domenica 1 giugno 2025

“Le camelie invernali” di Ermal Meta

Nel XV secolo, il condottiero albanese Lekë Dukagjini trascrisse il Kanun, un codice di comportamento che regolava la vita individuale, familiare e sociale degli albanesi. Le sue leggi furono tramandate oralmente per secoli, ma col tempo molte caddero tutte nell'oblio, tranne una: la gjakmarrje, la vendetta di sangue.

Secondo questa norma, se qualcuno veniva ucciso, un membro della sua famiglia aveva il diritto di vendicarsi, uccidendo a sua volta un membro della famiglia dell'assassino per ristabilire l'onore. Tuttavia, donne e bambini erano esclusi dalla vendetta, che non poteva avvenire dentro casa. Questo obbligava i maschi della famiglia dell'assassino a vivere reclusi in casa, fino alla consumazione della vendetta o alla concessione del perdono da parte della famiglia della vittima.

Nel 2025, Lara, studentessa di giornalismo nata in Italia da genitori albanesi, visita per la prima volta l'Albania. Il suo obiettivo è intervistare un uomo che non esce di casa da trent'anni.

Il filo dei ricordi dell'uomo misterioso intervistato da Lara ci riporta in Albania, nel 1995. 

Halil e Rozafa vivono nel dolore per la scomparsa della loro figlia, svanita nel nulla anni prima. Incapaci di trovare pace, riversano tutto il loro amore sull'altro figlio, Uksan. Samir è il suo migliore amico, i due ragazzi sono inseparabili. La vita di Samir è segnata da un ambiente familiare difficile: un padre violento e sempre ubriaco che picchia la moglie, e degli zii che impongono la loro autorità con prepotenza.

In un crudele gioco del destino, sarà proprio Samir a dover versare il sangue di Uksan per rispettare la legge del Kanun e preservare l'onore della sua famiglia.

Ho affrontato questo secondo romanzo di Ermal Meta con un po’ di timore, dopo aver amato il suo esordio letterario Domani e per sempre. Anche questa storia è coinvolgente, seppur in modo diverso. Non ho ritrovato i richiami ai testi delle sue canzoni presenti nel primo romanzo, ma, conoscendo e apprezzando la sua musica, non ho potuto ignorare il dettaglio della bambina scomparsa che porta il nome di Nina. Inoltre, nelle pagine iniziali, mi è tornata in mente l’immagine della cavallina storna che portava colui che non ritorna, un ricordo poetico intenso. Alcune frasi, poi, mi hanno evocato gli scritti di Tolstoj, senza un motivo preciso. Non c’è alcun legame diretto con l’autore o con la storia, solo mie sensazioni che emergono spontaneamente.

Con questo secondo romanzo, Ermal Meta conferma il suo talento nel narrare storie avvincenti e nel creare personaggi profondi e autentici, capaci di entrare nel cuore del lettore.  

La sua abilità nel delineare i caratteri dei protagonisti li rende vivi e reali. La struttura narrativa con continui flashback non distrae, ma mantiene alta l’attenzione, facendo sì che nulla venga perso nella storia.

È un racconto intenso e potente, un pugno nello stomaco, ma che allo stesso tempo lascia spazio alla tenerezza: la determinazione di due ragazzi nel voler vivere, il momentaneo abbassarsi di una maschera, un amore che, pur profondo, non può essere confessato. Dolcezza e tristezza danzano insieme nella sofferenza, intrecciandosi in un equilibrio dove i confini tra luce e ombra sfumano, perché nulla può esistere soltanto in bianco o in nero.

Una storia dura e crudele, che si sviluppa in un climax di emozioni e tensione, un susseguirsi di colpi di scena fino a un epilogo inaspettato. 

Un epilogo che lascia un senso di amarezza, ma che appare inevitabile. Un finale che si vorrebbe diverso, perché violenza e ingiustizia dovrebbero essere sempre sconfitte, eppure continuano a ripetersi nel tempo, dimostrando che l’umanità, forse, non impara mai dai propri errori.



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