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domenica 14 settembre 2025

“Il velo di Lucrezia” di Carla Maria Russo

La narrazione prende avvio dall’epilogo: un finale che anticipa il cuore della vicenda. Filippo Lippi si reca da Cosimo de’ Medici, ormai prossimo alla fine, per mantenere una promessa fatta anni prima al suo mecenate e confidente: mostrargli per primo quel dipinto che racchiude il senso profondo della sua vita e della sua arte. Non si tratta di un’opera qualunque, ma del capolavoro che lo consacrerà come uno dei grandi artisti del suo secolo e di quelli futuri. Su quella tela, Filippo Lippi ha riversato tutto se stesso.

La narrazione si sviluppa su due piani intrecciati. Da una parte, la vita dell’artista, frate e pittore, figura complessa e contraddittoria, divisa tra la vocazione religiosa e il desiderio mondano, che si muove tra botteghe, conventi, simposi umanistici nella Firenze quattrocentesca. Dall’altra, la voce di Spinetta Buti, che racconta con dolore quello che ha vissuto come un tradimento da parte di Lucrezia, la sorella da lei tanto amata. Quando le vite di Filippo e Lucrezia si incontrano, le due prospettive si fondono, per poi separarsi nuovamente quando è Lucrezia, attraverso alcune lettere indirizzate a Spinetta, ad offrire il suo punto di vista, intimo e personale, su quanto da lei vissuto.

La Firenze del Quattrocento emerge come una protagonista silenziosa ma pulsante. Le descrizioni dei luoghi sono così vivide che sembra di camminare tra le strade lastricate, di ascoltare il vociare dei mercanti, di respirare l’aria intrisa di arte e fermento culturale. L’uso del vernacolo fiorentino per i personaggi del popolo dona autenticità e colore, rendendo il racconto ancora più immersivo e realistico.

Si potrebbe quasi dire che Filippo Lippi visse d’arte e visse d’amore, come canta Tosca nell’opera di Puccini. Nella vita di Filippo è l’arte a prendere il sopravvento diventando per lui rifugio, ossessione e redenzione. Dopo una giovinezza sregolata, segnata dall’inseguimento delle grazie femminili, egli riversò tutta la sua passione in un ritratto ideale ispirato a Lucrezia. La descrizione che Carla Maria Russo fa del dipinto e della passione, o forse sarebbe più corretto dire dell’ossessione, che travolse Filippo ricorda il sentimento che si racconta avesse colto Leonardo da Vinci nei confronti della sua Gioconda, il dipinto che lo accompagnò fino alla fine dei suoi giorni.

Il romanzo, pur nella sua leggerezza, è ben documentato e sorprendentemente attuale. Fa sorridere e riflettere come certi meccanismi sociali e urbani di Firenze conservino una modernità disarmante: come lo spostamento delle botteghe verso il Mercato Nuovo, per chi poteva permetterselo, dopo che Orsanmichele era tornato ad essere esclusivamente una chiesa. I ricchi e i politici ignoravano le difficoltà della povera gente e le esigenze dei lavoratori. Chi conosce un po’ la realtà fiorentina non potrà fare a meno di cogliere analogie sorprendenti con ciò che sta accadendo oggi.

La lettura scorre piacevolmente, con un ritmo fluido e coinvolgente. È una storia che parla di arte e di amore, ma anche di libertà, vocazione e scelte coraggiose. Un affresco potente e delicato, capace di restituire con grazia e precisione il battito profondo di un’epoca irripetibile.



lunedì 8 settembre 2025

“La disfida mancata” di Luca Tempini

Un romanzo che riesce a raccontare il Rinascimento con autenticità e profondità, senza cadere nell’eccesso o nell’idealizzazione. Scoperto quasi per caso tra gli stand affollati del Salone del Libro di Torino, questo volume di quasi seicento pagine si è rivelato una lettura sorprendentemente ricca, capace di tenere alta l’attenzione e di lasciare il segno.

La storia si apre nel 1478, con la congiura dei Pazzi, e si chiude nel 1519, con la morte di Leonardo da Vinci. In mezzo, oltre quarant’anni di eventi che hanno segnato l’Europa: guerre, rivoluzioni, tensioni religiose, ma anche un’esplosione di arte, pensiero e bellezza. Il Rinascimento non è solo lo sfondo: è parte viva del racconto, presente in ogni scena, in ogni dialogo, in ogni scelta dei personaggi.

Francesco Acciaiuoli, protagonista della vicenda, è un personaggio di finzione, ma costruito con tale cura da sembrare reale. Colto, raffinato, ironico, abile diplomatico e uomo d’azione, si muove con intelligenza tra le trame della corte di Lorenzo de’ Medici, crocevia di potere, cultura e ambizione. La sua figura dà coerenza alla narrazione, e quando scompare, il lettore ne avverte la mancanza, come quella di un amico che ha lasciato la scena troppo presto.

Il titolo “La disfida mancata” richiama la vicenda legata ai due affreschi, commissionati dal gonfaloniere Pier Soderini, mai realizzati nella Sala del Gran Consiglio di Palazzo Vecchio: la Battaglia di Anghiari di Leonardo e la Battaglia di Cascina di Michelangelo. Due opere incompiute, due visioni opposte, due maestri assoluti. In quelle assenze si riflette la tensione di un’epoca che aspirava all’eternità, ma viveva costantemente in bilico tra genio e fallimento.

La trama intreccia con equilibrio storia e finzione, misteri e passioni. Qualche imprecisione storica è presente; l’autore si concede qualche libertà narrativa, ma lo fa con misura, rendendo così la lettura più fluida e coinvolgente, senza mai tradire lo spirito del tempo.

Particolarmente riusciti i personaggi femminili: intensi, sfaccettati, lontani da stereotipi. Le loro voci sono autentiche, capaci di influenzare la trama e di lasciare un’impressione duratura. Ricordano la grazia silenziosa dei volti di Raffaello, ma da quella bellezza emerge una personalità che va oltre ciò che si vede. Come l’Urbinate, Luca Tempini ne indaga l’anima.

Questo romanzo non si limita a descrivere il Rinascimento: lo attraversa, lo esplora, lo restituisce con uno sguardo partecipe. E quando si arriva all’ultima pagina, si ha davvero la sensazione di aver vissuto in un’altra epoca, con le sue luci e le sue ombre, con la sua grandezza e le sue fragilità.



giovedì 29 maggio 2025

“Ottaviano de’ Medici e gli artisti” di Anna Maria Bracciante

Il mio incontro con il libro di Anna Maria Bracciante è stato del tutto casuale, ma si è rivelato una scoperta affascinante, capace di gettare luce su un personaggio poco noto della famiglia Medici: Ottaviano de’ Medici. Questo volume ci parla di una figura che ha operato nell'ombra, lasciando però una significativa eredità culturale.

Ottavio de’ Medici (1482-1546) apparteneva a un ramo cadetto della dinastia, discendente di Giovenco di Averardo. Suo padre, Lorenzo, fu stretto collaboratore di Lorenzo il Magnifico, risiedeva di fronte alla chiesa di San Marco e nel 1504 si iscrisse all’Arte della Lana. Ottaviano si mantenne distante dalla scena politica per i  primi quarant’anni della sua vita, lasciando spazio ai suoi fratelli e preferendo dedicarsi agli affari di famiglia, così da avere più tempo libero per coltivare i propri interessi culturali.

Il suo legame con i Medici fu saldo e profondo, intrecciando amicizie con Leone X e Clemente VII. Quest'ultimo lo scelse per incarichi di fiducia, affidandogli l’amministrazione dei beni medicei e l’educazione di Alessandro e Ippolito durante il loro soggiorno fiorentino. Per un breve periodo, fu anche tutore della giovane Caterina de’ Medici, destinata a diventare regina di Francia.

Pur nutrendo affetto per Cosimo I de’ Medici, durante il governo di questi, Ottaviano preferì ritirarsi dalla scena politica a causa della sua diversa concezione del mecenatismo. Mentre Cosimo considerava l’arte uno strumento di propaganda per rafforzare l’immagine del principe, Ottaviano ne aveva una visione più vicina a quella di Lorenzo il Magnifico, ritenendola un mezzo di formazione culturale ed etica. La sua idea di mecenatismo implicava un’affinità spirituale con gli artisti che sosteneva, un rapporto basato sulla condivisione di valori e aspirazioni piuttosto che sulla mera commissione di opere.

Ottaviano ebbe un ruolo di primaria importanza nella supervisione amministrativa della Villa di Poggio a Caiano, dimostrando una notevole capacità organizzativa e gestionale. In particolare, la sua influenza si rivelò determinante nella selezione di almeno due artisti di grande rilievo: Andrea del Sarto e il Franciabigio, entrambi fondamentali nella decorazione e realizzazione delle opere pittoriche della villa.

La sua vicinanza agli ambienti artistici del tempo lo portò a sviluppare profondi legami con alcune delle figure più eminenti del Rinascimento fiorentino. Fu non solo amico, ma anche un fervido sostenitore di Andrea del Sarto e Lorenzo di Credi, offrendo loro protezione e opportunità per esprimere pienamente il loro talento. Tuttavia, uno dei rapporti più significativi che intrattenne fu quello con il giovane Giorgio Vasari, che lo considerava una sorta di mentore e guida intellettuale. Grazie alla sua influenza e ai suoi consigli, Vasari poté affinare il proprio percorso artistico e intellettuale, gettando le basi per la sua carriera di pittore e storico dell’arte.

Il libro di Anna Maria Bracciante analizza con grande precisione le committenze artistiche di Ottaviano e il suo rapporto con gli artisti dell’epoca, dipingendo il ritratto di un uomo discreto ma influente.

Sebbene le sue tracce possano sembrare effimere nella grande storia, la sua impronta è rimasta viva nelle opere che contribuì a far nascere e nei pensieri di coloro che lo amarono e ne riconobbero la grandezza, da Andrea del Sarto a Pietro Aretino, da Giorgio Vasari a tanti altri.

Un libro che riscopre un protagonista dimenticato, ma essenziale, della cultura rinascimentale.



domenica 11 maggio 2025

“Il paggio e l’anatomista” di Walter Bernardi

La corte granducale di Ferdinando II de’ Medici fu un luogo di straordinario fermento culturale e scientifico, in cui l’Accademia del Cimento e l’Accademia della Crusca rappresentavano centri nevralgici di sperimentazione e innovazione. Tuttavia, dietro la facciata di progresso e ricerca, si celavano dinamiche di potere, rivalità e intrighi degni di una tragedia teatrale.

In quella corte, fortemente improntata al maschilismo, si muovevano personaggi dalle vite complesse e spesso contraddittorie: un ambiente dove l’omosessualità, seppur palesemente diffusa, non veniva mai apertamente dichiarata. 

Il desiderio di prestigio alimentava incessanti lotte interne, in cui la delazione e le maldicenze erano strumenti di guerra quotidiana. Non c’era scrupolo nel colpire gli avversari con ogni mezzo possibile, mentre la scienza conviveva con passioni e vendette in un intrico inestricabile di sapere e potere.

Tra i protagonisti di questa storia spicca il conte Bruto della Molara, amante per vent’anni del granduca Ferdinando II, figura enigmatica la cui influenza si intrecciava inesorabilmente con la politica e la vita di corte.

Altro protagonista della scena era Francesco Redi, il medico granducale, scienziato e letterato, uno degli ultimi ingegni veramente enciclopedici della cultura italiana.

Attorno a loro si animava un firmamento di studiosi, un mosaico di menti eccelse che trovavano nella corte medicea il luogo ideale per dare forma alle loro intuizioni: Vincenzo Viviani, devoto allievo di Galileo; Lorenzo Magalotti, sofisticato intellettuale e diplomatico; Giovanni Alfonso Borelli, pioniere della fisiologia e della fisica; Nicola Stenone, lo scienziato che avrebbe rivoluzionato la geologia. Nomi che hanno attraversato il tempo, lasciando un’eredità che superava le vicissitudini personali, accompagnando la corte fino agli anni di Cosimo III.

La corte di Ferdinando II de’ Medici non fu dunque soltanto un cenacolo di sapere, ma anche un teatro di passioni umane, dove ambizione, talento e desiderio si mescolavano in un affresco vibrante di luci e ombre.

Il saggio di Walter Bernardi ci invita a guardare questi uomini sotto una luce diversa. Non più come icone irraggiungibili, ma come esseri umani, immersi nelle loro contraddizioni, nelle loro lotte interiori, nella loro sete di conoscenza mescolata all’ambizione.

Attraverso un’attenta ricerca, l’autore riporta frammenti di corrispondenza che svelano il volto nascosto di questi protagonisti della scienza. Le lettere diventano testimonianze di dissidi, di confronti feroci, di alleanze e tradimenti, di dubbi che precedono ogni grande scoperta.

Bernardi suggerisce che molto è ancora celato negli archivi, che il passato non ha ancora rivelato tutti i suoi segreti. Il suo lavoro è più di un racconto storico: è un viaggio nei meandri dell’umano, un invito a leggere il passato con occhi nuovi, a riconoscere che il genio non esiste senza il suo contesto, senza le passioni, senza le fragilità che lo rendono profondamente autentico.



martedì 22 aprile 2025

“Claudia de’ Medici sul trono del Tirolo” di Louise von Mini-Hansen

Claudia de’ Medici (1604-1648), ultima figlia di Ferdinando I e Cristina di Lorena, fu una figura straordinaria per determinazione e lungimiranza.

La sua vita fu segnata da eventi drammatici e scelte coraggiose che la portarono a emergere come una delle donne più influenti della sua epoca.

Nel 1621, Claudia sposò Francesco Ubaldo Della Rovere, duca di Urbino, un matrimonio che si rivelò infelice a causa del carattere distante e arrogante del marito. L'unione generò una sola figlia, Vittoria Della Rovere, ma non riuscì a garantire la continuità dinastica del Ducato di Urbino, che tornò sotto il controllo papale. Rimasta vedova a soli diciannove anni, Claudia tornò a Firenze con la figlia e si ritirò in convento.

Il 25 marzo 1626, Claudia sposò per procura l'arciduca Leopoldo V d’Asburgo, diventando arciduchessa d’Austria e contessa del Tirolo. Questo secondo matrimonio fu felice e prospero, ma si concluse prematuramente con la morte di Leopoldo nel 1632. Nonostante le iniziali resistenze dell'imperatore, Claudia fu nominata reggente del Tirolo, seguendo le volontà testamentarie del marito, e governò con saggezza fino alla maggiore età del figlio primogenito, Ferdinando Carlo.

Claudia si distinse per la sua abilità politica e amministrativa in un contesto dominato dagli uomini e segnato dalla guerra. Fu una sovrana attenta ai bisogni dei suoi sudditi, promotrice del bilinguismo e delle arti, trasformando la corte di Innsbruck in un centro culturale di grande prestigio. Inoltre, incentivò gli scambi commerciali istituendo il Magistrato Mercantile, contribuendo a rafforzare l'importanza internazionale di Bolzano.

Profondamente cattolica, Claudia lasciò che la sua fede guidasse molte delle sue azioni, ma non permise mai che il suo ruolo di donna la relegasse ai margini. La sua determinazione e il suo spirito innovativo la resero una figura unica nel panorama politico e culturale dell'epoca.

La sua vita è narrata in forma di romanzo, una lettura piacevole e coinvolgente, sebbene non priva di gravi errori storici.

Tra gli errori presenti nel libro, spicca la congiura dei Pazzi, che l'autrice colloca erroneamente il lunedì di Pasqua invece che nell'ultima domenica di Pasqua, come realmente accaduto. Un altro errore riguarda il nome del fratello di Lorenzo de' Medici: nel libro è chiamato Piero, ma il suo nome era Giuliano (Piero era invece il nome del loro padre).

Particolarmente grave è la confusione tra Cosimo I e Cosimo il Vecchio, che l’autrice perpetua per diverse pagine. Louise von Mini-Hansen attribuisce a Cosimo I, nonno di Claudia, il merito di aver commissionato a Brunelleschi i lavori per la cupola del Duomo di Firenze, arrivando persino a definirlo il "talent scout" dell'architetto. Le date fornite nel testo (nascita 1519 e morte 1574) riferite a Cosimo I sono corrette, peccato che Brunelleschi visse molti anni prima (1377-1446), rendendo questa attribuzione evidentemente impossibile.

Gli errori genealogici e storici proseguono, ma anche limitandosi ai sopracitati, è evidente quanto incidano negativamente sulla qualità del volume.

La figura di Claudia de’ Medici rimane affascinante e merita di essere ricordata per il suo contributo alla storia e alla cultura del suo tempo, ma le gravi inesattezze riportate nel libro rendono difficile consigliare la lettura dell’opera. Un vero peccato.

 



giovedì 27 marzo 2025

“Per ornamento dello Stato, per utilità del Pubblico e per attirare la curiosità dei Forestieri” a cura di Samuele Lastrucci

Dal 2001, ogni 18 febbraio, Firenze celebra il giorno dedicato alla memoria di Anna Maria Luisa de’ Medici, ricorrenza che segna l'anniversario della morte dell'Elettrice Palatina, ultima discendente del ramo granducale dei Medici. Questo tributo sottolinea il suo straordinario apporto alla tutela del patrimonio culturale della città e della Toscana.

Grazie alla sua visione e determinazione, Firenze e l'intera regione hanno potuto preservare una concentrazione ineguagliabile di opere d'arte e documenti d'archivio.

Diversamente da ciò che accadde in altri Stati italiani, dove collezioni come quelle Farnese del Ducato di Parma e Piacenza furono trasferite a Napoli o quelle del Ducato di Urbino finirono in Toscana come eredità di Vittoria della Rovere, Anna Maria Luisa de’ Medici riuscì a proteggere le collezioni medicee da una simile dispersione.

Con la Convenzione sottoscritta il 31 ottobre 1737 insieme a Francesco Stefano di Lorena, l'Elettrice stabilì il vincolo delle collezioni alla città di Firenze e alla Toscana, un atto di coraggio straordinario per il suo tempo.

Il volume offre le copie anastatiche del celebre "Patto di Famiglia" in francese e in italiano, insieme a documenti correlati, come la ratifica di Francesco Stefano di Lorena, le lettere e l'Inventario delle gioie di Casa Medici. Questi preziosi materiali, conservati nell'Archivio di Stato di Firenze (fondo Trattati internazionali al n. 56), permettono di approfondire il contesto storico dell'accordo.

Le intenzioni di Anna Maria Luisa non si limitavano a tutelare le sole opere d'arte: ella desiderava infatti salvaguardare argenti, mobili, reliquie e altri beni preziosi delle guardarobe, ville e palazzi di città e campagna. Tuttavia, il testo definitivo della Convenzione escluse questi oggetti, considerandoli d'uso quotidiano, il che ne consentì purtroppo la dispersione.

Un'importante sezione del volume, curata da Samuele Lastrucci, approfondisce la complessa situazione politica europea ai tempi di Cosimo III e di Gian Gastone, facendo chiarezza anche sulla natura degli Stati medicei, natura che in verità appariva piuttosto confusa ieri come oggi.

Il volume, pubblicato dalla Regione Toscana, mira a coinvolgere cittadini e studiosi nella riscoperta della storia legata alla trasmissione del patrimonio mediceo. Attraverso le sue pagine, viene messo in evidenza il ruolo fondamentale svolto dall'Elettrice Palatina nel definire l'identità culturale di Firenze e della Toscana.

La sua lungimiranza non solo ha salvaguardato un patrimonio inestimabile, ma ha anche anticipato i tempi, gettando le basi per la nascita del turismo culturale come lo intendiamo oggi.





venerdì 21 marzo 2025

“Don Antonio de’ Medici e i suoi tempi” di Filippo Luti

Quando nel 1587 Francesco I de’ Medici e Bianca Cappello morirono in misteriose circostanze a poche ore di distanza l’uno dall’altro, il figlio Antonio aveva appena undici anni.

La tragica scomparsa dei granduchi portò molti a incolpare, oggi si ritiene ingiustamente, il futuro granduca Ferdinando I. Tuttavia, è certo che Ferdinando orchestrò un inganno a danno di Don Antonio.

Infatti, questi era nato fuori dal matrimonio, quando Francesco I era ancora sposato con Giovanna d’Austria. Dopo il matrimonio con Bianca, Francesco lo legittimò come suo erede. Ferdinando, però, insinuò dubbi sulla paternità di Francesco e persino sulla maternità di Bianca.

La figura di Don Antonio è senza dubbio una delle meno conosciute del panorama mediceo, ma in verità si tratta di un personaggio molto interessante e di notevole spessore.

Dimostrò sin da giovane straordinarie doti diplomatiche e militari, anche se fu costretto ad abbandonare quasi subito la carriera militare per motivi di salute. Uomo colto e affascinato dal sapere scientifico, ebbe contatti con personaggi illustri del tempo, tra cui Galileo Galilei. Appassionato di musica e spettacolo, fece costruire un teatro nel Casino di San Marco, eletto a sua dimora in città. Proprio qui fu messa in scena l’Euridice di Ottavio RInuccini, sotto la direzione di Giulio Caccini.

Don Antonio non fu appassionato solo di musica e teatro, di scienza e alchimia, di caccia, cavalli e armi, che fabbricava egli stesso, ma mostrò grandissimo interesse anche per l’arte e il collezionismo. Oltre a busti, statue e bassorilievi possedeva una meravigliosa quadreria. Alcuni artisti presenti nelle sue collezioni: Andrea del Sarto, Leonardo Da Vinci, Raffaello, Mantegna, Botticelli, Michelangelo, Pontormo e Giambologna.

Nonostante la frode che Ferdinando I attuò nei confronti del nipote, i loro rapporti furono molto stretti; il granduca di fatto si appoggiò moltissimo al nipote del quale riconosceva la vasta cultura e  le grandi doti diplomatiche.

Il rapporto con la corte si raffreddò sempre più dopo la morte di Ferdinando. Don Antonio aveva acconsentito alla richiesta dello zio di entrare nell’Ordine dei Cavalieri di Malta accettando di conseguenza il celibato, ma durante la sua vita ebbe due compagne che gli diedero quattro figli. Preoccupato per il futuro dei suoi eredi, Don Antonio avviò cause legali per garantirne il benessere, cause che si protrassero anche dopo la sua morte.

L’opera di Filippo Luti offre l’analisi più completa sulla vita di Don Antonio, superando in dettaglio quella di Pier Francesco Covoni (“Don Antonio de' Medici al casino di San Marco”) di fine Ottocento e il lavoro più recente di Paola Maresca (“Don Antonio de’ Medici. Un principe alchimista nella Firenze del '600, 2018).

Don Antonio de’ Medici e i suoi tempi” è un saggio molto ben articolato ed esaustivo, corredato di una vasta bibliografia, tantissime citazioni e ricco di richiami al cospicuo patrimonio epistolare.

Un vita, quella di Don Antonio, caratterizzata da intrighi, cultura e dedizione alla famiglia, che lo rendono una figura del suo tempo oltremodo affascinante.




giovedì 13 febbraio 2025

“Bianca Cappello” Atti del secondo convegno: le signore di Firenze

Nello scorso dicembre, al Palagio di Parte Guelfa, si è tenuto il secondo convegno dedicato alla scoperta e riscoperta delle donne di Casa Medici. Dopo un primo seminario incentrato su Anna Maria Luisa de’ Medici, questo secondo incontro ha puntato i riflettori su Bianca Cappello, con l’obiettivo di fare chiarezza sulle sue vicende umane e storiche.

I convegni organizzati dall’Associazione degli Amici del Museo Stibbert colmano una significativa lacuna nella storia della Toscana, riportando l’attenzione sull’importante contributo delle donne della Famiglia Medici, protagoniste della storia al pari dei loro padri, mariti e figli, sebbene spesso trascurate dalla storiografia.

La figura di Bianca Cappello è alquanto controversa, sia per il suo avventuroso arrivo a Firenze, sia per la sua morte, avvenuta poche ore dopo quella del secondo marito, Francesco I de’ Medici. Le maldicenze attribuirono la colpa al cognato Ferdinando de’ Medici, futuro terzo Granduca di Toscana.

Nei vari interventi riportati in questi atti, si cerca non solo di chiarire l’improbabile coinvolgimento di Ferdinando I nella morte del fratello e di Bianca Cappello, ma anche di esaminare le motivazioni alla base di tali calunnie e le origini dell’ostilità del cardinale nei confronti della cognata.

Molti elementi interessanti emergono da queste pagine sulla famiglia di Bianca Cappello, in particolare sul legame del padre di lei con Cosimo de’ Medici, legame nato molti anni prima. Vi sono inoltre riferimenti e aneddoti sull’educazione della giovane veneziana, che aiutano a comprendere sia la sua fuga a Firenze con Pietro Bonaventuri, sia l’attrazione di Francesco de’ Medici per lei, che la portò a diventare prima la sua amante e poi, una volta rimasti entrambi vedovi, sua moglie.

Bianca Cappello era una donna di straordinaria bellezza, ma il profondo legame tra lei e Francesco aveva radici ben più profonde, come la condivisione degli interessi legati alla scienza alchemica.

In queste pagine viene dato ampio risalto ai fondamentali della dottrina alchemica, ma altrettanto spazio è dedicato anche all'influenza che essa esercitò sulla vita di Bianca Cappello e Francesco de’ Medici. Questo lo troviamo ancora oggi riflesso nelle decorazioni delle loro dimore, ma anche nella rilettura dell'atteggiamento che Francesco tenne nei confronti di Bianca in alcune particolari circostanze.

Un volume prezioso per chi desideri ottenere una visione più completa e approfondita della figura di Bianca Cappello, ma anche una lettura che pone le basi per ulteriori ricerche sull’argomento.





domenica 22 dicembre 2024

“Rinascimento giorno per giorno” di Maura Melis

Il termine Rinascimento è solito richiamare alla mente un’immagine di rinascita e di ripartenza, ma in verità il periodo storico a cui fa riferimento fu caratterizzato da forti contrasti, continue guerre e sanguinose congiure.

L’immagine di un Rinascimento quindi legato al solo ricordo degli straordinari artisti che vissero a quel tempo, artisti quali Botticelli, Leonardo Da Vinci, Raffaello, Michelangelo, è solo uno degli aspetti che caratterizzarono questo periodo storico che iniziò a delinearsi alla metà del XIV secolo per terminare verso la metà inoltrata del XVI secolo.

Il libro di Maura Melis si pone l’obiettivo di raccontare i fatti accaduti nel corso di questi due secoli, non solo attraverso gli avvenimenti più conosciuti, ovvero quelli riportarti in tutti i manuali, ma anche attraverso quegli elementi all’apparenza forse meno evidenti però altrettanto rilevanti ai fini dell’evoluzione della storia.

La narrazione non può ovviamente prescindere dal racconto delle varie Corti italiane e dei loro protagonisti: principi condottieri, abili politici e papi. Tante le tipologie di governo e tanti gli aspetti che caratterizzarono principi e condottieri, ma un unico modo di esprimere il proprio prestigio: il mecenatismo e l’arte. Quegli stessi denari guadagnati con l’arte della guerra venivano spesi per abbellire i propri palazzi e dare lustro alla propria casata.

Il racconto di Maura Melis diventa quindi anche il racconto delle grandi dinastie e delle famiglie che furono protagoniste del Rinascimento: Este, Gonzaga, Montefeltro, Sforza, Visconti, Angiò, Aragona, Malatesta e poi loro, i Medici.

Firenze fu il centro propulsore del Rinascimento in Italia che da qui poi si propagherà nel Centro e nel Nord Italia e in un secondo momento nel meridione. Ogni generazione della famiglia Medici ebbe modo di lasciare la propria impronta a partire da Cosimo il Vecchio passando per Lorenzo il Magnifico fino ad arrivare a colui che fece della Toscana un Granducato, Cosimo I de’ Medici, figlio dell’ultimo importante capitano di ventura della storia, Giovanni dalle Bande Nere. Nel Rinascimento inoltre furono elettri ben due papi Medici: Leone X, figlio del Magnifico, e Clemente VII, figlio di Giuliano de’ Medici, fratello del Magnifico.

Il papato non era di fatto un governo tanto diverso dagli altri principati. Quello che differenziava Roma dagli altri Stati era il fatto di essere una monarchia non ereditaria, ma elettiva e che colui che assumeva la carica era sempre già avanti con gli anni, cosa che, nel bene e nel male, comportava un tempo limitato di governo con tutte le conseguenze del caso.

Maura Melis passa in rassegna non solo pittori e scultori, ma dà ampio spazio anche alla letteratura. Non potevano quindi mancare alcune pagine dedicate al Castiglione e alla sua opera più famosa “Il Cortegiano”.

Sempre con l’intento di porre l’accento sulla microstoria, Maura Melis, ci racconta anche di quelle figure, solo all’apparenza minori, che con il loro lavoro e la loro presenza influirono sulla storia con la “S” maiuscola: banchieri, mercanti, artigiani, militari, capitani, mercenari e condottieri, ma anche poveri e mendicati.

Quello della Melis è un libro molto interessante, scorrevole e di facile lettura, completo e molto ben documentato, prova ne è la copiosissima bibliografia.

Una lettura consigliata a chiunque voglia farsi un’idea di quest’epoca caratterizzata da mille contraddizioni, nella quale alla fioritura straordinaria delle arti fece da contraltare un periodo di guerre ininterrotte e violenza senza precedenti, basti ricordare il Sacco di Roma (1527), una delle pagine più sanguinose della storia.  




giovedì 21 novembre 2024

“Deo simillimum principem” a cura di Samuele Lastrucci

Il catalogo della mostra per i 300 anni dalla morte di Cosimo III de’ Medici, inaugurata nell’ottobre del 2023 a Palazzo Strozzi Sacrati (Firenze), offre una nuova prospettiva sulla figura del Granduca.

Cosimo III è stato spesso ricordato come un sovrano rigido e bigotto, noto per aver imposto tasse su ogni cosa, persino sulle parrucche, e per aver vissuto gli ultimi anni della sua vita ossessionato dalla questione della successione dinastica. Descritto quasi come una macchietta, Cosimo fu a lungo osteggiato da una moglie capricciosa e caparbia, che lo abbandonò insieme ai figli per tornare in Francia, senza mai più fare ritorno.

Cosimo III visse fino alla veneranda età di ottantuno anni, un traguardo notevole per l’epoca. Non si possono di certo negare i tanti difetti e le mancanze che lo contraddistinsero nel corso della sua esistenza, ma in verità non possiamo neppure esimerci oggi dal riconoscergli anche alcuni meriti.

Durante la sua lunga vita, viaggiò moltissimo e si distinse per le sue maniere. Amante della botanica, diede notevole impulso agli studi naturalistici e allo sviluppo degli orti botanici di Pisa e Firenze. Fu anche un uomo di cultura e un mecenate, istituendo l’Accademia Fiorentina a Roma. Inoltre, a lui si deve la promulgazione del primo disciplinare vinicolo della storia, con il bando del 1716 che delimitò le quattro zone di produzione del Chianti, del Pomino, del Valdarno di Sopra e del Carmignano.

Questo volume, come la mostra stessa a cui fa riferimento, sono nati con l'intento di fare luce sulle diverse sfaccettature che contraddistinsero la figura di Cosimo III de’ Medici.

La bigotteria di Cosimo, per quanto irritante e fastidiosa, potrebbe essere mitigata ai nostri occhi se si considerasse che l’uso da lui fatto della religione fu anche di natura politica e non solo strettamente di natura religiosa. La stessa Vittoria della Rovere non fu la donna bacchettona che la storia ci ha tramandato. Come il figlio, anche lei fu una grande appassionata di botanica e di scienza; non possiamo neppure trascurare il fatto che proprio a lei si dovesse l’istruzione di prim’ordine che venne impartita ad Anna Maria Luisa e a Gian Gastone.

Il matrimonio di Cosimo III con Marguerite Louise d’Orléans fu indubbiamente un fallimento, sebbene all'epoca potesse essere considerato un vero capolavoro dal punto di vista diplomatico.

Marguerite Louise d’Orléans, principessa del sangue, cugina del Re Sole, nonché sorellastra della famosa Anne Marie Louise De Montpensier, anche conosciuta come la Grande Mademoiselle, crebbe in un clima di emancipazione sociale e culturale. Questo fatto non può certamente giustificare il comportamento capriccioso e ostinato che Marguerite Louise tenne durante la sua permanenza sul suolo toscano, né la decisione di tornare in patria abbandonando marito e figli, ma potrebbe forse in parte mitigare il giudizio negativo che la storia le ha sempre riservato.

"Deo simillimum principem" è un libro che getta uno nuovo sguardo su Cosimo III, sul suo operato e sul suo governo. Un catalogo ragionato che invita a esplorare quanto ancora è rimasto nascosto tra le pieghe del tempo. Una pubblicazione che analizza ogni aspetto della vita del Granduca e del periodo storico in cui visse, un periodo che dal punto di vista politico fu tutt'altro che semplice.

Nessun aspetto che lo riguardi viene tralasciato: dalla sua educazione ai viaggi, dalle scienze ai personaggi eccezionali che vissero alla sua corte, come il Redi e il Tilli per citarne solo alcuni, fino all'attività militare e alla politica estera del Granducato di Toscana. Il libro riporta in appendice perfino un interessante documento musicale, ossia la prima trascrizione diplomatica di una “Serenata fatta in Firenze per la Sera della Nascita del Ser.mo Principe Sposo di Toscana il 14 Agosto 1662”.

 


giovedì 1 agosto 2024

“Un principe di Toscana in Inghilterra e in Irlanda nel 1669” a cura di Anna Maria Crinò

Si tratta del testo originale completo della relazione ufficiale del viaggio che Cosimo III de’ Medici compi nel 1669 in Inghilterra e in Irlanda.

Il testo è presente in due bei codici cartacei manoscritti illustrati da numerosi acquarelli conservati presso la Biblioteca Mediceo Laurenziana. Di questa relazione ufficiale esiste anche un secondo esemplare, senza pretese estetiche, ma più corretto come testo conservato presso la Biblioteca Centrale di Firenze. Anna Maria Crinò ha preferito quindi riprodurre questo secondo esemplare che contiene anche un’appendice sullo stato generale dell’Inghilterra dell’epoca.

Il testo è preceduto da un’interessante introduzione della curatrice in cui vengono evidenziati sia i criteri da lei usati per la riproduzione del testo sia una sintesi ragionata su quello che attende il lettore di questa “Relazione ufficiale del viaggio di Cosimo de’ Medici tratta dal Giornale di L. Magalotti”.

Non si tratta di quella che si potrebbe definire una lettura scorrevole, ma si tratta di un testo molto interessante sia per le descrizioni dei luoghi sia per il racconto dell’accoglienza riservata a Cosimo dal Re d’Inghilterra, dalla famiglia reale e dalle più importanti famiglie del regno.

Tanti i particolari curiosi narrati come le pagine dedicate alle sette religiose, al governo, alla personalità degli inglesi, alla storia recente del Paese o le pagine dedicate alla navigazione.

Cosimo visitò Londra negli anni subito successivi a quelli dell’incendio (1666) in cui gran parte della città antica andò distrutta; di particolare interesse sono alcuni dettagli raccontati di prima mano su come si presentasse all’epoca Londra e in particolare è suggestiva la descrizione dei resti della Cattedrale di Saint Paul che sarà ricostruita solo negli anni avvenire.

Il testo venne attributo negli corso degli anni ora al Marchese Filippo Corsini ora al conte Lorenzo Magalotti, l’attribuzione più probabile è quella del Magalotti.

Anche sulla datazione ci sono diverse ipotesi, la più accreditata è però quella che ritiene il testo definitivo redatto nel 1689, ben vent’anni dopo il viaggio compiuto da Cosimo.

Da sottolineare una particolarità del volume edito nel 1968 da Edizioni di Storia e Letteratura: si tratta di un libro intonso ovvero un volume che per scelta editoriale presenta i fogli non rifilati così da dover essere separati con il tagliacarte. Un tocco nostalgico che ho apprezzato molto.

 

giovedì 27 giugno 2024

“Amore e guerra nel tardo Rinascimento. Le lettere di Livia Vernazza e Don Giovanni de’ Medici” a cura di Brendan Dooley

Un tempo ci si scriveva lettere e cartoline. Tanta è la corrispondenza d’amore giunta sino a noi, alcune lettere furono scritte appositamente con intento letterario, altre invece esclusivamente come messaggi privati destinati ad essere letti solo dalla persona a cui erano indirizzati.

Grazie agli epistolari che sono arrivati nelle nostre mani abbiamo oggi la possibilità di curiosare nella vita di personaggi famosi, cogliere i loro pensieri e i loro sentimenti, nel momento in cui erano più vulnerabili perché convinti di non essere osservati. Quelle pagine ingiallite ci restituiscono la loro immagine di donne e uomini comuni, senza la maschera che erano soliti indossare in pubblico.

Viene da chiedersi cosa invece resterà di noi, donne e uomini del XXI secolo, quando i posteri vorranno approfondire la nostra vita. Il modo di comunicare ha subito una trasformazione epocale; le lettere sono state sostituite dalla messaggistica istantanea che non lascerà alcun segno a chi verrà dopo di noi.

Veniamo però, adesso, al nostro libro e alle lettere di Livia Vernazza e Don Giovanni de’ Medici.

Livia era figlia di un materassaio genovese andata in sposa poco più che tredicenne a Giovanni Battista Granara, anche lui materassaio come il padre e molto più anziano di lei. Dopo meno di due anni dalle nozze Livia fuggì a Firenze dove fece la serva o forse la prostituta. A diciotto anni conobbe il quarantunenne Giovanni; il loro fu amore a prima vista.

Sebbene illegittimo, Giovanni era pur sempre il figlio del granduca Cosimo I de’ Medici, fratello e zio di granduchi; la famiglia Medici non poteva assolutamente accettare una relazione con una donna di così bassa estrazione sociale. Eppure, sebbene fortemente avversata dalla famiglia a cui Giovanni era comunque molto legato, la loro storia durò ben 13 anni. La loro unione trovò il giusto coronamento a Venezia nel 1619 quando venne celebrato il loro matrimonio.

Alla morte di Don Giovanni la famiglia Medici, forte del proprio nome, fece imprigionare Livia che, in un secondo momento, fu trasferita e richiusa in convento. Il matrimonio fu fatto annullare e il figlio avuto da Don Giovanni dichiarato illegittimo. Solo molto tempo dopo fu permesso alla donna di risiedere nella casa di Montughi dove morì nel 1655.

Inutile dire che quanto tramandato sulla figura di Livia Vernazza è per la maggior parte un resoconto deformato da radicati pregiudizi e volutamente molti aspetti della vicenda furono passati sotto silenzio per volere della famiglia Medici e di coloro che erano al suo servizio.

La maggior parte della corrispondenza tra Livia e Don Giovanni a noi giunta risale al periodo in cui il Medici era impegnato nella campagna militare di Gradisca (detta anche guerra degli Uscocchi) al sevizio della Repubblica di Venezia.

Dalle lettere emergono un sentimento profondo e una passione ardente. Questa coppia, senza dubbio ai più sconosciuta, venne però immortalata anche da Gabriele D’Annunzio che, in “Il secondo amante di Lucrezia Buti”, la definì la bellissima genovese, la venturiera ligure ch’era riuscita a farsi sposare da Giovanni de’ Medici.

Nel carteggio a noi giunto (aprile 1614 - settembre 1619) vediamo la coppia affrontare i più disparati argomenti: dalla gestione della casa a quella delle proprietà finanche ai problemi militari e politici. Risulta evidente quanto fosse stretto il legame tra i due e quanto Don Giovanni de’ Medici si fidasse delle capacità e della perspicacia di Livia. Invero, entrambi si affidavano ai consigli l’uno dell’altro nelle più svariate occasioni.

Don Giovanni non si tratteneva dal raccontare cose che riguardavano la campagna militare che stava conducendo e quando lo faceva, non era di sicuro perché non si fidasse del giudizio di Livia, ma semplicemente perché le lettere potevano essere intercettate e di certe cose, ovviamente, era meglio parlare di persona.

Livia era libera di disporre dei mezzi economici di Don Giovanni; quando fu necessario il Medici non ci pensò due volte a rimettersi al suo discernimento e le firmò anche due pagherò in bianco così che lei potesse scrivere la cifra  necessaria alla transazione in corso.

Molte nel carteggio sono anche le lettere d’amore; Don Giovanni era solito rivolgersi a Livia come alla Signora mia unica et vera Padrona. Ad un certo punto, però, salta fuori che lui dovette farsi perdonare un tradimento. Don Giovanni impiegò fiumi di carta per ottenere la tanto sospirata assoluzione e la donna, oltremodo orgogliosa, seppe tenergli testa dimostrandosi molto risoluta nel volergliela fare pagare.

Il carteggio è anche una sorta di cronaca della vita dell’epoca; sono riportati, infatti, in maniera chiara e dettagliata nomi di luoghi, notizie di eventi, modi di dire spesso tutt’oggi ancora in uso oltre ad un preciso resoconto di fatti quotidiani e famigliari.

Molto interessante è anche il breve saggio introduttivo di Brendan Dooley curatore di questa edizione pubblicata da Edizioni Polistampa (2009).




giovedì 20 giugno 2024

“La signora delle Fiandre” di Giulia Alberico

Spesso ad un certo punto della vita si avverte l’esigenza di fare un bilancio della propria esistenza, andare indietro nel tempo, ripercorrere ciò che è stato e forse immaginare come sarebbero andate le cose se si fossero fatte scelte diverse.

Sul finire dell’anno 1585 Margherita d’Austria, ritiratasi ad Ortona a Mare, sente che la sua fine è vicina e si lascia andare ai ricordi. Ha vissuto a lungo, tanti viaggi e tante conoscenze costellano la sua esistenza, alcune persone sono solo ricordi sbiaditi, altre, nonostante non siano più da tanto tempo, sono ancora lì, presenze costanti nella sua mente e nel suo cuore.

Margherita d’Austria, figlia naturale dell’imperatore Carlo V, nacque e crebbe nelle Fiandre.  Fu affidata dal padre alle cure prima di Margherita di Savoia e poi di Margherita d’Ungheria. Per quanto Carlo V amasse la figlia, questo non gli impedì di seguire le consuetudini della politica matrimoniale del tempo.  Margherita venne concessa in sposa al duca Alessandro de’ Medici, per consolidare l’alleanza con Clemente VII dopo il terribile episodio del Sacco di Roma. Margherita conobbe così l’Italia, la corte di Napoli prima e di Firenze dopo. Il matrimonio durò solo pochi mesi poiché Alessandro venne assassinato per mano del cugino Lorenzino.

Vedova ad appena quindici anni, Margherita si ritrovò di nuovo ad essere una pedina sullo scacchiere politico. Carlo V decise di concedere la mano della figlia a Ottavio Farnese, legandosi così nuovamente alla famiglia di un papa, Paolo III.

Se il matrimonio con Alessandro era stato accettato da Margherita con ubbidienza, quello con Ottavio fu da lei contrastato profondamente. Gli sposi, però, dopo un inizio burrascoso, riuscirono col tempo a trovare un loro equilibrio di coppia fatto di stima e affetto reciproci.

Margherita per volontà del fratellastro Filippo II, succeduto al padre Carlo V, fu governatrice delle Fiandre dove trascorse parecchi anni, ma nessun luogo le fu mai caro quanto la terra d’Abruzzo. Non è quindi un caso che questa terra per cui Margherita si adoperò tanto per emanciparla a livello economico e amministrativo, proiettandola sul grande scenario politico nazionale ed europeo, non manchi mai di celebrarla e tenerne viva la memoria ancora oggi.

Inutile dire che mi sono avvicinata a questo personaggio perché legata alla famiglia Medici sebbene solo per un brevissimo periodo. Avrebbe forse potuto esserlo più a lungo se Carlo V avesse accettato di darla in sposa a Cosimo I de’ Medici, ma il destino volle che scegliesse diversamente e forse per Firenze e la Toscana fu meglio così perché altrimenti non avrebbe avuto una duchessa come Eleonora di Toledo al quale il granducato deve moltissimo.

Margherita d’Austria, duchessa di Parma e Piacenza, fu però anch’ella una figura di grande forza. Donna colta, intelligente, ostinata e intraprendente, in un mondo governato dagli uomini, percorse sempre, laddove le fu possibile, la via diplomatica della mediazione.

I fatti narrati nel romanzo di Giulia Alberico sono ovviamente liberamente reinterpretai dall’autrice, ma invogliano il lettore a cercare di saperne di più su questa protagonista la cui storia non è così conosciuta come quella di altre grandi figure femminili a lei contemporanea o di poco discoste nel tempo. 

Il racconto è scorrevole, le pagine scivolano via velate di malinconia: l’incalzare del tempo che volge al termine, i ricordi di una vita, un bilancio fatto di sogni infranti e desideri realizzati, di rimpianti per amori che avrebbero meritato una possibilità, di rimorsi per essere stata troppo egoista con chi avrebbe meritato più attenzioni, ma anche di coraggio e gratitudine, coraggio per essere riuscita ad affrontare prove difficili e gratitudine per coloro che le sono rimasti accanto senza chiederle mai nulla in cambio.

“La signora delle Fiandre” è un buon romanzo storico dove l’atmosfera e il modo di pensare dell’epoca sono resi in maniera minuziosa e dove i personaggi di pura invenzione si integrano perfettamente ai numerosi personaggi realmente esistiti. Pur trattandosi di un racconto liberante ispirato alla storia di Margherita d’Austria è evidente che l’autrice abbia effettuato una scrupolosa ricerca storica prima di accingersi alla stesura del romanzo.





giovedì 16 maggio 2024

“Eleonora di Toledo e l’invenzione della corte dei Medici a Firenze”

Le donne della famiglia Medici ebbero tutte, sebbene alcune più di altre, un ruolo fondamentale per la dinastia e, se ad Anna Maria Luisa si deve il lascito di un patrimonio che ancora oggi rende grande Firenze e la Toscana intera, a Eleonora di Toledo dobbiamo l’invenzione della corte medicea così come noi la conosciamo.

Eleonora di Toledo giunse a Firenze diciasettenne; il suo matrimonio con Cosimo I de’ Medici fu un matrimonio politico, ma si rivelò fin da subito un’unione ben riuscita.

Eleonora portò con sé il rigido cerimoniale spagnolo, ma non solo. La duchessa fu amante delle arti, delle lettere e della moda. Eleonora di Toledo non ebbe nulla da invidiare alle altre celebri donne del Rinascimento quali Isabella d’Este e Vittoria Colonna.

Eleonora amministrò il ducato in assenza del marito per il quale fu fin dall’inizio una valida alleata. Si dice che il duca si fidasse del giudizio della moglie, una donna capace di determinare in prima persona le sorti dello stato e la sua economia, più che di quello di chiunque altro dei suoi consiglieri e anche di quello della madre Maria Salviati a cui era particolarmente legato.

La bella e affascinante Eleonora di Toledo diede a Cosimo undici figli di cui però solo quattro le sopravvissero. La duchessa fu una donna politicamente molto accorta e lo si vide anche nel suo modo di programmare l’avvenire dei figli fin dalla loro più tenere età.

Il libro è il catalogo dell’omonima mostra che si è svolta a Palazzo Pitti nell’anno 2023. Nel volume si mettono in evidenza i molteplici aspetti della complessa personalità di Eleonora di Toledo. Si analizzano le sue capacità imprenditoriali e politiche, ma anche il suo rapporto con la religione, gli artisti e i membri della famiglia di origine e di quella d'adozione.

Tra i vari temi analizzati in questo catalogo troviamo il rapporto venutosi a creare non solo tra i Medici e i Toledo, ma anche le somiglianze e le differenze tra Firenze e Napoli, due città con affinità senza dubbio politiche, ma anche culturali e artistiche.

Fu Eleonora ad acquistare Palazzo Pitti e il terreno circostante su cui sorsero per suo volere i Giardini di Boboli. Insieme al marito si occupò della ristrutturazione e della scelte iconografiche per le decorazioni delle stanze di Palazzo Vecchio; a lei si deve inoltre la nascita della ritrattistica ufficiale di corte.

Si indagano nel libro anche i rapporti con gli artisti del tempo. Non mancano poi divertenti aneddoti come quello che vide protagonista un Benvenuto Cellini in difficoltà perché costretto, suo malgrado, dalla duchessa ad intercedere per lei presso il duca per l’acquisto di una collana di perle il cui valore era molto inferiore a quello richiesto dal venditore.

Eleonora di Toledo, ben lontana da svolgere una mera funzione decorativa presso la corte medicea, fu una donna indipendente e capace di affermare la propria autorità, di plasmare la propria immagine e quella del ducato.

Eleonora fu spesso immortalata dal Bronzino per ritratti ufficiali da usare anche come modello sia per repliche destinate ad adornare le varie residenze sia per essere utilizzate come doni diplomatici per assicurare la diffusione dell’immagine di Eleonora stessa, ma soprattutto della solidità del ducato grazie all’immagine dei figli spesso rappresentati accanto a lei oppure da soli.

Eleonora, dopo aver ampiamente assolto il suo compito, ovvero quello di garantire una discendenza alla dinastia Medici, morì a Pisa nel 1562. Il suo corpo, già minato dalla tubercolosi e provato dalle numerose gravidanze, non riuscì ad avere la meglio sulle febbri malariche che la colpirono.

Morì appena quarantenne senza potersi fregiare del titolo di granduchessa perché il Granducato di Toscana, per il quale lei tanto si era adoperata, venne creato solo sette anni più tardi nel 1569.

 

 

giovedì 18 aprile 2024

“I Medici. Uomini, potere e passioni” a cura di A. Wieczorek, G. Rosendahl e D. Lippi

Edizione italiana del volume pubblicato in occasione della mostra a Mannheim per il 270° anniversario della morte di Anna Maria Luisa de’ Medici (2013), “I Medici. Uomini, potere e passione” è un libro nato con l’intento di rimanere un testo di riferimento sulla storia medicea anche negli anni successivi a quello dell’evento.

Il libro presenta brevi e dettagliate schede dedicate ai personaggi della dinastia e racconta gli eventi storici che li videro protagonisti per quasi trecento anni. Vengono inoltre indagati dettagliatamente tutti quegli elementi legati alla storia dell’arte, alla letteratura e alla filosofia che tanto interessarono tutti gli esponenti della famiglia Medici nel corso dei secoli.

Il volume è costituito da una serie di articolati interventi molto diversi tra loro per argomento e stile, numerosi infatti sono gli autori, che terminano tutti con un’interessante bibliografia per chi volesse approfondire quanto trattato in ciascuno di essi.

Le prime pagine sono dedicate alle sepolture dei Medici con ampie digressioni su San Lorenzo, le Cappelle Medicee e l’Opificio delle Pietre Dure e con una breve storia alle traslazioni, esumazioni e ricognizioni dei luoghi di sepoltura.

Tra i tanti altri argomenti trattati troviamo: il sistema bancario, di cui si analizza dettagliatamente anche l’aspetto teologico e filosofico, il recupero e il restauro delle vesti di Eleonora di Toledo, di don Garzia e di Cosimo I, l’educazione, il ruolo sociale e la mortalità dei bambini, il mestiere delle armi, la storia di Galileo Galilei e il Calcio Storico Fiorentino.

Tra i vari autori non poteva mancare il compianto Alberto Bruschi. In verità mi sono imbattuta in questo volume proprio mentre stavo effettuando una ricerca dei suoi scritti.

Il suo intervento non poteva che essere dedicato all’amato Giovanni Gastone, o Gian Gastone come da subito venne chiamato.

Il ritratto a corredo dell’articolo di Bruschi è un dipinto, opera di Franz Ferdinand Richter, che per un periodo è stato esposto anche al Museo de’ Medici nella sua precedente sede. Analizzando nel dettaglio quest’opera del Richter Alberto Bruschi tratteggia, con la sensibilità che sempre lo ha contraddistinto parlando dell’ultimo granduca Medici, il ritratto di un sovrano dal volto bonario corrotto dagli anni e dalle amarezze, dall’animo ricco di contraddizioni proprie della sua follia e della sua genialità, i cui “occhi velati da profonda tristezza paiono fissati nell’eternità, rivelando sgomenti pensieri”. 

Bruschi non manca ancora una volta di sottolineare quanto la memoria di Gian Gastone sia stata vittima, e lo sia purtroppo spesso ancor oggi, di “biografi prezzolati e servi rancorosi” in gara tra loro per indirizzare i contemporanei verso i Lorena ed ingraziarsi così questi nuovi padroni, più tardi, poi, il perbenismo dell’Ottocento fece il resto.

“I Medici. Uomini, potere e passioni” è un volume interessante, ricco di spunti e curiosità. Un’edizione particolarmente accurata nel suo apparato tipografico con bellissime illustrazioni. Una lettura assolutamente consigliata.