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sabato 26 agosto 2023

“Democrazia machiavelliana” di John P. McCormick

Niccolò Machiavelli, secondo il pensiero di John P. McCormick, non fu né un consigliere di tiranni né un teorico repubblicano, ma un acuto studioso delle repubbliche del passato preoccupato di trovare degli strumenti di potere atti a contenere le élites.

Analizzando “Il Principe” e altri scritti, ma soprattutto prendendo in esame quanto scritto nei “Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio”, il professor McCormick mette in risalto come, per il politico fiorentino, la libertà dipenda da istituzioni che incoraggino la diffidenza popolare nei confronti dei membri più ricchi e influenti della società e del governo. Machiavelli auspica un conflitto di classe in quanto ritiene che questo, se istituzionalizzato, possa favorire la libertà. 

Le élites tendono a scegliere un principe che appartenga alla loro stessa classe sociale perché pensano di poterlo in qualche modo manipolare in virtù degli interessi comuni. Esse desiderano il potere illimitato mentre il popolo chiede giustizia e uguaglianza, in quest’ottica quindi la partecipazione del popolo è costruttiva e positiva.

“Democrazia machiavelliana” è un articolato e corposo saggio in cui non si analizza solo il pensiero di Machiavelli, ma si prende in esame anche come questo sia stato, nel corso dei secoli, interpretato e talvolta applicato da statisti, filosofi e politici di correnti e paesi diversi.

John P. McCormick ritiene fondamentale, per una giusta interpretazione del corpus delle opere machiavelliane, considerare i destinatari delle opere stesse. In particolare, si occupa di esaminare da vicino i dedicatari dei Discorsi ovvero Cosimo Rucellai e Zanobi Buondelmonti.

Il professore McCormick, inoltre, vuole dimostrare come l’intento di Machiavelli scrivendo il Principe non fosse quello di istruire i regnanti a manipolare il popolo, ma piuttosto come la gente comune potesse controllate le élites. Desidera dimostrare come si siano spesso sottovalutati i tentativi fatti dal politico fiorentino di stabilire dei mezzi e delle istituzioni capaci di dotare i comuni cittadini del potere per resistere alla dominazione dei ricchi e scoraggiare la corruzione dei funzionari.

Indubbiamente “Democrazia machiavelliana” è un saggio molto completo, ben documentato in cui il professore McCormick ha saputo argomentare acutamente il proprio pensiero, dimostrandosi esperto conoscitore sia degli scritti di Niccolò Machiavelli che della politica sia contemporanea che di quella del passato più o meno prossimo.

Sinceramente questo libro non mi ha entusiasmato per diversi motivi, tra cui il fatto che troppo spazio è stato riservato a prefazioni e introduzioni, circa un terzo del testo. Inoltre, probabilmente perché non addentro alla materia politica e ancora legata alle più classiche, e se vogliamo anche obsolete, interpretazioni del pensiero machiavelliano, ho trovato alcune parti piuttosto forzate.

L’impressione da non addetta ai lavori, ci tengo a ribadirlo, è quello che in queste pagine si analizzino i testi di Machiavelli con l’intento di attualizzarli troppo e quasi piegarli al proprio scopo, arrivando così ad una reinterpretazione del pensiero del politico fiorentino che, a mio avviso, risulta un po’  esasperata.

La cosa certa è che, dopo aver letto questo lavoro, viene senza dubbio voglia di leggere, o rileggere, tutte le opere di Machiavelli per un interessante confronto con quanto sostenuto da John P. McCormick.

 

  

giovedì 13 luglio 2023

“Il trono” di Franco Bernini

Un incipit rocambolesco quello di questo romanzo che ci presenta un Machiavelli alquanto diverso dal personaggio che tutti noi abbiamo incontrato sui banchi di scuola.

Svegliato di soprassalto nella notte, Niccolò Machiavelli, convinto che si tratti degli scagnozzi inviati dallo strozzino a cui deve parecchi soldi, cerca di scappare, ma viene acciuffato subito dai due sgherri che si rivelano essere invece le guardie del gonfaloniere Pier Soderini.

Machiavelli è ormai da quattro anni segretario della Repubblica. Molti dei debiti da lui contratti sono dovuti proprio ai servizi resi alla Città del Giglio mai saldati nei termini e nei tempi convenuti.

La Repubblica ha ora un nuovo incarico da affidare a Machiavelli. Egli dovrà recarsi in qualità di mandatario alla corte di Cesare Borgia per capire quali siano le intenzioni di questi nei confronti di Firenze. Ufficialmente un rappresentante della Repubblica senza alcun potere di sottoscrivere patti, di fatto una spia.

Machiavelli non può permettersi di rifiutare l’incarico, ha bisogno di denaro e soprattutto di allontanarsi da Firenze per la propria incolumità. Ma c’è anche un altro motivo che induce Niccolò ad accettare: egli è oltremodo intrigato dall’idea di potersi trovare faccia a faccia con Cesare Borgia.

Tra il segretario e il Valentino si crea uno strano rapporto. Cesare Borgia chiede a Machiavelli di scrivere la sua storia. Lui metterà le sue confidenze e all’altro spetterà mettere a disposizione la propria penna.

Il fiorentino è lusingato e preoccupato allo stesso tempo dalla proposta del figlio del papa ma è anche ben conscio di non poter declinare l’offerta. Un’offerta che gli permetterebbe, non solo di scoprire le arti e i segreti del Valentino per conto della Repubblica, ma anche di ripianare buona parte dei propri debiti.

A complicare ulteriormente le cose è la presenza di Dianora Mambelli. La giovane, costretta dal Borgia, contro la propria volontà, a restargli accanto non vede l’ora di potersi vendicare del suo aguzzino.

Non sarà facile per Niccolò, incapace di resistere al fascino femminile, districarsi in una situazione tanto complicata e pericolosa.

“Il trono” è un romanzo storico e, come tale, la storia che narra è frutto di fantasia sebbene, ovviamente, molti personaggi siano esistiti realmente.

Il pretesto di un Cesare Borgia che incarica Machiavelli di scrivere la propria biografia è decisamente molto ben congeniato perché permette di sviscerare molte tesi e teorie che possiamo ritrovare nel Principe, l’opera più celebre del politico fiorentino.

I tre personaggi principali della storia sono molto ben caratterizzati e la trama che li lega è indubbiamente avvincente. Nella narrazione non manca mai una certa tensione emotiva che contribuisce a creare la giusta empatia del lettore nei confronti dei protagonisti.

Non si può non provare simpatia per Machiavelli con tutti i suoi vizi e le sue virtù. Lui, così arguto e capace di leggere l’animo umano, ma anche incapace di resistere dinnanzi al gentil sesso. Diventa quasi impossibile non farsi coinvolgere dalle debolezze di quest’uomo affetto dal vizio di poetare, avvilito e amareggiato perché nessuno sembra mai tenerlo nella giusta considerazione.

Eppure, anche così romanzato, Bernini trova il modo di rendere oltremodo credibile il personaggio non mancando di porre l’accento su alcune peculiarità del Machiavelli anche fisiche come quel suo immancabile mezzo sorriso, espressione forse del suo prendere le distanze dalla realtà.

A fare da contraltare al segretario fiorentino troviamo il diabolico, ma sempre affascinante Cesare Borgia. Scaltro, sadico e spregiudicato, eppure, dal momento che le cose non sono mai solamente o bianche o nere, anche la spietatezza del Valentino porta con sé talvolta qualche seme di bontà. Egli è senza dubbio un assassino nato, tuttavia non va dimenticato che pure la crudeltà può essere usata bene o male. 

Sinceramente ero molto scettica su questo libro e piuttosto prevenuta, ma devo ammettere che la lettura si è rivelata invece alquanto piacevole.

“Il trono” di Franco Bernini è un romanzo storico coinvolgente e ben costruito. Un buon compromesso tra fantasia e realtà che presenta una gran cura da parte dell’autore nel dettagliare la psicologia dei personaggi e la scena sulla quale si muovono.

 



venerdì 22 aprile 2022

“Cesare Borgia. Il principe spietato” di Lorenzo Demarinis

Il libro si apre con l’episodio che passerà alla storia come la strage di Senigallia, quando tra il 31 dicembre 1502 e il 18 gennaio 1503, Cesare Borgia si vendicherà in modo teatrale di coloro che lo avevano tradito.

Per Vitellozzo Vitelli, Francesco Orsini, Paolo Orsini e Oliverotto da Fermo che credevano, non solo di poter nuovamente tornare al servizio del Valentino, ma poterlo fare addirittura alle loro condizioni non ci sarà alcuno scampo; la vendetta del Borgia, sempre fedele al proprio motto aut Caesar aut nihil, si abbatterà implacabile su di loro.

È Niccolò Machiavelli, dal suo esilio all’Albergaccio, a narrare le vicende ad un mercante olandese che, dopo aver conosciuto la Toscana durante la propria attività lavorativa, ha deciso di eleggere questa terra a luogo del suo ritiro.

La scelta della figura di Machiavelli come narratore da parte dell’autore ha un duplice scopo. Nella finzione letteraria Machiavelli, rievocando i fatti, può fare il punto su quanto è intenzionato a scrivere su Cesare Borgia futuro protagonista del settimo capitolo di quello che diventerà il suo capolavoro “Il Principe”, ma allo stesso Lorenzo Demarinis riesce a trasmettete così al lettore il pensiero del fine politico e dei suoi contemporanei sul tanto chiacchierato figlio di Alessandro VI.

Sulla scena intervengono altri due personaggi Lucrezia Borgia, sorella di Cesare, e Francesco Guicciardini che conversando con Machiavelli ci espongono anche i loro punti di vista su una figura tanto controversa come quella del Valentino.

Il volume fa parte della collana intitolata I volti del male” in uscita in edicola e dedicata ai grandi criminali della storia. Nonostante il mio scetticismo, il libro si è rivelato una lettura piacevole e molto scorrevole.

Pensavo si trattasse di un saggio invece le vicende sono raccontate sotto forma di romanzo e, sebbene gli argomenti non vengano sviscerati in maniera esaustiva e capillare, l’insieme risulta comunque efficace.

Al termine del volume si trova una scheda curata da Vicente Garrido dedicata al profilo psicologico di Cesare Borgia. Ecco, questa scheda mi ha lasciata un po’ perplessa soprattutto per l’interpretazione troppo semplicistica del pensiero di Machiavelli che d’altra parte difficilmente può prestarsi ad essere sintetizzato in così poche pagine senza incorrere nell’evidente rischio di essere falsato e distorto.

Tornando invece al libro, ho molto apprezzato come  la descrizione della figura di Lucrezia Borgia, colei che per secoli è passata alla storia come un’avvelenatrice priva di scrupoli e di facili costumi, venga invece qui ritratta tenendo conto di quel revisionismo storico a cui è stata giustamente sottoposta negli ultimi anni.

Cesare Borgia era affascinante, coraggioso, risoluto e intelligente, ma è altrettanto vero che sapesse essere anche terribilmente spietato. Non si può certo negare questo aspetto del suo carattere, ma la sua figura andrebbe quantomeno storicamente contestualizzata. L’epoca in cui egli visse fu un’epoca dove tradimenti, crimini e assassinii erano all’ordine del giorno, eppure, egli passò alla storia come il più spietato di tutti. Stessa sorte toccò al tanto vituperato Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borgia, sebbene il papato avesse già conosciuto papi altrettanto corrotti e nepotisti. Non possiamo dimenticare, per esempio, che solo pochi anni prima nel 1478 Sisto IV fu uno dei più potenti alleati della famiglia Pazzi in quella congiura che si concluse durante la messa nel Duomo di Firenze con l’assassinio di Giuliano de’ Medici e dalla quale per pura fortuna il Magnifico riuscì ad uscirne solo lievemente ferito.

La figura di Cesare Borgia, come molto raramente accade nella storia, assurse alla gloria del mito quando egli era ancora in vita ed è davvero apprezzabile l’idea di riproporre una rilettura moderna della leggenda del Valentino rifacendosi agli scritti e all’esperienza del Machiavelli, per cui se cercate una lettura valida, ma non troppo impegnativa sull’argomento questo libro potrebbe fare al caso vostro.

 

 

domenica 12 settembre 2021

L’Albergaccio (Casa di Machiavelli)

Quest’estate sono riuscita a realizzare un sogno: visitare l’Albergaccio! Sì, lo so che Niccolò Machiavelli è un personaggio che ai più non è molto simpatico, ma io sin da ragazzina ho sempre nutrito per lui una vera passione.

Ringrazio soprattutto Villa Machiavelli che, nonostante fossero occupatissimi nell’allestimento per un matrimonio, mi hanno permesso lo stesso di visitare la casa museo di cui loro sono custodi e proprietari.






Non ci provo neppure a descrivervi l’emozione di poter camminare per quelle stanze e visitare lo studio dove venne scritta la sua opera più famosa: Il Principe. 







Da Sant’Andrea in Percussina si scorge in lontananza Firenze con la sua meravigliosa cupola. Chissà cosa avrà provato Niccolò ogni volta che guardava in quella direzione, lui esiliato in campagna, lontano dalla sua amata attività politica… Sto diventando troppo sentimentale, vero?



Al rientro dei Medici a Firenze nel 1512, Niccolò Machiavelli dopo essere stato incarcerato e torturato, perché accusato di aver preso parte alla congiura antimedicea, venne esiliato a San Casciano Val di Pesa. San’Andrea in Percussina dove si trova l’Albergaccio, è appunto una frazione di San Casciano.


Di come trascorresse i suoi giorni è rimasta traccia soprattutto in una lettera che Machiavelli scrisse all’amico Vettori, datata 10 dicembre 1513, nella quale egli racconta di come passasse il tempo del giorno ad occuparsi dei suoi poderi, a giocare a tric-trac all’osteria e di come alla sera invece “rivestito condecentemente” entrasse “nelle antique corti degli antiqui uomini” per discorrere e ragionar con loro.





La famiglia Machiavelli era suddivisa in più rami. Il ramo in cui nacque Niccolò si estinse nel XVII secolo e i suoi successori furono i Conti Serristori di Firenze che detennero il possesso di queste terre fino al passaggio all’attuale proprietà che ha provveduto a restaurare Casa Machiavelli in modo accurato facendone un museo molto suggestivo.




Un consiglio: fate una sosta e fermatevi a mangiare a Villa Machiavelli non ve ne pentirete! La coppa Machiavelli, una variante di tiramisù con cantucci e vin santo, è qualcosa di divino…





domenica 24 gennaio 2021

“Il sorriso di Niccolò” di Maurizio Viroli

Politico o filosofo? Letterato o poeta? Repubblicano o monarchico? Nei secoli la controversa figura di Niccolò Machiavelli è stata spesso oggetto di aspre critiche. 

Tacciato il più delle volte di essere un uomo cinico, freddo, calcolatore, arrivista e spregiudicato, solo in epoca recente la critica ha iniziato a riconoscergli quella dignità e quegli onori che egli da sempre avrebbe meritato grazie alla sua saggezza politica e alla sua vasta conoscenza della vita e della condizione umana.

L’intento di Maurizio Viroli è quello di raccontare attraverso le pagine del suo libro il Machiavelli uomo o meglio il “Machia” come veniva affettuosamente chiamato dagli amici.

Per raccontare l’uomo, però, è necessario parlare anche del suo tempo e delle personalità che quel tempo lo forgiarono e contrassegnarono con le loro azioni e le loro idee; Viroli ci parla quindi anche di quel mondo del quale Machiavelli fu allo stesso tempo protagonista  e spettatore.

Maurizio Viroli inizia col raccontarci del Niccolò bambino e del rapporto che questi ebbe con il padre, un legame quello con Bernardo molto più vicino ad un rapporto di amicizia che ad un comune rapporto tra padre e figlio.

Bernardo era dottore in legge ed era amante dei libri, una passione che senza dubbio fu lui a trasmettere al figlio. Niccolò e Bernardo avevano in comune anche molte altre cose come lo spirito lieto, l’amore per le allegre compagnie, la conversazione gioiosa e le battute salaci.

Il “Machia” era un uomo intelligente, arguto, burlone e dotato di una finissima intelligenza.

Innamorato delle donne, amico sincero, sempre pronto a prodigarsi per una giusta causa, Machiavelli metteva passione in ogni cosa; i suoi più grandi amori furono gli antichi e la storia mentre la sua lealtà e la sua devozione furono sempre tutte per la sua Firenze.

Il libro ripercorre la vita di Machiavelli seguendolo nella sua carriera di segretario della Repubblica e accompagnandolo nelle corti dove egli fu inviato in qualità di esperto e valente diplomatico.

Una vita dedicata alla politica che terminò bruscamente con il ritorno dei Medici a Firenze. Machiavelli fu arrestato, subì l’umiliazione del carcere perché accusato di tradimento e infine fu costretto a ritirarsi nei suoi possedimenti a Sant’Andrea in Percussina lontano dalla vita pubblica.

“Il sorriso di Niccolò” è un saggio molto scorrevole che si legge quasi fosse un romanzo; attraverso la storia dell’epoca e i frammenti tratti dalle sue opere ma soprattutto dagli epistolari, la figura di Machiavelli emerge dal passato in tutte le sue innumerevoli sfaccettature.

Nicolò Machiavelli era un fine politico, amante della libertà e dell’uguaglianza civile; la politica era la sua passione più grande, ma egli voleva esercitarla solo per il bene della sua amata città. Non esitò infatti a rifiutare, anche dopo che le sue aspettative erano state nuovamente disilluse dai Medici, un ben remunerato e allettante incarico presso Prospero Colonna.

Machiavelli non desiderò mai nel corso della sua vita potere e denaro, ma solo fare qualcosa di importante per Firenze e per questo poter essere ricordato ed onorato un giorno dai suoi concittadini.

Il sorriso di Niccolò Machiavelli era un sorriso con il quale egli rispondeva alle miserie della vita e ai colpi dell’avversa fortuna, un sorriso nato dalla conoscenza delle miserie umane.

Indossava il suo sorriso per non lasciarsi sopraffare dalla malinconia e dalla pena, la sua maschera migliore con la quale ingannare gli uomini e la sorte per non dar loro la soddisfazione di vederlo abbattuto e sconfitto.

Machiavelli rimase fino alla fine fedele a se stesso e si congedò dagli  amici con il racconto di un sogno, vero o presunto non si saprà mai, che lo vedeva andare all’Inferno, ma quell’Inferno per lui valeva molto più del Paradiso dove si sarebbe inevitabilmente annoiato tra santi e beati. Meglio l’Inferno dove avrebbe potuto trascorrere l’eternità a discorrere di politica in compagnia dei grandi dell’antichità.

(…) perché io credo, credetti e crederrò sempre che sia vero quello che dice Boccaccio: che gli è meglio fare e pentirsi, che non fare e pentirsi

In queste righe c’è tutta la saggezza di Niccolò Machiavelli, un uomo che non permise mai alla paura di fermarlo e che fino alla fine perseguì con passione tutti i suoi sogni anche quelli più grandi e impossibili.

 

 

sabato 2 maggio 2020

“Niccolò Machiavelli. Ragione e pazzia” di Michele Ciliberto


NICCOLO’ MACHIAVELLI
RAGIONE E PAZZIA
di Michele Ciliberto
EDITORI LATERZA
Machiavelli è considerato uno dei più grandi teorici della ragione politica e, nonostante siano passati secoli, egli rimane uno degli autori più studiati.
Perché l’interesse per la sua opera resta ancora oggi così vivo e attuale? Ma soprattutto chi era davvero Niccolò Machiavelli?
Sono questi alcuni degli interrogativi a cui Michele Ciliberto desidera dare una risposta.

Niccolò Machiavelli amava la vita attiva e detestava l’ozio; per un uomo del genere l’esilio dovette pesare senza alcun dubbio in modo terribile.
L’esilio lo condannava a stare lontano dall’attività politica e dalle istituzioni, insomma da quel mondo per cui egli stesso si sentiva tagliato sopra ad ogni altra cosa.
Era proprio nelle sue funzioni di politico, infatti, che sapeva di riuscire ad esprimere al meglio le proprie qualità.
Il suo piacere più grande era quello di poter mettere quelle qualità al servizio della collettività, ma sopratutto della sua amata Firenze perché Machiavelli era innanzitutto un patriota.

Politica e letteratura, teatro e poesie erano le sue vere vocazioni quelle per cui egli avrebbe voluto vivere e morire.

Machiavelli era un uomo ostinato e questa sua ostinazione lo costrinse, nonostante la sorte avversa, a non fermarsi mai anche quando non vedeva alcuna possibilità di vittoria.

Non era un uomo religioso, alla religione riconosceva un unico merito, quello di poter essere un collante in grado di spronare le masse a battersi per un fine comune.
La religione per Machiavelli poteva essere un utile artificio per tenere unito il popolo così come potevano esserlo simboli quali gli stendardi o il Marzocco.

Egli non condivideva l’idea di una repubblica teocratica come quella di Savonarola, ma sapeva riconoscerne lucidamente i punti di forza così come allo stesso modo sapeva indovinare i punti deboli del pensiero del frate, errori che di fatto portarono il domenicano all’inevitabile sconfitta.

Secondo il segretario fiorentino è la Fortuna con la effe maiuscola a governare il mondo, ma la Fortuna non guarda in faccia nessuno, è mutevole ed imprevedibile.
Proprio per questo motivo non bisogna arrendersi, perché laddove non si pensa di avere alcuna speranza il destino può volgere a nostro favore.
Non bisogna però dimenticare che, allo stesso modo, non si dovrà mai abbassare la guardia perché, proprio quando si crederà di aver raggiunto un obiettivo, basterà un nonnulla per perdere tutto.

Niccolò Machiavelli. Ragione e pazzia.
Ragione è un termine che riusciamo facilmente ad associare alla sua figura. Tutti noi, infatti, siamo a conoscenza di quelle che erano le sue grandi capacità di analizzare e prevedere l’andamento degli avvenimenti.
Ma come associare la figura di Niccolò Machiavelli alla pazzia?
La pazzia di Machiavelli non deve assolutamente essere intesa come idiozia o stupidità, la sua è una pazzia ragionata, una lucida follia.
Per Machiavelli laddove la situazione è disperata solo qualcosa di pazzo e di ardito, qualcosa di inaspettato può far si che i fatti volgano a nostro favore.

Machiavelli conosce bene l’ingratitudine degli uomini dei quali in generali ha un’idea piuttosto miserevole, su di loro getta spesso uno sguardo disincantato, crudele e disilluso.

Al di là di quello che si è portati comunemente a pensare egli non era un uomo noioso, ma un uomo che a suo modo sapeva scherzare, amava la buona compagnia degli amici e non disdegnava quella delle donne.
Tutto questo lo si ritrova nelle sue lettere, quelle stesse lettere nelle quali troviamo anche conferma del suo pensiero politico.

Machiavelli era un uomo pienamente consapevole del proprio valore così come era totalmente consapevole della mancanza dei riconoscimenti ricevuti per i propri meriti, nonostante questo però non fu mai né tenero né condiscendente quando parlava di sé.

Gli anni che trascorse al servizio della Repubblica dal 1498 al 1512 furono gli anni migliori della sua vita.

Nemico della neutralità, Machiavelli fu sempre un estremista, convinto che solo azioni audaci ed eccessive potessero dare qualche risultato.

Lo vediamo nelle immagini giunte ai giorni nostri sempre raffigurato con un mezzo sorriso sulle labbra, un’espressione indecifrabile ed enigmatica.
Egli indossò sempre una maschera, per tutta la sua vita.
Conosceva l’importanza di non svelare mai troppo di se stesso a coloro che aveva di fronte, sapeva quanto fosse necessario nascondere la proprie debolezze ed i propri dubbi, mai porgere il fianco scoperto al nemico, mai mostrare la propria vulnerabilità.

Amava la storia, soprattutto quella romana, ma era e restava sempre un uomo del suo tempo.
Riconosceva alla storia una grande importanza poiché attraverso lo studio di questa e degli antichi riteneva si potesse apprendere molto su quale fosse il modo migliore di comportarsi e confrontarsi con il presente.
Non credeva però che la storia potesse ripersi identica a se stessa nel corso dei secoli e, per tale motivo, non poteva essere maestra di vita in senso stretto, poteva comunque essere fonte di ispirazione, questo sì.
L’importante, però, era non dimenticare mai il ruolo che la Fortuna avrebbe sempre giocato nella vita degli uomini.

Egli trascorse tutta la sua vita nell’ostinato tentativo di cercare di mettere in ordine gli eventi, cercando di parare i colpi della Fortuna, quella Fortuna che troppo spesso gli  fu avversa.

Era dotato di una capacità straordinaria quella di saper analizzare gli eventi così da riuscire a cogliere in anticipo ciò che sarebbe potuto accadere, tanto che i suoi stessi amici gli attribuivano capacità profetiche.

Machiavelli indossava una maschera anche quando scriveva, la sua era sempre una recita ed il teatro, del resto, esercitò sempre su di lui un fascino particolare.
Egli stesso fu autore di commedie e l’elemento tragicomico fu quello che più di ogni altro si addiceva alla sua personalità; amava l’ironia e Boccaccio era uno dei suoi autori preferiti.

Il libro di Michele Ciliberto, al contrario di altri saggi, mette in rilievo l’uomo Machiavelli oltre che la sua opera, aiutandoci a comprendere meglio la sua ermetica personalità.
L’esperienza umana di Machiavelli fu imprescindibile dalle sue opere e dal suo pensiero politico.

Michele Ciliberto ci fornisce la chiave per comprendere chi fosse davvero Niccolò Machiavelli, quell’uomo il cui pensiero è troppo spesso passato alla storia liquidato con le parole “il fine giustifica i mezzi”, parole che in realtà il fiorentino non pronunciò mai.

Analizzando la sua vita e gli eventi che lo segnarono profondamente, attraverso lo studio delle sue opere, dei suoi scritti, delle sue lettere Michele Ciliberto ci presenta un Machiavelli per molti versi inedito ovvero un uomo visionario, un uomo capace di sporgersi oltre le barriere e di vedere al di là delle situazioni.

Il libro di Michele Ciliberto credo che sia il saggio che più di ogni altro tra quelli da me letti riesca a svelare per quanto possibile la vera anima di Niccolò Machiavelli, un personaggio che, come avrete capito, ha sempre esercitato e sempre eserciterà su di me un fascino davvero particolare.





martedì 13 agosto 2019

“Machiavelli e l’Italia” di Alberto Asor Rosa


MACHIAVELLI E L’ITALIA
di Alberto Asor Rosa
EINAUDI
“Machiavellico” è considerato sinonimo di subdolo, astuto, amorale e doppio; è un termine oggi universalmente riconosciuto come riferito ad una persona falsa e senza scrupoli che manipola gli altri e le circostanze per raggiungere i propri scopi.

Ma chi era il segretario fiorentino secondo il professor Alberto Asor Rosa? L’intento del professore è quello di superare la dicotomia che vede contrapposta ormai da secoli la visione di un Machiavelli “buono” ad un Machiavelli “cattivo”.

Secondo Alberto Asor Rosa esiste un solo Machiavelli che non è né buono né cattivo, ma che ha semplicemente come unico fine quello di realizzare lo scopo migliore servendosi dei mezzi più adeguati al suo raggiungimento.

Lo strumento cattivo diventa buono se buono è il fine da raggiungere, ma allo stesso tempo lo strumento è da considerarsi buono o cattivo a seconda che sia utile o meno al raggiungimento dello scopo prefissato.   

La leggendaria figura del pensatore, letterato e politico Niccolò Machiavelli, viene in questo libro raccontata nella sua dimensione più umana attraverso l’analisi dei molteplici interessi e vocazioni che lo appassionarono durante l’arco della sua esistenza.

Alberto Asor Rosa ci racconta dell’uomo Machiavelli e del suo pensiero partendo dal presupposto che “il pensiero non è spirito, è materia, al pari del corpo: ed esattamente come il corpo funziona e agisce”.

Machiavelli era un profondo conoscitore del suo tempo ed un acuto osservatore, ma come il professor Asor Rosa sottolinea egli era anche uno sconfitto.

La teoria sull’Italia che egli arriva a sintetizzare ne “Il Principe”, la sua opera forse più famosa, nasce infatti da un’esperienza di disfatta e di perdita.

Machiavelli era un repubblicano, un democratico, ma aveva compreso, grazie all’acume politico di cui era dotato, che l’unica strada percorribile per se stesso e per l’Italia non poteva essere che quella del Principato.

L’Italia all’epoca di Machiavelli non era una nazione nel senso stretto del termine bensì un’idea che fondava le sue radici nel mondo politico e letterario.

L’Italia non corrispondeva sulla cartina politica del tempo a nessun territorio unitario, come potevano essere allora la Francia o l’Inghilterra, essa era frazionata in una moltitudine di stati, comuni e signorie; l’italianità però era una denominazione continuamente ricorrente in tutti i più importanti autori del periodo.

La percezione di questa comune identità era un sentire che apparteneva già ad autori di epoca classica, primo fra tutti Virgilio, e che era destinata a perdurare ed ad ingrossare le proprie fila nei secoli a venire con letterati, poeti e politici del calibro di Dante, Boiardo, Ariosto e così via.

La dura condanna quindi che Machiavelli e Guicciardini rivolgono ai principi italiani per aver, non solo permesso, ma anche attirato l’intervento di armi straniere e barbare nel territorio della penisola, è una tematica che ha interessato letterati e politici fin dai tempi antecedenti alla  loro denuncia e continuerà ad essere tematica di discussione e dibattito per molti secoli a venire.

“Machiavelli e l’Italia” ripercorre gli anni che vanno dal 1492 (anno della morte di Lorenzo Il Magnifico nonché dell’elezione di Alessandro VI al soglio pontificio) al 1530, anni in cui si delinea un grave e decisivo momento per la storia italiana, un momento che l’autore definisce la “grande catastrofe”.

La ricostruzione del periodo che emerge dalle pagine del libro è una ricostruzione completa ed affascinante dell’epoca, un quadro minuzioso delle più svariate tematiche, esperienze e personalità del tempo.

Alberto Asor Rosa però, prendendo in esame l’epoca oggetto del suo saggio, non tralascia di indagare quegli eventi che hanno preceduto tale periodo e ad esso hanno inevitabilmente condotto; allo stesso modo, inoltre, al fine di ottenere una più giusta e corretta visione d’insieme, si preoccupa anche di gettare uno sguardo sulle ripercussioni future che la “grande catastrofe” avrà sull’Italia negli anni e nei secoli a venire.

La storia di Niccolò Machiavelli viene raccontata attraverso i suoi scritti, non solo quelli più conosciuti come “Il Principe”, i “Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio”, le “Istorie fiorentine”, ma anche attraverso accenni ad altri suoi testi di natura all’apparenza, passatemi il termine, più “frivola” come i testi teatrali (“La mandragola”) o i racconti (“La favola di Belfagor Arcidiavolo”).

Sono però le sue lettere, quelle a Francesco Vettori e a Francesco Guicciardini in primis, ad essere, più di ogni altro scritto, a darci gli elementi più validi per riuscire ad inquadrare quello spirito appassionato ed arguto che, insieme all’acuta intelligenza, facevano del segretario fiorentino un personaggio ricco di fascino, un fascino che, nonostante siano passati secoli, continua a sedurci.

Il Machiavelli che emerge dalle pagine del libro è un personaggio a tutto tondo che, liberato finalmente  da tutte quelle odiose “etichette” che la storia gli ha attaccato nel corso dei secoli, appare come un uomo dotato di viva intelligenza, lungimiranza e perspicacia, un uomo appassionato che, al momento giusto, era anche capace di sfoggiare tutta la sua arguzia e la sua ironia.

“Machiavelli e l’Italia”, grazie all’indiscusso talento del suo autore, è una lettura scorrevole e di grande fascino dove la storia del passato vi si legge come se si trattasse della storia più coinvolgente dei nostri giorni.

Sarà forse perché l’epoca di Machiavelli ha molto più in comune con i nostri tempi di quanto ad un primo superficiale esame si potrebbe pensare? 






lunedì 26 dicembre 2016

“Il Principe” Niccolò Machiavelli (1469 – 1527)

IL PRINCIPE
di Niccolò Machiavelli
versione in italiano contemporaneo
di Piero Melograni
OSCAR MONDADORI 
Niccolò Machiavelli, storico, scrittore, drammaturgo, politico e filosofo italiano, è considerato il fondatore della scienza politica moderna.

Nato nel 1469, anno in cui Lorenzo il Magnifico divenne signore di Firenze, Machiavelli visse in un’epoca straordinariamente florida per la sua città.

Compose “Il Principe” nel 1513 quando, con il ritorno dei Medici a Firenze, accusato di aver preso parte alla congiura ordita da Pietro Paolo Boscoli e Agostino Capponi, fu allontanato dagli incarichi pubblici.

L’opera doveva essere dedicata in un primo momento a Giuliano de’ Medici, ma dopo la morte di questi sopraggiunta nel 1516, venne dedicata a Lorenzo de’ Medici, figlio di Piero de’ Medici  e omonimo del famoso Lorenzo il Magnifico.

“Il Principe” fu divulgato per circa vent’anni esclusivamente sotto forma di manoscritto e vide la stampa per la prima volta solo nel 1532, cinque anni dopo la morte del suo autore.

Nel 1552 l’opera era inclusa nel primo “Indice” dei libri proibiti dalla Chiesa.

L’opera si apre con la dedica a Lorenzo de’ Medici, nella quale Niccolò Machiavelli, con la speranza di non essere accusato di presunzione, dichiara la sua intenzione di voler mettere al servizio del Principe la sua conoscenza della dottrina politica, frutto di studi attenti e meticolosi eseguiti operando confronti tra le vicende antiche e quelle contemporanee.

Il libro è diviso in 26 capitoli. Ogni capitolo affronta un argomento specifico con l’intento di tracciare quelle linee guida necessarie al Principe per poter raggiungere il potere, esercitarlo nel migliore dei modi e soprattutto mantenerlo a lungo.

Sono evidenziati i vari tipi di principati (ereditari, misti, civili, ecclesiastici), i rapporti che intercorrono tra il principe e i propri eserciti (propri, mercenari, ausiliari, misti), i metodi per conquistare un principato e infine le qualità del Principe, le doti che devono essere sue proprie così come le capacità, i comportamenti da tenere e i sentimenti che il Principe deve essere in grado di suscitare nei sudditi.

Riuscire a riassumere il tutto in un semplice post di sole poche righe è davvero impresa impossibile e, ancora più impensabile, sarebbe riuscire a sviscerare ogni argomento a livello storico e letterario che quest’opera inevitabilmente ci pone innanzi.

Per questo preferisco lasciare alle varie antologie e agli assai numerosi saggi la trattazione più rigorosa e critica dell’argomento e portare invece alla vostra attenzione altri aspetti, primi tra tutti il valore di questa bella versione de “Il Principe” edita da Mondadori e pubblicata per la prima volta da Rizzoli nel 1991.

Piero Melograni (1930 – 2012) è autore sia dell’introduzione sia della versione del trattato di Machiavelli in italiano contemporaneo.

Il lettore è solito accostarsi agli scritti del Machiavelli leggendolo nella sua propria lingua ovvero il fiorentino cinquecentesco, lingua alquanto ostica per la maggior parte dei contemporanei.
In questa edizione invece il testo italiano a fronte rende decisamente più fruibili i contenuti facilitando il lettore nella comprensione degli stessi.
Il mio vivo consiglio però è sempre quello di leggere prima il capitolo in versione originale, per non perdere nulla della piacevole, concreta ed avvincente scrittura del Machiavelli.

L’introduzione affascinante e coinvolgente, scritta da Melograni, è la premessa ideale per avvicinarci al testo.

Piero Melograni, grazie alla sua straordinaria capacità di sintesi, è riuscito in poco meno di una trentina di pagine a riassumere gli aspetti principali della vita privata e politica del Machiavelli e, nello stesso tempo, a darci un quadro completo della fortuna delle sue opere e di come il suo pensiero abbia influenzato quello dei posteri nel corso dei secoli.

Ricorda inoltre come Jean-Jacques Rousseau nel suo “Contratto sociale” ritenesse il Machiavelli semplicemente un “buon cittadino” che aveva usato un artifizio per dare una lezione ai poveri, ovvero che il suo vero intento non fosse quello di ingraziarsi il Principe, ma piuttosto quello di mettere in guardia il popolo dalle miserie e dalle malefatte dei potenti.

L’intento vero di Niccolò Machiavelli in realtà era quello scaturito dal piacere di spiegare le regole della politica e formulare tesi che nessuno prima di lui aveva enunciato con tanta chiarezza e coraggio, senza ovviamente tralasciare l’idea di far cosa gradita, con il suo omaggio, a Lorenzo de’ Medici così da poter tornare quanto prima alla vita politica attiva.

Perché rileggere “Il Principe”? A costo di essere scontata e banale, non posso che rispondere: perché è un classico sempre attuale, un trattato profondo, inquietante ed estremamente “vero”.

Rileggendolo si ritrova tutta la forza e il fascino di un Machiavelli che purtroppo, nello studio scolastico, tende troppo spesso a ridursi a una mera sequenza di frasi fatte.

Rileggendolo avrete modo di fare vostri molti concetti che, alla luce di un percorso scolastico completo e grazie alle esperienze di vita vissute nel corso degli anni, assumeranno accezioni completamente diverse e molto più profonde.

Ho letto per la prima volta “Il Principe” all’età di 13 anni e questa rilettura è stata per certi versi una vera sorpresa. Ad una così giovane età non mi ero ovviamente soffermata sugli esempi storici che sono una parte importante del trattato, ma troppo noiosi per una ragazzina; sono quindi rimasta molto stupita da quanto alcuni concetti fossero rimasti, senza che me fossi mai resa conto, così radicati nella mia mente.

Ho letto molti libri da allora e alcuni li ricordo con estremo piacere, ma nessuno come “Il Principe” credo abbia attecchito così profondamente nella mia mente da lasciare, a distanza di numerosi anni, un’eco così forte dei suoi insegnamenti.

“Il Principe” è un libro da leggere lentamente per avere il tempo di assimilarne meglio i concetti e le idee.
E' una di quelle opere da leggere più volte  nel corso degli anni e perché no? magari tenerne una copia sul comodino per rileggerne un passo ogni tanto.

E’ necessario che un principe sappia servirsi
dei mezzi adatti sia alla bestia sia all’uomo.
Il principe è dunque costretto a saper essere bestia
e deve imitare la volpe e il leone.
Dato che il leone non si difende dalle trappole
e la volpe non si difende dai lupi,
bisogna essere volpe per riconoscere le trappole,
e leone per impaurire i lupi.