sabato 24 ottobre 2020

“Le sette dinastie” – “La corona del potere” di Matteo Strukul

12 ottobre 1427, battaglia di MaclodioL’esercito visconteo capitanato da Carlo Malatesta viene sconfitto dall’esercito della lega anti-viscontea capitanato dal Carmagnola, al soldo della Repubblica di Venezia.

Inizia qui il racconto del Rinascimento italiano nato dalla penna di Matteo Strukul, una trilogia che si concluderà con il racconto del sacco di Roma avvenuto nel 1527.

“Le sette dinastie”, primo volume della saga, ci racconta delle città (Milano, Venezia, Roma, Firenze, Ferrara, Napoli) che dominano la scena italiana partendo dal 1427 fino a pochi anni prima della morte di Lorenzo il Magnifico e della scoperta dell’America.

Le figure che occupano la scena in questo primo romanzo sono soprattutto la potente famiglia Condulmer di Venezia che ha stretti legami con Roma, avendo avuto un papa in famiglia e muovendosi ora per poter insediare un altro famigliare sul soglio pontificio alla morte di Martino V, e i Visconti di Milano.

Filippo Maria Visconti non ha eredi maschi, non ha avuto figli né dalla prima moglie Beatrice di Toledo né dalla seconda Maria di Savoia.

Solo Agnese del Maino, la sua storica amante, è riuscita a renderlo padre di una bellissima e intelligente figlia, Bianca Maria, e a lei Filippo Maria vuole garantire il ducato.

Bianca Maria sposerà l’abile condottiero Francesco Sforza consegnando così se stessa e il ducato di Milano nelle mani della famiglia Sforza.


“La corona del potere”
inizia il racconto dal 1488, pochi anni prima della morte del Magnifico, morte della quale non viene dato alcun dettaglio.

È un volume dedicato per la maggior parte alla famiglia Borgia: papa Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borgia, e ai suoi figli in particolar modo all’affascinate Lucrezia e al temuto Duca Valentino, Cesare Borgia.

Come per il primo volume non sono solo le figure di condottieri e politici a dominare la scena, ma bellissime ad esempio in questo secondo volume sono le pagine dedicate alla figura di Leonardo Da Vinci, alla sua pittura e ai suoi studi.

“La corona del potere” si conclude con le morti di Cesare Borgia e di Ludovico il Moro, due figure carismatiche e importanti che avevano a lungo dominato la scena politica e non solo.

Un progetto complesso ed ambizioso questo di Strukul dedicato al Rinascimento italiano, non è facile infatti riunire un periodo tanto complesso e che vede sulla scena così tanti personaggi in pochi volumi, per quanto ognuno di questi due primi libri conti più di 500 pagine ciascuno.

Il rischio è quello già corso da Burckhard nel suo “La civiltà del Rinascimento in Italia”, saggio al quale lo stesso Strukul ha dichiarato di essersi ispirato, ovvero di tralasciare alcune cose o al contrario di soffermarsi troppo su altre.

Il Rinascimento fu un periodo ricco di arte e letteratura, filosofia e studi scientifici, ma fu anche un periodo politicamente insidioso e in perenne stato di guerra.

L’Italia era un paese fatto di tanti piccoli stati, regni, repubbliche, ducati incapaci di trovare un punto di unione, un paese dove le informazioni erano la fonte di potere più efficace, un paese di traditori e disonesti dove la parola data veniva il più delle volte disattesa.

Matteo Strukul ci narra questo mondo in modo minuzioso senza tralasciare nulla, ci racconta in modo perfetto le battaglie, tanto che sembra di partecipare agli scontri sul campo in prima persona, ci racconta dell’arte, le pagine dedicate al Cenacolo di Leonardo e ai tarocchi commissionati da Agnese del Maino per Filippo Maria  Visconti ne sono un esempio su tutti, delle città e delle loro fortificazioni, delle chiese e dei palazzi, ma soprattutto riesce a ricreare l’atmosfera di quel mondo facendoci incontrare i suoi protagonisti.

Matteo Strukul non dedica molto spazio alla famiglia Medici, a loro del resto aveva già dedicato i volumi di un’intera saga, ma da queste pagine si evince il suo forte interesse per il ducato di Milano, per i Visconti e per gli Sforza e tale inclinazione risulta evidente nelle bellissime caratterizzazioni di personaggi quali Filippo Maria Visconti, Ludovico il Moro e Caterina Sforza.

Altri personaggi indimenticabili del secondo volume sono Lucrezia Borgia e Cesare Borgia del quale dà una descrizione straordinaria

Cesare Borgia, l’uomo che fu tutto e fu niente, fu notte e giorno, croce e spada, ma mai, mai gli riuscì d’essere chi davvero voleva.

Non posso affermare che siano romanzi sempre scorrevoli, a volte il ritmo rallenta e ho avvertito a tratti alcune difficoltà, non dovute di certo alla scrittura quanto piuttosto dall’insieme del racconto che presenta indubbiamente una trama davvero complessa.

Matteo Strukul però ha dimostrato di saper condurre per mano il lettore anche nei passaggi più difficili e il risultato è una saga assolutamente avvincente come il periodo storico a cui si riferisce.

Non si può correre leggendo queste pagine, bisogna avere la pazienza di aspettare per capire e comprendere le implicazioni che ogni singolo evento, ogni singola parola comporta nel quadro storico, solo così è possibile riuscire ad entrare appieno in quel mondo tanto spietato e allo stesso tempo così affascinante che è stato il Rinascimento italiano.

 

domenica 11 ottobre 2020

Firenze in bianco e nero

Non è facile muoversi in questo momento tanto più se, come me, ci si deve spostare in treno. 
I contagi stanno sensibilmente aumentando e ovviamente con loro crescono anche l'ansia e la paura di viaggiare.

A volte però bisogna anche trovare il coraggio di non farsi sopraffare dalle situazioni negative e così alla fine mi sono lasciata convincere dalla mia amica a trascorrere un giorno a Firenze.


Ponte Vecchio


Inutile dire che, nonostante la pioggia pomeridiana, il continuo doversi districare tra gel igienizzanti, mascherine e distanziamento sociale, la giornata di ieri è trascorsa comunque  troppo velocemente.

Influenzata dalla particolare situazione che tutti noi stiamo vivendo ormai da mesi oltre che dalla stagione autunnale ho deciso di optare questa volta per delle foto in bianco e nero.


Basilica di San Lorenzo


Via Ricasoli 


Dopo aver fatto come sempre colazione seduta nel dehors vista Duomo del Caffè Scudieri, mai rinunciare alle sue squisite brioches! ci siamo dirette verso la Galleria dell'Accademia con la speranza di non trovare troppa coda all'ingresso.
Siamo state fortunate perché siamo riuscite a fare subito i biglietti ed entrare senza alcuna attesa.


Il David di Michelangelo

All'interno l'opera più affascinante è senza dubbio il David di Michelangelo, ma sono rimasta molto colpita anche dalla gipsoteca Bartolini.


Gipsoteca Bartolini

Purtroppo non erano accessibili la Sala degli Strumenti Musicali a causa dell'emergenza covid e la Sala del Colosso a causa di interventi di consolidamento e restauro.

C'è stato però il tempo per tornare nella Chiesa di Santa Trinita e rivedere la Cappella Sassetti, celebre opera del Ghirlandaio, dove sulla destra in alto è possibile ammirare anche l'immagine di Lorenzo il Magnifico a fianco del committente Francesco Sassetti.


Ponte Santa Trinita


Ovviamente poi non si può andare a Firenze senza fare quattro passi in Piazza della Signoria e salire nella Loggia dei Lanzi.


Loggia dei Lanzi - Ratto delle Sabine (Giambologna)



Ercole e Caco (Baccio Bandinelli)



La fontana del Nettuno (Bartolomeo Ammannati)



Con la statua del Nettuno da tutti conosciuta anche come la statua del Biancone, salutiamo Firenze sperando di poterla rivedere prestissimo!




sabato 3 ottobre 2020

“Le quattro piume” di Alfred E.W. Mason

Harry, unico figlio del generale Feversham, è l’ultimo discendente di una famiglia i cui membri fin dalla prima generazione hanno abbracciato la carriera militare.

Il destino del giovane è stato scritto il giorno della sua nascita: arruolarsi e seguire le orme paterne è la sua unica opzione. 

Rimasto orfano della madre da piccolo, Harry è cresciuto nel timore di non essere all’altezza delle aspettative paterne, ma nonostante le sue diverse inclinazioni e le sue paure, non si tira indietro dinanzi alle sue responsabilità e entra tra le fila dell’esercito di Sua Maestà.

Purtroppo per Harry il luogotenente Sutch, l’unico ad aver intuito la sua solitudine e la sua sofferenza quando lui era poco più che un adolescente, non aveva trovato il coraggio di provare a scardinare la sua reticenza a esternare il proprio malessere.

Siamo nel 1882, Harry ha ventisette anni e sta per sposare una ragazza irlandese; proprio la sera in cui sta comunicando la lieta notizia agli amici, il giovane riceve un telegramma in cui gli si notifica l’imminente partenza per una campagna militare che lo porterà a combattere in prima linea in Egitto e in Sudan.

Harry decide di dimettersi dall’esercito; le imminenti nozze e la poca propensione della futura sposa a lasciare il suo amato Donegal potrebbero essere motivazioni più che sufficienti a giustificare la sua scelta, ma Harry sa che dietro il proprio gesto c’è molto più di questo.

Il giorno del fidanzamento Harry riceve dai suoi compagni tre piume bianche, simbolo della sua codardia, a queste la sua fidanzata Ethne Eustace, sconvolta per l’accaduto, ne aggiunge una quarta strappandola dal proprio ventaglio.

Harry ha ormai perso tutto: l’onore, l’amore della sua donna e l’affetto del padre.

Gli resta solo un modo per provare a riabilitarsi dinnanzi agli occhi della gente, ma soprattutto davanti agli occhi di Ethne, partire per l’Africa e lì attendere un’occasione per riscattare il proprio onore.

Da questo romanzo sono state tratte diverse trasposizioni cinematografiche; ricordo quella del 2002 che, nonostante l’ottimo cast, non mi aveva entusiasmato per niente. Proprio per questo motivo sono stata a lungo in dubbio se leggere o meno il libro.

Si dice spesso che i film non sono quasi  mail all’altezza del romanzo, credo che mai come in questo caso si possa essere d'accordo con tale affermazione.

“Le quattro piume” è un romanzo d’avventura e d’amore, ma è anche sopratutto un romanzo psicologico. Ciò che lo rende particolarmente interessante infatti sono i personaggi stessi e l’indagine approfondita della loro psicologia da parte dell’autore, il loro modo di saper reagire ai cambiamenti così come, per alcuni di loro, l’incapacità di saper contrastare gli eventi restando ostinatamente fermi sulle proprie posizioni.

Terminata la lettura del romanzo ho deciso di rivedere il film per rendermi conto del perché il mio giudizio fosse stato così negativo; ebbene, al di là di molti episodi completamente distorti, quello che davvero manca al film è l’introspezione psicologica, i personaggi del film sono piatti, privi di emozioni e incapaci di trasmetterne.

I personaggi del romanzo al contrario riescono a coinvolgere emotivamente il lettore e questo non vale solo per il protagonista Harry, ma anche per tutti gli altri, in particolar modo per Ethne e il colonnello Durrance.

Quando Harry rassegna le sue dimissioni e riceve le famose quattro piume non cambia solo il corso della propria storia, ma anche la vita di coloro che gli sono vicini.

Ethne è il personaggio che meno ho amato del libro anche se pagina dopo pagina ho dovuto addolcire il mio giudizio nei suoi confronti. Non è facile da accettare che proprio colei che ama Harry e sta per legarsi a lui per la vita lo ferisca aggiungendo addirittura il carico della quarta piuma. Lei, più di tutti, avrebbe dovuto cercare di comprenderlo e invece lo condanna crudelmente preoccupata di quello che potrebbe pensare la gente, rivelando così di essere proprio lei la vera codarda della coppia.

Harry trarrà forza dal dolore e dalla delusione inferti involontariamente a Ethne per cercare il proprio riscatto e mai, neppure per un secondo, la incolperà di qualche mancanza nei suoi confronti.

La paura di Harry ha origine dalla sua immaginazione; è sempre stato solo e il padre lo ha cresciuto usando il pugno di ferro, non ha mai potuto confidarsi con nessuno. Il suo timore nasce dalla paura di potersi comportare da codardo, non nasce assolutamente dalla mancanza di coraggio tanto è vero che saprà dimostrare grandemente a tutti il proprio valore.

Il suo però non potrà mai essere il valore cieco e indottrinato proprio del soldato perché la sua capacità immaginifica lo porterà sempre a prevedere gli eventi e sono proprio queste possibilità future a intimorire Harry. Tutto ciò non ne fa necessariamente un codardo anzi, proprio nel momento del pericolo, egli è in grado di dare il meglio di sé e superare di gran lunga gli altri per valore e temerarietà nell’azione.

Altro personaggio che non si può non amare è l’amico di Harry, Jack Durrance; l’empatia nei suoi confronti cresce inevitabilmente pagina dopo pagina.

La sua posizione non è facile fin dall’inizio quando, innamorato della donna che sta per diventare la moglie del suo migliore amico, quella donna che lui stesso gli ha presentato, accetta di farsi da parte in silenzio, senza scalpore, senza lasciare trapelare nulla dei propri sentimenti feriti.

Durrance trae ispirazione dalla musica e come la vera musica egli non si lamenta. L’ouverture della Melusina è la colonna sonora del romanzo, la musica del violino di Ethne è sempre sincera e rivelatrice dei suoi stati d’animo; per un attento uditore come Durrance non possono esserci fraintendimenti nell’interpretare, attraverso il suono del violino, i veri sentimenti di Ethne tranne in rari casi in cui l’uomo viene sopraffatto da false speranze.

Non posso davvero rivelarvi di più sul personaggio di Jack Durrance per non rovinarvi la lettura del romanzo, ma vi assicuro che egli è il protagonista indiscusso di meravigliose pagine cariche di tensione emotiva laddove ingaggia con Ethne una vivace e acuta battaglia psicologica fatta di schermaglie ricche di arguzia e non comune ingegno.

Afred E.W. Mason fu un politico e un militare dalla vita avventurosa e questo indubbiamente lo ha facilitato nella stesura delle pagine dedicate alle azioni di guerra che sono scritte con cognizione di causa, ma è soprattutto nella caratterizzazione dei personaggi che egli ha saputo dare il meglio di sé.

Egli ha dimostrato di essere un notevole esperto di psicologia ed è facile sovrapporre la sua figura di scrittore a quella di uno dei personaggi, il luogotenente Sutch, descritto come un appassionato dello studio della natura umana e dotato di grande spirito di osservazione.

Sono grata a Scrittura & Scritture per aver riproposto a distanza di cinquant’anni dalla sua ultima pubblicazione “Le quattro piume”; il libro di Afred E.W. Mason è un classico da non perdere, una storia affascinante che merita di essere letta e non conosciuta solo attraverso le trasposizioni cinematografiche che, per quanto fedeli possano essere,  non saranno mai in grado di rendere giustizia alla profonda psicologia dei personaggi nati dalla penna dello scrittore. 

Un’ultima parola voglio spenderla per l'impeccabile qualità della veste grafica sempre molto accurata dei libri editi da questa casa editrice che, anche in questo particolare caso, risulta essere oltremodo elegante, accattivante e azzeccata.




sabato 26 settembre 2020

“Odissea” di Omero (traduzione di Dora Marinari)

Dopo l’Iliade di cui vi ho parlato il mese scorso, vorrei oggi parlarvi dell’altro poema omerico, l’Odissea, sempre edito da La Lepre Edizioni e tradotto da Dora Marinari, commento a cura di Giulia Capo.

La traduzione classica o comunque più conosciuta dell’Odissea è senza dubbio quella di Ippolito Pindemonte. A differenza della traduzione dell’Iliade ad opera del suo contemporaneo Vincenzo Monti, quella dell’Odissea del Pindemonte ha una sonorità molto differente per quanto anch’essa sia ricca di echi settecenteschi.

La differenza però non è tanto da imputare al diverso spirito con il quale i due traduttori si sono accostati ai testi omerici, quanto piuttosto al diverso linguaggio proprio dei due poemi stessi. Pur riscontrando nell’Odissea patronimici ed epiteti già incontrati nell’Iliade, quali per esempio ῥοδοδάκτυλος Ἠώς (l’Aurora dalle dita di rosa) oppure Menelao definito βοὴν ἀγαθός (potente nel grido), il linguaggio dell’Odissea è meno solenne rispetto a quello dell’Iliade.

Se l’Iliade infatti era il poema che raccontava dell’ira di Achille, della contesa delle armi e della ricerca della gloria, l’Odissea è invece il poema che canta l’uomoRaccontami, Musa, di quell’uomo ricco d’ingegno” e proprio per questo il linguaggio di Omero si fa più semplice e nulla, o poco, ha in comune con quello eroico e celebrativo proprio dell’Iliade.

Giulio Nascimbeni in una sua introduzione ai poemi Omerici affermava, attingendo ai propri ricordi di studente, che a scuola quelli più timidi erano soliti parteggiare per Ettore ed Enea, mentre quelli più sicuri di sé e un po’ rissosi prediligevano Achille e Aiace.

Per quanto riguardava invece la figura di Ulisse, sempre in bilico tra astuzia e nostalgia, la sua era una figura troppo complicata e ambigua per poter essere apprezzata da degli adolescenti.

Non saprei dirvi se questo pensiero mi trovi più o meno d’accordo, da parte mia posso dire che rileggendo l’Iliade ho rivalutato moltissimo il personaggio di Achille e questo proprio grazie alla traduzione di Dora Marinari che mi ha portato a considerare particolari e sfumature che mi erano sfuggiti quando in precedenza mi ero affidata alla traduzione del Monti; a questa mia rivalutazione della figura di Achille ha senza dubbio contribuito molto anche il coinvolgente e dettagliato commento di Giulia Capo.

Ulisse, lo ammetto, non è mai stato uno dei miei personaggi preferiti e questo, purtroppo, ha influito negativamente per anni anche sul mio giudizio dell’Odissea. La traduzione di Dora Marinari non ha potuto compiere il miracolo di rendermi simpaticissimo Ulisse, ma è riuscita comunque a farmi comprendere meglio il suo personaggio e soprattutto a farmi riconciliare con il poema.

L’Odissea non è solo il racconto del nostos (νόστος) di Ulisse, ma le tematiche affrontate da Omero in questo suo poema sono molteplici; la fluidità della traduzione di Dora Marinari riesce a evidenziarle tutte in modo semplice e naturale.

Il mondo degli eroi della guerra di Troia non era un mondo di signorotti feudali, ma l’immaginazione del lettore potrebbe essere ingannata in tal senso dalle traduzioni sette/ottocentesche. 

La traduzione di Dora Marinari invece riporta dinnanzi ai nostri occhi quella realtà arcaica costituita da popoli dediti all’agricoltura, all’allevamento e alla navigazione. Lo stesso Ulisse era un re di una terra petrosa, possedeva greggi e armenti, e in quel tempo per il possesso di quelle medesime mandrie potevano scoppiare cruente e sanguinose guerre.

Il mondo dell’Odissea è un mondo popolato non solo da re, principi ed eroi, ma anche da servi e ancelle.

L’Odissea è il poema delle donne, molte e diverse tra loro sono infatti le figuri femminili che vi appaiono: Elena, Penelope, Circe, Calipso, Nausica.

Grazie alla traduzione di Dora Marinari ho riscoperto il piacere della lettura di alcune pagine dell’Odissea che sanno regalare immagini particolarmente struggenti come quelle in cui Ulisse ritrova il vecchio padre Laerte dedito a coltivare i propri campi e lui, per farsi riconoscere dal genitore, gli elenca tutti quegli alberi che un giorno, tanto tempo prima, il padre gli aveva donato o altre pagine di straordinaria intensità come quelle in cui Ulisse visita l’Ade e incontra le anime dei morti dopo aver lasciato la casa della maga Circe.

Lo scopo di Dora Marinari, come da lei stessa sottolineato, era quello di riuscire a realizzare una traduzione il più fedele possibile al testo greco, ma che allo stesso tempo mantenesse un linguaggio corrente, d’uso comune, così da essere compreso dal vasto pubblico e non solo da coloro in possesso di una formazione classica.

Direi che è riuscita perfettamente nel suo intento, le sue traduzioni dell’Iliade e dell’Odissea parlano un linguaggio moderno e antico allo stesso tempo, restando fedeli alla tradizione dei poemi omerici nati per essere trasmessi oralmente.

Ciò che mi ha colpito di più, leggendo i poemi in questa nuova versione, è quella sorta di pace che si impossessa del lettore il quale fin da subito si trova immerso nel ritmo lento e rilassato nella narrazione, ammaliato da un dolce canto che gli infonde serenità seppure gli episodi narrati siano spesso aspri e violenti; sembra davvero di entrare in un’altra dimensione, in un altro mondo e questa sensazione perdura per ogni singolo libro di entrambi i poemi senza mai abbandonare il lettore.

Nonostante lo scetticismo iniziale che avevo raccontato di aver provato prima di avvicinarmi a queste traduzioni, scetticismo che era comunque già stato spazzato via dopo la lettura delle prime pagine dell’Iliade, dopo aver letto entrambi i poemi non posso che ammettere di essere stata letteralmente conquistata da questi volumi editi da La Lepre Edizioni.




Vi ricordo qui il link relativo al post dedicato all’Iliade 

venerdì 18 settembre 2020

“Le nemiche” di Carla Maria Russo

Anno 1501, dopo lunghe ed estenuanti trattative, papa Alessandro VI  riesce ad accordarsi con Ercole d’Este.

Grazie ad una cospicua dote di ben 300.000 ducati, sua figlia Lucrezia Borgia, nata dalla sua lunga relazione con Vannozza Cattanei, una tenutaria di bordello come la definirà Isabella d'Este, potrà sposare in terze nozze il primogenito di Ercole d’Este, Alfonso d’Este.

La tanto discussa Lucrezia, una donna dalla dubbia moralità, figlia di un papa aborrito da tutti e sorella di Cesare Borgia, uomo corrotto, arrivista e violento come tutti i suoi familiari, diverrà quindi, alla morte del duca Ercole d’Este, la nuova duchessa di Ferrara prendendo il posto della defunta e compianta Eleonora d’Aragona.

Nel frattempo è destinata a spodestare dal ruolo di duchessa in pectore Isabella, la figlia prediletta di Ercole d’Este, che tale ruolo aveva assunto subito dopo la morte della madre Eleonora.

Isabella d’Este Gonzaga, marchesa di Mantova e moglie di Francesco II Gonzaga, è molto preoccupata che l’entrata in scena di Lucrezia le faccia perdere anche quel titolo di primadonna d’Italia, di arbiter elegantiarum, a lei unanimemente riconosciuto e al quale tiene moltissimo.   

La ventisettenne Isabella e la poco più che ventenne Lucrezia sono due figure dalle qualità non comuni, ma anche troppo diverse tra loro per poter andare d'accordo; è quindi chiara fin da subito l'inevitabilità di un acceso scontro tra le due donne.

La raffinata, orgogliosa e nobile Isabella fin dall’inizio dimostrerà di non aver alcuna intenzione di lasciarsi schiacciare da una donna arrivista, viziata e sensuale quale è da tutti considerata sua cognata Lucrezia.

Isabella è abituata a dominare la scena non solo sociale, ma anche politica di Mantova; quando il marito non è presente tocca a lei sostituirlo, ma in verità anche quando Francesco è a Mantova è sempre lei che si fa carico di indicargli quale sia la rotta politica migliore da seguire.

Isabella è da tutti riconosciuta come la regina indiscussa dell’arte del governo, della diplomazia oltre che del gusto della cultura e della moda.

Lucrezia, da parte sua, capirà fin dall’inizio che il matrimonio da lei tanto auspicato, quel matrimonio che desiderava perché l’avrebbe affrancata per sempre dall’autorità che il padre e il fratello esercitavano prepotentemente su di lei trattandola come una semplice pedina nei loro giochi di potere, non si rivelerà la fonte di pace nella quale aveva sperato.

La famiglia del marito non la accetterà mai, si limiterà semplicemente a tollerarla per la cospicua dote portata nella casse estensi, ma non smetterà mai di rinfacciarle le sue dubbie origini e i crimini dei suoi parenti.

La giovane Borgia non può vantare né la vasta cultura né la conoscenza dell’arte del governo che contraddistinguono la sua rivale Isabella, ma a suo favore giocano una straordinaria bellezza e un disarmante fascino, inoltre, cosa da non sottovalutare, Lucrezia è cresciuta nella Roma dei papi affiancata da figure del calibro di Cesare Borgia e di Alessandro VI per cui è ben consapevole delle proprie capacità.  Sempre pronta a dare battaglia, non si farà piegare facilmente dai suoi nemici né si fare abbattere dalle avversità.

Più che mai decisa a ritagliarsi il suo posto nel mondo e a conquistarsi un suo angolino di libertà non si tirerà indietro di fronte a nulla e non esiterà a colpire anche la scaltra Isabella là dove la sua avversaria è più vulnerabile ossia nei suoi affetti.

Attorno alle due donne, protagoniste indiscusse del romanzo, ruotano molti altri personaggi che non possono certamente definirsi minori in quanto anch’essi sono di elevata caratura.

Così, se all’inizio percepiamo tutta la tensione tra l’avido Ercole d’Este e l’ambizioso Alessandro VI, pagina dopo pagina facciamo la conoscenza con gli altri personaggi della famiglia.

Alfonso I, futuro duca di Ferrara, è un uomo capace con le armi, ma troppo poco accorto nelle questioni di stato, si lascia conquistare dalla bellezza della moglie, ma non per questo rinuncia ai piaceri della carne e della caccia.

Alfonso in realtà è costantemente ricattato del fratello, il cardinale Ippolito d’Este, un uomo malvagio, prepotente e corrotto che nulla ha da invidiare in quanto a nefandezze al tanto vituperato duca Valentino; di fatto è proprio Ippolito colui che nell’ombra governa il ducato.

Abbiamo poi gli altri tre fratelli d'Este: il più piccolo, Sigismondo, è una figura piuttosto marginale, un ragazzo servizievole e gentile con tutti;  il secondogenito, Ferrante, al quale sarebbe toccato il ruolo di cardinale, ma gli è stato preferito dal padre il terzogenito Ippolito in quanto più lungimirante e scaltro, è un tipo rancoroso e inconsistente e, infine, c'è il bellissimo Giulio, il figlio illegittimo, nato dalla  relazione del duca Ercole con una delle dame di compagnia della moglie Eleonora d’Aragona.

Sebbene Giulio e  Ferrante siano entrambi considerati dei damerini troppo concentrati sul loro guardaroba e sulle loro conquiste femminili per poter dare pensiero agli altri fratelli in merito ad eventuali congiure che potrebbero ordire ai loro danni, Giulio in realtà si rivelerà essere un uomo fiero ed orgoglioso, non così sottomesso e facile da piegare come si è portati a pensare in un primo momento.

Carla Maria Russo, della quale poco tempo fa avevo letto un altro splendido romanzo intitolato “Il cavaliere del giglio” ha una capacità straordinaria nel saper raccontare non solo la storia e i personaggi che la animano, ma anche nel saper dipingere un affresco quanto mai realistico dei luoghi in cui si svolgono i fatti.

Pagina dopo pagina, sembra davvero di aggirarsi in prima persona in quella corte nella quale si muovo amanti, spie, giovani affascinanti e uomini spietati, sembra di poterli toccare quei preziosi tessuti di cui sono fatti quegli straordinari abiti emblema essi stessi del potere di chi li indossa, di poter intravvedere il luccichio di quegli splendidi gioielli di Lucrezia Borgia e di poter ammirare le bellissime opere d’arte, il grande vanto della marchesa Isabella d’Este.

“Le nemiche” è un romanzo storico dalla lettura scorrevole e piacevole che racconta in modo appassionante e coinvolgente quel mondo rinascimentale fatto di intrighi e complotti, ma anche terribilmente affascinante e seducente come i suoi protagonisti.

Alle figure di Lucrezia e di Isabella è dedicato anche un saggio di Alessandra Necci, edito da Feltrinelli, intitolato “Isabella e Lucrezia, le due cognate” che a questo punto sarei piuttosto curiosa di leggere e credo quindi che provvederò ad aggiungerlo alla mia, ahimè, già lunghissima wishlist.

 


domenica 13 settembre 2020

“Il mare senza stelle” di Erin Morgenstern

Il quasi venticinquenne Zachary Ezra Rawlins è uno studente della facoltà di Nuovi media, frequenta il secondo anno di laurea specialistica e la sua materia di studio sono i videogiochi.

È un ragazzo schivo, nella sua vita qualche conoscenza, ma nessun vero amico; l’unica persona che potrebbe essere annoverata come tale è solo la sua compagna di studi Kat Hawkins, laureanda in Nuovi media e in Discipline teatrali.

Zachary ama leggere e perdersi nelle storie; assiduo frequentatore della biblioteca del campus, viene spesso scambiato per uno studente della facoltà di Letteratura.

Un giorno, prima dell’inizio dell’anno accademico, piuttosto casualmente si imbatte in biblioteca in uno strano volume intitolato “Dolci rimpianti”, un libro che racconta strane storie come quella del pirata e la fanciulla e di un mondo fantastico regolato da un ordine segreto di cui fanno parte custodi, adepti e guardiani.

A prima vista potrebbe sembrare una raccolta di storie fantastiche come tante altre se non fosse che, tra le varie storie, Zachary riconosce un episodio della sua infanzia.

Un giorno, quando era ancora un ragazzino, tornando da scuola aveva scorto in un vicolo una porta dipinta su un muro, apparentemente un trompe l’oeil molto ben eseguito, ma così realistico che Zachary si era trattenuto a stento dal tentare di aprire quella porta.

Zachary oggi si chiede cosa sarebbe accaduto se ci avesse provato.

Quale mondo avrebbe scoperto al di là di quella finta porta così perfetta da sembrare vera e che forse vera lo era realmente sebbene tutto sembri così surreale?

Il giovane ormai ossessionato dal libro verso il quale ha sviluppato un insolito e smisurato istinto di possesso, tanto da portarlo con sé in ogni suo spostamento, decide di indagare sulla provenienza del volume.

Seguendo il solo indizio a sua disposizione, i simboli impressi sulla copertina del libro (un’ape, una chiave e una spada), si reca a Manhattan per partecipare ad una festa in maschera, organizzata da una anonima società di beneficenza, dove Zachary crede di avere buone possibilità di conoscere qualcuno in grado di illuminarlo sul mistero del contenuto del libro e sulla sua provenienza.

Proprio alla festa gli eventi precipitano, Zachary entra in contato con personaggi singolari come l’affascinante Dorian, la pericolosa Allegra e l’originale Mirabel.

Sarà proprio Mirabel a condurlo nel mondo fantastico delle storie, un mondo sotterraneo popolato da strane creature, dove i personaggi non sono mai quello che sembrano, dove si trovano innumerevoli porte che si aprono su altrettante innumerevoli storie, storie di amori impossibili, persi e ritrovati, storie di bambole e case di bambole, di feste e di  luoghi fantastici.

Questa è a grandi tratti la trama del romanzo, a grandi tratti perché “Il mare senza stelle” in realtà contiene in sé infinite storie.

Dalla trama principale, che vede appunto il giovane Zachary protagonista della sua avventura, si dipanano tutti gli altri racconti sia quelli presenti nei libri con i quali Zachary entra direttamente in contatto, sia quelli che egli incontra lungo il suo cammino, sia quelli che si celano dietro le porte che Zachary e gli altri protagonisti del racconto principale aprono o avevano aperto nel passato.

Un mondo fatto di storie e di racconti, stanze piene di libri che arrivano fino al soffitto sfidando ogni legge gravitazionale, ricordano un po’ il cimitero dei libri dimenticati del compianto Carlos Ruiz Zafón, ma quello dello scrittore spagnolo era un’immensa biblioteca, mentre il mondo nato dalla penna di Erin Morgenstern è un mondo dove le storie non restano sulle pagine, ma prendono vita e i personaggi che le popolano interagiscono tra di loro e con i protagonisti della storia principale che, in alcuni casi, sono essi stessi personaggi di quelle stesse storie svoltesi in un altro tempo e in un altro luogo.

Tantissimi sono i riferimenti alla letteratura alcuni più espliciti quando vengono menzionati autori quali Fitzgerald o Chandler, altre volte solo sottintesi come quando ci si riferisce ad esempio all’armadio delle Cronache di Narnia di Lewis o a un luogo come Gran Burrone tratto dal Signore degli Anelli di Tolkien.

Innumerevoli sono i riferimenti ad “Alice nel paese delle meraviglie” di Lewis Carroll che ritroviamo nella storia della bambina che cade nel mondo sotterraneo per non parlare dei richiami al Bianconiglio e così via.

“Il mare senza stelle” è un inno a tutta la letteratura, ad esempio non si può non pensare al racconto “Davanti alla legge” di Kafka quando si legge

Altri, di fronte alla porta, la lasciano indisturbata, anche se la loro curiosità è stimolata. Pensano che gli serva un permesso. Credono che la porta aspetti qualcun’altro, anche se, in realtà, sta aspettando loro.

Non sono solo i riferimenti alla letteratura a colpire il lettore, ma ci sono anche citazioni come la scritta incisa sulla fiancata della nave che solca il mare senza stelle Cercare e Trovare di vasariana memoria o il cartello sopra una porta che recita conosci te stesso e impara a soffrire, richiamo al “conosci te stesso” del tempio di Apollo di Delfi.

Numerosi sono inoltre i riferimenti alla mitologia classica come la Luna che si innamora di un uomo, un locandiere, così come la Luna si innamorò di Endimione; ma più di tutte al mito classico si rifà la storia di Tempo e Fato, lo smembramento di Fato il cui solo cuore viene salvato dal topolino coraggioso, richiama alla mente il mito di Dionisio Zagreo fatto a pezzi dai Titati e il cui cuore viene salvato da Atena e da questa riportato a Zeus.

Possiamo infine parlare delle corrispondenze tra i culti iniziatici e le prove a cui vengono sottoposti gli adepti del mondo del mare senza stelle o dello scorrere del tempo diverso tra il mondo in superficie e quello sotterraneo che molto ricorda la differenza tra Chrònos e Aiòn.

“Il mare senza stelle” è un libro piuttosto complesso e senza dubbio di non semplicissima interpretazione, tanto che al termine rimangono aperti alcuni interrogativi, ma è pur vero che come è scritto nel romanzo stesso forse le storie migliori sono

quelle che danno la sensazione di proseguire, da qualche parte, fuori dallo spazio della storia

La lettura non è agevole e a tratti è piuttosto impegnativa, non tanto per le storie che si sovrappongono le une alle altre, quanto piuttosto per la lentezza di alcuni passaggi e per le lunghe descrizioni che, per quanto utili a tratteggiare un luogo totalmente sconosciuto, tendono a rallentare e a spezzare un po’ troppo il ritmo della narrazione.

Per quanto mi sia appassionata alla trama del racconto e alle varie storie correlate, in particolare ho trovato davvero emozionanti quelle della Luna e del locandiere e quella di Tempo e Fato, non sono rimasta altrettanto affascinata dal mondo sotterraneo che personalmente ho trovato un po’ troppo claustrofobico; preferendo per natura gli spazi aperti, l’idea di questo mondo sotterraneo mi ha inquietata parecchio.

Al di là però di quelli che possono essere chiamiamoli i miei “stati di ansia”, ho trovato “Il mare senza stelle” un romanzo molto particolare e di difficile definizione.

Credo sia uno di quei romanzi che o li si ama o li si odia, ma difficilmente possono lasciare indifferente il lettore.

Il mio consiglio, quindi, può essere solo quello di non fidarvi delle opinioni espresse da altri perché mai come in questo caso il giudizio su un libro è davvero molto, molto soggettivo e solo voi, leggendolo, sarete in grado di capire se schieravi tra i suoi sostenitori o tra i suoi detrattori.

                                 

 

sabato 5 settembre 2020

“La forma del silenzio” di Stefano Corbetta

Leo ha poco più di un anno quando gli viene diagnosticata una sordità bilaterale.

Siamo alla fine degli anni Cinquanta, il padre di Leo, Vittorio, fa il tassista e non guadagna abbastanza per poter pagare un docente privato che insegni al figlio la Lingua dei Segni.

Grazie all’amore dei genitori e soprattutto alla dedizione di Anna, la sorella maggiore, Leo impara però a comunicare e interagire con gli altri attraverso le mani, le braccia e le espressioni del viso.

All’età di sei Leo viene iscritto all’Istituto Tarra di Milano, una scuola per bambini speciali come lui, un collegio dal quale Leo torna a casa ogni fine settimana per trascorrerlo in famiglia.

Leo però non riesce ad ambientarsi, in istituto tutto è diverso, sente la mancanza dei genitori e della sorella, gli insegnanti sono severi e gli vietano di usare le mani per comunicare; il bambino si sente ancora più isolato e intrappolato.

Leo prova più volte ad esternare il suo malessere, specialmente con Anna, ma la sua sofferenza resta inascoltata.

Un giorno, poco prima delle vacanze di Natale, la scuola chiama i genitori nel cuore della notte, Leo è scomparso, è il 18 dicembre 1964.

La famiglia si sgretola inesorabilmente, quattro vite che avevano cominciato ad allontanarsi e poi smarrirsi come pianeti di una galassia priva di stelle.

Vittorio, già debole e depresso, non regge a questo ulteriore colpo ed Elsa questa volta, nonostante la resilienza che la contraddistingue, non riesce a salvare il marito da se stesso come tante volte aveva fatto in passato.

Sono trascorsi diciannove anni da quel giorno, Vittorio non c’è più, Elsa ha aperto un negozio di fiori e Anna che all’epoca della scomparsa di Leo aveva quattordici anni, è oggi una trentatreenne insegnante di sostegno alle scuole elementari oltre che una psicologa con un proprio studio privato.

Elsa, Anna e tutti coloro che furono toccati dalla vicenda hanno provato ad andare avanti con le loro vite, ma certe ferite non si possono mai davvero rimarginare.

Qualcuno all’improvviso riemergerà dal passato costringendo Anna ad indagare e a cercare di fare chiarezza su quanto accaduto quella maledetta notte di neve del 1964.

Sarà possibile risolvere un  mistero dopo diciannove lunghi anni di silenzi e di verità taciute?

Diversamente da quanto mi succede solitamente, questa volta non mi ero fatta un’idea precisa su quale tipo di romanzo potesse essere “La forma del silenzio”. Cosa aspettarsi? Un thriller, un giallo oppure un romanzo psicologico?

Il romanzo di Stefano Corbetta è in verità un po’ una combinazione di tutti e tre questi generi; abbiamo la suspense del thriller, l’indagine del romanzo giallo, ma l’elemento preponderante è senza dubbio l’introspezione psicologica dei personaggi.

L’autore indaga la personalità di ognuno di loro analizzando minuziosamente quali ripercussioni il tragico evento abbia avuto sulla loro vita, sul loro spirito e sui loro rapporti interpersonali.

La storia di Anna è senza dubbio il filo conduttore della narrazione, da qui il racconto si sposta poi sulle vite degli altri personaggi che popolano le pagine del romanzo.

La figura di Leo invece riemerge per la maggior parte attraverso i numerosi flashback dei ricordi della sorella; Anna aveva un rapporto speciale con il fratello, un rapporto fatto di amore, complicità e dedizione.

Stefano Corbetta è particolarmente bravo a rendere sulla carta il linguaggio dei segni, cosa per nulla facile, eppure sembra davvero di vederli quei dialoghi fatti di gesti e di espressioni.

Nessuno può capire appieno quali difficoltà debba affrontare quotidianamente un non udente a meno che non si soffermi seriamente a pensarci, ma anche così si è molto distanti dal comprendere cosa davvero significhi non aver modo di comunicare in assenza di luce o non poter usare un normale telefono, quanta forza di volontà ci voglia per compiere quei piccoli gesti che a tutti noi sembrano così semplici e scontati.

C’è una frase all’inizio del romanzo che mi ha colpito moltissimo e credo possa rendere perfettamente l'idea dello stato di solitudine con cui debba convivere costantemente chi non può sentire

Viveva dietro una parete di cristallo che lo teneva lontano dagli altri e teneva gli altri lontano da lui

Valerio, il padre di Leo, è un uomo debole e in preda a continue crisi depressive, non sa come relazionarsi con il figlio e questo non fa che acuire i suoi sensi di colpa; quando il figlio scompare egli non ha dubbi sul fatto che questo sia accaduto per le sue mancanze come genitore.

Elsa, la madre, è una donna pragmatica che tende a lasciarsi plasmare dagli eventi, cerca di tenere unita la famiglia, ma la famiglia ha iniziato sgretolarsi molto tempo prima della scomparsa di Leo; l’evento in sé non farà che costringerla a prendere atto di quanto sapeva ormai già da parecchio tempo e arrendersi all'inevitabile fallimento.

Anna è solo un’adolescente quando il fratello scompare e per quanto nel corso degli anni provi ad elaborare il lutto non ci riuscirà mai veramente.

Sembra quasi si sia imposta proprio di non riuscirci perché, anche solo provare a farlo seriamente, significherebbe rinunciare a Leo per sempre.

La scelta di studiare psicologia e la LIS (Lingua dei Segni) è in fin dei conti un modo come un altro per costringersi a ricordare e continuare ad avvertire la presenza del fratello mantenendone vivo il ricordo.

Anna si lascia vivere, trascina la sua esistenza chiudendo tutti fuori dal suo mondo, ma alla fine pure lei dovrà fare i conti non solo con il passato, ma anche con la donna che è diventata.

“La forma del silenzio” non è solo la storia di un mistero e di un segreto inconfessabile, ma è anche il racconto di tanti tipi di solitudini diverse.

Ci racconta della solitudine dovuta alla sordità, ma ci parla anche di quelle solitudini autoimposte dettate dall’incapacità di accettare se stessi o dalla difficoltà di aprirsi al mondo esterno a causa delle paure, dei pregiudizi e dell’insicurezza.

Sembra che la gente riesca a rendersi infelice con molta facilità, forse è la cosa che ci riesce meglio

Così afferma Anna parlando con l’amica Stella, ma questo forse perché, come dice sempre lei qualche riga più avanti

Non esiste una verità (…) esiste solo quello che manca. Il resto non lo vediamo.