lunedì 9 settembre 2019

“L’onore perduto di Isabella de’ Medici” di Elisabetta Mori

L’ONORE PERDUTO
DI ISABELLA DE’ MEDICI
di Elisabetta Mori
GARZANTI
Isabella de’ Medici (1542 – 1576) era la più bella delle figlie di Cosimo de’ Medici, primo granduca di Toscana, e di Eleonora di Toledo.

Isabella era una donna molto colta, intelligente e capace di conquistare il cuore di tutti e per questo alla morte della madre Eleonora, fu lei a sostituirla negli affari di corte con il sostegno di Cosimo che riponeva nella figlia massima fiducia. 

Isabella parlava correttamente diverse lingue, amava la poesia e la musica, era lei il vero astro di casa Medici.

Nel 1556 sposò all’età di quattordici anni il quindicenne Paolo Giordano Orsini (matrimonium o sponsalia); secondo le antiche consuetudini, ossia quelle che vigevano prima del concilio di Trento, la cerimonia solenne (solemnitas nuptiarum) venne poi celebrata più tardi nel 1558.
Per tradizione la sposa poteva lasciare la casa del padre solo dopo la celebrazione di questa seconda cerimonia.
In realtà Isabella non lascerà mai veramente Firenze a causa dei tanti impegni politici oltre che a causa delle pressanti esigenze della corte medicea, senza contare inoltre i problemi di salute e i tanti contrattempi che si susseguirono nel corso degli anni.

Paolo Giordano, principe di Bracciano, apparteneva alla grande casata degli Orsini, la stessa famiglia che diede i natali a Clarice Orsini, moglie di Lorenzo il Magnifico.

Gli Orsini erano una delle più importanti famiglia della nobiltà romana, una famiglia che per generazioni aveva partecipato attivamente all’elezione di papi e contratto importanti matrimoni.

Isabella de’ Medici morì all’età di trentaquattro anni e sulla causa della morte circolarono fin da subito moltissime voci sul suo probabile omicidio.
Il presunto assassino di Isabella altro non sarebbe stato che proprio suo marito, Paolo Giordano Orsini.

Isabella de’ Medici veniva dipinta dai alcuni suoi contemporanei come una donna istruita e colta, ma anche piuttosto disinibita e libera, per cui il marito, stanco ed esasperato dai suoi continui tradimenti, avrebbe deciso di ucciderla.

Esiste in realtà anche un’altra tesi, sostenuta pure da di G. F. Young nel suo libro “I Medici”, dove Isabella era descritta come una donna molto innamorata del marito il quale invece aveva perso la testa per un’altra donna, Vittoria Accoramboni.
Paolo Giordano, istigato dalla bella e ambiziosa amante, avrebbe ucciso Isabella e subito dopo Francesco Peretti, il marito di Vittoria, ultimo intralcio al suo matrimonio con lei.

Elisabetta Mori attraverso accurate ricerche d’archivio e basandosi anche su ampie testimonianze epistolari, a cominciare proprio dalle lettere tra Isabella e Paolo Giordano, smentisce categoricamente che Isabella de’ Medici potesse essere stata assassinata.

Secondo Elisabetta Mori il rapporto tra i coniugi fu un rapporto solido dovuto anche al fatto, quasi eccezionale per l’epoca, che il loro fu un matrimonio d’amore sebbene, come tanti altri, fosse stato combinato per la ragion di stato.

Isabella de’ Medici era affetta da una pesante forma di idropisia e l’aggravamento della malattia ne avrebbe causato la morte come si può evincere, secondo la Mori, anche dalle testimonianze dei contemporanei sulle condizioni del suo cadavere.

Elisabetta Mori quindi, escludendo categoricamente la morte violenta, esclude  ogni possibilità di poter individuare in Paolo Giordano un potenziale assassino o, come altre voci suggerivano, l’esecutore di un omicidio commissionato niente di meno che dal fratello stesso di Isabella, Francesco I de’ Medici.

“L’onore perduto di Isabella de’ Medici” è un testo ben documentato e pur non potendolo definire un testo di facilissima lettura, risulta nell’insieme piuttosto scorrevole per quanto possa esserlo un saggio in cui vengono riportati stralci di documenti cinquecenteschi e nel quale siano presenti numerose e dettagliate digressioni sul contesto storico in cui si muovevano i protagonisti.

Dipingendo l’Italia del Cinquecento con i suoi costumi, con la sua cultura e le sue trame politiche, Elisabetta Mori ci racconta come Isabella fosse stata fin da giovanissima intrappolata in una fitta rete fatta di calcoli politici ed accordi  diplomatici.

La Mori nega che da parte di Isabella ci potesse essere stata infedeltà nei confronti del marito e nega qualunque possibile coinvolgimento sentimentale della donna con Troilo Orsini, ma la maggior parte dell’impianto di difesa dell’archivista storica si basa in realtà sulle lettere che Isabella e Paolo Giordano si scambiarono nel corso degli anni.

Se è vero che nulla in questo epistolario potrebbe far pensare a sentimenti non corrisposti, a malanimo, avversione o qualche tipo di ostilità tra i due coniugi, è altrettanto vero che spesso all’epoca le lettere venivano scritte essendo ben consapevoli che non sarebbero rimaste private a lungo e che, con ogni probabilità, sarebbero state lette da terze persone autorizzate o meno a farlo dai diretti interessati.

“L’onore perduto di Isabella de’ Medici” nasce con l’intento di riabilitare la dignità di una donna calunniata da storici e letterati esclusivamente per esigenze politiche e strategiche; la Mori infatti sostiene l’ipotesi che tutto fosse frutto di un grande complotto nato per screditare la figura di Isabella.

Il libro di Elisabetta Mori è un testo puntuale e ampiamente documentato che aiuta a fare chiarezza su una delle più sanguinose leggende nere del nostro rinascimento e pertanto non posso che segnalarlo come una lettura indispensabile per chi volesse approfondire l’argomento, seppur io rimanga non del tutto convinta delle totale validità delle prove addotte dalla Mori a sostegno dell’innocenza di Paolo Giordano.





domenica 8 settembre 2019

“Lena e la tempesta” di Alessia Gazzola

LENA E LA TEMPESTA
di Alessia Gazzola
GARZANTI
Dopo quindici anni di assenza Lena Santoruvo ha deciso di ritornare nell’isola di Levura, una piccola isola della Sicilia, dove si trova la casa che suo padre, prima di risposarsi, aveva deciso di regalarle.

Proprio in quella casa Lena aveva trascorso tutte le sue estati fino al suo quindicesimo anno d'età in compagnia dei genitori e dei loro tanti amici.
Il padre all’epoca era uno scrittore famoso ed amava contornarsi di intellettuali con i suoi stessi gusti in materia di libri e di politica economica.

Poi il fatidico 14 agosto di quindici anni prima era accaduto qualcosa di irreparabile, qualcosa che aveva sconvolto la vita di Lena per sempre.

Lena ora ha trent’anni, non ha voluto seguire le orme paterne e fa l’illustratrice; dopo una partenza entusiasmante però la sua carriera ha subito una battuta d’arresto e lei oggi deve capire come ritrovare l’ispirazione e soprattutto come riprendere in mano la sua vita, una vita gravata da un terribile segreto che lei non vuole condividere con nessuno e che pesa come un macigno.

Lena sa che ritornare a Levura significa dover affrontare i fantasmi del passato, ma sa anche che questo è l’unico modo per riuscire a far fronte alla sua disastrosa situazione finanziaria senza dover chiedere un aiuto economico ai genitori.

Per rimettere in carreggiata le proprie finanze ha deciso che la cosa migliore sia cercare di affittare la villa per l’estate, mentre lei andrà a vivere nella dependance cercando nel frattempo di provare a migliorare il suo stile, ritrovare l’ispirazione e sviluppare il suo senso critico.

Sull’isola incontrerà molte persone del passato che riporteranno a galla tutto quello che per anni aveva cercato inutilmente di dimenticare, ma a Levura Lena farà anche un piacevole incontro che potrebbe cambiare per sempre la sua vita.

Tommaso è giovane e carino, si è trasferito sull’isola da poco e vive nel faro, fa il medico di guardia ed anche lui, come Lena, nasconde un segreto.

I segreti, spesso, non sono che un estremo tentativo di tutelare noi stessi.

Riusciranno Lena e Tommaso ad abbattere le loro barriere e guardare insieme al futuro?

Alessia Gazzola è celebre per i suoi romanzi della serie “L’allieva” da cui è stata tratta una serie tv con Alessandra Mastronardi e Lino Guanciale.
Ho letto solo due libri della serie (“Le ossa della principessa” e “Un po’ di follia in primavera”) la cui protagonista è una simpatica specializzanda in medicina legale dalla vita sentimentale molto complicata che combina un guaio dietro l’altro.
Le storie sono molto divertenti caratterizzate da personaggi spiritosi e da siparietti simpatici che vedono la protagonista Alice Allevi, una nostrana Bridget Jones, coinvolta nelle situazioni più assurde ed originali.

Da qui la voglia di leggere “Lena e la tempesta” e fare la conoscenza con questa nuova protagonista nata dalla penna di Alessia Gazzola.

Diciamo subito che Lena Santoruvo non ha nulla della spensieratezza di Alice Allevi; Lena è una ragazza profondamente segnata dal suo passato e da rapporti familiari quanto mai fuori dal comune che lei stessa non esita a definire  "disgregati”.

Lena Santovuro è una ragazza insicura, ipercritica verso se stessa tanto da colpevolizzarsi per quanto è accaduto pur essendo lei la vittima.
Ha difficoltà a fidarsi del prossimo, ha rapporti disastrosi con l’altro sesso eppure vorrebbe riuscire a superare le sue paure, i suoi dubbi e soprattutto vorrebbe imparare a lasciarsi andare.

Lena però è più forte di quanto lei non creda, deve solo capirlo e per farlo deve affrontare il suo passato perché per certe cose bisogna toccare il fondo, attraversare la tempesta per tornare a vivere.

Lena, a dispetto della sua scarsa autostima, è comunque una combattente e, nonostante le sue esitazioni e la sua timidezza, non si dà mai per vinta provando ogni giorno a superare il passato spinta dalla voglia di essere una ragazza normale, una delle tante.  

Alessia Gazzola nei ringraziamenti alla fine del suo libro cita Rupi Kaur come una delle principali fonti di ispirazione per delineare il carattere della sua protagonista.

E’ vero, molto si ritrova delle opere della poetessa canadese di origini indiane nella figura di Lena, ma Alessia Gazzola impiega una delicatezza e una dolcezza tutte sue nel raccontare i fatti, anche quelli più orrendi e difficili, riuscendo sempre a stemperare la tensione.

“Lena e la tempesta” è un libro dalla trama emozionante e misteriosa, un romanzo che si legge tutto d’un fiato nel quale non mancano colpi di scena e la cui protagonista entra subito nel cuore del lettore conquistandolo fin dalla prima pagina.

Decisamente diverso rispetto ai libri della serie de “L’allieva”, “Lena e la tempesta” è un romanzo introspettivo e coraggioso raccontato con tutto il garbo e la delicatezza di una brava scrittrice come Alessia Gazzola.










lunedì 2 settembre 2019

“Shonin-ki” di Natori Masazumi (a cura di Marina Panatero e Tea Pecunia)

Shonin-ki
di Natori Masazumi
FELTRINELLI
Lo Shonin-ki è uno dei quattro hi densho, ossia uno dei quattro documenti di trasmissione segreti scritti dai ninja, che compongono l’insieme delle conoscenze di tutte le scuole ninjutsu.

Lo Shonin-ki fu scritto nel 1681 da Natori Masazumi, un maestro samurai divenuto poi un maestro ninja che guidò uno dei più importanti clan shinobi.

Il volume si apre con un’interessante ed esaustiva introduzione di Marina Panatero e Tea Pecunia, curatrici di questa edizione edita da Feltrinelli, in cui ci viene raccontato chi fossero veramente i ninja, quali insegnamenti gli venissero impartiti e come questi venissero poi tramandati.
  
Per prima cosa dobbiamo subito sgomberare il campo dall’immagine stereotipata e fumettistica del ninja vestito di nero, del supereroe dotato di poteri soprannaturali.
Se poi siete curiosi di sapere come si è giunti a questa immagine distorta dei ninja, nel libro troverete ogni approfondita spiegazione in merito.

Il ninjutzu non è una disciplina, ma piuttosto una scienza, una scienza di combattimento e di sopravvivenza; lo si può definire però anche un’arte, l’arte di agire in segreto.

Il ninja non è dotato di nessun superpotere; prerogative del ninja sono la resistenza psicologica e fisica, la vigilanza, l’autodisciplina, la capacità di trovare una via di uscita in qualunque situazione, la sopportazione del dolore e della sofferenza, il saper lasciare andare.

Il saper lasciare andare? Ricorda qualcosa? Ebbene sì, nel ninjutsu ritroviamo il cuore dello zen e delle maggiori arti marziali: la ricerca di uno stato di vacuità superando l’ego.

Il ninja affina le sue percezioni in modo da riuscire a sfruttare quelle risorse che vanno oltre ciò che gli esseri umani percepiscono attraverso i tradizionali cinque sensi.

Il ninja, oltre che delle armi convenzionali, si avvale anche di armi non materiali, non fisiche.
La manipolazione psicologica ad esempio sfrutta le fondamentali debolezze ed i bisogni umani: proprio la guerra psicologica era l’arma più efficace di cui si avvalevano le donne ninja (kunoichi). 

Il libro è suddiviso in quattro parti. Abbiamo la prefazione scritta da Katsuda Kakyusai Yoshin e poi l’opera vera e propria, scritta da Natori Masazumi, ripartita in capitoli di apertura, capitoli mediani e capitoli finali.

Nel testo oltre ad elencare gli equipaggiamenti necessari al ninja, lo si istruisce anche su come comportarsi e come difendersi dal nemico, su quali siano i rituali segreti e le formule magiche di protezione, su come indurre le persone a dire ciò che pensano e a svelare segreti, su come creare confusione per mettersi al riparo, su come leggere gli stati emotivi delle persone e molto altro ancora.

Ma quali sono le differenze tra ninja e samurai, tra ninjutzu e bushido?

Per iniziare possiamo dire che, mentre per il samurai l’obiettivo è la conservazione dell’onore, per il ninja l’obiettivo è la sopravvivenza, ragion per cui molto difficilmente egli commetterà harakiri.

Lo spirito shinobi è diverso da quello samurai: il ninja è infatti disciplinato a sopportare anche la vergogna e questo comporta una profonda differenza tra le due mentalità.

Inoltre, i samurai sono guerrieri devoti al servizio di un signore, i ninja sono invece al servizio di se stessi e difendono esclusivamente il loro clan di appartenenza, sono quindi dei mercenari.

I ninja si avvalgono di tecniche che prevedono il tradimento e il sotterfugio, quanto di più distante dalla rigida etica dei samurai.
Nonostante l’apparenza, però, i ninja hanno anch’essi una loro integrità personale e professionale perché, seppur sleali verso il nemico, sono leali fino alla morte nei confronti del patriarca del loro clan (il jonin).

I ninja sono organizzati in un sistema gerarchico che rispettano scrupolosamente anche se, in passato, sono stati spesso visti come degli “antisamurai” proprio per questo loro essere individualisti ed anticonformisti.

Mi rendo conto che non è assolutamente facile riuscire a condensare in poche righe la vastità dell’argomento, ma spero di essere riuscita almeno ad incuriosirvi quel tanto che basta da spingervi a voler approfondire il tema.

Perché leggere questo libro?

Primo perché che fa luce su una figura, quella del ninja, di cui tutti noi parliamo, ma della quale in realtà non conosciamo nulla e che, al di là degli stereotipi, è una figura dotata di grande fascino e spessore.

Secondo perché lo Shonin-ki è un manuale di sopravvivenza che educa a perseverare e a resiste nonostante le difficoltà che si incontrano.
Il ninja è astuto, determinato e sa adattarsi a qualunque situazione, sa intuire il pericolo e sa proteggersi, tutto questo può tornare molto utile anche a noi nella vita di tutti i giorni.

Lo Shonin-ki insegna la flessibilità e la resistenza, in una parola insegna la resilienza, una caratteristica che tutti noi dovremmo cercare di fare nostra per riuscire a resistere agli urti di questa nostra vita iperconnessa ed iperattiva e ai ritmi frenetici che il mondo di oggi ci impone.