Un
romanzo che riesce a raccontare il Rinascimento con autenticità e profondità,
senza cadere nell’eccesso o nell’idealizzazione. Scoperto quasi per caso tra
gli stand affollati del Salone del Libro di Torino, questo volume di quasi
seicento pagine si è rivelato una lettura
sorprendentemente ricca, capace di tenere alta l’attenzione e di lasciare
il segno.
La storia si apre nel
1478, con la congiura dei Pazzi, e si chiude nel 1519, con la morte di Leonardo da
Vinci.
In mezzo, oltre quarant’anni di eventi che hanno segnato l’Europa: guerre,
rivoluzioni, tensioni religiose, ma anche un’esplosione di arte, pensiero e
bellezza. Il Rinascimento non è solo lo
sfondo: è parte viva del racconto, presente in ogni scena, in ogni dialogo, in
ogni scelta dei personaggi.
Francesco Acciaiuoli, protagonista della
vicenda, è un personaggio di finzione, ma costruito con tale cura da sembrare
reale. Colto, raffinato, ironico, abile
diplomatico e uomo d’azione, si muove con intelligenza tra le trame della corte
di Lorenzo de’ Medici, crocevia di potere, cultura e ambizione. La sua
figura dà coerenza alla narrazione, e quando scompare, il lettore ne avverte la
mancanza, come quella di un amico che ha lasciato la scena troppo presto.
Il
titolo “La disfida mancata” richiama la
vicenda legata ai due affreschi, commissionati dal gonfaloniere Pier Soderini,
mai realizzati nella Sala del Gran Consiglio di Palazzo Vecchio: la Battaglia di Anghiari di Leonardo e la Battaglia di Cascina di Michelangelo.
Due opere incompiute, due visioni opposte, due maestri assoluti. In quelle
assenze si riflette la tensione di un’epoca che aspirava all’eternità, ma
viveva costantemente in bilico tra genio e fallimento.
La trama intreccia
con equilibrio storia e finzione, misteri e passioni. Qualche imprecisione
storica è presente; l’autore si concede qualche libertà narrativa, ma lo fa con
misura, rendendo così la lettura più fluida e coinvolgente, senza mai tradire
lo spirito del tempo.
Particolarmente
riusciti i personaggi femminili: intensi, sfaccettati, lontani da stereotipi. Le loro voci sono
autentiche, capaci di influenzare la trama e di lasciare un’impressione
duratura. Ricordano
la grazia silenziosa dei volti di Raffaello, ma da quella bellezza emerge una
personalità che va oltre ciò che si vede. Come l’Urbinate, Luca Tempini ne
indaga l’anima.
Questo
romanzo non si limita a descrivere il Rinascimento: lo attraversa, lo esplora,
lo restituisce con uno sguardo partecipe. E quando si arriva all’ultima pagina,
si ha davvero la sensazione di aver vissuto in un’altra epoca, con le sue luci
e le sue ombre, con la sua grandezza e le sue fragilità.
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