lo svolgimento del  racconto senza subire influenze di sorta.

I commenti, tutti molto articolati ed esaustivi, sono una via di mezzo tra una parafrasi del testo e quelle che erano le note a piè di pagina delle edizioni tradizionali.

I commenti agevolano il lettore nel fare il punto su quanto appena letto e lo aiutano a focalizzare i concetti principali espressi nel libro senza tralasciare, dove necessario, di dare una spiegazione sulla scelta di tradurre una particolare parola con un dato termine piuttosto che un altro.

Al posto delle note a piè di pagina si trova invece il testo originale in greco, altra soluzione molto gradita perché facilita un riscontro immediato con la traduzione.

Questa nuova edizione ci dà inoltre la possibilità di rileggere il poema secondo diversi registri.

Indubbiamente l’Iliade è un poema dagli intenti celebrativi siano essi morali, politici o sociali, è il poema in cui Apollo ci inviata ad indagare su noi stessi  γνῶθι σαυτόν (conosci te stesso) e ancora di più ci inviata alla moderazione, a rispettare il limite invalicabile  μηδὲν ἄγαν (niente di troppo), ma l’Iliade più prosaicamente è anche il poema alle origini di tutta una letteratura che nei secoli si è ispirata all’ideale di perfezione del καλὸς καὶ ἀγαθός, dai romanzi cavallereschi ai miti romantici fino ad arrivare ai nostri giorni con la letteratura fantasy.

Quanto sono simili a quelli che leggiamo nei romanzi moderni i discorsi di incitamento ai compagni prima della battaglia che troviamo nell’Iliade? Quanto sono affini le cruente descrizioni delle ferite inferte ai nemici in quelle stesse battaglie?

Mi sono ritrovata anche a sorridere quando leggendo di Ettore sterminatore di uomini mi è sopraggiunto alla mente la definizione di sterminatore di re che George R.R. Martin attribuisce a Jaime Lannister nella sua saga del “Trono di spade”.

Ebbene sì, lo riconosco, sono partita dal ritenere quasi blasfemo leggere una traduzione dell’Iliade diversa da quella universalmente riconosciuta di Vincenzo Monti a ritrovare addirittura analogie con la più ordinaria letteratura contemporanea.

L’elemento distintivo della traduzione di Dora Marinari è proprio questo, averci restituito in tutto il suo splendore un poema che, sebbene millenario, è ancora vivo e attuale, un poema che non ci si stancherà mai di leggere anzi di ascoltare.   

Era da tanto tempo che non leggevo ad alta voce eppure con questo libro mi sono ritrovata a farlo perché se si vuole davvero apprezzare a pieno la natura di questo poema bisogna rispettarne il ritmo, l'Iliade va ascoltata anche se solo dalla propria voce.

 



 

mercoledì 26 agosto 2020

“Io che ho amato il Magnifico” di Annalisa Iadevaia

Lucrezia Donati conosce Lorenzo de’ Medici durante un ricevimento a Palazzo Medici.

I Donati, una tra le famiglie più nobili di Firenze, erano stati molto ricchi un tempo, ma sopraggiunta la decadenza economica, avevano cercato di farvi fronte ripiegando sul mercato della lana.  

Da anni intrattenevano quindi rapporti con la famiglia Medici per via della loro banca.

Fin da subito tra Lucrezia e l’erede di casa Medici nasce un’intesa profonda che va ben al di là della semplice attrazione fisica.

I loro incontri si svolgono sempre di nascosto e spesso nella bottega di Sandro Botticelli, l’artista amico fraterno di Lorenzo.

La situazione precipita quando Lucrezia scopre che Lorenzo, che credeva a lei completamente devoto, ha accettato di sposare Clarice Orsini, la nobildonna romana scelta per lui dalla madre.

Un matrimonio prestigioso quello fortemente voluto da Lucrezia Tornabuoni per l’erede di casa Medici il quale a malincuore e pur sapendo di infliggere un grande dolore alla donna amata, non può che inchinarsi dinnanzi alla ragion di stato.

Lucrezia sconvolta da quello che giustamente considera un tradimento da parte dell’uomo che le aveva giurato eterno amore, accetterà di sposare un mercante di nome Nicolò Ardinghelli.

Lorenzo non riuscirà a dimenticare Lucrezia e, nonostante lei abbia scelto di trasferirsi a Roma con il marito per mettere più distanza possibile tra loro, neppure lei riuscirà a scordarsi di lui.

Le loro strade inevitabilmente si incroceranno di nuovo e tante saranno le prove che dovranno affrontare per non perdersi un'altra volta, molti i pericoli che incontreranno sulla loro strada.

Tradimenti, colpi di scena e antiche profezie fanno da sfondo a questo romanzo molto particolare dove la verità storica risulta parecchio rielaborata ai fini del’intreccio narrativo.

Analizzando i personaggi del romanzo non possiamo che rimanere conquistati dalla forte, determinata e orgogliosa Lucrezia Donati e allo stesso tempo, seppur talvolta assuma degli atteggiamenti un po’ indisponenti, non si può neppure restare indifferenti dinnanzi alla figura carismatica e seducente di Lorenzo de’ Medici.

L’autrice ha illustrato in modo magistrale i caratteri dei due protagonisti indagandone la psicologia così accuratamente che il lettore riesce a percepire l’intensità dei loro sentimenti e il mutare delle loro emozioni che si modificano a seconda dell’evolversi degli eventi.

Ma non sono solo i due protagonisti ad essere così ben caratterizzati, infatti, ogni singolo personaggio è tratteggiato in modo molto dettagliato: la scaltra e ambiziosa Lucrezia Tornabuoni, la vivace Simonetta, il gentile Sandro Botticelli, l’astioso frate, la materna e fidata Gemma e Clarice, la donna che dietro ad un pio temperamento, nasconde invece un’indole tenace, fiera e severa.

La verità storica nel romanzo è senza dubbio molto rimaneggiata.

Potrebbe passare sotto silenzio che Sandro Botticelli venga descritto come innamorato segretamente di Lucrezia Donati, quando per la maggior parte della storiografia egli riconosceva in Simonetta Cattaneo Vespucci la sua musa ispiratrice, ma a tutti gli effetti questa è una questione ancora aperta per gli studiosi.

Potrebbe passare inosservato anche il fatto che Lorenzo abbia avuto una figlia illegittima, quando in realtà  il Magnifico, forse unico della sua famiglia, non ebbe figli fuori dal matrimonio o almeno non ne ebbe di cui ci sia giunta ad oggi notizia.

Altre cose, invece, potrebbero risultare davvero un po' troppo forzate, sebbene dettate dall’economia del romanzo, per coloro i quali desiderano che la trama dei romanzi storici si conformi quanto più possibile alla verità storica.

Mi riferisco ad esempio alle parentele sia quella che lega Frate Savonarola a Nicolò Ardinghelli, descritti come zio e nipote, sia quella che lega Simonetta Vespucci a Lucrezia Donati, considerate cugine, per non parlare poi dello stato di vedovanza di Simonetta e del fatto che lei porti in grembo il figlio di Giuliano, figlio illegittimo che a tutti gli effetti il Medici ebbe, ma non da Simonetta, e che venne allevato dalla famiglia paterna ed eletto al soglio pontificio col nome di Papa Clemente VII.

Detto ciò, per quanto risulti pericoloso allontanarsi così tanto dalla verità storica, è pur vero che un romanzo in quanto tale è pur sempre un’opera di fantasia e che nulla vieta ad un autore di inventare qualsiasi storia egli desideri o rielaborare fatti storici a suo piacimento.

Su quali siano i limiti concessi, se sia giusto farlo o meno, credo che ognuno sia libero di pensarla a modo suo e la ritengo una cosa prettamente soggettiva.

È innegabile che la storia nata dalla penna di Annalisa Iadevaia sia una storia dal solido intreccio narrativo, ma anche molto fantasiosa; una ventata di novità nel panorama della letteratura che vede la famiglia Medici ormai protagonista di romanzi di ogni tipo storici, rosa, gialli, thriller…

Ho letto molti saggi sulla famiglia Medici e numerosi romanzi caratterizzati da un’attinenza storica più o meno marcata; quello di Annalisa Iadevaia è quello più fantasioso di tutti, l’autrice ha dimostrato una immaginazione vivace e brillante, per nulla comune.

Mi sarei però aspettata a conclusione del libro di trovare una “nota dell’autore”, come è consuetudine in questi casi, in cui l’autrice segnala quali siano le verità storiche e quali invece i fatti di pura finzione letteraria.

Personalmente ho trovato questo romanzo davvero interessante, la scrittura è fluida e scorrevole, i dialoghi sono ben scritti, i personaggi ben caratterizzati, la trama ben organizzata e l’intreccio coinvolgente e appassionante.

Da ogni pagina del romanzo in generale, ma soprattutto in quelle righe nelle quali Lucrezia si solleva a difesa della sua città, si percepisce quanto sia grande l’amore che l’autrice stessa nutre per Firenze e per la sua storia.

Sarò sincera, ho faticato a interrompere la lettura del romanzo e per non leggerlo tutto d’un fiato in un solo giorno mi c’è voluta tanta, tanta forza di volontà, alla fine sono riuscita a tenermi una cinquantina di pagine per il giorno successivo.

 



sabato 22 agosto 2020

“Il Granduca innamorato” di Stefano Corazzini

Figlio del Granduca di Toscana Cosimo I de’ Medici e di Eleonora di Toledo, Francesco I de’ Medici (1541 – 1587) viene spesso ricordato per le sue due più grandi passioni: l’alchimia e Bianca Cappello.

Francesco aveva una personalità completamente diversa da quella di suo padre.

Cosimo era autoritario e senza scrupoli, tanto che non aveva nessuna remora, se necessario, a governare anche con la paura, Francesco era ben lungi dall’avere lo stesso carattere freddo e determinato.

Considerato fin da giovane di indole riservata e malinconica, egli amava rifugiarsi nei suoi studi e crescendo, nonostante cercasse in ogni modo di conciliare la propria passione per la scienza con gli impegni istituzionali, questa sua passione gli procurò continui rimproveri da parte della famiglia.

Sebbene durante il suo governo avesse investito molto nello sviluppo scientifico e culturale e avesse tentato anche di perfezionare il sistema di riscossione delle tasse, con l’intenzione di diminuire la pressione fiscale, il suo governo ancor oggi viene associato ad un'amministrazione corrotta e a un sensibile aumento della criminalità; alla sua persona, poi, è attribuito ogni tipo di misfatto tra cui non è escluso neppure l’omicidio.

Alla sua morte, proprio per l’avversione che il popolo di Firenze aveva da sempre nutrito nei suoi confronti, non ci fu nessuna difficoltà per il fratello Ferdinando di prendere il suo posto sul trono granducale.

Cosimo I scelse e ottenne per il figlio una moglie che avrebbe portato lustro alla casata, Giovanna d’Austria, ultimogenita dell’Imperatore Ferdinando I d’Asburgo.

Francesco responsabilmente si inchinò alla ragion di stato, ma la pia Giovanna che fin da subito conquistò l’approvazione dei fiorentini, non riuscì mai a conquistare l’affetto del suo sposo nonostante questi non mancasse di ottemperare a tutti i suoi obblighi di marito.

Ma chi era Bianca Cappello la donna di cui si innamorò follemente il Granduca?

L’avvenente veneziana aveva 24 anni quando, incinta, decise di fuggire dalla città lagunare per rifugiarsi a Firenze con il suo amante Piero, un fiorentino bello ed elegante secondo alcuna storiografia, un uomo rozzo e incline alla vita mondana secondo altre fonti.

Mentre i nobili veneziani chiedevano giustizia e un intervento forte e deciso da parte di  Cosimo I questi, contro ogni aspettativa, permise ai due giovani di sposarsi e vivere a Firenze.

La conquista di Bianca da parte di Francesco non fu un’impresa facile, ma la perseveranza del futuro Granduca venne premiata tanto che il loro amore durò per tutta la vita.

Alla morte di Giovanna, infatti, Francesco sposò in seconde nozze Bianca, rimasta vedova anch’ella, e, noncurante dell’avversione che i fiorentini da sempre provavano per lei, ne fece la nuova Granduchessa di Toscana.

Se Bianca fosse veramente innamorata di Francesco o fosse invece solo una donna avida che vide in lui la possibilità di realizzare i suoi ambiziosi progetti non è dato sapere, così come non è dato sapere se la loro morte, sopraggiunta a distanza di poche ore l'uno dal'altra, fosse da attribuirsi a cause naturali o fosse avvenuta su ordine del fratello di Francesco, quel Ferdinando de’ Medici che gli succedette come Granduca di Toscana.

A questo ultimo interrogativo neppure la scienza moderna è ancora riuscita a dare una risposta definitiva e forse mai lo farà.

Il titolo “Il Granduca innamorato” è piuttosto fuorviante perché suggerisce l’idea che si tratti di un saggio incentrato esclusivamente sulla storia d’amore tra Francesco I de’ Medici e Bianca Cappello.

In realtà il libro di Stefano Corazzini non solo ci narra tutta la vita del Granduca Francesco I, tratteggiandone minuziosamente anche la psicologia, ma inserisce questo racconto all’interno di un quadro più ampio parlandoci della storia della famiglia Medici, piutosto brevemente del ramo primogenito e più diffusamente del ramo secondogenito a cui lo stesso Granduca apparteneva.

Il volume inoltre è corredato di una vasta bibliografia, da numerose illustrazioni, una sorta di galleria dei protagonisti, e da una serie di interessanti note che, oltre a integrare e arricchire quanto riportato nel libro, offrono validi spunti per il lettore che desiderasse approfondire gli argomenti trattati.

L’intricata e passionale storia d’amore di Francesco e Bianca è solo una delle tante che coinvolsero la famiglia Medici specie quella di seconda generazione.

Cosimo stesso fu accusato di aver fatto assassinare la figlia Maria perché colpevole di una relazione con un paggio di corte, sebbene probabilmente la giovane fosse morta per febbre malariche, e lo stesso Francesco si dice fosse stato coinvolto nell’omicidio della sorella Isabella fatta uccidere, secondo alcune fonti, dal marito Paolo Orsini, ma anche questo è tutto da dimostrare (vedi “L’onore perduto di Isabella de’ Medici” di Elisabetta Mori, edito da Garzanti).

Con Francesco I inizia il declino di quella famiglia, i Medici, che dominarono Firenze per più di trecento anni.

Stefano Corazzini attraverso le pagine di questo saggio vuole rendere giustizia alla figura dell’erede di Cosimo I, la cui immagine è solitamente legata solo a termini negativi quali corruzione e decadenza, dimenticando quanto di buono egli avesse comunque fatto per Firenze e la Toscana.

Del suo governo restano le grandi opere del Buontalenti, il quale fu per il Granduca quello che era stato il Vasari per il padre Cosimo I, l’istituzione dell’Accademia della Crusca, l’impulso e lo sviluppo delle scienze e infine due progetti, due stanze di Palazzo Vecchio: lo Scrittoio di Bianca e lo Studiolo privato di Francesco I, un ambiente raffinato  e intimo nel quale sono sintetizzate le sue passioni, un luogo privato dove potersi rifugiare lontano da sguardi indiscreti e coltivare i propri studi.

Essere un Medici non doveva essere stato facile per nessuno dei suoi predecessori, ognuno di essi, chi più chi meno nel corso dei secoli aveva dovuto scontrarsi con obblighi e compromessi legati ad un nome tanto potente quanto ingombrante, Francesco più di altri soffrì per questa pesante eredità e dovette impegnarsi più di altri per non rimanerne completamente sopraffatto.

 

 

giovedì 20 agosto 2020

“Genius familiaris, Genius loci, Eggregori e Forme Pensiero” di Alessandro Orlandi

Il libro, dedicato al culto degli antenati nel mondo antico e alla trasmissione iniziatica, è suddiviso in due parti.

Nella prima parte Alessandro Orlandi si propone di illustrare al lettore quali siano le analogie esistenti tra il Genius Loci, il culto degli antenati nell’antica Roma, le Forme-Pensiero e gli Eggregori.

Nella seconda parte invece l’autore analizza il ruolo della tradizione nel mondo antico ed esamina quanto venisse trasmesso attraverso l’iniziazione. 

Si chiede inoltre se si possa parlare ancora oggi di tradizione e iniziazione e, in caso affermativo, quale sia l’aspetto da esse assunto nel mondo moderno.

Senza entrare nel merito specifico della materia esposta, poiché ritengo che la lettura di queste pagine sia un percorso ricco e interessante che ogni lettore debba affrontare assolutamente senza interferenze di sorta e libero da ogni tipo di sollecitazione esterna, mi concedo di darvi solo alcune informazioni propedeutiche agli argomenti trattati.

Cosa si intende per Genius familiaris, Genius loci, eggregori, forme-pensiero?

Per prima cosa dobbiamo ricordare che, secondo la visione cristiana, l’uomo ha tre componenti fondamentali: corpo - spirito - anima, ma gli antichi avevano una ben diversa concezione, per gli Egizi ad esempio le componenti del corpo umano erano addirittura nove.

Secondo i Greci alla nascita ogni uomo veniva affidato dalle tre Moire o Parche (Cloto, colei che filava il destino degli uomini, Lachesi, colei che distribuiva le sorti e Atropo, colei che recideva il filo al momento della morte) ad un daimon che non lo avrebbe mai abbandonato per tutto il corso della sua vita.

Il daimon era anche fonte di ispirazione delle creazioni e delle intuizioni per poeti, indovini, scienziati e artisti.

Seppur con alcune differenze, il daimon era quanto di più simile al Genius latino; proprio nel mondo romano, infatti, il demone individuale veniva spesso chiamato Genio.

A grandi linee si potrebbe dire che mentre il Genius loci esprimeva il carattere e la natura profonda dei luoghi, il Genius familiaris (o Genio della stirpe) era connesso alla casa, alla natura della famiglia e agli spiriti degli antenati.

Nelle case dell’antica Roma di solito c’era poi un luogo dedicato al culto dei diversi dèi domestici: Lari, Penati, Genius Familiaris e dèi Mani.

I Penati erano di solito dèi del pantheon greco o romano, i Lari erano gli spiriti degli antenati virtuosi e che si erano distinti in vita e infine gli dèi Mani erano gli spiriti di tutti gli antenati defunti.

Le forme-pensiero sono entità emanate all’esterno dall’uomo alimentate dai suoi pensieri, dalle sue paure, dalle sue speranze e dalle sue energie; quando queste forme-pensiero scaturiscono dall’attività immaginativa di un gruppo che condivide un intento comune vengono definite eggregori.  

Abbiamo detto che nella seconda parte del libro si parla di tradizione e iniziazione. Che cosa si intende con tali termini?

Per tradizione (in greco paràdosis – trasmissione; in latino tradere – trasmettere) si intende la trasmissione non solo di contenuti e insegnamenti, ma anche dell’energia che il maestro trasmette al discepolo, energia che permette al discepolo di ampliare la propria percezione del mondo.

L’iniziazione nasce e si propaga attraverso il passaggio e lo scambio di energie che avviene attraverso uno specifico rituale.

Nell’antichità nelle iniziazioni ai culti misterici gli iniziati erano tenuti al segreto e pertanto poco o nulla è trapelato e giunto fino a noi sui riti che venivano celebrati.

Ogni cultura nel corso dei secoli ha sviluppato le proprie tradizioni spirituali e ancora oggi esistono organizzazioni iniziatiche, la Massoneria e il Neotemplarismo ad esempio sono alcune di esse.

Nella seconda parte del libro si indaga sul cambiamento verificatori nel corso dei secoli nelle tradizioni iniziatiche che col tempo, perdendo di vista il loro scopo primario, ossia quello di cercare di armonizzare il microcosmo (Uomo) con il macrocosmo (Universo), si sono indirizzate invece verso il raggiungimento di un sempre maggiore potere personale, polarizzando così l’attenzione dell’iniziato verso il mondo esterno invece che verso la propria interiorità.

Possiamo ancora parlare di realtà della Tradizione e dell’Iniziazione nel XXI secolo?

Su questo e su altri numerosi interrogativi relativi alla spiritualità nel mondo antico e in quello moderno Alessandro Orlandi cerca di gettare luce attraverso le pagine di questo saggio che, partendo dall’analisi dei culti iniziatici, quali ad esempio i Misteri Eleusini, quelli di Cibele, di Dionisio, passando poi per la sacralità attribuita alla commedia e alla tragedia dagli antichi greci, esaminando l’importanza della tradizione alchemica, arriva infine, senza tralasciare quelle tendenze legate allo spiritismo, all’occultismo, alla veggenza, al mesmerismo, ad analizzare la più moderna spiritualità, la cosiddetta “New Age” che, senza riferirsi ad una particolare tradizione, mescola vari elementi.

Quello di Alessandro Orlandi è un saggio breve, sono appena un centinaio di pagine, ma davvero molto articolato e approfondito.

Da sottolineare inoltre la grande capacità dello scrittore di saper esporre un argomento tanto complesso in modo semplice e chiaro così che possa essere accessibile anche ai neofiti della materia.   

Dello stesso autore vi ricordo “Dionisio nei frammenti dello specchio”.




martedì 18 agosto 2020

“La passione del Re Sole” di Gerty Colin

Corre l’anno 1656, la  Fronda è solo  uno sbiadito ricordo e il cardinale Mazzarino gode ormai del pieno appoggio della Regina Anna, del giovane Re Luigi XIV e di tutta la Francia.

In questo clima di distensione il primo ministro ha fatto giungere sul suolo francese molti membri della sua famiglia e tra questi ci sono le bellissime nipoti Mancini e le loro cugine Martinozzi.

Le mazarinettes, come sono soprannominate le giovani, sono destinate ad essere delle graziose ed utili pedine nell’abile gioco della politica matrimoniale che lo zio ama condurre per il bene della Francia, ma soprattutto per la propria gloria.

Maria è la terza delle cinque sorelle Mancini, ha appena 17 anni, è forse meno bella della sorella Olimpia e senza dubbio la piccola Ortensia, una volta cresciuta, le surclasserà entrambe, ma Maria, seppur ancora acerba nell’aspetto, è una ragazza intelligente, colta e vivace.

Mentre la sorella maggiore Laura è già stata maritata e Olimpia gode dei favori del re, Maria è condannata a condurre una vita ritirata nei suoi appartamenti in quanto destinata dalla madre al convento.

La madre però muore all’improvviso e Maria trova inaspettatamente un prezioso alleato nello zio che, in disaccordo con i desideri della defunta sorella, decide di dare alla giovane un’opportunità assecondandola nel suo sogno di conquistare il cuore del re, chissà forse addirittura vagheggiando per lui stesso la fama di poter essere un giorno zio del Delfino di Francia.

La passione tra l’intrepida Maria e il riservato Luigi XIV scoppia inevitabilmente, il loro è un amore che nulla ha a che fare con i giochi della politica e la ragion di stato, il loro è un amore fatto di amicizia e complicità, ma Luigi non è solo Luigi egli è anche e soprattutto il Re di Francia e il suo destino deve compiersi.

Luigi sacrificherà il suo amore giovanile per divenire quel grande sovrano che noi oggi conosciamo come il Re Sole, colui che costruì splendidi palazzi, vinse guerre e collezionò numerose amanti.

Maria sposerà il connestabile Lorenzo Colonna e si trasferirà a Roma dove, con grande scandalo della nobiltà romana non avvezza a certi costumi, aprirà le porte del suo palazzo nel quale si potrà respirare aria di Francia sul suolo romano e dove gli ospiti francesi saranno sempre i benvenuti.

Potrà però Maria essere felice accanto a Lorenzo? Riuscirà a dimenticare quel suo primo giovanile amore o quella fiamma continuerà a bruciare? Il re di Francia riuscirà davvero a cancellare il ricordo di quella giovane che gli aveva illustrato con tanto entusiasmo quali fossero oneri e onori di un grande sovrano? Maria riuscirà a tornare a Parigi dal “suo” Luigi o non lo rivedrà mai più?

Incontrai per la prima volta il personaggio di Maria Mancini Colonna durante una visita guidata proprio a Palazzo Colonna a Roma, una dimora meravigliosa, e rimasi affascinata dalla sua storia ripromettendomi in futuro di cercare qualche romanzo che parlasse di lei.

Il libro di Gerty Colin è un romanzo ben scritto e dettagliato; la scrittrice descrive minuziosamente la galleria dei numerosi personaggi, nomi noti della storia di Francia, e quella Corte dissoluta, maldicente, corrotta e meschina nella quale tali personaggi facevano bella mostra di sé imparando fin da subito l’arte della dissimulazione per non soccombere sotto i colpi delle calunnie.

Un luogo dove non ci si poteva fidare neppure dei fratelli e delle sorelle anzi talvolta era proprio da quelli più che dagli altri che ci si doveva guardare le spalle.

A fare da contraltare troviamo una Roma dove il vizio dilaga in egual misura che alla Corte francese, dove non esiste alcun rispetto per l’abito talare neppure da parte di chi lo indossa e dove procurarsi un veleno è più facile che comprare delle caramelle.

La caratterizzazione dei personaggi è ben articolata e il quadro che ne viene fuori è affascinante seppur popolato da figure per la maggior parte abbiette, subdole e lascive: Ortensia vivace e corrotta, Olimpia acida e vendicativa, Lorenzo traditore e violento... difficile salvarne qualcuno.

Maria è l’unica in tutta questo carrozzone di degenerate sanguisughe che resta fedele a se stessa e alla sua idea di amore puro.

Per lei, sempre devota al ricordo del suo primo amore, è impossibile comprendere il comportamento delle sorelle che con tanta facilità si lasciano corrompere dalla lussuria, è impossibile perdonare i tradimenti di Lorenzo così come le è oltremodo gravoso riuscire ad accettare il tradimento di coloro che credeva amici sinceri.

Luigi è il Re Sole, a lui tutto è concesso, ha sacrificato l’amore di Maria per il bene della Francia, ma resta il dubbio che l’abbia fatto perché troppo debole per opporsi al volere congiunto della madre e del suo primo ministro che desideravano sul trono al suo fianco l’infanta di Spagna Maria Teresa d’Austria.

Mentre Maria conserva la sua ingenuità quasi fino alla fine dei suoi giorni, il Grande Re è cambiato, forse a farlo mutare è stato il dolore per la perdita della sua più cara e tenera amica, forse le cattive compagnie, forse il potere, qualunque cosa sia stato però di quel giovane timido, insicuro e gentile, seppur altezzoso, nulla sembra essere rimasto, al suo posto c’è solo un sovrano presuntuoso e arrogante.

“La passione del Re Sole” è un libro coinvolgente e la figura di Maria riesce a creare un forte rapporto empatico con il lettore fin dalle prime pagine.

Il romanzo di Gerty Colin mi ha stupito notevolmente, mi attendevo, narrando la storia di una grande passione nata nella fastosa e modaiola Corte di Francia, un romanzo allegro e  vivace, invece “La passione del Re Sole” si è rivelato essere anche un romanzo malinconico, nostalgico e riflessivo come la sua protagonista Maria Mancini Colonna, colei che avrebbe potuto essere regina di Francia, ma per la quale il destino ha disposto poi diversamente.

Per tutta la lettura del romanzo ho sofferto con la protagonista per le sue pene d’amore, ho sperato che qualcosa potesse cambiare, ma una volta terminata la lettura mi sono ritrovata a chiedermi se Maria sarebbe stata davvero felice al fianco del suo amato Luigi. Davvero il Re Sole sarebbe stato diverso se avesse avuto il coraggio di seguire il proprio cuore invece di inchinarsi alla ragion di stato e ai desideri materni e del cardinale?

Purtroppo, non avrò mai la mia risposta, mi resta solo l’eco di una struggente storia d’amore che si fa strada fino a noi attraverso le nebbie del passato e per la quale mi tornano alla mente alcuni versi di Dante Gabriel Rossetti (A Superscription, sonetto 97 di The house of Life):

Guardami in volto, il mio nome è Sarebbe-potuto-essere;

e sono anche chiamato: Mai-più, Troppo-tardi, Addio.

 

 

domenica 16 agosto 2020

“Ipazia, vita e sogni di una scienziata del IV secolo” di Adriano Petta e Antonino Colavito

Ipazia, astronoma, matematica e filosofa, visse nel IV secolo d.C. ad Alessandria d'Egitto. 

Alla morte del padre Teone ereditò da questi la direzione della scuola neo-platonica; quella alessandrina era stata la comunità scientifica più importante della storia, proprio qui infatti avevano studiato importanti scienziati e filosofi quali Archimede, Ipparco, Aristarco di Samo, Tolomeo e molti altri.

A Ipazia si devono importantissime scoperte scientifiche oltre alla realizzazione di preziosi strumenti come l’astrolabio, l’idroscopio e l’aerometro.

Le fonti storiche che la riguardano sono molto esigue e quasi nulla è giunto fino a noi delle sue opere se non qualche raro frammento.

Gli anni di Ipazia furono gli anni in cui si assistette allo sciagurato patto tra l’agonizzante Impero Romano, minacciato dalle popolazioni barbare che premevano ai confini, e la Chiesa cattolica che vantava figure di spicco quali Ambrogio, vescovo di Milano, e il padre della Chiesa Agostino.

Il patto prevedeva, oltre alla completa evangelizzazione dell’Impero, la soppressione di templi, biblioteche, centri di studio e con essi l’eliminazione di scienziati, studiosi, filosofi, in poche parole di tutti coloro che potessero minacciare la Chiesa cattolica con la diffusione del libero pensiero e delle scienze.

Ad osteggiare apertamente il vescovo di Alessandria Cirillo troviamo il prefetto romano Oreste.

Ipazia, già invisa a Cirillo in quanto scienziata, filosofa e per di più donna, pagò con la vita probabilmente anche la sua amicizia con Oreste.

Nel 415 d.C. venne barbaramente uccisa e fatta a pezzi dai fondamentalisti che ritenevano che la sua libertà di pensiero influenzasse negativamente il popolo allontanandolo dal vero credo.

Ipazia amava infatti trasmettere il suo sapere recandosi tra la gente e, nello scontro tra ragione e religione, fu lei a pagare il prezzo più alto.

Il libro è diviso in due parti.

Nella prima parte, scritta da Adriano Petta, viene raccontata la vita di Ipazia; un racconto romanzato, ma che segue con rigore storico gli eventi e il contesto culturale in cui si svolsero i fatti narrati.

Nella seconda parte, ad opera della penna di Antonino Colavito, invece è Ipazia in prima persona a parlarci, come in un sogno, delle sue ricerche, delle sue speranze, sei suoi dubbi e del sapere di cui è custode.

Probabilmente molti di voi, come me, avranno già letto questo romanzo anni fa in occasione dell’uscita del film Agora (2009) con la bravissima Rachel Weisz nel ruolo di Ipazia.

“Ipazia, vita e sogni di una scienziata del IV secolo” è uno di quei libri che ti segnano profondamente, ragione per la quale, anche se di solito non amo rileggere i libri già letti in considerazione del fatto che non mi basterà una vita per leggere tutto quello che vorrei, ho voluto fare un’eccezione come raramente mi accade.

Perché rileggere il romanzo?

Iniziamo dalla motivazione più ovvia, anche se per questo non meno valida, ossia per non dimenticare.

Per non dimenticare che secoli fa una donna dotata di una mente straordinaria, tenace e determinata, diede la sua vita per la scienza e per ciò in cui credeva.

Ipazia morì non solo per difendere il pensiero scientifico, ma anche per affermare il diritto di tutti al libero pensiero.

In molti paesi la donna è ancora oggi considerata un essere inferiore, ma la verità è che anche nel mondo più civilizzato, o almeno in quella parte di mondo che ci piace definire tale, la donna ha raggiunto una parità solo apparente.

Non possiamo infatti ignorare che gli stipendi delle donne, a parità di competenze e mansioni, siano ancora troppo spesso inferiori a quelli dei loro colleghi uomini, che sia ancora necessario avvalersi delle quote rosa e che ai vertici delle grandi aziende gli uomini siano numericamente superiori.

Sono trascorsi ben sedici secoli allorquando Ipazia scelse di dedicare la propria vita alla scienza rinunciando ad una sua famiglia, altro motivo per cui venne osteggiata.

Eppure, non possiamo fingere di non sapere che, nonostante si dica che una donna sia libera di scegliere se diventare madre o meno, colei che rinuncia volontariamente alla maternità per dedicarsi ad altro o anche solo per una sua risoluzione personale, ancora oggi venga sottoposta a critiche, spesso neppure troppo velate, e debba sentirsi sempre in dovere di giustificare le proprie scelte.

Ero inoltre molto curiosa di sapere quali impressioni mi avrebbe suscitato rileggere questo romanzo a distanza di più di dieci anni e dopo aver affrontato nel frattempo tante altre letture.

Le emozioni provate sono state le stesse, la medesima intensità e lo stesso coinvolgimento, se non fosse per una sola piccola nota stonata, ovviamente per il mio personale sentire, laddove si condanna Claudio Claudiano perché incline a sprecare il suo talento dedicandosi esclusivamente alla retorica e alla poesia anziché alla scienza.

Ipazia era una scienziata e una filosofa, faceva della ragione il suo unico scopo, per lei la ragione era la fonte di tutto.

Oggi abbiamo una tecnologia super avanzata, la scienza ha fatto passi da gigante, ma mai come oggi avremmo in verità bisogno di molta più poesia.

All’epoca in cui visse Ipazia la filosofia, la matematica, l’astronomia, la musica erano strettamente collegate tra loro, per cui non so se tale affermazione nasca dal vero pensiero di Ipazia ritrovato tra i frammenti delle sue opere o se sia invece solo finzione letteraria ad opera dell’autore del romanzo, però leggere:

Lascia perdere Shalim testi di religione e di filosofia. Noi sappiamo cosa può veramente mutare il cammino dell’uomo.

Pur comprendendo che si tratta di un romanzo che parla di storia della scienza, trovo comunque piuttosto fastidioso quanto così espresso.

Capisco la necessità da parte di Ipazia di dover scegliere cosa salvare, ma una tale affermazione traccia un confine troppo netto tra ciò che è da considerarsi utile e ciò che invece deve essere considerato superfluo dell’umano sapere.

Premesso che mi risulta impossibile fare una classificazione delle varie discipline, mi rifiuto di credere che poesia, filosofia, ma anche religione e mitologia, nelle quali affondano le nostre radici, si possano ritenere materie superflue per il cammino dell’uomo.

Gli studi umanistici sono sempre più osteggiati perché poco remunerativi e considerati di limitata utilità, non comprendendo che proprio attraverso questi stessi studi si forgia la chiave del pensiero, la possibilità di sviluppare quello spirito critico che manca alla nostra società spianando così la strada a fondamentalisti e populisti.

Non so perché non avessi notato questa stonatura quando lessi il romanzo per la prima volta, forse mi ero troppo persa nella trama del racconto o, più semplicemente, magari dieci anni fa non ero così suscettibile sull’argomento.

La figura di Ipazia, comunque, donna forte e determinata, sicura delle proprie scelte, comunicativa e appassionata, dolce ma allo stesso autorevole e ferma, non può che affascinare e coinvolgere il lettore anche ad una seconda lettura più approfondita.

Spero di essere riuscita ad incuriosirvi abbastanza da spingervi a leggere il libro nel caso non l’aveste mai fatto o, nel caso invece esso sia una vecchia conoscenza, di avervi un poco invogliati a inserirlo nell’elenco dei romanzi da rileggere.

 


giovedì 13 agosto 2020

“L’enigma d’amore nell’Occidente medievale” di Annarosa Mattei

C’è stato un tempo, centinaia di anni fa, in cui l’amore era declinato al femminile; in lingua d’oc l’amore era detto la fin’amor o amor nova, il libro ne racconta le origini.

Celebrata dai trovatori sul finire dell’anno Mille nei feudi situati tra la Provenza e l’Aquitania la fin’amore si espanse nelle terre circostanti fino a raggiungere, trasformandosi e assumendo caratteristiche diverse, il Nord della Francia, la penisola Iberica, l’Inghilterra, le Fiandre, la Germania e l’Italia.

Il discorso d’amore fu soggetto ad una violenta repressione da parte della Chiesa che, per opportunità politica e per difendere i propri dogmi, non poteva certamente favorire una visione del mondo così secolare e libertaria.

La fin’amor rappresentava infatti in un certo senso l’emancipazione laica dalla tutela religiosa e, altro elemento da non sottovalutare, poneva in primo piano la figura femminile inserita al centro di un percorso di formazione morale e sentimentale.

In quegli anni, inoltre, si stava diffondendo un radicale movimento evangelico, il catarismo, giudicato eretico dalla Chiesa.

Il catarismo aveva molte affinità con la fin’amor in quanto, oltre a promuovere la libera conoscenza e l’accesso diretto alle fonti, sosteneva l’idea dell’uguaglianza tra l’uomo e la donna.

Con la crociata contro gli Albigesi, indetta da papa Innocenzo III, che ebbe luogo tra il 1209 e il 1229 per estirpare il movimento nei territori della Linguadoca, non solo il movimento dei catari, ma anche la fin’amor subì conseguentemente un brusco arresto.

Alla sua nascita la lingua d’amore era fondata sul gusto della vita, sulla ricerca della bellezza, del piacere e dell’eleganza.

Quella decantata dai poeti era una nuova idea dell’amore e della donna che veniva celebrata così attraverso la poesia, la danza, il canto e la musica.

Il grande canto cortese e le regole della gaia scienza affinarono e ingentilirono i modi di quella classe originariamente guerriera priva di buone maniere e di eleganza.

Nel corso del tempo a seconda del territorio e del suo substrato culturale, così come in base agli accadimenti storici e ai rivolgimenti politici, la fin’amor assunse caratteristiche sempre diverse dando vita a nuovi generi come ad esempio il roman.

Il roman, che è poi alle origini del romanzo moderno, nacque proprio dall’incontro della fin’amor con la cultura classica tipica delle scuole clericali della Normandia e con i miti celtici radicati nella cultura bretone.

Allo stesso modo nei territori germanici troveremo i Minnesänger e in Italia i poeti federiciani e le variazioni tosco-emiliane fino ad arrivare all’avanguardia fiorentina con Guido Cavalcanti, Dante Alighieri e i Fedeli d’Amore.

Il libro, oltre a passare in rassegna tutti i più grandi esponenti della letteratura d’amore dalle origini fino alla fine del XIII secolo, ci ricorda anche tutte quelle figure storiche che, con il loro mecenatismo, resero possibile lo sviluppo di tale corrente letteraria, prima fra tutte la celebre Eleonora duchessa d’Aquitania, regina di Francia e in seguito regina d’Inghilterra, figlia di Guglielmo X di Aquitania e madre del leggendario Riccardo Cuor di Leone e della colta Maria di Champagne.

La forza del libro di Annarosa Mattei è proprio la capacità dell’autrice di riuscire a ricreare il contesto storico in cui la fin’amor nacque e si sviluppò assumendo le più svariate forme e sfumature.

“L’enigma d’amore nell’occidente medievale” non è una mera storia della letteratura o una classica antologia dove i singoli autori vengono presi in esame con i loro testi, ma piuttosto un saggio completo in grado di regalare al lettore un quadro dettagliato e minuzioso delle condizioni storico-politiche-religiose e delle figure che contribuirono alla nascita del discorso d’amore e che ne permisero lo sviluppo e la trasformazione partendo dalle corti occitaniche per poi raggiungere tutta l’Europa.

 

 

lunedì 10 agosto 2020

“Non sei mai stato a Firenze se…” di Wikipedro

 

Questa particolare guida di Firenze nasce dall’esigenza, come lo stesso autore afferma nell’introduzione, di fare un po’ di ordine e raccogliere tutti i numerosissimi video da lui girati sulla città di Firenze.

Scusate, lo sapete, io di solito sono molto seria e professionale nelle mie recensioni, ma questa volta proprio non ce la faccio, definire autore Wikipedro, al secolo Pietro Resta, il mio youtuber preferito mi fa davvero sorridere.

Non fraintendetemi, non rido perché lui non sia bravo perché credetemi lo è e lo è davvero parecchio, solo che non riesco a fare a meno di vedermelo davanti con quella sua faccia da bi… non ve lo dico se no il Pedro mi si offende, diciamo da schiaffi, dai…

Wikipedro ha il grande dono di saper raccontare aneddoti e storie divertendo e divertendosi, una qualità molto rara anche se, per onestà intellettuale, va detto che un pochino il Pedro facilitato dalla parlata lo è.

Ricordate, però, il Fiorentino è una lingua, non un dialetto! Ho imparato la lezione, tranquillo Pedro, non ti agitare…

Non è un mistero che io sia innamorata di Firenze e che appena possibile io scappi a rifugiarmi sotto la sua meravigliosa cupola, ecco, nell’intervallo tra un viaggetto e l’altro i video di Wikipedro mi tengono compagnia facendomi sentire un po’ meno la mancanza della mia città preferita.

Tra le pagine di questo libro oltre ai numerosi aneddoti e storie, delle vere chicche da leggere e da scovare poi tra le vie della città, si respira proprio lo spirito scanzonato, ma sempre puntuale e preciso, che contraddistingue il suo autore, un fiorentino nato e cresciuto nell'Oltrarno, innamorato della sua Firenze della quale adora raccontare la storia e la sua gente.

Il formato del libro è tascabile e, seppur con la copertina rigida è comodo da portare con sé durante una visita; una piccola grande guida che ci illustra quattro diversi percorsi, tanti quanti sono i quartieri della città:

- il quartiere Rosso (Santa Maria Novella)

- il quartiere Bianco (Santo Spirito)

- il quartiere Verde (San Giovanni)

- il quartiere Azzurro (Santa Croce)

Ognuno di questi quartieri prende il nome dal principale luogo di culto presente sul territorio ed ogni percorso scelto da Wikipedro parte da un ponte sull'Arno.

Dei ponti Wikipedro nella sua guida vi darà ogni ragguaglio perché ha sviluppato per loro una vera passione, ma questo si era già capito guardando i suoi video. E come dargli torto? Avete presente quando vi affacciate da un ponte e vedete quei riflessi che sembrano danzare sull’Arno?

Oltre ai capitoli dedicati agli itinerari nei quali trovate davvero ogni tipo di curiosità come ad esempio la storia delle buchette del vino, la storia della Berta, l’etimologia e il significato di alcune parole come bischero o renaiolo, trovate poi anche utili consigli su alcuni luoghi alternativi da visitare e di particolare fascino come la chiesa di Santa Margherita dei Cerchi, piazza del Giglio, il chiostro dello Scalzo o il giardino delle rose.

Non mancano inoltre i suggerimenti legati ai piatti tipici locali come la pappa al pomodoro o il famoso panino al lampredotto.

Non siete almeno un po’ curiosi di sapere perché si chiami lampredotto? Oppure di conoscere qual sia il vero motivo per cui il pane fiorentino è “sciocco” ossia senza sale?

Non manca neppure qualche pagina dedicata al vocabolario fiorentino, al calendario delle feste e ricorrenze della città, ai consigli su dove portare i bambini e ci sono persino i ringraziamenti finali (leggeteli, datemi retta).

Come abbia fatto Wikipedro a condensare tutto in 158 pagine resta per me un mistero, però vi assicuro che c’è davvero tanto, non vi dico tutto perché per me Firenze è una città infinita e non credo riuscirò mai a vedere ogni cosa come vorrei, ma va bene così perché in questo modo ho sempre una scusa per doverci tornare.

Perché leggere questo libro?

Per l’amore infinito che Wikipedro dimostra per la sua città che traspare da ogni singola riga del libro e se possibile in modo ancora più marcato che nei video, per la sua simpatia, grazie alla quale riesce sempre a strapparti una risata anche nelle giornate storte, e per il suo il suo carisma che ti spinge a fare anche i salti mortali, quando hai i minuti contati, pur di riuscire a vedere i luoghi da lui segnalati, sicura che ne varrà sempre la pena.

 


domenica 9 agosto 2020

“Dionisio nei frammenti dello specchio” di Alessandro Orlandi

Parafrasando le parole dell'autore potremmo dire che la civiltà occidentale è vittima di una grave crisi spirituale e noi, afflitti come siamo da un profondo individualismo, non siamo in grado di sviluppare alcuna visione che ci possa proiettare in un futuro provvisto di un intento comune.

Il desiderio di Alessandro Orlandi è quello di risalire, attraverso le pagine di questo saggio, alle origini di quel rapporto da cui trae senso la cultura occidentale e che affonda le sue radici nella saggezza dell’antica Grecia e della tradizione giudaico-cristiana.

Il volume si articola a grandi linee in tre parti: nella prima parte l’autore analizza l’opera alchemica, nella seconda indaga il mito di Dionisio e nella terza affronta il tema dell’amore come ricerca del Sé.

Nei capitoli dedicati all’Opus alchemicum, dopo una prima interessante introduzione sulla storia dell’alchimia e sull’etimologia della parola (il termiche deriverebbe dal greco chymè – lingotto, metallo fuso – oppure dall’egiziano kemi – terra nera, il limo del Nilo), si entra nel vivo dell’argomento parlando degli elementi e delle loro proprietà (il femminile e volatile mercurio, il maschile zolfo, dotato del potere di fissare e coagulare, il sale in grado di resistere all’incinerazione e infine il Leone Verde) e delle tre fasi dell’opera (l’opera al nero o nigredo, l’opera al bianco o albedo e l’opera al rosso o rubedo).

In questo stesso capitolo si dà anche un nuovo tipo di interpretazione dell’opera alchemica, non strettamente legata alla chimica della materia, ma piuttosto alla sfera della psicanalisi.

Il fine ultimo dell’Opus non è più inteso come la trasmutazione della materia, ma bensì secondo la moderna interpretazione junghiana come l’individuazione del Sé.   

Interessanti sono poi i vari punti di collegamento con le diverse culture; ad esempio, nelle coppie di opposti, troviamo lo zolfo simbolo maschile e il mercurio simbolo femminile, ma la stessa dualità la si ritrova anche nel Taoismo nel concetto di yin e yang.

Dopo aver illustrato gli antichi culti (Iside, la Grande Madre ecc.) e la simbologia ad essi associata, si passa ai capitoli dedicati a Dionisio e ai Misteri del mondo antico

Qui si ripercorrono tutte le versioni del mito di Dionisio con tanto di dettagliato resoconto dei culti a lui riservati e degli dei a lui strettamente collegati.

Secondo Orlandi Dionisio e Apollo non sono da considerarsi due divinità contrapposte bensì piuttosto strettamente unite, è Apollo infatti colui che ricompone il corpo di Dionisio Zagreo smembrato dai Titani; il terzo e più perfetto stadio dell’Opus, la congiunzione.

Nella terza parte Alessandro Orlandi indaga il rapporto uomo-donna e si interroga sulla possibilità di poter raggiungere l’equilibro perfetto, il ricongiungimento con il Sé, all’interno di tale rapporto ovvero impedendo che l’uno prevarichi l’altro o proietti se stesso e le sue immagini sull’altro, riuscendo nel contempo anche a bilanciare la parte femminile del maschio e la parte maschile della femmina; la relazione armonica che si vuole raggiungere infatti non è mai in realtà tra due sole entità, uomo – donna, ma piuttosto tra otto entità diverse.

Al termine del volume troviamo un’interessante postfazione ossia tra trascrizione del discorso che l’autore fece in occasione della presentazione del libro avvenuta a Roma nel 2003.

“Dionisio nei frammenti allo specchio” non è, come avrete compreso, quello che si può definire un saggio semplice e di immediata comprensione.

Ho cercato, per quanto possibile, di riepilogarvi a grandi linee gli argomenti analizzati così che possiate farvi il più possibile un’idea di quanto esposto nel libro.

Il mio vuole essere solo un suggerimento di lettura e pertanto non sono volutamente scesa nei dettagli; il materiale è davvero corposo e le tematiche alquanto ricche, non sarebbe quindi semplice, anche volendo, condensare in poche righe i numerosi concetti esposti.

Non posso negare che la lettura di questo saggio per gli argomenti trattati richieda una certa concentrazione e un certo impegno, ma l’esposizione è sempre molto chiara ed esaustiva, inoltre il volume è corredato da molte immagini che facilitano la comprensione del testo e aiutano a fissare meglio quanto viene analizzato.

Ho apprezzato molto la lettura di questo libro sia per quanto riguarda la parte strettamente legata allo studio dell’alchimia, così come la conoscevo, sia per quella parte di nuova, almeno per me, interpretazione delle fasi dell’Opera.

Ho trovato inoltre molto interessanti le diverse interpretazioni dei miti, alcuni dei quali spesso ormai dimenticati, e molto stimolanti i collegamenti che nascono con la filosofia orientale, il Taoismo e lo Yoga Kundalini. 

“Dionisio nei frammenti allo specchio” è inoltre una lettura che non termina con l’ultima pagina perché lascia molti interrogativi su cui riflettere sia a livello a personale, spingendoci almeno a provare ad intraprendere quel viaggio alla ricerca del Sé, sia a livello collettivo interrogandoci sulla natura del mondo in cui viviamo e sulla velocità che caratterizza la vita moderna.  

 

 

 

giovedì 6 agosto 2020

“Raffaello 1520 – 1483” - Roma, Scuderie del Quirinale

Avevo in programma di visitare la mostra dedicata a Raffaello pochi giorni dopo la sua apertura, ma poi a causa del lockdown ero stata costretta a rinunciare.

Autoritratto 


E' proprio vero però che non bisogna mai disperare e così, nonostante i numerosi imprevisti,  alla fine ho raggiunto il mio intento.

Va detto che durante il periodo di chiusura gli organizzatori sono stati molto bravi nel saper mantenere alto l’indice di attenzione sull’evento sia postando costantemente video e materiale sia tenendo informati con continuità coloro che erano già in possesso del biglietto.


Ritratto di papa Leone X con i cardinali Giulio de' Medici e Luigi de' Rossi 


Un evento, quello della mostra “Raffaello 1520 – 1483”,  molto importante non solo perché nato per celebrare il cinquecentenario della morte dell’artista, ma anche e sopratutto per il valore delle opere esposte, frutto di importanti prestiti dai più celebri musei come gli Uffizi, il Prado, il Louvre solo per citarne alcuni.


Dama con liocorno 


Indubbiamente lo sforzo profuso per allestire questa mostra, sia a livello economico che a livello di impegno, competenze e responsabilità, deve essere stato enorme e possiamo solo immaginare le difficoltà affrontate dagli organizzatori per potersi allineare con le nuove modalità previste per le visite in sicurezza, dovendo tra l’altro ridurre anche assai drasticamente il numero dei visitatori.


Ritratto di Giulio II 


Il percorso espositivo della mostra è un percorso piuttosto singolare in quanto si svolge a ritroso e prende avvio dalla morte di Raffaello avvenuta a Roma il 6 aprile del 1520.

Ad accogliere il visitatore troviamo un quadro di Pietro Vanni “I funerali di Raffaello” (1896 - 1900) e da qui partiamo per un viaggio attraverso l’opera creativa dell’arista muovendoci indietro nel tempo, da Roma  a Firenze, da Firenze all’Umbria e alla nativa città di Urbino.



La mostra, come vi dicevo, si è dovuta adeguare alle normative che tengono conto del distanziamento sociale.

Il biglietto deve essere quindi acquistato anticipatamente e gli ingressi sono scaglionati ogni dieci minuti.

I gruppi sono formati al massimo di dieci persone e ogni gruppo è accompagnato da una guida che si occupa di verificare che si rispettino le norme previste.

Si hanno cinque minuti di tempo per visitare ogni sala al termine dei quali un segnale acustico invita i visitatori a passare nella sala successiva.


La Fornarina  - Venere accovacciata (I sec. d.C.)


Detta così potrebbe mettere forse un po’ di ansia, ma vi assicuro che tutto si svolge in maniera molto tranquilla.

La visita poi dissolverà ogni vostro dubbio perché la mostra è davvero ben studiata sotto ogni punto di vista, dalla scelta delle opere allo spazio espositivo fino l’illuminazione pressoché perfetta e alla quale purtroppo le mie foto non rendono la dovuta giustizia. 


Ritratto di Baldassarre Castiglione 


Cinque minuti sono troppi o troppo pochi? Personalmente li ho trovati giusti.

Dovete infatti tenere conto che fino a ieri le mostre di questo genere erano sempre sovraffollate e spesso molto tempo lo si perdeva nel vano tentativo di intravedere un’opera davanti alla quale qualcuno stava sostando da almeno cinque minuti, solitamente munito dell’immancabile audio-guida, oppure la stava monopolizzando nel tentativo di scattarsi il selfie perfetto; per poi non parlare dei gruppi organizzati con tanto di guida dinnanzi ai quali si era costretti proprio a gettare la spugna e rassegnarsi a passare ad esaminare l’opera successiva.


La Velata 


In cinque minuti forse non riuscirete a leggere i pannelli esplicativi in modo approfondito, ma è facile rimediare a questa problematica preparandosi precedentemente sull’argomento così da potervi focalizzarvi strettamente sull’opera traendone, a mio avviso, anche maggior soddisfazione.


Madonna della Rosa


Madonna d'Alba


Inoltre, allo scopo di poter approfondire ciò che vedrete esposto, sono stati svolti numerosi e interessanti incontri organizzati dalle Scuderie del Quirinale sulla pittura di Raffaello e sull’allestimento della mostra stessa.

I video di queste conferenze possono essere facilmente reperiti proprio sul sito delle Scuderie del Quirinale nella sezione dedicata agli “Incontri prima della mostra”.

In particolare vi segnalo i seguenti filmati:

- "La giovinezza di Raffaello", incontro con Silvia Ginzburg

- "Raffaello a Firenze al tempo della Repubblica di Pier Soderini", incontro con Antonio Natali

- "Il Principe delle Arti nella Roma dei Papi", incontro con Alessandro Zuccari


Visione di Ezechiele

Sogno del cavaliere (Ercole al bivio)


Vorrei infine ricordarvi, oltre al bellissimo catalogo edito da Skira, anche un altro libro, della stessa casa editrice, di cui vi avevo parlato qualche mese fa intitolato “Raffaello. Il giovane favoloso” di Costantino D’Orazio di cui trovate qui la recensione.


San Giovanni Battista


Qui invece il link del sito delle Scuderie del Quirinale dove trovare tutte le informazioni necessarie per poter organizzare al meglio la visita. Vi ricordo che la mostra chiuderà il giorno 30 agosto (ultimo ingresso ore 22.30).