sabato 28 novembre 2020

“Mia nonna d’Armenia” di Anny Romand

Il libro racconta la storia del genocidio armenoil massacro che venne perpetrato dall’impero Ottomano tra il 1915 e il 1918 nei confronti di questo popolo.

Una pagina di storia della quale poco si conosce ma che, per l’elevato numero di vittime, può essere paragonata a quella altrettanto atroce del genocidio commesso dai nazisti nei confronti degli ebrei.

Non molto tempo fa Anny Romand ritrova un piccolo quaderno, un breve diario, scritto da sua nonna Serpouhi durante i terribili momenti che la videro vittima di quanto perpetrato dai turchi nei confronti della popolazione armena.

Anny Romand decide così di scrivere un romanzo, una sorta di diario a due voci dove alle pagine tratte dal quadernetto di Serpouhi si alternano le pagine dedicate ai racconti fatti dalla nonna alla nipotina. 

È infatti affidato alla voce della Anny bambina, non a quella della Anny adulta, il difficile compito di raccontarci in prima persona gli stralci di quelle conversazioni con Serpouhi.

Allevata dalla nonna, la piccola Anny non perdeva occasione, infatti, per ascoltarne i lunghi racconti, nonostante gli aspri rimproveri della madre contraria che la figlia venisse sottoposta al ricordo di tanto strazio.

Serpouhi si era sposata giovanissima, aveva appena quindici anni. Lei avrebbe preferito poter continuare gli studi, ma dopo la morte del padre, a causa della difficile situazione economica della famiglia, non c'era stata per lei alternativa che accettare quanto deciso dalla madre. Karnik si era rivelato un bravo ragazzo e Serpouhi aveva finito per innamorarsi di lui.

Il marito di Serpouhi venne trascinato via da casa e massacrato insieme agli altri uomini all’inizio del genocidio.

Quasi subito venne assassinata anche la figlia più piccola di appena quattro mesi. Serpouhi decise allora di affidare il figlio più grande ad una famiglia di contadini turchi perché si prendessero cura di lui, sperando in questo modo di riuscire a salvarlo.

Per due volte Serpouhi tentò di fuggire ai suoi aguzzini fino a quando riuscì a raggiungere la costa del Mar Nero e da qui finalmente, dopo essere rimasta a lungo nascosta, poté imbarcarsi per Costantinopoli.

Raggiunta la salvezza la donna poté dedicarsi al suo unico vero obiettivo ossia ritrovare suo figlio Jiraïr e portarlo in salvo.

La prefazione del libro, edito da La lepre Edizioni, ad opera di Dacia Maraini pone un quesito solo all’apparenza dalla risposta semplice e scontata.

La domanda è: quando accadono fatti tanto atroci, come appunto quanto accaduto al popolo armeno, è giusto che le vittime continuino a raccontare senza sosta quanto avvenuto fin nei minimi dettagli come fa Serpouhi, oppure, hanno ragione coloro che, come la madre di Anny o lo stesso Jiraïr, preferiscono dimenticare per lasciarsi tutto alle spalle il prima possibile?

Senza dubbio è giusto ricordare perché solo attraverso il ricordo, prendendo coscienza di quanto accaduto, si può scongiurare il pericolo che certe mostruosità possano ripetersi.

La memoria resta e resterà sempre l’arma più potente che possediamo per combattere le atrocità perpetrate nel corso dei secoli.

Eppure, leggendo le pagine di questo libro, non si può restare indifferenti di fronte alle remore e ai dubbi della madre di Anny.

Per quanto la bimba sia legata alla nonna, non si può non accorgersi di quanto certi racconti dell’orrore la tocchino profondamente e allora viene spontaneo interrogarsi se sia giusto sottoporre questa bambina all’ascolto di tanto dolore.

Anny accanto alla nonna è costretta a crescere in fretta, ma riesce comunque a mantenere un’innocenza e un candore che commuovono il lettore.

La bambina mette tutto il suo impegno per cercare di comprendere le cose dei “grandi” e per fare tesoro del racconto di quegli eventi terribili che hanno segnato sua nonna.

Anny è la sola che voglia in realtà ascoltare Serpouhi, agli altri non interessano i suoi tristi racconti.

Serpouhi era una donna forte e combattiva, ma ormai è anziana e i dolori patiti ne hanno irrimediabilmente minato il corpo e lo spirito, così la nipotina si sente in dovere di difenderla da tutto e da tutti, compresi i venditori che vogliono imbrogliarla e le impiegate maleducate all’Evêché.

Anny ascolta i racconti di Serpouhi, racconti terribili e crudi, e nonostante la giovanissima età sa già che il mondo là fuori può essere oltremodo ostile e la gente malvagia; la bimba si immedesima così tanto in quelle narrazioni che a volte le sembra di vivere in prima persona quei fatti e di camminare accanto a Serpouhi in quel suo Eden trasformatosi in inferno.

L’innocenza di fronte al racconto dell’orrore può essere racchiusa anche in queste poche righe:

Mi piace andare al cinema, gli attori, e anche le storie, non sono tristi come quelle di nonna. Al cinema finisce tutto bene, gli innamorati si ritrovano, i cattivi vengono sempre puniti. Nelle storie di nonna, invece, i cattivi non vengono puniti mai, continuano a fare del male e nessuno dice niente, nessuno glielo impedisce.

Serpouhi scrive che chi vive sereno non potrà mai comprendere la situazione di chi soffre, solo chi ha condiviso certe atrocità può davvero comprendere e capire.

La gente leggerà il nostro dolore stampato nei libri, seduta in poltrona. Ma un libro potrà mai descrivere sul serio l’insieme dei nostri dolori? Impossibile. Se ne parlerà nei salotti fino alla prossima novità, e così le suppliche e le voci dei poveri armeni si dissolveranno come fumo di sigaretta, e resterà solo cenere, e solo la terra ci verrà in aiuto.

“Mia nonna d’Armenia” è un libro di appena 125 pagine, eppure, bastano queste poche pagine per farci riflettere su tante differenti tematiche.

Il libro di Anny Romad non è solo il racconto della tragica storia di Serpouhi e del massacro del popolo armeno; attraverso le pagine del suo romanzo l’autrice riesce a dare voce anche a tutte quelle vittime che hanno vissuto sulla loro pelle le atrocità della guerra, delle deportazioni e di ogni possibile crimine contro l’umanità, vittime che non hanno potuto o non possono raccontarlo.

 

 

lunedì 23 novembre 2020

“Rinascimento Babilonia” di Luca Scarlini

Il Rinascimento italiano è senza dubbio un periodo molto controverso. Teatro di devastanti guerre e tradimenti, di corruzione e  congiure dalla ferocia inaudita, eppure, nessuna altra epoca fu in grado, al pari del Rinascimento, di produrre altrettanti capolavori di così rara bellezza, basti pensare a un Botticelli, un Raffaello, un  Michelangelo, un Leonardo Da Vinci senza voler fare torto a tutti gli altri numerosi artisti che contribuirono alla magnificenza di questo periodo storico.

Il Rinascimento fu l’epoca che vide, quali attori principali, quelle famiglie che furono in grado, se non di cambiare totalmente il corso della storia, almeno di influenzarlo grandemente; Medici, Sforza, Borgia, Este, Gonzaga sono solo alcuni dei nomi delle dinastie più famose che operarono in quel panorama politico in cui l’Italia era ostaggio di potenze straniere in continuo movimento per la sua conquista.

Fu il periodo dove a principi illuminati quali Lorenzo de’ Medici si alternarono figure passate alla storia come la personificazione di tutti i vizi capitali quali Papa Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borgia, e figure in odore di santità come il discusso predicatore e riformatore domenicano Girolamo Savonarola.

Il Rinascimento fu un’epoca che sfugge ad ogni possibile classificazione, la devozione al culto mariano così come le armeggerie furono solo due aspetti di un periodo che consacrò invece una parte di sé alla dea Voluptas e al potere di Cupido.

Proprio all’indagine di questo particolare aspetto è dedicato il saggio di Luca Scarlini “Rinascimento Babilonia. Una storia erotica dell’arte italiana”, un  saggio che sconfina nell'inizio dell’epoca barocca quando, a seguito delle trasformazioni dovute alla Controriforma, solo Venezia resistette mantenendo la palma di metropoli libertina d’Occidente.

Scarlini ci racconta episodi poco conosciuti e aneddoti curiosi, ci riporta brani e stralci di lettere che difficilmente potremmo incontrare in un’antologia del liceo, ci presenta una galleria di personaggi straordinari e bizzarri (ermafroditi, cortigiani e prostitute) che furono comunque parte integrante di quel mondo e del tessuto socio-culturale di importanti città quali Roma, Firenze, Milano, Napoli, Siena e Venezia.

Il Rinascimento più di ogni epoca ebbe il vizio o la virtù di mettere ogni cosa in piazza, permettendo così che giungessero fino a noi numerosi epistolari che ancor oggi ci forniscono interessanti dettagli sulla vita privata dei protagonisti del tempo e, perché no, anche sulle loro passioni più intime.

Alcuni episodi sono da tempo già universalmente noti come il legame di Leonardo da Vinci con Salaì o come l’amore senza freni di un artista quale Raffaello per il gentil sesso, altre vicende invece sono a noi meno conosciute come il motivo per cui Giovanni Antonio Bazzi  detto il Sodoma si sia guadagnato tale soprannome; se poi il nome di Imperia, la cortigiana più potente di Roma, era un nome noto ai più, pochi hanno invece sentito parlare di altri personaggi come ad esempio Zufolina o le “Aretine”.

Luca Scarlini ci restituisce attraverso le pagine del suo libro l’aspetto più licenzioso del Rinascimento, un aspetto che l’ipocrisia storica, in particolar modo quella ottocentesca, ha cercato di nascondere, ma che resta in ogni caso una delle più salienti peculiarità che caratterizzarono l’epoca.    

Dello stesso autore avevo letto già il romanzo/saggio “L’ultima regina di Firenze. I Medici: atto finale” dedicato al crepuscolo della più famosa dinastia fiorentina e anche in quell’occasione, come in questa, ero rimasta in prima battuta piuttosto spiazzata dal modo di affrontare certi argomenti da parte dell’autore, ma superata la confusione iniziale, devo ammettere che, anche questa volta, lo stile provocatorio e a tratti dissacrante di Luca Scarlini si è rivelato come sempre il più coerente ed efficace per trattare convenientemente l’argomento. 

“Rinascimento Babilonia” è un viaggio a ritroso nel tempo, in un’epoca che fece delle passioni estreme uno dei suoi temi principali e Luca Scarlini ci conduce lungo questo percorso attraverso la storia dell’arte e della letteratura scandagliandone gli aspetti più licenziosi e nascosti.

Un Rinascimento, quello raccontato da Scarlini in queste pagine, per certi versi inaspettato e anche un po’ irriverente, senza dubbio meno patinato e dorato di quanto siamo abituati a raffiguracelo, ma non per questo meno vero e affascinante.

 




sabato 21 novembre 2020

“Anja, la segretaria di Dostoevskij” di Giuseppe Manfridi

Pietroburgo 1866, il maestro Dostoevskij, il più grande scrittore russo vivente, firma con il suo editore Stellovskij un contratto capestro.

Dostoevskij ha urgente bisogno di denaro per pagare dei debiti e, per quanto il contratto sia un vero e proprio patto col diavolo, lo scrittore è costretto a scendere a patti con il suo mefistofelico editore.

Il contratto lo impegna a consegnare a Stellovskij un nuovo romanzo entro un mese dalla data della firma; se i termini dell’accordo non dovessero essere rispettati, tutti i diritti delle opere già pubblicate dall’autore diventerebbero di proprietà dell’editore così come tutti i diritti di quelle opere prodotte nei nove anni successivi.

Il nuovo romanzo dovrà essere di 500 pagine scritte a mano corrispondenti a 50 fogli a stampa, il compenso tremila rubli.

Su consiglio degli amici Dostoevskij si rivolge ad una scuola di stenografia perché gli fornisca il nominativo di qualcuno che possa affiancarlo in questa titanica impresa a cui suo malgrado è costretto a sottoporsi.

La scelta della scuola ricade sulla loro migliore allieva; Anja, studentessa del primo anno, è una ragazza timida e molto preparata nonché grande appassionata di letteratura, passione trasmessale dal padre.

Anja vive da sola con la madre, il padre è morto ormai da molto tempo e la sorella, alla quale è molto legata, si è trasferita da anni in un'altra città con il marito e i figli.

Non sarà facile per Anja adattarsi al carattere burbero di Dostoevskij così come non sarà semplice per il famoso scrittore stravolgere completamente il proprio processo creativo, ma il loro rapporto crescerà e si rinforzerà giorno dopo giorno, sfociando in qualcosa di imprevisto e imprevedibile.

La storia d’amore nata in appena un mese tra la giovane Anna Grigor'evna Snitkina e il quasi cinquantenne Fëdor Michajlovič Dostoevskij  sarà destinata a fare molto scalpore a causa della scandalosa differenza d’età dei due protagonisti.

Il romanzo intitolato “Il giocatore” verrà pubblicato nel 1866.

I personaggi del romanzo sono molto numerosi, ma ognuno di loro è caratterizzato fin nei minimi particolari sia fisici che psicologici.

L’autore dimostra di essere un profondo conoscitore dell’animo umano regalandoci pagina dopo pagina un racconto dettagliato dei sentimenti, delle debolezze, delle paure e delle insicurezze che pervadono gli animi dei protagonisti della storia.

I dubbi e il senso di frustrazione che tormentano Fëdor Michajlovič sull’esito del romanzo e sui sentimenti di Anja così come il senso di smarrimento che coglie la giovane nel doversi confrontare con situazioni e sentimenti per lei mai affrontati prima sono delineati da Manfridi in modo coinvolgente e appassionante.

Tra i due è proprio Anja quella più determinata e tenace; è lei che, nonostante la giovane età, riesce a infondere coraggio a Fëdor Michajlovič, un uomo che, per sua stessa ammissione, è affetto da ipocondria spirituale e segnato profondamente dall’esperienza dei lavori forzati.

Nel romanzo viene evidenziata anche la profonda fede cristiana del maestro Dostoevskij che, membro devoto e praticante, ha permeato di questo suo amore per il Cristo tutta la sua opera.

Manfridi riesce ad evocare tutto ciò non solo attraverso le parole, ma anche attraverso l’immagine di quel Vangelo che il maestro consegna ad Anja non come un regalo bensì come un’epistola in continuo viaggio tra loro.

Contrariamente a quello che si potrebbe pensare però il racconto non manca di pagine carice di suspense, a quelle dedicate all’introspezione psicologica dei personaggi e alle schermaglie amorose tra i protagonisti, infatti, si alternano pagine in cui lo stato di attesa e di apprensione del lettore viene continuamente sollecito ad interrogarsi sull’evolversi delle situazioni e sull’esito delle stesse.

Nella storia raccontata da Giuseppe Manfridi ci sono alcune licenze che l’autore si è concesso, come egli stesso scrive nell’appendice posta al termine del volume, inesattezze e omissioni necessarie all’economia del romanzo, piccoli peccati veniali che il lettore è ben felice di perdonare visto il risultato.

“Anja, la segretaria di Dostoevskij” è un romanzo davvero interessante per trama e per stile di scrittura, uno di quei romanzi che non è facile trovare nello sconfinato panorama di pubblicazioni dei nostri giorni.

Il romanzo di Manfridi è un volume corposo (600 pagine), ma non dovete lasciarvi spaventare dalla mole perché la lettura è oltremodo scorrevole e fluida.

Sin dalle prime pagine ci si rende conto di avere tra le mani un’opera di straordinaria qualità e questa impressione resterà  inalterata fino all’ultima riga del romanzo.

Con un linguaggio forbito e raffinato, ma allo stesso tempo semplice e immediato, l’opera di Manfridi è letteratura con L maiuscola; un romanzo che ben figurerebbe tra i romanzi che hanno fatto la storia della letteratura e che oggi è così difficile incontrare sugli scaffali delle librerie dedicate al romanzo contemporaneo.

Grazie alla penna di Manfridi si torna finalmente a respirare l’aria dei grandi classici, quei meravigliosi romanzi che hanno saputo negli anni e nei secoli mantenere immutato il loro fascino.

 

 


sabato 14 novembre 2020

“Le rose di Cordova” di Adriana Assini

Nura, la schiava moresca di Juana I di Castiglia (1479-1555), terzogenita di Isabel e di Fernando, è l’io narrante di questo romanzo in cui racconta la propria vita e quella della sua padrona, due esistenze legate indissolubilmente dal loro destino.

Juana andò in sposa a Philippe di Borgogna, conosciuto anche come Philippe detto il Bello, da non confondersi con l’altro Filippo il Bello, il re di Francia che regnò dal 1285 al 1314.

Il bel fiammingo, figlio di Massimiliano I d’Asburgo, era all’epoca il principe più ammirato e desiderato da tutte le corti europee, ma per la principessa spagnola quello che ad un primo momento era sembrata la sua più grande fortuna, si rivelò ben presto per lei una terribile sciagura.

Philippe era un seduttore impenitente, un giovane scaltro e insolente che ben presto perse interesse per la giovane moglie e, nonostante i numerosi figli nati dal loro matrimonio, Juana si ritrovò fin da subito a dover fare i conti con le numerose amanti del marito che questi non si faceva alcuno scrupolo di esibire a corte.

Sfinita dai continui tradimenti e con il cuore a pezzi, Juana trascorse tutta la sua vita matrimoniale tra ripicche e scenate, nell’inutile tentativo di conquistare l’amore del consorte.

I suoi continui colpi di testa e gli sbalzi d’umore non fecero altro che favorire coloro che, non vedendo l’ora di appropriarsi del suo trono, non si fecero alcuno scrupolo nel dichiararla pazza per raggiungere i propri scopi.

Juana passerà alla storia come Giovanna la Pazza, la regina che non regnò neppure un giorno.

Per un triste gioco del destino infatti fu lei, terza in linea di successione, ad ereditare il regno di Castiglia e d’Aragona alla morte della madre Isabel, ma questo fatto invece di riabilitarla agli occhi del consorte non fece che far precipitare definitivamente la sua già triste e precaria situazione.

Suo padre Fernando e suo marito Philippe non persero tempo a dichiarare Juana una povera inferma per poterle strappare la corona, salvo poi battersi tra loro così spietatamente per il potere che ancor oggi resta il sospetto che Philippe morì avvelenato proprio per mano del suocero.

Quella di Juana fu vera pazzia oppure i suoi comportamenti furono dettati solo dalla frustrazione e dalle umiliazioni a cui fu continuamente sottoposta?

Juana venne ingannata e tradita da tutti coloro che amava di più e che per primi avrebbero dovuto proteggerla: suo padre, suo marito e persino il suo stesso figlio che non alzò un dito in sua difesa quando salì su quel trono che di fatto apparteneva alla madre.

Giovanna morì prigioniera tra le mura di quel castello dove suo padre l’aveva segregata tanti anni prima, morì sola e dimenticata da tutti, l’unica che rimase al suo fianco fino alla fine dei suoi giorni fu proprio Nura, la sua schiava.

Non è la prima volta che Adriana Assini dà voce nei suoi romanzi a straordinarie figure femminili del passato, vorrei qui ricordare un romanzo che ho amato moltissimo intitolato “Agnese, una Visconti”.

Ne “Le rose di Cordova” due sono le figure femminili protagoniste del romanzo, due donne di nobile stirpe la cui condizione è molto diversa, ma solo in apparenza.

Nura figlia di Aziz, primo ministro del sultano Boabdil il Piccolo, è solo una schiava mentre Juana sembra destinata a un fulgido destino, eppure, anche lei a suo modo è una schiava al pari della sua ancella. Usata da chi dovrebbe proteggerla, tradita e continuamente umiliata, non può dirsi più libera di Nura tanto che anche lei stessa finirà i suoi giorni rinchiusa in un castello-prigione.

Il rapporto che lega Nura alla sua padrona è un rapporto conflittuale, un rapporto fatto di amore e odio, come lei stessa non stenta a definirlo; più indecifrabile è invece il sentimento che lega Juana alla sua ancella.

Juana è una donna indisciplinata, ribelle e fiera che, per quanto spesso possa avere atteggiamenti indisponenti e spesso esasperanti, non si può non amare e provare empatia nei suoi confronti.

Adriana Assini ci regala in questo romanzo il ritratto di due figure femminili molto diverse tra loro, entrambe forti e determinate, innamorate dello stesso uomo, unite da un patto non scritto; due donne legate da sentimenti spesso conflittuali ma destinate a condividere per la vita la loro solitudine, a godere insieme dei raggi del sole e insieme a sfuggire la pioggia.

“Le rose di Cordova” è un racconto breve, sono appena duecento pagine, ma molto intenso; una storia tormentata quella di Juana I di Castiglia che Adriana Assini ha saputo raccontarci ancora una volta con la grazia e la sensibilità che da sempre contraddistinguono la sua scrittura.




 

lunedì 9 novembre 2020

“La danza del mulino” di Winston Graham

La guerra contro Napoleone continua ad infuriare sul continente, mentre a casa Poldark Ross e Demelza sono in attesa del loro quinto figlio.

La nuova miniera sembra destinata a non dare risultati in tempi brevi ma, trattandosi di una speculazione, c’è bisogno di tempo per avere certezze.

Jeremy, il figlio maggiore, sembra proprio non riuscire a dimenticare l’affascinante Cuby Trevanion, ma il fratello della giovane è sempre più intenzionato a trovarle un marito ricco in grado si saldare i debiti da lui contratti per la costruzione della pretenziosa dimora di famiglia oltre che ai numerosi debiti di gioco.

Mentre la piccola di casa Isabella-Rose cresce sempre più ribelle, Clowance accetta di sposare l’attraente e tenebroso Stephen Carrington.

La passione tra loro divampa ad ogni sguardo, ma sarà sufficiente la sola attrazione fisica per far fronte a tutte quelle differenze che sembrano ogni giorno scavare una voragine sempre più profonda tra loro?

George Warleggan, sempre più ai ferri corti con il figlio maggiore Valentine, un damerino vanesio e libertino, compie il grande passo convolando a nozze con Lady Harriet.

L’esser riuscito a sposare la figlia di un duca rende George, se possibile, ancora più altezzoso e determinato a consolidare la propria ascesa sociale, ma sul suo cammino ancora una volta incocerà il nome dei Poldark.

Ambientato nella Cornovaglia del 1812, il nono capitolo della saga dei Poldark consacra definitivamente le nuove generazioni, già protagoniste dell’ottavo romanzo, come principali personaggi della storia.

Valentine, il figlio di Ross ed Elizabeth, che tutti credono essere figlio di George, sembra aver ereditato il carattere licenzioso e lo spirito depravato del nonno paterno, inoltre, per uno strano gioco del destino, il suo cammino sembra ormai indirizzato a scontrarsi con quello del fratellastro/cugino Jeremy, quasi a voler replicare lo scontro che in passato aveva opposto suo padre Ross al cugino Francis per la conquista del cuore di sua madre Elizabeth.

Cuby Trevanion ricorda molto Elizabeth, come lei è bella e di nobile nascita; anche Elizabeth aveva seguito il volere della famiglia, aveva accettato di sposare Francis per il decoro e per il denaro invece di seguire il suo cuore e sposare Ross. Cuby sembra intenzionata a fare la stessa scelta, ma riuscirà a rimanere ferma nei suoi propositi fino alla fine?

Per ora non è dato saperlo, dovremo attendere i prossimi romanzi così come dovremo aspettare le prossime uscite per conoscere quali saranno le scelte definitive di Clowance, l’adorata figlia di Ross.

“La danza del mulino” è un romanzo scorrevole come tutti i romanzi nati dalla penna di Winston Graham, anch’esso si legge tutto d’un fiato e non risulta mai noioso tranne forse nelle poche pagine in cui l’autore si perde nei dettagliati tecnicismi relativi ai motori e alle caldaie, ma fa tutto parte dell’economia del racconto.

La differenza con gli altri romanzi nasce dal fatto che questo libro lo si potrebbe considerare un volume di passaggio, nella prima parte infatti non ci sono grandi sviluppi nella storia e il finale resta più aperto del solito presentando uno spiazzante colpo di scena.

“La danza del mulino” è più improntato alla descrizione dei personaggi, all’indagine della loro psicologia così da preparare il lettore a quello che accadrà dei prossimi libri. È forse il romanzo che più di tutti lascia il lettore con il fiato sospeso in attesa di conoscere gli eventi futuri.

Ancora una volta Winston Graham riesce a turbare il lettore regalandogli emozioni e coinvolgendolo nella storia, creando aspettative e mantenendo alta la tensione del racconto, rendendolo sempre partecipe della vita dei suoi personaggi siano essi vecchie o nuove conoscenze.

“La danza del mulino” è un romanzo che conferma, se mai ce ne fosse stato bisogno, la grande capacità narrativa del suo autore e ci lascia, ancora una volta, in trepidante attesa dell’uscita del prossimo romanzo.

Qui potete trovare i post dedicati agli atri volumi della saga di Poldark




sabato 7 novembre 2020

“Il profumo sa chi sei” di Cristina Caboni

Elena Rossini sembra essere finalmente una donna realizzata. Con la sua amica e socia Monique ha aperto una profumeria di tendenza a Parigi e le sue creazioni personalizzate sono richiestissime. Il suo rapporto con Cail, il suo compagno, è solido e anche se Bea, la bimba di Elena non è la figlia naturale di Cail, tra i due si è sviluppato un legame fortissimo.

Tutto sembrerebbe procedere per il meglio fino a  quando un giorno all’improvviso il profumo abbandona Elena.

Creare profumi era ciò che sin da bambina la rendeva felice e in pace con se stessa, perdere questa capacità la getta inevitabilmente nel panico.

A venire in suo soccorso sarà sua madre Susanna con la quale ha da poco recuperato il rapporto, ma con la quale ci sono purtroppo ancora troppe cose taciute del passato.

Ci sarà modo di fare chiarezza durante un viaggio che Elena accetterà di compiere con la madre, un viaggio che dal palazzo di famiglia a Firenze condurrà le due donne in Giappone, in India e in Arabia Saudita.

Un lungo percorso fatto di ricordi e di segreti svelati, un percorso alla ricerca di se stessa e alla ricerca di quella complicità con la madre persa quando Elena era appena una bambina e Susanna aveva scelto di affidarla a sua madre anziché tenerla con sé, convinta che questa sarebbe stata la soluzione migliore per sua figlia.

“Il profumo sa chi sei” è il seguito di “Il sentiero dei profumi”. In realtà questo secondo romanzo si potrebbe leggere tranquillamente senza aver letto il primo, ma il mio consiglio è quello di recuperare il primo volume, non tanto perché ne risentirebbe la lettura, quanto piuttosto perché è davvero una storia emozionante che merita di essere letta nella sua completezza.

Per chi come me ha amato molto “Il sentiero dei profumi” è stato oltremodo piacevole scoprire che Cristina Caboni abbia deciso di regalare un seguito ai suoi lettori; è stato emozionante poter ritrovare i protagonisti di quel suo primo romanzo le cui storie tanto ci avevano appassionati.

Questo secondo libro consacra definitivamente l’amore che lega Elena e Cail, cancellando tra i due ogni tipo di incomprensione.

Elena però per vivere serenamente il suo rapporto con Cail ha bisogno di fare prima chiarezza in se stessa e recuperare totalmente anche il rapporto con la madre.

Solo se siamo in pace con noi stessi possiamo aprirci agli altri e vivere pienamente la nostra vita dando voce ai nostri sentimenti senza nasconderci.

Troppo spesso, infatti, ciò che desideriamo non è quello che vogliamo veramente, ma semplicemente la proiezione di un’ipotetica soluzione ideale. Troppo spesso riteniamo che siano state le azioni degli altri a pregiudicare le nostre scelte quando in realtà siamo stati noi stessi a costruire le nostre prigioni.

“Il profumo sa chi sei” è il romanzo di Elena, ma anche il romanzo di Susanna, anche lei come la figlia dovrà fare i conti con il suo passato, perdonarsi e perdonare, per poter lasciarsi tutti gli errori e i rimorsi alle spalle e guardare finalmente con serenità e speranza al futuro.

Cristina Caboni ci conduce con questo suo nuovo romanzo in un emozionate viaggio fatto di magia e sentimenti attraverso luoghi affascinanti e misteriosi, dal centro di Firenze partiamo per luoghi magici ed esotici, la fioritura degli Iris sulle colline di Firenze lascia il posto nella nostra immaginazione alla fioritura dei ciliegi in Giappone, agli incensi indiani, alle coltivazioni di rose di Ta’if in Arabia, sembra di poterli vedere quei luoghi e quei colori, sembra di riuscire a sentirli quei profumi.

Segreti di famiglia e luoghi colmi di fascino sono gli ingredienti di questo nuovo romanzo di Cristina Caboni che, ancora una volta, riesce ad affascinarci con le sue storie uniche e intense come unici e intensi sono i sentimenti e le emozioni che emergono come sempre da ogni sua pagina.

 




domenica 1 novembre 2020

“Il destino di una regina” di Allison Pataki

È il 1860, l’ottantatreenne regina vedova, la regina madre di Oscar I di Svezia, può concedersi finalmente di essere se stessa, guardarsi indietro e ripensare ormai con assoluta serenità agli anni burrascosi della sua lunga e movimentata vita.

La regina madre Desideria può lasciarsi andare ai ricordi, rivivere con la mente quei giorni in cui la bellissima sedicenne Désirée Clary fece innamorare quel piccolo corso che, qualche anno più tardi, sarebbe diventato imperatore di Francia e avrebbe fatto tremare tutta l’Europa, Napoleone Bonaparte.

Erano gli anni del Terrore in Francia quando Désirée, terzogenita di una famiglia borghese molto agiata, conobbe Napoleone di Bonaparte.

Quello che tutti conoscevano come il generale ragazzino era solo all’inizio della sua carriera, ma già più che determinato a lasciare traccia di sé nella storia della Francia e non solo.

Mentre la sorella di Désirée sposa Giuseppe, il fratello di Napoleone, Désirée si fidanza con quest’ultimo divenendone l’amante.

Partito per Parigi però Napoleone dimentica ben presto questo suo amore giovanile in favore di colei che diventerà la sua prima moglie, la bellissima e affascinante Giuseppina Beauharnais.

A Désirée non resterà quindi che adattarsi alla nuova situazione per non soccombere sotto il peso dell’umiliazione e dell’amore tradito, tentando di volgere a proprio favore quanto più possibile la situazione e piegare gli eventi nella direzione a lei più vantaggiosa.

Napoleone resterà una presenza costante nella sua vita, cercherà sempre di influenzare le sue scelte, ma lei saprà giocare le sue carte e, rivelando spesso un’astuzia non comune, riuscirà a ritagliarsi il suo posto nel mondo, a sposarsi per amore e diventare regina di Svezia, lei, una semplice esponente della haute bourgeoisie, riuscirà un giorno a sedere su uno dei troni più antichi d’Europa.

La figura di Désirée Clary è una figura non molto nota della storia; eppure, la sua vita si è svolta accanto a quella di celebri figure quali quelle di Napoleone, di Giuseppina Beauharnais  e del maresciallo di Francia Jean-Baptiste Jules Bernadotte senza dimenticare inoltre che i suoi stessi discendenti siedono ancora oggi sul trono di Svezia oltre che su quelli di molti altri paesi.

Il libro di Allison Pataki ci regala l’immagine di una donna straordinaria che seppe sopravvive con grazia e con fermezza durante quei pericolosi anni che, dal periodo del Terrore fino alla morte di Napoleone Bonaparte, resero la Francia un ambiente infido e rischioso nel quale muoversi.

“Il destino di una regina” non è solo il romanzo di Désirée Clary, Désirée Bernadotte o Desideria, regina di Svezia, ma è anche il romanzo di un’epoca e dei suoi protagonisti, è il romanzo dell’amore di Giuseppina e di Napoleone, il romanzo della gloria di Napoleone, il romanzo della Francia napoleonica.

Estremamente ben caratterizzato è il personaggio di Giuseppina Beauharnais che, donna forte e resiliente, riesce a tenere legato a sé Napoleone nonostante i tradimenti e le numerose amanti, nonostante le guerre e le battaglie e nonostante l’avversione della famiglia Bonaparte nei suoi confronti.

Giuseppina è completamente diversa da Désirée, tanto sensuale e ammaliatrice l’una, quanto controllata e misurata l’altra, ma entrambe accumunate dalla risolutezza e dalla determinazione a non lasciarsi sopraffare dagli eventi, sempre pronte ad ingoiare la propria infelicità pur di non compromettere ulteriormente le situazioni a loro sfavorevoli.

In questo mondo di donne coraggiose e ferme nei loro intenti è proprio la figura di Napoleone quella ad uscirne più sminuita.

Lui così temerario, egocentrico e insensibile, amante della teatralità e incurante di ferire i sentimenti altrui, lui dotato di un talento tanto smisurato da poter gareggiare solo con la sua altrettanto immensa ambizione, non è uomo in grado di provare alcuna empatia, che sia per i suoi soldati abbandonati nel gelo della Russia oppure per le sue donne abbandonate per soddisfare le proprie passioni o per smania di grandezza.

Napoleone morirà solo e sconfitto, forse soffocato dai rimpianti, ma certamente non sopraffatto dai rimorsi.

“Il destino di una regina” di Allison Pataki è un romanzo storico scorrevole, minuzioso nel descrivere i dettagli dei costumi dell’epoca, un romanzo affascinante come la sua protagonista e travagliato come gli anni in cui visse.