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domenica 23 novembre 2025

“La libreria del venerdì” di Sawako Natori

All’interno della stazione ferroviaria di Nohara, un tranquillo sobborgo a nord di Tōkyō, si trova una libreria avvolta da un’aura di mistero. Secondo le voci che circolano in rete, chiunque vi entri riesce a scoprire proprio il libro di cui ha bisogno in quel preciso momento.

Fumiya, uno studente refrattario alla lettura, è alla disperata ricerca di un volume per il padre malato. Spinto dall’urgenza e dalla speranza, decide di varcare la soglia di questa insolita libreria.

La libreria del venerdì si  rivela un luogo magico: oltre agli scaffali colmi di volumi, ospita un piccolo spazio caffè dove vengono preparati piatti ispirati ai libri stessi e un magazzino sotterraneo immenso ricavato da un vecchio binario dismesso. A guidare questo mondo incantato ci sono tre figure: Makino, la direttrice, Yasu, il proprietario, e Sugawa, che si occupa dell’angolo ristoro.

Grazie a loro, Fumiya riscoprirà il piacere della lettura e  accetterà addirittura un lavoro part-time nella libreria, trasformando così quel rifiuto per i libri in una nuova passione.

Il romanzo di Sawako Natori si distingue per la sua originalità: i libri e i personaggi delle storie non restano soltanto sullo sfondo della vita dei protagonisti, ma si intrecciano con le loro esistenze e con quella di tutte le figure che popolano le pagine del romanzo. La letteratura, giapponese e non solo, diventa così il filo conduttore che dà voce e respiro alle vicende umane narrate fatte di emozioni. I sogni, le speranze, le paure, le illusioni e le fragilità dei protagonisti rispecchiano quelle dei clienti della libreria. Quegli stessi sentimenti vengono messi a nudo, indagati e trasformati grazie alla lettura e al suo potere curativo.

Diverse sono le tematiche affrontate in questo libro. Una, in particolare, riguarda l’incapacità di confrontarsi con le emozioni autentiche, abituati ormai a gestirle attraverso i social senza averne un’esperienza diretta. Un altro tema centrale è il rapporto tra genitori e figli: da un lato le aspettative dei primi, dall’altro il conflitto dei secondi, divisi tra il desiderio di affermare la propria personalità, realizzare i propri sogni e la paura di deludere chi li ha cresciuti. L’insicurezza emerge in ogni sua forma: dal timore di non essere abbastanza intelligenti o attraenti per suscitare interesse, fino alla sensazione di non meritare l’amore o l’amicizia di qualcuno.

Ho trovato il libro non sempre di facile lettura: in alcuni passaggi si avverte una certa fatica, soprattutto quando i romanzi citati non sono conosciuti dal lettore. Le soluzioni narrative proposte, talvolta, strappano un sorriso e appaiono volutamente sopra le righe, sfiorando il comico e persino l’assurdo. Tuttavia, è forse proprio questa sua eccentricità che contribuisce a renderlo un romanzo moderno, capace di riflettere con ironia e leggerezza sulle contraddizioni della nostra epoca.

Al di là delle sue particolarità narrative, l’opera conserva un senso profondo: invita a interrogarsi sul ruolo della letteratura nella vita quotidiana e sul potere che le storie hanno di trasformare, consolare e persino destabilizzare chi le legge.



 


martedì 11 novembre 2025

“L’apprendista” di Bruno Di Marco

Martino da Fano giunge a Urbino animato da un ardente desiderio: diventare pittore. Viene accolto nella bottega di Giovanni Santi, padre del piccolo Raffaellino, un bambino dal talento straordinario, destinato a un futuro luminoso nel mondo dell’arte.

Ma il destino di Martino prende una piega inaspettata. Poco dopo la morte di Giovanni Santi, viene strappato alla quiete della bottega e condotto a Palazzo Ducale. Qui, i pennelli e i colori lasciano il posto alle armi, all’inganno, allo spionaggio e all’arte del trasformismo. I migliori maestri lo istruiscono in ogni disciplina, affinando le sue abilità fino a trasformarlo nello Scorpio Major: una spia letale e silenziosa, capace di muoversi con astuzia in un mondo violento, intricato e pieno di insidie.

Il ritmo del romanzo nelle prime ottanta pagine è piuttosto lento e costellato di interrogativi. Il lettore si trova spiazzato, ma anche irresistibilmente attratto: l’apparente vaghezza degli eventi stimola la curiosità e invita a proseguire, nella speranza di scoprire dove la narrazione voglia condurre. Poi, all’improvviso, la trama si schiarisce: gli eventi si delineano con chiarezza e il racconto accelera, trasformandosi in una sequenza incalzante di colpi di scena e svolte impreviste che mantengono alta la tensione e catturano l’attenzione fino all’ultima pagina.

La narrazione si intreccia con la storia in modo puntuale. Sebbene nelle prime pagine il lettore, che abbia poca famigliarità con il Rinascimento, possa incontrare qualche difficoltà nel collocare gli eventi con precisione nel contesto storico, man mano che il racconto si sviluppa tutto diventa più chiaro e accessibile.

L’apprendista è un thriller storico in cui la fantasia regna sovrana. Per apprezzarlo appieno è necessario compiere un atto di fede e lasciarsi trasportare dall’immaginazione. Non è un romanzo per chi cerchi una ricostruzione storica rigorosamente fedele ai fatti: il personaggio di Raffaello è frutto di pura invenzione e si ispira alla ricca tradizione letteraria del travestimento.

Il Rinascimento, con la sua duplice anima, epoca di splendore artistico ma anche di guerre, intrighi e tradimenti, si rivela il palcoscenico ideale per una storia dai toni oscuri e avvincenti come quella narrata da Bruno Di Marco.

L’autore dimostra una profonda conoscenza dell’epoca. Nella trama si integrano perfettamente le figure storiche, come quella di Cesare Borgia e di Leonardo da Vinci, ed eventi reali, come la strage di Senigallia e le lotte tra le famiglie baronali romane. A questi elementi si aggiungono dettagli più sottili e suggestivi, come le superstizioni e la diffusa fiducia negli oroscopi, che contribuiscono a rendere l’ambientazione ancora più viva e credibile.

Il romanzo si chiude con un finale aperto, una conclusione sospesa e carica di tensione che lascia nel lettore il sottile presentimento di un possibile ritorno sulla scena dei protagonisti.




domenica 2 novembre 2025

“Richelieu. La storia dell’uomo che governò la Francia” di Natascia Luchetti

Nel secondo capitolo della dilogia dedicata al cardinale Richelieu, Natascia Luchetti riporta in scena una figura storica tanto controversa quanto affascinante. Attraverso una narrazione avvincente e una rilettura attenta, l’autrice si confronta con il revisionismo storico più recente, che restituisce al personaggio nuove sfumature, meno cupe e più complesse rispetto alla tradizionale immagine negativa.

Richelieu è ormai salito al potere: è l’uomo più influente di Francia, primo ministro e confidente del re che si rivolge a lui con l’appellativo di “cugino”. Al suo fianco ritroviamo personaggi già incontrati nel primo volume, in particolare due figure centrali: madame de Winter, amica, amante, confidente, l’altra metà della sua anima, e Jonás, il conte di Rochefort, la sua guardia del corpo, il comandante delle sue guardie nonché il suo amico fraterno. Intorno a loro si muove una moltitudine di altri personaggi, ciascuno con un ruolo preciso nell’intricata rete di potere, passioni e intrighi che l’autrice tesse con estrema maestria.

Basato su solidi elementi storici e frutto di un’accurata ricerca d’archivio, questo secondo volume si sviluppa con un ritmo serrato, ricco di colpi di scena e svolte imprevedibili. Nulla è mai come appare, e il tradimento si annida proprio dove meno lo si aspetterebbe. La narrazione non perde mai il filo, mantenendo viva l’attenzione del lettore fino all’ultima pagina.

Rispetto al primo volume, qui l’introspezione psicologica lascia più spazio all’intreccio narrativo, divenuto ancora più complesso e articolato. I protagonisti sono ormai noti al lettore, e l’autrice dimostra grande abilità nel costruire una trama avvincente senza mai cadere in errore, riuscendo a tenere alta la tensione per oltre novecento pagine. Un’impresa non da poco.

Vorrei soffermarmi sul personaggio di Louis XIII, che in queste pagine acquista una nuova regalità. Grazie alla guida di Richelieu, suo mentore, consigliere e, in fondo, padre spirituale, il re cresce, si forma, impara. Richelieu lavora per la Francia, e Louis è la Francia: questo il cardinale non lo dimentica mai, anche quando il sovrano non è all’altezza delle circostanze. Il loro rapporto, fatto di alti e bassi, è uno degli aspetti più riusciti del romanzo, e ne ho apprezzato profondamente l’evoluzione.

Il cammino dei grandi è sempre segnato da lotte e rinunce. Rinunce che Richelieu e il re sanno accettare, ciascuno a modo suo. Non altrettanto si può dire del fratello del re, Gaston d’Orléans, e ancor meno della madre, Maria de’ Medici, incapace di cedere il potere a un figlio ormai affrancato dalla sua influenza.

Questo secondo volume conferma pienamente le ottime impressioni lasciate dal primo. Non è facile mantenere le aspettative quando il debutto è stato tanto amato, eppure l’autrice riesce nell’impresa, dimostrandosi una narratrice di grande talento, capace di evocare atmosfere da grande romanzo ottocentesco. Un’autrice che, per stile e respiro narrativo, ricorda i grandi del passato: una sorta di Dumas contemporanea.

Ribadisco la mia convinzione: questa storia meriterebbe una trasposizione cinematografica o una serie TV. Sarebbe un piacere vederla prendere vita sullo schermo. Nell’attesa, non posso che consigliarvi caldamente la lettura di questi due splendidi romanzi: opere rare, ben scritte, costruite con intelligenza e passione, in cui l’amore per il protagonista traspare in ogni pagina.

 


domenica 19 ottobre 2025

“La congiura delle vipere” di Matteo Strukul

Il racconto prende vita in una Venezia dei primi del Seicento, avvolta da un’atmosfera cupa e misteriosa, dove fragranze seducenti si mescolano a veleni letali e gli intrighi scorrono silenziosi come le acque della laguna.

La Serenissima vacilla sotto il peso delle minacce: i mari sono infestati dagli Uscocchi, feroci corsari al soldo dell’Arciduca d’Austria, che assaltano le sue galee con brutale determinazione. Ma il pericolo più insidioso si annida tra le calli, dove forze oscure tramano nell’ombra per minarne le fondamenta.

Due figure emblematiche emergono al centro della vicenda: El Caigo, lo Spettro di Venezia, giustiziere mascherato che protegge i deboli e difende la città, e l’Invelenada, donna dal passato tormentato, consumata dal desiderio di vendetta, decisa a colpire il cuore stesso della Repubblica.
Le loro strade si incroceranno nel cuore di una congiura che minaccia di stravolgere il destino di Venezia. Ma i loro cammini si muoveranno su fronti opposti, in un gioco di specchi e inganni dove ogni maschera cela più di un volto e la realtà si piega alle regole delle ombre.

Matteo Strukul torna con un romanzo capace, come sempre, di tenere il lettore incollato dalla prima all’ultima pagina. La trama è costruita con maestria, ricca di colpi di scena e suggestioni, in perfetto equilibrio tra affabulazione storica e tensione narrativa. La sua inconfondibile abilità nel descrivere battaglie e duelli è intatta: ogni scontro è vivido, palpitante, tanto da sembrare vissuto in prima persona, col fiato sospeso.

Rispetto alle opere precedenti, questo libro colpisce per l’attenzione ancora più marcata ai dettagli sensoriali. Non solo i personaggi, ma anche gli ambienti prendono vita con forza evocativa: odori, colori e atmosfere sono restituiti con precisione quasi tattile, soprattutto nelle scene che coinvolgono Rea, la giovane fuggita dalle grinfie dell’Invelenada grazie all’intervento di El Caigo.

Una novità interessante è la scelta di Strukul di delegare in misura maggiore ai suoi personaggi il compito di raccontare Venezia, le sue istituzioni, i suoi meccanismi interni. Se da un lato ciò rende alcuni dialoghi leggermente costruiti, dall’altro evita lunghe digressioni esplicative, mantenendo il ritmo serrato e la narrazione dinamica.

Come l’autore stesso sottolinea nelle note finali, il romanzo, pur fondato su una rigorosa ricerca storica, si concede maggiore libertà creativa rispetto al passato. Molti personaggi sono frutto della fantasia e la narrazione strizza l’occhio ai grandi romanzi d’appendice, intrecciando elementi picareschi con suggestioni gotiche che Strukul maneggia con naturalezza e talento.

Una delle qualità più sorprendenti dell’opera è la capacità di generare empatia anche verso i personaggi negativi. Pur tifando per il trionfo del bene, il lettore fatica a desiderare la loro scomparsa. Al contrario, spera in un ritorno, in un ultimo guizzo, forse perfino in una redenzione. I “cattivi” di questo romanzo sprigionano un fascino particolare, più complesso e sfaccettato rispetto ad altri lavori dell’autore.

Il finale, volutamente aperto, lascia in sospeso molte domande. Si chiude il libro con il forte desiderio di un seguito, con la speranza che quei personaggi ancora avvolti nel mistero possano tornare per svelare ciò che non è stato detto e che anche le vicende rimaste irrisolte possano finalmente trovare il loro lieto fine.



lunedì 8 settembre 2025

“La disfida mancata” di Luca Tempini

Un romanzo che riesce a raccontare il Rinascimento con autenticità e profondità, senza cadere nell’eccesso o nell’idealizzazione. Scoperto quasi per caso tra gli stand affollati del Salone del Libro di Torino, questo volume di quasi seicento pagine si è rivelato una lettura sorprendentemente ricca, capace di tenere alta l’attenzione e di lasciare il segno.

La storia si apre nel 1478, con la congiura dei Pazzi, e si chiude nel 1519, con la morte di Leonardo da Vinci. In mezzo, oltre quarant’anni di eventi che hanno segnato l’Europa: guerre, rivoluzioni, tensioni religiose, ma anche un’esplosione di arte, pensiero e bellezza. Il Rinascimento non è solo lo sfondo: è parte viva del racconto, presente in ogni scena, in ogni dialogo, in ogni scelta dei personaggi.

Francesco Acciaiuoli, protagonista della vicenda, è un personaggio di finzione, ma costruito con tale cura da sembrare reale. Colto, raffinato, ironico, abile diplomatico e uomo d’azione, si muove con intelligenza tra le trame della corte di Lorenzo de’ Medici, crocevia di potere, cultura e ambizione. La sua figura dà coerenza alla narrazione, e quando scompare, il lettore ne avverte la mancanza, come quella di un amico che ha lasciato la scena troppo presto.

Il titolo “La disfida mancata” richiama la vicenda legata ai due affreschi, commissionati dal gonfaloniere Pier Soderini, mai realizzati nella Sala del Gran Consiglio di Palazzo Vecchio: la Battaglia di Anghiari di Leonardo e la Battaglia di Cascina di Michelangelo. Due opere incompiute, due visioni opposte, due maestri assoluti. In quelle assenze si riflette la tensione di un’epoca che aspirava all’eternità, ma viveva costantemente in bilico tra genio e fallimento.

La trama intreccia con equilibrio storia e finzione, misteri e passioni. Qualche imprecisione storica è presente; l’autore si concede qualche libertà narrativa, ma lo fa con misura, rendendo così la lettura più fluida e coinvolgente, senza mai tradire lo spirito del tempo.

Particolarmente riusciti i personaggi femminili: intensi, sfaccettati, lontani da stereotipi. Le loro voci sono autentiche, capaci di influenzare la trama e di lasciare un’impressione duratura. Ricordano la grazia silenziosa dei volti di Raffaello, ma da quella bellezza emerge una personalità che va oltre ciò che si vede. Come l’Urbinate, Luca Tempini ne indaga l’anima.

Questo romanzo non si limita a descrivere il Rinascimento: lo attraversa, lo esplora, lo restituisce con uno sguardo partecipe. E quando si arriva all’ultima pagina, si ha davvero la sensazione di aver vissuto in un’altra epoca, con le sue luci e le sue ombre, con la sua grandezza e le sue fragilità.



lunedì 1 settembre 2025

“La torcia” di Marion Zimmer Bradley

Marion Zimmer Bradley è stata una delle autrici che hanno segnato la mia giovinezza.
Ho letto ogni sua opera con passione, pagina dopo pagina, ad eccezione di una: La torcia. Quel vuoto era come un piccolo tarlo nella mia libreria, un tassello mancante che, anno dopo anno, continuava a farsi notare.

Poi, quest’anno, tra i corridoi affollati e luminosi del Salone del Libro, è arrivato finalmente il momento tanto atteso. Ho stretto La torcia tra le mani con un senso di compimento, come se un filo interrotto si fosse finalmente ricongiunto.

Il romanzo racconta la storia di Cassandra, la sacerdotessa di Apollo condannata a vedere il futuro senza mai essere creduta, ma non si limita agli eventi della guerra di Troia, quelli resi celebri dall’Iliade. La torcia segue l’intera parabola della vita di Cassandra, dall’infanzia, quando viene reclamata dal dio, fino agli eventi successivi alla caduta della città.

Marion Zimmer Bradley sceglie la via del romanzo storico, discostandosi dalla versione omerica che ci è più familiare. Eppure, se consideriamo che l’Iliade stessa è il frutto di voci intrecciate nei secoli, allora questa riscrittura risulta sorprendentemente plausibile.

La Cassandra di Marion Zimmer Bradley è una donna moderna intrappolata nell’antichità. Le sue domande sugli dei, sul senso del divino, sul libero arbitrio e sulla possibilità di scegliere il proprio destino, sono domande che restano attuali, ancora radicate nel nostro presente.

Ampio spazio è dedicato al rapporto con l’altro sesso. Marion Zimmer Bradley non giudica: si limita a evidenziare come ogni condotta dovrebbe nascere da una scelta consapevole, non da imposizioni maschili o divine che siano. Ecuba, Elena, Andromaca, Pentesilea e, naturalmente, Cassandra: ognuna di loro rappresenta un modo diverso di essere donna, un diverso volto del femminile.

Un ruolo centrale nel romanzo è occupato anche dal culto della Dea Madre. Il mondo in cui Cassandra cresce è in trasformazione: un sistema patriarcale sempre più dominante va gradualmente soppiantando l’antico ordine matriarcale. La dea viene dimenticata, oscurata, marginalizzata. È un passaggio simbolico potente, che accompagna l’evoluzione (o l’involuzione) della società narrata.

Una nota personale va ad Achille. Dopo aver letto l’Iliade nell’edizione La Lepre, avevo imparato ad apprezzare questo personaggio, arrivando quasi a preferirlo ad Ettore. Nella visione di Marion Zimmer Bradley, Achille è un guerriero folle, accecato dall’ira. Un ritratto duro, con cui non riesco del tutto a concordare, ma che resta coerente con l’equilibrio narrativo del romanzo.

Sono felice di aver colmato questa lacuna nella mia libreria. Forse la vera magia dei libri è tutta qui: non ci trasformano soltanto quando li leggiamo, ma restano in silenzio ad aspettarci, finché non siamo pronti ad incontrarli.





giovedì 10 luglio 2025

“Una lunga caccia” di Louisa May Alcott

Rosamond è una diciottenne vivace e assetata di conoscenza, costretta a vivere in isolamento nella tetra dimora del nonno, un uomo freddo e avido che le ha sempre negato ogni forma di libertà e affetto. Rifugiandosi nei libri, di cui è un’instancabile lettrice, Rosamond sogna un’esistenza diversa, fatta di avventure, passioni e orizzonti sconfinati.

I suoi desideri sembrano avverarsi quando nella sua vita irrompe l’affascinante e misterioso Philip Tempest che inizia a corteggiarla con premura e intensità. Sedotta dal suo carisma e dalla promessa di una nuova vita, Rosamond cede al sentimento. A Nizza, dove la coppia si trasferisce, tutto sembra sfiorare la perfezione: un’esistenza immersa nel lusso, tra svaghi mondani e una libertà mai sperimentata prima.

Ma l’incanto si spezza quando il passato oscuro di Philip riemerge, portando con sé ombre inquietanti e verità taciute. L’uomo che Rosamond ama si rivela per ciò che è davvero: crudele, manipolatore, pericoloso. Il sogno si trasforma in un incubo da cui l’unica via d’uscita è la fuga, ma non sarà semplice. L’ossessione di Philip Tempest non conosce limiti. L'uomo darà inizio a una caccia spietata e Rosamond dovrà lottare con ogni forza per riconquistare la propria libertà.

Louisa May Alcott è universalmente conosciuta per i suoi romanzi di formazione, primo fra tutti l’intramontabile Piccole donne. Tuttavia, pochi sanno che nel corso della sua breve vita (1832–1888), l’autrice scrisse anche numerosi racconti e romanzi gotici, con l’intento di esplorare la complessità della psiche umana. Da fervente sostenitrice dei diritti civili e della giustizia sociale, Louisa May Alcott utilizzò spesso la narrativa come strumento per denunciare le ingiustizie e le ipocrisie della società del suo tempo.

Una lunga caccia venne scritto nel 1866, ma l’editore a cui l’autrice lo sottopose lo giudicò troppo audace per l’epoca e il romanzo rimase inedito per decenni. Solo molti anni dopo la sua morte, nel corso del Novecento, l’opera vide finalmente la luce, rivelando un lato meno noto ma affascinante della sua produzione letteraria.

Ciò che colpisce maggiormente di questo romanzo è la sua sorprendente attualità. Al di là della trama avvincente e dei colpi di scena tipici del romanzo di fine Ottocento, ciò che lascia davvero il segno è la figura di Philip Tempest e la sua ossessione per la protagonista. Un’ossessione che, pur nata in un contesto storico lontano, risuona ancora oggi tragicamente familiare.

Il comportamento di Tempest, il suo desiderio di controllo, la convinzione che l’amore giustifichi il possesso, l’incapacità di accettare la libertà dell’altro, riflettono dinamiche tossiche che ancora oggi affiorano nelle cronache di violenza domestica e femminicidio. La sua idea distorta di amore, che riduce l’altro a un mero oggetto da possedere, è purtroppo ancora presente in molte relazioni contemporanee.

Con straordinaria lucidità e coraggio l’autrice mette in scena non solo il dramma personale della protagonista Rosamond, ma una critica profonda a una cultura patriarcale che confonde l’amore con il dominio.

La protagonista, nel suo disperato tentativo di sfuggire a una relazione tossica, diventa un simbolo di resistenza silenziosa, ma incredibilmente potente. La sua fuga non è solo un gesto di sopravvivenza, ma anche una dichiarazione di autonomia, un rifiuto deciso che l’amore non può giustificare il controllo o la cancellazione dell’identità personale. In un’epoca in cui le donne avevano pochi strumenti per affermare la propria libertà, la sua determinazione a non cedere, a non piegarsi, assume un valore quasi rivoluzionario. La protagonista di Una lunga caccia incarna il coraggio di chi sceglie di rompere il silenzio, di chi osa dire “no” anche quando tutto intorno spinge a restare e a sottomettersi. La storia mette in luce, però, anche l’importanza di trovare sul proprio cammino persone amiche disposte ad aiutare chi si trova in tali difficoltà.

Una lunga caccia è un romanzo di straordinaria intensità emotiva e potenza narrativa. Ciò che rende però questa edizione ancora più speciale è la cura editoriale con cui è stata realizzata: il volume è arricchito da splendide illustrazioni che non si limitano ad accompagnare il testo, ma ne amplificano l’atmosfera, evocando con forza i toni gotici e le tensioni interiori della storia.





 

martedì 1 luglio 2025

“Ambrushur” di Max Peronti

Dopo la caduta del tiranno Zorks, i regni degli uomini sprofondano nel caos: antiche tensioni riaffiorano, nuove alleanze prendono forma e patti occulti si intrecciano. Intanto, orde di pelle-verde si preparano a travolgere l’Ovest, mentre misteriosi razziatori approdano sulle coste meridionali.

In questo clima di incertezza, il negromante Xankroz guida oltre il mare un esercito terrificante, fatto di fantasmi, vampiri, zombie e ogni più spaventosa creatura. Il suo obiettivo è quello di completare un oscuro rituale che annienterebbe ogni forma di vita. L’unica speranza risiede nell’ambrushur Omega, incaricato di fermarlo, ma per riuscirci dovrà stringere un’alleanza pericolosa con maghi oscuri e un elfo dalla dubbia lealtà.

Scoperto quasi per caso al Salone del Libro, questo romanzo fantasy dalle sfumature dark ha superato di gran lunga le mie aspettative. Già dal breve riassunto che ho condiviso, si intuisce quanto il mondo creato da Max Peronti sia ricco e stratificato. Un universo narrativo complesso, sorretto da mappe dettagliate, terre immaginarie e un pantheon divino sfaccettato e sorprendente: un vero piacere per chi ama perdersi tra le pagine di mondi alternativi.

Numerosi sono i richiami ai grandi classici del fantasy, da Tolkien a Sapkowski, passando per Marion Zimmer Bradley e George R. R. Martin. Ma non mancano nemmeno evidenti suggestioni provenienti dalla letteratura gotica. È proprio la perfetta fusione tra questi due universi narrativi a rendere la trama e i suoi personaggi così affascinanti e intensi.

Il mondo immaginato da Max Peronti è qualcosa di sorprendentemente vivido e autentico. Un universo narrativo che non cerca facili dualismi; bene e male non sono entità nette ma sfumature che si intrecciano, proprio come nella vita reale.

I protagonisti di questa storia non sono eroi perfetti né antagonisti assoluti: sono personaggi ambigui, profondi, sfaccettati. È proprio questa loro umanità fragile, contraddittoria, a tratti spietata a renderli tanto affascinanti. Ognuno di loro si muove in un equilibrio precario tra luce e ombra, e in questa varietà ogni lettore potrà riconoscere il proprio personaggio del cuore.

Per quanto mi riguarda, è stato l’elfo oscuro Jeven a catturare la mia attenzione sin dalle primissime pagine. La sua aura enigmatica, pervasa da un’inquietudine silenziosa e da un fascino tenebroso, mi ha completamente conquistato. C'è in lui una tensione irrisolta che affascina e inquieta allo stesso tempo, un equilibrio fragile che lo rende unico.

Da tempo non mi capitava di leggere un fantasy tanto coinvolgente: ricco di colpi di scena, sorprendente e assolutamente avvincente. È uno di quei romanzi che ti catturano sin dalle prime pagine e non ti lasciano andare fino all’ultima riga.

Il finale, aperto e carico di potenzialità, offre un epilogo soddisfacente: la storia si conclude in modo coerente, rendendo il libro perfettamente fruibile anche come volume autoconclusivo. In poche parole: non avete scuse per non leggerlo e sono certa che sarete conquistati anche voi da questo tanto mondo oscuro quanto irresistibile.

 

lunedì 2 giugno 2025

“Il furfante di Radicofani” di Alberto De Stefano

Mi sono imbattuta in questo volume e nel suo autore, con il quale ho scoperto di condividere la passione per la terra Toscana, al Salone del Libro di Torino, attratta, non tanto dalla copertina come spesso accade, quanto dal titolo. Radicofani, borgo incastonato nella bellissima Val d’Orcia lungo la Via Francigena, è celebre soprattutto per la sua imponente fortezza.

Il romanzo racconta la storia di Ghino di Tacco, nobile ghibellino della famiglia dei Cacciaconti, nato nella seconda metà del XIII secolo.

A causa delle esose richieste di pagamento imposte dalla Chiesa senese a favore dello Stato Pontificio, Ghino e il fratello Turino presero parte alle scorribande del padre e dello zio nei dintorni del castello di La Fratta, dove vivevano. Dopo la cattura e la condanna a morte dei loro parenti, Ghino e Turino, ancora minorenni, vennero risparmiati e si rifugiarono a La Fratta, salvo poi riprendere l’attività predatoria qualche anno dopo, occupando la rocca di Radicofani, considerata inespugnabile.

Della figura di Ghino di Tacco parlano sia Dante che Boccaccio. Se il secondo lo rese protagonista di una novella della decima giornata del Decameron, narrando il suo sequestro dell’abate di Cluny, il primo lo menziona nel VI canto del Purgatorio (vv. 13-14) quando, tra le anime morte per violenza, Dante incontra Benincasa da Laterina, il giurista che condannò i parenti di Ghino e che venne ucciso dal fuorilegge per vendicarli:

"Quiv'era l'Aretin che da le braccia fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte."

Ghino di Tacco è una sorta di Robin Hood ante litteram: un brigante gentiluomo, le cui azioni erano guidate da un ferreo codice d’onore. Era un ladro, sì, ma rubava solo ai ricchi, lasciando loro sempre il necessario per sopravvivere. Talvolta, arrivava persino a offrire un banchetto ai derubati prima di lasciarli andare incolumi per la loro strada.

Alberto De Stefano ripercorre le avventure di Ghino di Tacco, rielaborando il materiale storico a disposizione e trasformandolo in un racconto avvincente, dove realtà e finzione si intrecciano armoniosamente.  Pur basandosi su eventi documentati, l’autore romanza ampiamente la narrazione, arricchendola con personaggi e situazioni che amplificano la dimensione epica e avventurosa della vicenda.

Tra le tante figure di fantasia spicca Dulce, la donna amata dal fuorilegge, che aggiunge alla narrazione un pizzico di romanticismo nel ritmo serrato della storia, bilanciando l’azione con momenti di intensità emotiva.

Un avvincente romanzo storico che restituisce nuova vita a un personaggio già leggendario nella sua epoca, facendolo rivivere con intensità e fascino.

 

domenica 1 giugno 2025

“Le camelie invernali” di Ermal Meta

Nel XV secolo, il condottiero albanese Lekë Dukagjini trascrisse il Kanun, un codice di comportamento che regolava la vita individuale, familiare e sociale degli albanesi. Le sue leggi furono tramandate oralmente per secoli, ma col tempo molte caddero tutte nell'oblio, tranne una: la gjakmarrje, la vendetta di sangue.

Secondo questa norma, se qualcuno veniva ucciso, un membro della sua famiglia aveva il diritto di vendicarsi, uccidendo a sua volta un membro della famiglia dell'assassino per ristabilire l'onore. Tuttavia, donne e bambini erano esclusi dalla vendetta, che non poteva avvenire dentro casa. Questo obbligava i maschi della famiglia dell'assassino a vivere reclusi in casa, fino alla consumazione della vendetta o alla concessione del perdono da parte della famiglia della vittima.

Nel 2025, Lara, studentessa di giornalismo nata in Italia da genitori albanesi, visita per la prima volta l'Albania. Il suo obiettivo è intervistare un uomo che non esce di casa da trent'anni.

Il filo dei ricordi dell'uomo misterioso intervistato da Lara ci riporta in Albania, nel 1995. 

Halil e Rozafa vivono nel dolore per la scomparsa della loro figlia, svanita nel nulla anni prima. Incapaci di trovare pace, riversano tutto il loro amore sull'altro figlio, Uksan. Samir è il suo migliore amico, i due ragazzi sono inseparabili. La vita di Samir è segnata da un ambiente familiare difficile: un padre violento e sempre ubriaco che picchia la moglie, e degli zii che impongono la loro autorità con prepotenza.

In un crudele gioco del destino, sarà proprio Samir a dover versare il sangue di Uksan per rispettare la legge del Kanun e preservare l'onore della sua famiglia.

Ho affrontato questo secondo romanzo di Ermal Meta con un po’ di timore, dopo aver amato il suo esordio letterario Domani e per sempre. Anche questa storia è coinvolgente, seppur in modo diverso. Non ho ritrovato i richiami ai testi delle sue canzoni presenti nel primo romanzo, ma, conoscendo e apprezzando la sua musica, non ho potuto ignorare il dettaglio della bambina scomparsa che porta il nome di Nina. Inoltre, nelle pagine iniziali, mi è tornata in mente l’immagine della cavallina storna che portava colui che non ritorna, un ricordo poetico intenso. Alcune frasi, poi, mi hanno evocato gli scritti di Tolstoj, senza un motivo preciso. Non c’è alcun legame diretto con l’autore o con la storia, solo mie sensazioni che emergono spontaneamente.

Con questo secondo romanzo, Ermal Meta conferma il suo talento nel narrare storie avvincenti e nel creare personaggi profondi e autentici, capaci di entrare nel cuore del lettore.  

La sua abilità nel delineare i caratteri dei protagonisti li rende vivi e reali. La struttura narrativa con continui flashback non distrae, ma mantiene alta l’attenzione, facendo sì che nulla venga perso nella storia.

È un racconto intenso e potente, un pugno nello stomaco, ma che allo stesso tempo lascia spazio alla tenerezza: la determinazione di due ragazzi nel voler vivere, il momentaneo abbassarsi di una maschera, un amore che, pur profondo, non può essere confessato. Dolcezza e tristezza danzano insieme nella sofferenza, intrecciandosi in un equilibrio dove i confini tra luce e ombra sfumano, perché nulla può esistere soltanto in bianco o in nero.

Una storia dura e crudele, che si sviluppa in un climax di emozioni e tensione, un susseguirsi di colpi di scena fino a un epilogo inaspettato. 

Un epilogo che lascia un senso di amarezza, ma che appare inevitabile. Un finale che si vorrebbe diverso, perché violenza e ingiustizia dovrebbero essere sempre sconfitte, eppure continuano a ripetersi nel tempo, dimostrando che l’umanità, forse, non impara mai dai propri errori.



martedì 6 maggio 2025

“Ombre di spada e di vento” di Poppy Kuroki

Il quadrisavolo di Isla MacKenzie fu, con ogni probabilità, uno dei valorosi guerrieri che combatterono al fianco di Takamori Saigō, il leggendario capo ribelle dei samurai.

Nel 1877, i samurai insorsero contro l'Imperatore, dando vita a una delle ultime grandi battaglie della loro epoca. Lottarono con straordinario coraggio contro l'esercito imperiale, fino a sacrificare la propria vita per il codice d'onore che li aveva guidati per secoli. Con la loro sconfitta, si chiuse definitivamente il capitolo della loro storia, segnando la fine della loro esistenza.

Isla si trova in Giappone per un anno di studio e, durante questo periodo, decide di dedicare qualche giorno alla ricerca delle sue origini. La sua meta è Kagoshima, il luogo dove visse l’eroico avo materno.

Isla, però, non può immaginare neppure lontanamente che le sue ricerche la trascineranno, attraverso un portale temporale, nel lontano 1877. Le figure che aveva studiato sui libri, i personaggi le cui storie aveva appreso nei musei dedicati alla loro memoria, si animeranno davanti ai suoi occhi, trasformando il sapere in esperienza e la storia in realtà pulsante.

Nella Kagoshima del 1877, Isla incontrerà un giovane samurai Keiichirō Maeda  con cui intreccerà un legame indissolubile. L’amore che sboccerà tra loro sarà così profondo da far vacillare ogni certezza, spingendola a mettere in discussione il suo ritorno nel 2005. Nonostante la nostalgia di casa e il richiamo degli affetti familiari, il cuore di Isla resterà ancorato a quel mondo lontano dove si intrecceranno indissolubilmente passato e destino.

Diciamolo chiaramente, l’idea di un viaggio nel tempo non è certo originale. La letteratura e il cinema ci hanno regalato già innumerevoli storie basate su questo affascinante leitmotiv. Tuttavia, la trama del romanzo riesce a conservare un certo un fascino.

A mio avviso, la caratterizzazione dei protagonisti, Isla e Keiichirō, risulta un po’ superficiale, e la loro storia d’amore, per quanto peculiare, non è riuscita a coinvolgermi emotivamente come avrei sperato.

Mi sarei aspettata in generale una descrizione più ricca e sfaccettata dei diversi personaggi, considerando anche l’epoca in cui si svolge la narrazione. Un’epoca in grado di offrire spunti preziosi per arricchire l’intreccio di un romanzo e trasformarlo in un romanzo storico più strutturato e immersivo.

Il libro di Poppy Kuraki è un romance che strizza l’occhio al genere storico più di quanto lo abbracci pienamente. Sebbene gli elementi storici forniscano un’ambientazione suggestiva e intrigante, l’aspetto romantico rimane il cuore pulsante della narrazione. Purtroppo il finale è piuttosto prevedibile, non c'è una spiegazione logica e rimane forte l’impressione che l’autrice abbia scelto la via più semplice per chiudere la vicenda senza riflettere su un epilogo più ragionato e autentico.

Il romanzo ha però un suo fascino e, grazie al suo ritmo fluido e alla trama accattivante, riesce a intrattenere il lettore, offrendo nell’insieme una storia godibile e ben strutturata. Bellissima ed evocativa la copertina.




giovedì 1 maggio 2025

“Quanti moccoli in paradiso” di Lorenzo Andreaggi

Il titolo, pur evocativo, non fa riferimento alle imprecazioni che potrebbero venire in mente, bensì a una salita dalla storia affascinante.

La celebre Salita dei Moccoli si trova nella zona sud di Firenze, nel quartiere Gavinana. Il percorso prende avvio a metà di Via del Paradiso e si sviluppa fino al Borgo dei Moccoli, lungo Via Benedetto Fortini.

L'origine del nome affonda le radici in un'antica tradizione legata alla processione del Corpus Domini. In occasione di questa celebrazione, lungo i muri di cinta venivano sistemati gusci di chiocciole svuotati, riempiti d’olio e dotati di uno stoppino. Questi piccoli lumi, chiamati “moccoli”, illuminavano il cammino della processione, creando un’atmosfera suggestiva e solenne che avvolgeva la strada e ne conferiva il nome. Un dettaglio storico che rende questo angolo di Firenze ancora più affascinante.

Questa è però solo una delle tante affascinanti storie che Lorenzo Andreaggi racconta nel suo approfondito volume dedicato alla storia del contado fiorentino del Bandino.

Attraverso una ricca narrazione, l'autore porta alla luce un patrimonio fatto di memorie, leggende e testimonianze che tratteggiano la vita e le tradizioni di questo territorio. Il libro è un vero e proprio viaggio nel tempo, in cui prendono forma i racconti legati ai personaggi che hanno animato queste terre, ma anche gli aneddoti familiari che hanno contribuito a tessere la storia quotidiana della comunità.

Un’attenzione particolare è riservata alla suggestiva Grotta del Bandino, un luogo affascinante che racchiude in sé storie e leggende legate al passato e alla cultura locale. 

Il libro di Lorenzo Andreaggi si caratterizza per l'accuratezza della ricerca, la passione per le tradizioni e il desiderio di mantenere viva l'essenza di un territorio che merita di essere valorizzato.

Arricchito da un’accurata selezione di fotografie e dettagliate piante topografiche, il volume offre un quadro visivo che riesce a coinvolgere anche il lettore che non ha familiarità con questo territorio, accompagnandolo alla scoperta del contado fiorentino.

Un lavoro curato nei minimi particolari, capace di trasmettere non solo informazioni storiche, ma anche l’emozione di un luogo intriso di memoria e fascino.




sabato 26 aprile 2025

“Onesto” di Francesco Vidotto

Rapito in tenerissima età, Onesto ritrova la sua famiglia all’età di cinque anni. Un ristretto nucleo famigliare composto esclusivamente da lui, suo fratello gemello Santo e sua madre Rita. I tre vivono in condizioni di povertà, lottando ogni giorno per sopravvivere. Tuttavia, ciò che non manca è l’amore, che rappresenta la loro ricchezza più grande, un legame capace di resistere alle avversità più dure.

Nonostante l’amore famigliare, il destino di Onesto sarà segnato dalla solitudine e, forse per riempire quel vuoto, o forse per aggrapparsi ai ricordi, Onesto inizierà a trovare conforto nella scrittura. Le sue lettere, indirizzate non a persone, ma alle amate montagne del Cadore, diventano il suo diario segreto, la voce con cui confidare tutto ciò che gli pesa sul cuore. Le montagne, immutabili e silenti, sono per lui non solo un rifugio fisico, ma anche emotivo, un simbolo della sua eterna appartenenza.

Guido Contin, soprannominato Cognac, possiede solo due cose di grande valore: la sua dentiera e quelle lettere, accuratamente conservate in una cartellina nera dai bordi alzati. È proprio attraverso la lettura di quelle lettere che si svela al lettore la complessa e struggente storia di Onesto, del gemello Santo e di Celeste, la donna amata da entrambi sin da quando erano poco più che bambini.

Quella di Onesto è una storia familiare che, all’apparenza, potrebbe sembrare comune a tante altre, ma si rivela straordinaria per i tanti eventi che l’hanno attraversata: il rapimento, la miseria, la violenza, la guerra che hanno segnato le vite dei protagonisti. Sullo sfondo, le montagne del Cadore rimangono immutate, testimoni silenziose del tempo che passa, in contrapposizione ai cambiamenti nei paesi e nelle persone.

Il lettore si trova immerso nel racconto, quasi seduto accanto a Guido Contin e Francesco Vidotto, leggendo quelle lettere, vivendo le emozioni dei protagonisti, condividendo il loro dolore, la loro gioia, la loro speranza e le loro delusioni. È un’esperienza così coinvolgente che anche chi legge il romanzo può ritrovarsi sopraffatto da queste emozioni.

Ad un certo punto della narrazione, l’autore vorrebbe leggere l’ultima lettera per scoprire il mistero che essa custodisce, ma Cognac lo trattiene, affermando che, una volta letta, tutto sarà finito. Anche il lettore si ritrova combattuto: da un lato, la voglia di scoprire il finale; dall’altro, il rispetto per quei momenti che necessitano di riflessione e assimilazione.

Mi sono ritrovata a chiudere il libro, posandolo con cura, nonostante il desiderio di proseguire fosse forte, quasi irresistibile, ho scelto di aspettare il giorno successivo, seguendo i saggi consigli di Guido Contin. È stato un atto di rispetto, non solo verso la narrazione, ma anche verso il tempo necessario per assimilare e riflettere su ciò che avevo letto.

Il romanzo di Francesco Vidotto è un’opera che emoziona, commuove e tocca corde profonde. È una storia triste, ma intensa e autentica, in cui i sentimenti narrati emergono con forza. Le lettere, le montagne, e i personaggi diventano parte di un quadro che racconta la forza della memoria e dell’amore. È un libro che riesce a trasformare il dolore in poesia e che lascia il lettore con il desiderio di custodire ogni emozione narrata come un tesoro prezioso.

 


domenica 20 aprile 2025

“Alma” di Federica Manzon

Il passato: fardello o risorsa? Questo interrogativo attraversa tutto il romanzo, insinuandosi nelle riflessioni della protagonista e nelle dinamiche della trama. Indubbiamente, il passato è essenziale per comprendere se stessi e le proprie origini. Eppure, può trasformarsi in un peso soffocante, un bagaglio ingombrante da sotterrare per vivere più serenamente, concentrandosi esclusivamente sul futuro. Non di rado viene percepito come un masso legato alla caviglia, un vincolo che ostacola il percorso verso la realizzazione personale e l'apertura a nuove prospettive.

Alma, protagonista del romanzo di Federica Manzon, incarna perfettamente questa lotta interiore. Decisa a lasciarsi alle spalle il suo passato, si trasferisce a Roma per ricominciare a vivere. Tuttavia, i ricordi si rivelano tenaci, inseguendola nonostante i suoi tentativi di rimuoverli. Inevitabilmente, giunge il momento in cui Alma è costretta a confrontarsi con quell'eredità che tanto aveva cercato di ignorare. La chiamata arriva sotto forma dell'eredità paterna: Alma deve tornare nella sua città natale, Trieste.

Trieste è per Alma il crocevia delle sue radici, un intrico di culture e lingue diverse. Da un lato, la tradizione del nonno, legata all’Impero Austro-Ungarico e al mondo accademico e borghese. Dall’altro, il retaggio paterno, permeato della cultura slava e di un universo estraneo, eppure famigliare al tempo stesso, il "di là". 

In questo ritorno, Alma si scontra con la complessità del proprio passato e delle proprie origini. La sua infanzia era stata segnata da un mosaico di passioni per la letteratura, il teatro e la poesia, retaggi di un’Europa antica, intrecciati al comunismo slavo e ai paesaggi del Carso, dove la famiglia si era trasferita dopo la rottura con i nonni materni.

Il difficile rapporto di Alma con il padre, una figura enigmatica divisa tra l’Italia e l’ex Jugoslavia di Tito, rappresenta un nodo irrisolto; il padre è al contempo un personaggio distante e affascinante.

L’assenza di radici solide, frutto della scelta consapevole dei genitori per garantire ad Alma la libertà di plasmare il proprio futuro senza vincoli, si rivela una libertà ambivalente. Crescendo senza punti di riferimento chiari, Alma si rifugia nell'evitare legami profondi e nell'esperienza di relazioni fugaci.

Non meno complesso è il legame con la madre, che canalizza tutto il suo amore verso il marito, lasciando Alma ai margini e contribuendo al suo senso di alienazione.

Il romanzo di Federica Manzon si distingue per una narrazione stratificata, densa di introspezione psicologica e riflessioni sulla storia. Contrappone figure opposte, come il nonno e il padre di Alma, mentre la protagonista emerge come un simbolo delle tensioni e degli ideali delle loro culture.

Un altro personaggio che arricchisce la narrazione è Vili, giovane figlio di intellettuali belgradesi, in fuga dalle persecuzioni di Tito. Anche lui vive lo sradicamento, lontano dalle sue origini, condividendo con Alma il tormento di una ricerca identitaria. Due anime affini, accomunate dalla difficoltà di trovare un equilibrio personale e di coppia.

La prosa di Federica Manzon sfida il lettore, procedendo con lentezza iniziale e conquistandolo a poco a poco. L’autrice non offre riferimenti geografici espliciti, affidando al lettore il compito di collegare luoghi e contesti storici, come l’ex Jugoslavia di Tito e le guerre che ne seguirono. Il romanzo indaga le sfumature della storia, dove bene e male si intrecciano, dove i fatti sono sempre sporchi e opachi, dove spesso i crimini restano impuniti e le ferite dell’anima si trasformano in cicatrici profonde.

"Alma" un libro che stimola riflessioni profonde, proponendo una visione sfaccettata e complessa delle eredità culturali e delle scelte personali.

 

 


domenica 13 aprile 2025

“Il nonno racconta Firenze” di Luciano e Ricciardo Artusi

Si afferma che ignorare il passato precluda la comprensione del presente e condanni all'ignoranza sul futuro, per quanto esso rimanga insondabile.

Partendo da questa riflessione, Luciano e Ricciardo Artusi dedicano il loro libro alle nuove generazioni, con l'obiettivo di stimolarne la curiosità verso il passato e di incoraggiarle a esplorare l'immenso patrimonio artistico, storico e culturale lasciato dagli antichi fiorentini.

Il racconto inizia dalle ere geologiche più antiche, quando l'area destinata a ospitare Firenze era sommersa da un vastissimo lago, che si estendeva fino a Pistoia. Da questo scenario primordiale, il viaggio si snoda attraverso le epoche, raccontando la Firenze romana, medievale e rinascimentale, con i suoi straordinari contributi artistici e culturali. Particolare enfasi è posta sull'influenza delle dinastie medicea e lorenese, che hanno plasmato la città e l'hanno resa un faro di arte e civiltà. Il percorso culmina con gli anni in cui Firenze fu scelta come "Capitale" del neonato Regno d’Italia, un periodo cruciale che si estese dal 1865 al 1871.

Il libro segue un rigoroso ordine cronologico, arricchito da una miriade di aneddoti, modi di dire, vicende storiche, curiosità e personaggi che tornano in vita attraverso le sue pagine. È un viaggio affascinante e dettagliato, lungo ben 483 pagine, che attraversa i secoli, permettendo al lettore di immergersi completamente nella storia di Firenze.

Camminando per le strade di questa città unica, ci si imbatte in numerosi segni tangibili del suo passato glorioso: targhe commemorative, tabernacoli, pietre, simboli, tutti testimonianze silenziose di ciò che è stato.

Il libro di Luciano e Ricciardo Artusi si rivela una vera e propria mappa di questi segni, un invito a interpretarli e decifrarli, per riscoprire il significato nascosto dietro ogni dettaglio.

Il volume è organizzato in brevi capitoli, strutturati come delle schede tematiche. Ogni capitolo esplora uno specifico argomento che, grazie a riferimenti incrociati, si intreccia con gli altri, garantendo al lettore un racconto coerente e uniforme. Questa struttura rende il libro un’esperienza coinvolgente e istruttiva, ideale per chi desidera approfondire le molteplici sfaccettature della storia fiorentina.

Un'opera che affascina e incanta, proprio come la sua protagonista: Firenze.


 


domenica 23 marzo 2025

“Il buio e le stelle” di Luigi De Pascalis

Luigi De Pascalis torna a narrare le vicende di Andrea Sarra, già protagonista de “La pazzia di Dio” (2010), in una nuova opera che espande e completa la storia precedente.

Nel romanzo originale, la narrazione prendeva avvio con la nascita del protagonista nel 1895, seguendo la sua crescita fino alla partenza per Zanzibar nei primi anni ’20 del Novecento. In questa nuova versione, intitolata “Il buio e le stelle,” “La pazzia di Dio” viene inglobato e integrato come parte di una narrazione più ampia che approfondisce ulteriormente il destino di Andrea.

Il romanzo si apre con l’introduzione del capostipite della famiglia Sarra, Sigismondo, il nonno di Andrea. Sigismondo è descritto come un uomo autoritario, consapevole del potere che gli derivava dalla sua posizione di proprietario terriero. Questo spaccato risale agli anni successivi all’Unità d’Italia, un periodo segnato anche dal fenomeno del brigantaggio, offrendo un affresco storico denso di dettagli.

Il vero fulcro dell’ampliamento della narrazione, tuttavia, è costituito dalla permanenza di Andrea a Zanzibar, un luogo che rappresenta tanto un rifugio quanto un teatro di conflitti personali e politici.

Ne “La pazzia di Dio,” il viaggio di Andrea lasciava il lettore col fiato sospeso e con molte domande sulla possibilità di trovare la libertà e la verità sulla figura paterna. Ne “Il buio e le stelle,” scopriamo un Andrea profondamente trasformato, segnato dagli orrori della guerra e sempre più ossessionato dal desiderio di comprendere il passato del padre. Nonostante il genitore sia deceduto, Andrea sembra ancora alla ricerca della sua approvazione, come quando da ragazzo scelse di partire per il fronte.

Il contrasto tra il mondo di Borgo San Rocco, immaginario paese abruzzese che fa da sfondo al primo romanzo, nonché alla prima parte di questa nuova edizione, e la realtà tumultuosa di Zanzibar è netto. Se da una parte Borgo San Rocco rappresenta un microcosmo di provincialismo e tradizioni radicate, dove reale e imponderabile riescono a coesistere; Zanzibar appare come un mondo affascinante ma pericoloso, popolato da avventurieri, schiavisti e politici corrotti. Eppure, nonostante l’immensa distanza dall’Italia, Andrea non sfugge al controllo del regime fascista, trovandosi a dover affrontare rappresentanti del partito anche lì, in quella che avrebbe dovuto essere per lui una terra di libertà.

La narrativa di De Pascalis tesse abilmente una trama in cui i fantasmi del passato si mescolano con la realtà cruda e complessa del presente, creando un racconto ricco di pathos e introspezione.

La scelta di completare e ampliare il romanzo iniziale si rivela non solo coerente, ma anche necessaria per fornire una conclusione più esaustiva alla storia di Andrea Sarra.



lunedì 10 marzo 2025

“Natività. Madre e Figlio nell’arte” di Vittorio Sgarbi

Nel mondo pagano, gli dèi erano incarnazioni ideali della perfezione umana: più belli, più forti, più saggi, ma al contempo inaccessibili e distanti. Con la religione cristiana, questo paradigma viene capovolto. L'amore sostituisce la potenza divina: Dio si fa uomo per amore degli uomini. Il Figlio di Dio nasce da una donna, da una madre.

Nel suo saggio, Vittorio Sgarbi ci accompagna in un affascinante viaggio attraverso i secoli, rivelando come gli artisti abbiano rappresentato un tema che è, insieme, sacro e profondamente umano. L'arte diventa un riflesso intimo e universale della semplicità degli affetti, celebrando il legame primordiale e tenero tra madre e figlio.

Il percorso inizia con le Natività e le Annunciazioni bizantine, immerse in cieli dorati. Da Duccio, ultimo e più grande esponente dello stile bizantino, il viaggio prosegue toccando le opere di maestri immortali quali Giotto, Botticelli, Leonardo, Piero della Francesca, Raffaello, Michelangelo e Rubens. Il cammino sfocia nella pittura moderna dell'Ottocento e del Novecento rappresentata da Segantini, Previati e Gaudenzi.

Pagine di particolare rilievo sono dedicate all'analisi della Madonna del Parto di Piero della Francesca, all'Annunciazione di Lorenzo Lotto e al confronto tra il Bambino dipinto nel Tondo Doni e quello scolpito nella Madonna di Bruges, entrambi capolavori di Michelangelo.

Un dettaglio storico merita una doverosa correzione: Girolamo Savonarola non fu arso vivo, bensì impiccato prima di essere arso.

Il saggio prende in esame una miriade di artisti; tuttavia, i limiti di un volume non potevano includere ogni voce significativa. Una lacuna a mio avviso, ma solo per l’amore che porto a quest’opera, è l'assenza di un riferimento ad Andrea del Sarto e alla sua Madonna delle Arpie,

Sono particolarmente apprezzabili i richiami ai versi danteschi, che hanno ispirato molte opere d'arte. La cura grafica del volume e la straordinaria documentazione fotografica lo rendono un volume di grande pregio.

Questo saggio non è solo una lettura, ma un invito a visitare musei e chiese, a scoprire tesori nascosti. Un viaggio che accende la curiosità e il desiderio di immergersi nella bellezza senza tempo dell’arte.