sabato 26 febbraio 2022

“Le magnifiche dei Medici” di Daniela Cavini

Dodici brevi ritratti dedicati alle donne dei Medici, figure femminili sconosciute alla maggior parte delle persone a meno che non siano storici o cultori della Toscana medicea come scrive Paolo Ermini nella presentazione del libro.

Se tutti più o meno conoscono, anche solo i nomi, degli esponenti maschili della dinastia, pochi sono informati o si soffermano sull’importanza che ebbero alcune donne di questa illustre famiglia.

Daniela Cavini (autrice di “Storia di un’altra Firenze”), attraverso questi dodici camei prova a fare luce su queste figure femminili che furono a loro modo protagoniste della storia sebbene spesso dimenticate o peggio ancora talvolta vilipese.

Il primo ritratto che incontriamo è quello della madre di Lorenzo il Magnifico Lucrezia Tornabuoni, moglie di Piero il gottoso, colei che il suocero Cosimo il Vecchio definì l’unico uomo della famiglia. Dapprima sostegno per il marito spesso malato e poi per il figlio al quale di fatto consegnò praticamente intatto il patrimonio familiare, patrimonio che Lorenzo non fu altrettanto bravo a gestire.

Fu proprio la mente acuta di Lucrezia a ritenere che fosse giunto il momento adatto per fare il salto di qualità procurando al figlio una moglie di nobile stirpe e la scelta ricadde su Clarice Orsini.

Clarice Orsini fu la prima straniera ad entrare nella famiglia Medici e come tutte le straniere non fu mai accettata dal popolo. Non fu un matrimonio d’amore, Clarice onorò il suo compito e diede al magnifico nove figli, ma non si adatto mai ai costumi fiorentini e si scontrò spesso con il marito per l’educazione da impartire alla prole. Fu lei ad individuare nella cugina Alfonsina Orsini la moglie più adatta al primogenito Piero, detto in seguito Piero il fatuo.

Alfonsina Orsini è forse una delle meno conosciute di queste figure femminili. Quando nel 1494 i Medici furono nuovamente cacciati da Firenze a seguito dell’arrivo dei francesi lei restò da sola per un anno nel palazzo di via Larga a presidiare i beni di famiglia prima di risolversi a riunirsi al marito. Dopo la morte di questi poté dare sfogo a quella che la storia definì ambizione smisurata, ma che se fosse appartenuta ad un uomo probabilmente sarebbe passata per astuzia e intraprendenza. Sta di fatto che riuscì ad accasare i figli in modo molto conveniente: la figlia Clarice sposò infatti il banchiere Filippo Strozzi e il figlio Lorenzo, per il quale la madre era riuscita ad ottenere dal cognato papa Leone X il Ducato di Urbino, sposò la nipote del re di Francia Madeleine de la Tour d’Auvergne, Purtroppo Lorenzo e la moglie morirono entrambi a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro, dopo solo un anno di matrimonio quando la figlia Caterina aveva solo qualche giorno di vita.

Oltre alle pagine dedicate a Caterina de’ Medici e a Maria de’ Medici le due regine di Francia, la prima passata alla storia come la regina nera, l’avvelenatrice e la discepola di Machiavelli e la seconda come la mercantessa di Firenze superficiale, superba e dallo scarso senso politico, troviamo le pagine dedicate a Caterina Sforza ricordata dalla storia anche come la Tigre di Forlì.

Caterina Sforza fu la madre di Giovanni dalle Bande Nere che sposò la nipote di Lorenzo il Magnifico, Maria Salviati, figura femminile della quale si parla pochissimo, ma che fu fondamentale per la formazione e l’educazione del figlio Cosimo, destinato a divenire il primo Granduca di Toscana.

Cosimo sposò Eleonora di Toledo, sovrana superba e di una bellezza marmorea, come la definisce Daniela Cavini; il loro fu un matrimonio politico basato su forti interessi economici, ma che si rivelò, stranamente per l’epoca, anche un matrimonio d’amore.

Altre pagine sono dedicate a Isabella de’ Medici, la figlia prediletta di Cosimo I, donna colta e libera che trovò la morte molto probabilmente per mano del marito Paolo Giordano Orsini con la complicità del fratello di lei Francesco I, e a Cristina di Lorena, nipote di Caterina de’ Medici andata in sposa a Ferdinando I succeduto al fratello Francesco dopo la morte di questi sopraggiunta quasi contemporaneamente a quella della sua seconda moglie, la famosa Bianca Cappello, a cui non poteva ovviamente mancare in questo libro un capitolo a lei dedicato.

Infine, l’ultimo ritratto non poteva essere che riservato a lei, ad Anna Maria Luisa de’ Medici, l’Elettrice Palatina, ultima della sua stirpe colei a cui spettò il gravoso e ingrato compito di consegnare il Granducato nelle mani degli Asburgo-Lorena non senza avergli fatto sottoscrivere prima quel famoso Patto di Famiglia grazie al quale Firenze possiede ancora oggi il suo immenso patrimonio artistico che ne fa una delle città d’arte più belle del mondo.

Non possiamo dire che le donne dei Medici rivestirono sempre un ruolo passivo perché furono mogli e madri di uno spessore straordinario. A mio avviso, i Medici per primi compresero il valore e l’importanza delle figure femminili nello scacchiere politico e sociale tanto che spesso attribuirono alle loro donne, diremmo oggi, un ruolo mediatico di rilievo. Le donne Medici si distinsero alcune anche per bellezza, ma soprattutto per la loro componente intellettuale e la loro eleganza. È vero che oggi solo gli appassionati della famiglia Medici e gli storici ne ricordano i nomi e l’importanza, ma se guardiamo al passato non fu sempre così o almeno non per tutte le figure femminili della famiglia.

Il libro di Daniela Cavini è un validissimo compendio per colmare le lacune del lettore sul ruolo della donna in seno alla famiglia Medici e per spingerlo ad approfondire la storia di quelle figure femminili che più l’hanno colpito e incuriosito.

“Le magnifiche dei Medici” è un breve saggio puntuale, ben documentato e dalla veste grafica preziosa ed accattivante.





venerdì 25 febbraio 2022

“Le righe nere della vendetta” di Tiziana Silvestrin

Mantova, 8 luglio 1585. Il capitano di giustizia Biagio dell’Orso viene svegliato in piena notte dal bargello Gio Morisco.

Oreste Vannocci, prefetto delle fabbriche, è stato trovato morto all’interno della sua abitazione. Il suo corpo, raggomitolato in posizione fetale, giace su un pavimento cosparso di macchie di colore quasi fosse la tavolozza di un pittore.

Il capitano intuisce che la morte dell’architetto toscano non è dovuta a cause naturali. Il Vannocci è stato avvelenato, ma prima di morire è riuscito a lasciare un indizio. Biagio dell’Orso trova, infatti, la pianta di un edificio, probabilmente una chiesa, sulla quale l’architetto già in preda alle convulsioni ha tracciato con le dita delle righe nere.

A confermare la tesi dell’avvelenamento ipotizzata dal capitano di giustizia ci sono le conoscenze dello speziale Hyppolito, ma su suggerimento dell’amico nonché consigliere ducale Marcello Donati è meglio che la notizia non venga divulgata. È chiaro fin da subito infatti che a voler morto il Vannocci, il quale all’apparenza non aveva alcun nemico, deve esser stato qualcuno molto vicino alla Corte.

Vincenzo Gonzaga, figlio del duca di Mantova Guglielmo Gonzaga, ha sposato Eleonora de’ Medici, figlia del granduca di Toscana Francesco I e della sua prima moglie Giovanna d’Austria.

Il movente affonda le proprie radici molti anni indietro quando il grande condottiero Giovanni delle Bande Nere era ancora in vita. Chi sarà quindi il mandante dell’omicidio? Un Gonzaga o un Medici?

Nel frattempo, l’inquisitore Giulio Doffi, ossessionato dalla caccia alle streghe, ha preso di mira Lucilla la nipote dello speziale complicando così ulteriormente la ricerca della verità al capitano di giustizia.

Biagio dall’Orso detesta le ingiustizie, è un tipo che va per le spicce e che non le manda a dire a nessuno, ma per fortuna a salvarlo da se stesso c’è l’amico Donati che, molto più riflessivo e timoroso, fa di tutto per smorzare la sua irruenza.

La vicenda si volge a Mantova, ma dell’Orso viene inviato anche a Venezia per accompagnare una delegazione giapponese e poi a Firenze per fare da scorta a Vincenzo ed Eleonora.

Le pagine dedicate al viaggio a Firenze sono particolarmente suggestive; non incontriamo Francesco I e Bianca Cappello, ma il racconto ci conduce nello studiolo del granduca a Palazzo Vecchio, al Casino di San Marco, a Palazzo Pitti e persino nella bellissima villa medicea di Pratolino.

La scrittura della Silvestrin è asciutta e scorrevole; il racconto è magistralmente condotto su più piani narrativi e la storia scorre via veloce. Un giallo storico davvero ben scritto, piacevole e storicamente ben documentato.

In questo romanzo dove non mancano colpi di scena, misteri e complicati intrecci dinastici non solo i protagonisti, ma tutti i personaggi sono minuziosamente caratterizzati.

Sono rimasta colpita dalla storia e soprattutto dalla capacità dell’autrice di rievocare le atmosfere dell’epoca con tanta apparente semplicità, quando è indubbio vi sia alla base un gran lavoro di ricerca storica.

Sono inoltre rimasta affascinata, credo come ogni lettore, dalla figura di Biagio dell’Orso: bello, intraprendente, coraggioso, leale, dotato di grandi capacità deduttive e intollerante verso le prepotenze nei confronti dei più deboli.

Il libro è il secondo volume di una saga dedicata ai Gonzaga, ma ogni libro della serie è autoconclusivo e si può davvero leggere tranquillamente come un romanzo a sé.

Sono partita da questo secondo libro perché tra i protagonisti della storia ci sono anche esponenti della famiglia Medici, ma questa saga mi ha davvero convinta e il proposito è quello di leggere quanto prima anche gli altri volumi della serie.

Vi indico di seguito l’elenco completo delle pubblicazioni:

- I leoni d‘Europa

- Le righe nere della vendetta

- Un sicario alla corte dei Gonzaga

- Il sigillo di Enrico IV

- La profezia dei Gonzaga

Un’anticipazione: presto in uscita il sesto volume…


sabato 19 febbraio 2022

“Paolino Dolci nobile Ruspante fiorentino” di Alberto Bruschi

Eccoci nuovamente alla Corte del Granduca Gian Gastone de’ Medici. Ricorderete che più volte vi ho parlato dell’esecrato Giuliano Dami, ebbene, ricorderete dunque anche che il Dami aveva scelto accuratamente alcuni personaggi della sua risma affinché lo affiancassero nei suoi disonesti traffici.

La cronaca del tempo ci riporta in particolare i nomi dello speziale Branchi, quello di un certo Fumanti, personaggio di non facile identificazione, e quello di Paolino Dolci.

Il libro di Alberto Bruschi si pone come intento proprio quello di provare a redigere una biografia di questo discusso personaggio, degno accolito di quella combriccola di scellerati. Se dell’affascinate quanto freddo e calcolatore Giuliano Dami ci è pervenuto un solo ritratto, di Paolino al momento non sembra esserci giunta alcuna immagine. L’unica possibilità potrebbe essere forse l’identificazione del fiorentino, ormai già avanti negli anni, con un personaggio in abito civile da cerimonia in un dipinto di Claude Marie Gordot, datato 1774 o secondo altri 1776, in cui viene rappresentato l’ingresso del Vice Legato nel Palazzo dei Papi ad Avignone.

Da questa affermazione potete già comprendere quanto fu avventurosa la vita del nostro Paolino Dolci, una vita ricca senza dubbio di avvenimenti così come di furti, bassezze e perversità. Lunga è infatti la strada che portò il nostro protagonista dalla Corte medicea, a Roma e infine addirittura ad Avignone dove lo troviamo vestire i panni di capitano delle Guardie Svizzere.

Attraverso una capillare ricerca, fatta di consultazioni di fonti d’archivio e visite a quei luoghi teatro delle vicende narrate, attraverso l’analisi delle opere d’arte senza tralasciare l’importanza delle preziose informazioni desunte dalla disciplina araldica, Alberto Bruschi inizia il suo racconto partendo delle origini della famiglia Dolci.

 “Nobile Ruspante fiorentino” una definizione che merita qualche precisazione.

Paolino Dolci, al contrario del suo sodale Giuliano Dami che era di umili origini, proveniva da una famiglia nobile. La nobiltà dei Dolci non aveva nulla a che vedere con quella che si potrebbe definire “nobiltà di razza”, ma piuttosto si intendeva che la famiglia apparteneva alla classe agiata ovvero quella dei mercanti e dei proprietari terrieri.

Dei Ruspanti abbiamo parlato altre volte specie in occasione dei libri dedicati alla figura di Gian Gastone e a quella di Giuliano Dami. I Ruspanti erano i giovani, ma vi erano tra loro anche delle giovani, che gravitavano intorno al Granduca e che venivano pagati settimanalmente in ruspi, da qui l’appellativo Ruspanti. Esistevano due liste: quella dei “Provvisionati palesi” e quella dei “Provvisionati occulti”. Coloro che erano iscritti nella seconda lista erano coloro che perché nobili o cavalieri o simili dovevano essere trattati con un certo riguardo e pertanto ricevevano quanto dovuto a domicilio e non direttamente dalla Stanza dello Scrittoio.

Una curiosità: i ruspi erano monete che venivano così chiamate perché per essere state coniate da poco tempo si presentavano ruvide al tatto.

Questo libro di Alberto Bruschi si differenzia un po’ per forma rispetto ai precedenti presentando un guazzabuglio, nell’accezione buona del termine,  di registri linguistici amalgamati perfettamente tra loro. Non è un mistero che io sia affascinata dalla prosa e dallo stile di questo autore, ma devo ammettere che ancora una volta è riuscito davvero a stupirmi.

In questo volume abbiamo pagine caratterizzate da un severo rigore storico alternate a pagine romanzate di grande effetto che sono a loro volta contrassegnate da un linguaggio che varia da quello più aulico a quello più scurrile in special modo quando vengono riportati alcuni tra i più impudenti proverbi e detti toscani. Eppure, nonostante questo, nonostante a volte il racconto si faccia estremamente dissacrante, caustico e ironico non risulta mai sconveniente.

La prosa di Alberto Bruschi ha la rara capacità di riuscire a mantenersi elegante pur nell’insolenza e nella volgarità dei temi trattati.

Il solito Alberto Bruschi, umano e diciamolo forse anche po’ sdolcinato, riappare poi ogni qualvolta si affaccia nel racconto la figura di Gian Gastone e la scelta delle parole a lui dedicate emoziona sempre.

Il libro è corredato di ampia documentazione, trovate in appendice persino gli inventari delle aste degli arredi di Paolino Dolci oltre ad una sezione dedicata alle satire e ai sonetti contro gli Aiutanti di Camera del Granduca Gian Gastone scritti da uno sconosciuto autore del XVIII secolo.

Credo che anche questo volume come gli altri di Alberto Bruschi sia ormai fuori catalogo e che sia stata fortunata a reperirne ancora una copia. Eppure, questi volumi meriterebbero davvero una ristampa.