giovedì 27 giugno 2024

“Amore e guerra nel tardo Rinascimento. Le lettere di Livia Vernazza e Don Giovanni de’ Medici” a cura di Brendan Dooley

Un tempo ci si scriveva lettere e cartoline. Tanta è la corrispondenza d’amore giunta sino a noi, alcune lettere furono scritte appositamente con intento letterario, altre invece esclusivamente come messaggi privati destinati ad essere letti solo dalla persona a cui erano indirizzati.

Grazie agli epistolari che sono arrivati nelle nostre mani abbiamo oggi la possibilità di curiosare nella vita di personaggi famosi, cogliere i loro pensieri e i loro sentimenti, nel momento in cui erano più vulnerabili perché convinti di non essere osservati. Quelle pagine ingiallite ci restituiscono la loro immagine di donne e uomini comuni, senza la maschera che erano soliti indossare in pubblico.

Viene da chiedersi cosa invece resterà di noi, donne e uomini del XXI secolo, quando i posteri vorranno approfondire la nostra vita. Il modo di comunicare ha subito una trasformazione epocale; le lettere sono state sostituite dalla messaggistica istantanea che non lascerà alcun segno a chi verrà dopo di noi.

Veniamo però, adesso, al nostro libro e alle lettere di Livia Vernazza e Don Giovanni de’ Medici.

Livia era figlia di un materassaio genovese andata in sposa poco più che tredicenne a Giovanni Battista Granara, anche lui materassaio come il padre e molto più anziano di lei. Dopo meno di due anni dalle nozze Livia fuggì a Firenze dove fece la serva o forse la prostituta. A diciotto anni conobbe il quarantunenne Giovanni; il loro fu amore a prima vista.

Sebbene illegittimo, Giovanni era pur sempre il figlio del granduca Cosimo I de’ Medici, fratello e zio di granduchi; la famiglia Medici non poteva assolutamente accettare una relazione con una donna di così bassa estrazione sociale. Eppure, sebbene fortemente avversata dalla famiglia a cui Giovanni era comunque molto legato, la loro storia durò ben 13 anni. La loro unione trovò il giusto coronamento a Venezia nel 1619 quando venne celebrato il loro matrimonio.

Alla morte di Don Giovanni la famiglia Medici, forte del proprio nome, fece imprigionare Livia che, in un secondo momento, fu trasferita e richiusa in convento. Il matrimonio fu fatto annullare e il figlio avuto da Don Giovanni dichiarato illegittimo. Solo molto tempo dopo fu permesso alla donna di risiedere nella casa di Montughi dove morì nel 1655.

Inutile dire che quanto tramandato sulla figura di Livia Vernazza è per la maggior parte un resoconto deformato da radicati pregiudizi e volutamente molti aspetti della vicenda furono passati sotto silenzio per volere della famiglia Medici e di coloro che erano al suo servizio.

La maggior parte della corrispondenza tra Livia e Don Giovanni a noi giunta risale al periodo in cui il Medici era impegnato nella campagna militare di Gradisca (detta anche guerra degli Uscocchi) al sevizio della Repubblica di Venezia.

Dalle lettere emergono un sentimento profondo e una passione ardente. Questa coppia, senza dubbio ai più sconosciuta, venne però immortalata anche da Gabriele D’Annunzio che, in “Il secondo amante di Lucrezia Buti”, la definì la bellissima genovese, la venturiera ligure ch’era riuscita a farsi sposare da Giovanni de’ Medici.

Nel carteggio a noi giunto (aprile 1614 - settembre 1619) vediamo la coppia affrontare i più disparati argomenti: dalla gestione della casa a quella delle proprietà finanche ai problemi militari e politici. Risulta evidente quanto fosse stretto il legame tra i due e quanto Don Giovanni de’ Medici si fidasse delle capacità e della perspicacia di Livia. Invero, entrambi si affidavano ai consigli l’uno dell’altro nelle più svariate occasioni.

Don Giovanni non si tratteneva dal raccontare cose che riguardavano la campagna militare che stava conducendo e quando lo faceva, non era di sicuro perché non si fidasse del giudizio di Livia, ma semplicemente perché le lettere potevano essere intercettate e di certe cose, ovviamente, era meglio parlare di persona.

Livia era libera di disporre dei mezzi economici di Don Giovanni; quando fu necessario il Medici non ci pensò due volte a rimettersi al suo discernimento e le firmò anche due pagherò in bianco così che lei potesse scrivere la cifra  necessaria alla transazione in corso.

Molte nel carteggio sono anche le lettere d’amore; Don Giovanni era solito rivolgersi a Livia come alla Signora mia unica et vera Padrona. Ad un certo punto, però, salta fuori che lui dovette farsi perdonare un tradimento. Don Giovanni impiegò fiumi di carta per ottenere la tanto sospirata assoluzione e la donna, oltremodo orgogliosa, seppe tenergli testa dimostrandosi molto risoluta nel volergliela fare pagare.

Il carteggio è anche una sorta di cronaca della vita dell’epoca; sono riportati, infatti, in maniera chiara e dettagliata nomi di luoghi, notizie di eventi, modi di dire spesso tutt’oggi ancora in uso oltre ad un preciso resoconto di fatti quotidiani e famigliari.

Molto interessante è anche il breve saggio introduttivo di Brendan Dooley curatore di questa edizione pubblicata da Edizioni Polistampa (2009).




giovedì 20 giugno 2024

“La signora delle Fiandre” di Giulia Alberico

Spesso ad un certo punto della vita si avverte l’esigenza di fare un bilancio della propria esistenza, andare indietro nel tempo, ripercorrere ciò che è stato e forse immaginare come sarebbero andate le cose se si fossero fatte scelte diverse.

Sul finire dell’anno 1585 Margherita d’Austria, ritiratasi ad Ortona a Mare, sente che la sua fine è vicina e si lascia andare ai ricordi. Ha vissuto a lungo, tanti viaggi e tante conoscenze costellano la sua esistenza, alcune persone sono solo ricordi sbiaditi, altre, nonostante non siano più da tanto tempo, sono ancora lì, presenze costanti nella sua mente e nel suo cuore.

Margherita d’Austria, figlia naturale dell’imperatore Carlo V, nacque e crebbe nelle Fiandre.  Fu affidata dal padre alle cure prima di Margherita di Savoia e poi di Margherita d’Ungheria. Per quanto Carlo V amasse la figlia, questo non gli impedì di seguire le consuetudini della politica matrimoniale del tempo.  Margherita venne concessa in sposa al duca Alessandro de’ Medici, per consolidare l’alleanza con Clemente VII dopo il terribile episodio del Sacco di Roma. Margherita conobbe così l’Italia, la corte di Napoli prima e di Firenze dopo. Il matrimonio durò solo pochi mesi poiché Alessandro venne assassinato per mano del cugino Lorenzino.

Vedova ad appena quindici anni, Margherita si ritrovò di nuovo ad essere una pedina sullo scacchiere politico. Carlo V decise di concedere la mano della figlia a Ottavio Farnese, legandosi così nuovamente alla famiglia di un papa, Paolo III.

Se il matrimonio con Alessandro era stato accettato da Margherita con ubbidienza, quello con Ottavio fu da lei contrastato profondamente. Gli sposi, però, dopo un inizio burrascoso, riuscirono col tempo a trovare un loro equilibrio di coppia fatto di stima e affetto reciproci.

Margherita per volontà del fratellastro Filippo II, succeduto al padre Carlo V, fu governatrice delle Fiandre dove trascorse parecchi anni, ma nessun luogo le fu mai caro quanto la terra d’Abruzzo. Non è quindi un caso che questa terra per cui Margherita si adoperò tanto per emanciparla a livello economico e amministrativo, proiettandola sul grande scenario politico nazionale ed europeo, non manchi mai di celebrarla e tenerne viva la memoria ancora oggi.

Inutile dire che mi sono avvicinata a questo personaggio perché legata alla famiglia Medici sebbene solo per un brevissimo periodo. Avrebbe forse potuto esserlo più a lungo se Carlo V avesse accettato di darla in sposa a Cosimo I de’ Medici, ma il destino volle che scegliesse diversamente e forse per Firenze e la Toscana fu meglio così perché altrimenti non avrebbe avuto una duchessa come Eleonora di Toledo al quale il granducato deve moltissimo.

Margherita d’Austria, duchessa di Parma e Piacenza, fu però anch’ella una figura di grande forza. Donna colta, intelligente, ostinata e intraprendente, in un mondo governato dagli uomini, percorse sempre, laddove le fu possibile, la via diplomatica della mediazione.

I fatti narrati nel romanzo di Giulia Alberico sono ovviamente liberamente reinterpretai dall’autrice, ma invogliano il lettore a cercare di saperne di più su questa protagonista la cui storia non è così conosciuta come quella di altre grandi figure femminili a lei contemporanea o di poco discoste nel tempo. 

Il racconto è scorrevole, le pagine scivolano via velate di malinconia: l’incalzare del tempo che volge al termine, i ricordi di una vita, un bilancio fatto di sogni infranti e desideri realizzati, di rimpianti per amori che avrebbero meritato una possibilità, di rimorsi per essere stata troppo egoista con chi avrebbe meritato più attenzioni, ma anche di coraggio e gratitudine, coraggio per essere riuscita ad affrontare prove difficili e gratitudine per coloro che le sono rimasti accanto senza chiederle mai nulla in cambio.

“La signora delle Fiandre” è un buon romanzo storico dove l’atmosfera e il modo di pensare dell’epoca sono resi in maniera minuziosa e dove i personaggi di pura invenzione si integrano perfettamente ai numerosi personaggi realmente esistiti. Pur trattandosi di un racconto liberante ispirato alla storia di Margherita d’Austria è evidente che l’autrice abbia effettuato una scrupolosa ricerca storica prima di accingersi alla stesura del romanzo.





sabato 8 giugno 2024

“Richelieu. La storia dell’uomo che cambiò la Francia” di Natascia Luchetti

Sono sempre stata affascinata dai personaggi più discussi e controversi della storia e forse, proprio per questo, sono stata attratta fin da subito da questo romanzo di Natascia Luchetti.

Armand-Jean, il quarto dei cinque figli del Grand Prévôt di Francia François du Plessis, signore di Richelieu, e di Susanne de La Porte, rimane orfano di padre all’età di appena cinque anni. 

Armand sembra condannato per la sua salute malferma a non sopravvivere all’infanzia. La madre del piccolo decide così di affidarlo alle cure di un medico donna, Eugénie de Clombert, con la speranza che la sua esperienza e le sue capacità riescano laddove tutti gli altri luminari hanno fallito. Eugénie porta con sé al castello di Chillou la figlia Ninon, sua promettente allieva. Al castello ritroverà anche Jonàs, il figlio minore, che già da qualche tempo presta servizio presso la residenza dei Richelieu.

Il compito di Ninon al castello sarà quello di occuparsi di Armand. Nonostante la diffidenza iniziale del piccolo paziente, presto tra i due si instaurerà un rapporto di amicizia e confidenza destinato a consolidarsi nel tempo.

Armand come terzogenito maschio è destinato ad una carriera militare, ma quando Alphonse, il secondogenito, non si dimostrerà all’altezza del compito, toccherà a lui abbracciare, nonostante la sua avversione per questa strada, la carriera ecclesiastica diventando vescovo di Luçon.

Risulta evidente che l’autrice abbia studiato a lungo la figura del cardinale Richelieu così come è certo che molti particolari, soprattutto legati ai luoghi menzionati e agli eventi occorsi, siano frutto di accurate ricerche e numerose letture da lei effettuate.

Il risultato è un romanzo storico di grande effetto, ricco di colpi di scena e personaggi davvero intriganti e affascinanti.

Armand è un uomo che ha dovuto combattere contro una malattia invalidante fin dalla nascita, ma la sua caparbietà e la sua tenacia, lo hanno portato a superare ogni tipo di ostacolo. Il giovane Richelieu è ostinato, intelligente, scaltro, determinato a non fermarsi di fronte a nulla e a nessuno pur di perseguire i propri scopi, ma è anche estremamente leale con chi ha condiviso la sua strada e gli è stato fedele.

Ninon è forte, coraggiosa e risoluta; un personaggio molto moderno. Nonostante la vita non le abbia fatto sconti, riesce sempre a rialzarsi senza perdere mai davvero la sua umanità. Come Armand è inflessibile con i nemici, ma sincera e devota nei confronti dei propri cari e degli amici sinceri.

Armand-Jean du Plessis de Richelieu ha un disegno politico ben preciso ed è determinato a realizzarlo sostenendo chiunque al momento gli sembri l’alleato più conveniente senza preoccuparsi di tradirlo qualora qualcun altro gli prospetti maggiori vantaggi per la sua causa.

Tra i tanti personaggi che si incontrano tra queste pagine troviamo il re di Francia Luigi XIII e Anna d’Austria, la regina madre e reggente Maria de’ Medici, il principe di Condè e le figure tanto discusse di Concino Concini e la sua consorte Leonora Galigai.

Tra le critiche che ho letto rivolte a questo libro ci sono l’accusa all’autrice di essersi dilungata troppo in descrizioni che appesantirebbero il racconto e l’aver reso la storia troppo romanzata.

Personalmente ho trovato la storia estremamente piacevole e sebbene si tratti di un tomo di quasi ottocento pagine l’ho trovato nell’insieme molto scorrevole. Tante, è vero, sono le descrizioni, ma sempre utili all’economia del racconto e tutt’altro che superflue. Si tratta senza dubbio di un romanzo che, sebbene come precedentemente evidenziato nasce da attenti studi, non vuole essere assolutamente un saggio.

Se guardiamo al taglio dato al racconto dall’autrice sembrerebbe quasi quello di un romanzo d’altri tempi, con un forte richiamo alla letteratura ottocentesca; del resto, in più di un’occasione, Natascia Luchetti schiaccia l’occhio ad un classico come “I tre moschettieri” di Alexandre Dumas e, visto l’argomento, non potrebbe essere diversamente. Un omaggio allo scrittore francese per certi versi doveroso anche se l’autrice è ammirata sostenitrice del “cattivo” della storia di Dumas.

A differenza dei “I tre moschettieri” di Dumas, romanzo di cappa e spada, quello della Luchetti è un romanzo più articolato dove è l’introspezione psicologica a prevalere seguendo le inclinazioni del suo protagonista, politico fine ed arguto ma anche spietato se necessario.

Il racconto si presterebbe benissimo a diventare un’avvincente serie televisiva. Alla sua trama non mancherebbe davvero nulla: personaggi intriganti e seducenti, numerosi colpi di scena inaspettati e luoghi ricchi di fascino e mistero dove ambientare la storia.

Le case editrici e gli autori ci hanno talmente abituati alle saghe in più volumi che quando ci troviamo dinnanzi ad un volume più corposo del solito ci spaventiamo. Al potenziale lettore interessato alla figura di Richelieu quindi consiglio di non farsi intimorire dalla mole del libro e di affrontare serenamente la lettura di questa storia che non potrà che coinvolgerlo ed emozionarlo fin dalle prime pagine.