a me. Le stelle brilleranno uguali, e uguali
t’indurranno le notti a dolce sonno,
il mare t’empirà di sogni. Ti lascio
il mio sorriso amareggiato: fanne scialo,
ma non tradirmi. Il mondo è povero
oggi. S’è tanto insanguinato questo mondo
ed è rimasto povero. Diventa ricco tu
guadagnando l’amore del mondo.
Ti lascio la mia lotta incompiuta
e l’arma con la canna arroventata.
Non l’appendere al muro. Il mondo ne ha bisogno.
Ti lascio il mio cordoglio. Tanta pena
vinta nelle battaglie del mio tempo.
E ricorda. Quest’ordine ti lascio.
Ricordare vuol dire non morire.
Non dire mai che sono stato indegno, che
disperazione m’ha portato avanti e son rimasto
indietro, al di qua della trincea.
Ho gridato, gridato mille e mille volte no,
ma soffiava un gran vento, e pioggia, e grandine:
hanno sepolto la mia voce. Ti lascio
la mia storia vergata con la mano
d’una qualche speranza. A te finirla.
Ti lascio i simulacri degli eroi
con le mani mozzate, ragazzi che non fecero a tempo
ad assumere austera forma d’uomo,
madri vestite di bruno, fanciulle violentate.
Ti lascio la memoria di Belsen e di Auschwitz.
Fa’ presto a farti grande. Nutri bene
il tuo gracile cuore con la carne
della pace del mondo, ragazzo, ragazzo.
Impara che milioni di fratelli innocenti
svanirono d’un tratto nelle nevi gelate
in una tomba comune e spregiata.
Si chiamano nemici: già! i nemici dell’odio.
Ti lascio l’indirizzo della tomba
perché tu vada a leggere l’epigrafe.
Ti lascio accampamenti
d’una città con tanti prigionieri:
dicono sempre sì, ma dentro loro mugghia
l’imprigionato no dell’uomo libero.
Anch’io sono di quelli che dicono, di fuori,
il sì della necessità, ma nutro, dentro, il no.
Così è stato il mio tempo. Gira l’occhio
dolce al nostro crepuscolo amaro.
Il pane è fatto pietra, l’acqua fango,
la verità un uccello che non canta.
È questo che ti lascio. Io conquistai il coraggio
d’essere fiero. Sfòrzati di vivere.
Salta il fosso da solo e fatti libero.
Attendo nuove. È questo che ti lascio.
(Traduzione di Filippo Maria Pontani)
Ho scoperto questa poesia per
caso in una sera d’estate. Negli ultimi mesi Rai1 mandava in onda, subito dopo
il TG, il programma “Techetechetè”, nuova versione del precedente “Da da da”,
nel quale venivano trasmessi spezzoni della TV di ieri e di oggi. Ebbene quella
sera uno dei protagonisti era Vittorio Gassman e tra i vari spezzoni che lo
riguardavano uno in particolare mi ha colpita: la lettura di “Testamento” di
Athanasulis. Un momento davvero intenso ed emozionante sia per la bravura di
Vittorio Gassman sia per l’intensità del testo.
Ho fatto allora qualche ricerca
su questo poeta purtroppo con scarsi risultati. Mi spiace soprattutto non aver
trovato il video in cui Gassman recita la poesia, mi farebbe davvero piacere
poterlo rivedere.
Kritos Athanasulis (Tripoli,
Arcadia 1917 – Atene 1979) è un poeta greco molto attento alle problematiche
sociali e civili. Visse momenti difficili durante l’occupazione della Grecia da
parte dei nazisti (1941 – 1944), periodo durante il quale si sviluppò una
letteratura clandestina molto impegnata, e successivamente durante la dittatura
che, dopo il 1967, costrinse al silenzio o all’esilio molti intellettuali suoi
contemporanei.
In “Testamento”, pubblicato per
la prima volta in Italia nella raccolta “Due uomini dentro di me” (1957), Athanasulis
medita sulle dolorose esperienze vissute, sull’amarezza e sulla disperazione
che il ricordo degli orrori della guerra portano inevitabilmente con sé, ma parla
anche di speranza e di libertà, di quella libertà che è un valore assoluto e
prioritario nella vita di ogni essere umano.