MACHIAVELLI E L’ITALIA
di Alberto
Asor Rosa
EINAUDI
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“Machiavellico” è considerato sinonimo
di subdolo, astuto, amorale e doppio; è un termine oggi universalmente
riconosciuto come riferito ad una persona falsa e senza scrupoli che manipola
gli altri e le circostanze per raggiungere i propri scopi.
Ma chi era il segretario fiorentino
secondo il professor Alberto Asor Rosa? L’intento del professore è quello di superare la dicotomia che vede contrapposta
ormai da secoli la visione di un Machiavelli “buono” ad un Machiavelli
“cattivo”.
Secondo Alberto Asor Rosa esiste un solo Machiavelli che non è né
buono né cattivo, ma che ha
semplicemente come unico fine quello di realizzare lo scopo migliore servendosi
dei mezzi più adeguati al suo raggiungimento.
Lo strumento cattivo diventa buono se
buono è il fine da raggiungere, ma allo stesso tempo lo strumento è da
considerarsi buono o cattivo a seconda che sia utile o meno al raggiungimento
dello scopo prefissato.
La
leggendaria figura del pensatore,
letterato e politico Niccolò Machiavelli, viene in questo libro raccontata nella sua dimensione più umana
attraverso l’analisi dei molteplici interessi e vocazioni che lo appassionarono
durante l’arco della sua esistenza.
Alberto Asor Rosa ci racconta dell’uomo
Machiavelli e del suo pensiero partendo dal presupposto che “il pensiero non è spirito, è materia, al
pari del corpo: ed esattamente come il corpo funziona e agisce”.
Machiavelli
era un profondo conoscitore del suo tempo ed un acuto osservatore, ma come il
professor Asor Rosa sottolinea egli era anche uno sconfitto.
La teoria sull’Italia che egli arriva a
sintetizzare ne “Il Principe”, la sua opera forse più famosa, nasce infatti da
un’esperienza di disfatta e di perdita.
Machiavelli
era un repubblicano, un democratico, ma aveva compreso, grazie all’acume
politico di cui era dotato, che l’unica strada percorribile per se stesso e per
l’Italia non poteva essere che quella del Principato.
L’Italia all’epoca di Machiavelli non
era una nazione nel senso stretto del termine bensì un’idea che fondava le sue
radici nel mondo politico e letterario.
L’Italia non corrispondeva sulla cartina
politica del tempo a nessun territorio unitario, come potevano essere allora la
Francia o l’Inghilterra, essa era frazionata in una moltitudine di stati,
comuni e signorie; l’italianità però era
una denominazione continuamente ricorrente in tutti i più importanti autori del
periodo.
La
percezione di questa comune identità era un sentire che apparteneva già ad
autori di epoca classica,
primo fra tutti Virgilio, e che era destinata a perdurare ed ad ingrossare le
proprie fila nei secoli a venire con letterati, poeti e politici del calibro di
Dante, Boiardo, Ariosto e così via.
La
dura condanna quindi che Machiavelli e Guicciardini rivolgono ai principi
italiani per aver, non solo permesso, ma anche attirato l’intervento di armi
straniere e barbare nel territorio della penisola, è una tematica che ha interessato
letterati e politici fin dai tempi antecedenti alla loro denuncia e continuerà ad essere tematica
di discussione e dibattito per molti secoli a venire.
“Machiavelli
e l’Italia” ripercorre gli anni che vanno dal 1492 (anno della morte di Lorenzo
Il Magnifico nonché dell’elezione di Alessandro VI al soglio pontificio) al 1530, anni in cui si delinea un grave e
decisivo momento per la storia italiana, un momento che l’autore definisce la “grande catastrofe”.
La
ricostruzione del periodo che emerge dalle pagine del libro è una ricostruzione
completa ed affascinante dell’epoca, un quadro minuzioso delle più svariate
tematiche, esperienze e personalità del tempo.
Alberto Asor Rosa però, prendendo in
esame l’epoca oggetto del suo saggio, non tralascia di indagare quegli eventi
che hanno preceduto tale periodo e ad esso hanno inevitabilmente condotto; allo
stesso modo, inoltre, al fine di ottenere una più giusta e corretta visione
d’insieme, si preoccupa anche di gettare uno sguardo sulle ripercussioni future
che la “grande catastrofe” avrà sull’Italia negli anni e nei secoli a venire.
La storia di Niccolò Machiavelli viene
raccontata attraverso i suoi scritti,
non solo quelli più conosciuti come “Il Principe”, i “Discorsi sopra la
prima Deca di Tito Livio”, le “Istorie fiorentine”, ma anche attraverso accenni ad altri suoi testi di natura all’apparenza,
passatemi il termine, più “frivola” come
i testi teatrali (“La mandragola”) o
i racconti (“La favola di Belfagor Arcidiavolo”).
Sono
però le sue lettere, quelle a Francesco Vettori e a
Francesco Guicciardini in primis, ad essere, più di ogni altro scritto, a darci gli elementi più validi per riuscire
ad inquadrare quello spirito appassionato ed arguto che, insieme all’acuta
intelligenza, facevano del segretario
fiorentino un personaggio ricco di fascino, un fascino che, nonostante siano
passati secoli, continua a sedurci.
Il Machiavelli che emerge dalle pagine
del libro è un personaggio a tutto tondo
che, liberato finalmente da tutte quelle
odiose “etichette” che la storia gli ha attaccato nel corso dei secoli,
appare come un uomo dotato di viva intelligenza, lungimiranza
e perspicacia, un uomo appassionato
che, al momento giusto, era anche capace di sfoggiare tutta la sua arguzia e la
sua ironia.
“Machiavelli e l’Italia”, grazie
all’indiscusso talento del suo autore, è una lettura scorrevole e di grande
fascino dove la storia del passato vi si legge come se si trattasse della
storia più coinvolgente dei nostri giorni.
Sarà forse perché l’epoca di Machiavelli
ha molto più in comune con i nostri tempi di quanto ad un primo superficiale
esame si potrebbe pensare?
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