Mantova,
8 luglio 1585. Il capitano di giustizia Biagio dell’Orso viene svegliato in
piena notte dal bargello Gio Morisco.
Oreste
Vannocci, prefetto delle fabbriche, è stato trovato morto all’interno della sua
abitazione. Il suo corpo, raggomitolato
in posizione fetale, giace su un pavimento cosparso di macchie di colore quasi
fosse la tavolozza di un pittore.
Il
capitano intuisce che la morte dell’architetto toscano non è dovuta a cause
naturali. Il Vannocci è stato avvelenato, ma prima di morire è riuscito a lasciare un indizio. Biagio dell’Orso trova, infatti, la pianta di un
edificio, probabilmente una chiesa, sulla quale l’architetto già in preda
alle convulsioni ha tracciato con le dita delle righe nere.
A
confermare la tesi dell’avvelenamento ipotizzata dal capitano di giustizia ci sono le conoscenze dello speziale Hyppolito, ma su suggerimento dell’amico
nonché consigliere ducale Marcello Donati è meglio che la notizia non venga
divulgata. È chiaro fin da subito infatti che a voler morto il Vannocci, il quale all’apparenza non aveva alcun nemico, deve esser stato qualcuno molto vicino
alla Corte.
Vincenzo
Gonzaga, figlio del duca di Mantova Guglielmo Gonzaga, ha sposato Eleonora de’
Medici, figlia del granduca di
Toscana Francesco I e della sua prima moglie Giovanna d’Austria.
Il
movente affonda le proprie radici molti anni indietro quando il grande
condottiero Giovanni delle Bande Nere era ancora in vita. Chi sarà quindi il mandante dell’omicidio? Un Gonzaga o un Medici?
Nel
frattempo, l’inquisitore Giulio Doffi, ossessionato dalla caccia alle
streghe, ha preso di mira Lucilla la nipote dello speziale complicando
così ulteriormente la ricerca della verità al capitano di giustizia.
Biagio
dall’Orso detesta le ingiustizie, è un tipo che va per le spicce e che non le
manda a dire a nessuno, ma per fortuna a salvarlo da se stesso c’è l’amico
Donati che, molto più riflessivo e timoroso, fa di tutto per smorzare la sua irruenza.
La
vicenda si volge a Mantova, ma dell’Orso viene inviato anche a Venezia per accompagnare una delegazione giapponese e poi a
Firenze per fare da scorta a Vincenzo ed Eleonora.
Le
pagine dedicate al viaggio a Firenze
sono particolarmente suggestive; non incontriamo Francesco I
e Bianca Cappello, ma il racconto ci conduce nello studiolo del granduca a
Palazzo Vecchio, al Casino di San Marco, a Palazzo Pitti e persino nella
bellissima villa medicea di Pratolino.
La
scrittura della Silvestrin è asciutta e scorrevole; il racconto è magistralmente
condotto su più piani narrativi e la storia scorre via veloce. Un giallo
storico davvero ben scritto, piacevole e storicamente ben documentato.
In
questo romanzo dove non mancano colpi di scena, misteri e complicati intrecci
dinastici non solo i protagonisti, ma tutti i personaggi sono minuziosamente
caratterizzati.
Sono
rimasta colpita dalla storia e soprattutto dalla capacità dell’autrice di
rievocare le atmosfere dell’epoca con tanta apparente semplicità, quando è
indubbio vi sia alla base un gran lavoro di ricerca storica.
Sono
inoltre rimasta affascinata, credo come ogni lettore, dalla
figura di Biagio dell’Orso: bello, intraprendente, coraggioso, leale, dotato di
grandi capacità deduttive e intollerante verso le prepotenze nei confronti dei
più deboli.
Il
libro è il secondo volume di una saga dedicata ai Gonzaga, ma ogni libro
della serie è autoconclusivo e si può davvero leggere tranquillamente come
un romanzo a sé.
Sono
partita da questo secondo libro perché tra i protagonisti della storia ci sono
anche esponenti della famiglia Medici, ma questa saga mi ha davvero convinta e il
proposito è quello di leggere quanto prima anche gli altri volumi della serie.
Vi
indico di seguito l’elenco completo delle pubblicazioni:
-
I leoni d‘Europa
-
Le righe nere della vendetta
-
Un sicario alla corte dei Gonzaga
-
Il sigillo di Enrico IV
-
La profezia dei Gonzaga
Un’anticipazione:
presto in uscita il sesto volume…
"[...] per accompagnare una delegazione giapponese [...]"
RispondiEliminaIn effetti, le pagine dedicate ai viaggi nei romanzi storici, se ben documentate e scritte sono davvero evocative: sembra di essere proiettati nel passato.
Ti vedo che hai drizzato le antenne appena hai letto Giappone! Qui però alla delegazione Giapponese è lasciato poco spazio.
EliminaPerò è vero quello che dici, ricordo in particolare il libro "La luce di Akbar" di Navid Carucci