domenica 30 gennaio 2022

“Meriti tutta la vita che vuoi” di Tea Pecunia e Marina Panatero

Il sottotitolo del libro recita la longevità a portata di mano e, anche se l’affermazione sul momento potrebbe fare sorridere, le autrici riportano diverse prove scientifiche tratte da recenti studi che confermano che la meditazione aiuta davvero a rimane giovani più a lungo.

Ovviamente questo non significa che la meditazione possa sostituirsi a una cura medica o ad un aiuto psicoterapeutico laddove necessari, ma solo che il nostro modus vivendi influisce sulla qualità della nostra vita. 

Nessuno ovviamente può conoscere la durata della propria esistenza, ma può agire in modo che questa possa essere condotta nel migliore dei modi, serenamente e in pace con se stessi.

Lo stress la maggior parte delle volte non è causato da una reale situazione di pericolo, ma dall’ansia e dalla paura di quello che potrebbe succedere.

Esistono infatti due tipi di stress: quello buono (eustress) e quello negativo (distress), mentre il primo migliora le nostre prestazioni, il secondo ci fa vivere in perenne tensione peggiorando notevolmente non solo la qualità della nostra vita, ma accelerando anche il nostro processo di invecchiamento.

Quando una situazione in passato ci ha provocato dolore o stato di ansia, la nostra mente tende a proiettare quelle nostre sensazioni anche su possibili scenari futuri, ma ogni situazione è diversa e soprattutto noi non siamo la stessa persona che aveva affrontato quella situazione in passato, nel frattempo infatti siamo maturati grazie alle esperienze fatte.

Ecco, la meditazione ci aiuta a non cadere in questo perverso loop che nel libro viene definito in modo molto azzeccato ruminazione mentale.

Bisogna quindi imparare a lasciare andare e a vivere il presente, il qui e ora, se ci si vuole mantenere in buona salute e giovani.

Come nei precedenti libri di Tea Pecunia e Marina Panatero non mancano le indicazioni per chi voglia avvicinarsi per la prima volta alla meditazione quindi qualche pagina è dedicata al quando, dove e come dedicarsi a questa pratica.

La meditazione può essere di due tipi: la meditazione formale, quella per cui si assume ad esempio la classica posizione del fiore di loto, e quella informale ossia quando durante l’arco della giornata si esegue in maniera consapevole una certa attività (per esempio assaporare il cibo durante il pasto).

Nel libro vengono indicati esercizi relativi ad entrambe le tipologie di meditazione sebbene siano più numerosi quelli dedicati a quella formale. Il consiglio delle autrici è comunque di sperimentare ogni singolo esercizio per poi essere in grado di tracciare la mappa più adatta al proprio percorso personale.

La meditazione non è una disciplina semplice da imparare e, sebbene sia alla portata di tutti, necessita di una certa costanza.

Nonostante io abbia letto molti libri sull’argomento non sono ancora riuscita ad acquisire la tecnica o meglio non sono riuscita a farlo fino ad oggi.

Ogni tanto ci riprovo, ma i risultati raggiunti fino ad ora sono piuttosto scarsi a livello di meditazione formale, mentre sono molto contenta dei risultati raggiunti con quella informale che senza dubbio è più vicina al mio modo di essere.

Mi sono spesso confrontata con Tea, che ormai è diventa un’amica, anche su questo punto e mi ha più volte detto che ognuno deve trovare la meditazione formale più adatta e che per me forse potrebbe essere più indicata una meditazione basata sulla respirazione piuttosto che sulla visualizzazione. Ci sto ancora lavorando.

Ogni atto però se compiuto totalmente, entrando nell’essenza, può trasformarsi in meditazione, basta non farsi dominare dalla mente e non farsi trascinare dalla ruminazione mentale. In questo caso anche leggere un libro può diventare una forma di meditazione informale. Ecco, devo dire, questa mi riesce benissimo.




sabato 29 gennaio 2022

“La Cavalcata dei Magi di Benozzo Gozzoli” di Costanza Riva

Il famoso ciclo di affreschi realizzato da Benozzo Gozzoli nel 1459 si trova a Firenze nella Cappella di Palazzo Medici Riccardi.

Il volume di Costanza Riva non si limita a raccontarci la storia dell’affresco, ma ne indaga anche la simbologia svelandoci quali siano i simboli disseminati nelle vesti e nei paesaggi e la filosofia ermetica alla base di tale rappresentazione.

Il libro inizia con un capitolo dedicato alla storia della dottrina ermetica e alla nascita della scuola neoplatonica nella Firenze del Quattrocento con ampi cenni biografici degli esponenti della famiglia Medici.

Cosimo il Vecchio, influenzato dalle lezioni di Giorgio Gemisto Pletone, al tempo del Concilio per la riunificazioni delle Chiese d’Oriente e d'Occidente spostato a Firenze proprio per l’intervento del Medici, ideò il progetto di un’Accademia che rispecchiasse quella platonica di Atene. Tale progetto fu poi sviluppato dal nipote Lorenzo, detto il Magnifico.

Moltissimo ci sarebbe da dire su quanto riguarda gli studi, le ricerche e i manoscritti che vennero alla luce in quei tempi, ma ogni cosa è raccontata dettagliatamente nel libro.

Il secondo capitolo del volume è dedicato alla Cappella dei Magi, ma prima di entrare nel dettaglio relativo al ciclo di affreschi realizzato da Benozzo Gozzoli, Costanza Riva ci parla dell’innovativa architettura di Michelozzo a cui Cosimo de’ Medici affidò la realizzazione del palazzo in via Larga, oggi via Cavour. Forte è il simbolismo neoplatonico espresso nella costruzione da Michelozzo che senza dubbio doveva aver assorbito la dottrina ermetica durante il Concilio.

Per la prima volta veniva realizzata una cappella privata all’interno di un palazzo nobiliare e il modello a cui Michelozzo si ispirò fu quello del tempio di Gerusalemme. La pianta presenta infatti un doppio quadrato, il primo più ampio dove si trova il ciclo di affreschi dedicato alla Cavalcata dei Magi e un secondo quadrato più piccolo, la scarsella sopraelevata alla quale si accede tramite un gradino che richiamerebbe il tavolato di cedro che divideva il Santo dal Sancta Sanctorum. Gli stessi marmi policromi verdi, bianchi e rossi sono un chiaro riferimento ai tre stati di coscienza che gli alchimisti definivano Opera al Nero, Opera al Bianco e Opera al Rosso. Bellissimi i pavimenti e il soffitto che richiamano ai mandala orientali.

Si passa poi ad analizzare nel dettaglio la pala d’altare originale (Adorazione del Bambino) opera di Filippo Lippi, esposta al Museo di Berlino, e quella che oggi la sostituisce dipinta qualche anno dopo ad opera della scuola del Lippi. Il divario della qualità pittorica delle due opere appare evidente, ma la lettura simbolica non si discosta moltissimo.

Si arriva così al ciclo di affreschi realizzati da Benozzo Gozzoli con la collaborazione di Piero de’ Medici al quale l’artista, come si può desumere dalla corrispondenza intercorsa, era legato da un profondo rapporto di amicizia e con il quale appunto collaborò strettamente sulle scelte iconografiche e simboliche.

La lettura della Cavalcata dei Magi inizia dalla parete est dove il percorso si diparte da un castello sulla sommità di un’altura e al centro troviamo un giovane Gasparre, nel quale gli storici hanno identificato il giovane Lorenzo; tra i vari personaggi troviamo anche altri membri della famiglia tra cui Cosimo il Vecchio con i figli Piero e Giovanni.

Sulla parete sud troviamo il Re Mago Baldassarre nel quale gli storici hanno voluto riconoscere l’Imperatore Giovanni VIII il Paleologo che era intervenuto al Concilio e sulla parete ovest l’affresco dedicato a Melchiorre. Cori angelici decorano invece le pareti della scarsella.

Nell’ultimo e terzo capitolo si approfondisce ulteriormente la simbologia espressa nel ciclo di affreschi e si spiega la lettura della cavalcata intesa come un viaggio mistico-iniziatico. Gasparre simbolo della giovinezza, Baldassare della maturità e Melchiorre della vecchiezza ci riportano all’itinerario del sole dall’alba al tramonto e da questo al sorgere di un nuovo giorno, la rinascita.

Il libro di Costanza Riva è un saggio davvero esaustivo attraverso il quale non solo si comprende appieno il valore e il significato di un’opera di straordinario valore del Quattrocento, ma si fa chiarezza su tutta la simbologia ermetica, neoplatonica e alchemica.

Purtroppo non è possibile dire molto di più nello spazio di un solo post, ma vi assicuro che è un libro assolutamente da leggere perché davvero ricco di informazioni preziose.

Ho visitato più volte Palazzo Medici Riccardi, ma solo dopo la lettura di questo saggio posso dire di essere finalmente riuscita a comprendere i significati più nascosti della sua cappella. 

Vi ricordo che esiste un museo, di cui vi avevo parlato un po' di tempo fa, il BE.GO. Museo Benozzo Gozzoli a Castelfiorentino, interamente dedicato proprio all'artista. 

In attesa di poter tornare a visitare la cappella, dopo aver acquisito così tante nuove e interessanti informazioni, vi lascio qualche foto da me scattata lo scorso settembre.










giovedì 20 gennaio 2022

“Caterina de’ Medici” di Magdalena Lasala Pérez

Caterina de’ Medici, figlia di Lorenzo duca d’Urbino, nipote di Lorenzo il Magnifico, e Madeleine de La Tour d'Auvergne, contessa di Boulogne, strettamente imparentata con i reali di Francia, nasce a Firenze nel 1519.

Rimasta orfana a pochi mesi dalla nascita, Caterina non ha un’infanzia facile, rischia più volte la vita e conosce anche la prigionia. La giovane Caterina muove i primi passi nel mondo degli intrighi di palazzo alla corte papale dello zio Clemente VII e sono proprio queste esperienze insieme alle letture e allo studio delle più svariate discipline a formarla per il ruolo di primo piano che la storia le ha destinato.

Caterina comprende presto di essere un’importante pedina sullo scacchiere politico del suo tempo e accetta senza remore il matrimonio con il figlio cadetto del Re di Francia combinato per lei dallo zio papa Clemente VII.

Ricevuta freddamente nella sua nuova terra perché di natali non nobili, deve fare i conti con un marito distante che ha occhi solo per la sua amante, la bella Diana de Poitiers.

Con la morte improvvisa del delfino di Francia nel 1536, per Caterina e il marito Enrico, futuro Enrico II, mutano totalmente le prospettive. Per Caterina diventa sempre più pressante la necessità di dare un erede alla Francia e dopo dieci anni di matrimonio arriva il tanto sospirato primogenito Francesco che gli garantirà definitivamente il suo posto a corte. Nel giro di pochi anni Caterina partorirà molti altri figli.

Nel 1559 il re muore tragicamente in un torneo, al trono sale il primogenito Francesco appena quattordicenne. Caterina vedrà sedere sul trono di Francia tre dei suoi figli e sarà sempre loro accanto come reggente o come ministro.

Caterina de’ Medici fu una regina saggia, capace, determinata e sempre propensa alla mediazione laddove possibile in un mondo dove imperversavano cruente guerre di religione, dovette affrontarne ben otto.

Nonostante ciò, solo negli ultimi anni il suo operato è stato oggetto di revisionismo storico, perché per secoli la sua figura è stata tramandata come quella di una regina crudele e sanguinaria. Indubbiamente a pesare sulla leggenda nera della regina maledetta furono soprattutto i terribili fatti occorsi nella notte di San Bartolomeo in cui si perpetrò il terribile massacro degli ugonotti di cui lei sola la storia ha incolpato come unica responsabile.

Persino in letteratura, pensiamo a scrittori quali Honoré del Balzac o Alexandre Dumas, venne dipinta come una regina malvagia capace di occuparsi personalmente dell’avvelenamento dei propri avversari.

Questo libro, come già quello dedicato alla figura di Maria de’ Medici, fa parte della collana “Regine e ribelli” in uscita in questi mesi nelle edicole con cadenza settimanale.

Il volume presenta, come tutta la collana, una breve introduzione e una serie di valide schede riassuntive al termine della lettura oltre ad una concisa cronologia.

Il libro è molto discorsivo e la lettura risulta quindi molto piacevole e scorrevole. Un ottimo volume per chi voglia conoscere a grandi linee la storia di Caterina de’ Medici e poi magari approfondirne alcuni aspetti in seguito. A tal proposito sarebbe stata gradita una bibliografia che invece è totalmente mancante.

Tempo fa vi avevo parlato di un un’altra biografia di Caterina de’ Medici scritta da Mariangela Melotti. Quel libro presentava una prosa stilisticamente molto raffinata, ma purtroppo anche molte imprecisioni.

Se volete leggere una biografia completa, non troppo impegnativa, ma che riporti i dati salienti della vita di Caterina de’ Medici e ne inquadri discretamente anche il periodo storico, questo libro è decisamente molto più valido a tale scopo.






mercoledì 19 gennaio 2022

“Illacrimate sepolture” di Donatella Lippi

Il 24 maggio 2004 si diede avvio al Progetto Medici una ricerca paleopatologica, storica e storico-artistica sui componenti del ramo granducale della famiglia Medici. Tale progetto vedeva impegnate diverse istituzioni tra cui le Università di Pisa e Firenze. Questo progetto del quale si parlava già da una decina di anni divise l’opinione pubblica in merito alla legittimità di voler violare nuovamente la pace dei sepolcri medicei per soddisfare la curiosità scientifica. La legittimità di questo intervento risultò subito valida appena si riscontrarono gli ingenti danni che l’esondazione dell’Arno aveva provocato nel 1966 compromettendo lo stato di alcune sepolture.

“Illacrimate sepolture” (2006) di Donatella Lippi non affronta quanto emerso dagli ultimi studi, ma si pone l’obiettivo di ripercorrere la storia delle esumazioni che hanno avuto luogo nel corso dei secoli a partire già dal 1559 quando i corpi di Lorenzo il Magnifico e del fratello Giuliano de’ Medici vennero traslati nella Sacrestia Nuova.

Il libro si apre con una breve introduzione dedicata alla storia del sepolcreto di famiglia, le Cappelle Medicee, e alla Chiesa di San Lorenzo che, fondata nel IV secolo d.C., divenne successivamente la chiesa di famiglia della dinastia.

La Sacrestia Vecchia venne terminata prima della morte di Giovanni di Bicci che aveva affidato il progetto al Brunelleschi mentre la Sacrestia Nuova, opera di Michelangelo, fu commissionata dal primo papa Medici Leone X, figlio del Magnifico. La Cappella dei Principi, il mausoleo di famiglia, tanto desiderato da Cosimo I, iniziò ad essere realizzato solo anni più tardi ad opera del figlio di questi Ferdinando I. 

Nel libro si esamina approfonditamente la ricognizione voluta dal Granduca Leopoldo II nel 1857, l’analisi è corredata da ampia documentazione e sono riportate anche delle schede relative alle diverse esumazioni dove vengono evidenziati lo stato di conservazione, il corredo funerario e le iscrizioni.

Le riesumazioni del Novecento condotte da Giuseppe Genna e Gaetano Pieraccini sono quelle che per metodo e concezione hanno maggiormente fatto discutere e diviso l’opinione pubblica influenzando notevolmente anche una ripresa delle indagini in occasione del più recente Progetto Medici. Donatella Lippi a questo riguardo cerca di inquadrare il periodo storico nel quale si mossero Genna e Pieraccini per dare un quadro quanto più reale dello sviluppo del pensiero scientifico dell’epoca.

Indubbiamente leggendo questo libro gli elementi che emergono posso essere interessanti dal punto di vista storico-scientifico. Pensiamo ad esempio al fatto che per secoli si è pensato che il male dei Medici fosse la gotta, mentre dagli studi sono emersi scenari molto diversi. Sembra, infatti, che Piero il Gottoso e suo padre Cosimo il Vecchio fossero in realtà afflitti da una forma di artrite anchilosante e Lorenzo da una forma congenita di iperostosi. Inoltre, dalle iscrizioni e dai corredi funebri possiamo risalire a importanti informazioni sulla vita di personaggi meno noti come, ad esempio, i tre figli illegittimi di Don Antonio: Don Paolo, Anton Francesco e Don Giulio ai quali il padre non poté lasciare nulla in eredità ma rimasero comunque vicini alla famiglia e alla loro morte vennero sepolti nello stesso luogo.

Nel progetto di Pieraccini era previsto di prelevare i crani, dei quali venivano effettuati anche dei calchi, per realizzare una cranioteca medicea da collocarsi all’interno delle stesse cappelle, questa doveva essere il coronamento delle ricerche effettuate sull’eredità biologica e sul fattore biologico. Fortunatamente i protagonisti delle operazioni cambiarono nel 1955 e i crani vennero riposti nelle loro sepolture originarie.

Dalle pagine dell’Avvenire d’Italia il 10 maggio 1956 Gaetano Pieraccini tuonava contro l’insanabile conflitto nel nostro Paese tra coscienza religiosa e coscienza scientifica che vedeva sempre vittoriosa la prima sulla seconda.

È davvero difficile per me parlare di questo libro, così come è stato emotivamente molto impegnativo leggerlo.  

I miei studi archeologici mi portano a non essere prevenuta su tutto ciò che riguarda la ricerca paleopatologica e la ricerca storica associata al rito delle sepolture. Ammetto però che leggendo le schede delle esumazioni dell’Ottocento ho provato davvero molto fastidio quasi fossi io stessa a profanare quelle tombe, tralascio quindi cosa io abbia pensato leggendo dell’idea di realizzare addirittura una cranioteca.

Quando avevo letto degli studi del Progetto Medici in “Gian Gastone (1671-1737). Testimonianze e scoperte sull’ultimo Granduca de’Medici” confesso che ero rimasta impressionata, anzi per certi versi mi ero anche appassionata all’argomento, quindi, credo che molto dipenda da come queste indagini vengano condotte oltre che da come vengano riportati i dati raccolti.

Quando lessi dei primi interventi di Alberto Bruschi fortemente contrario da principio al Progetto Medici non riuscivo a comprendere il motivo di tanta ostilità, tra l’altro poi superata dallo stesso Bruschi, nel momento in cui si evinse che l’intervento era risultato necessario per la messa in sicurezza delle sepolture.

Ebbene, dopo aver letto la storia e la cronaca di questi interventi precedenti, adesso comprendo molto bene quelle perplessità e quel disappunto.

Sarà perché ormai da tempo mi interesso alla vita dei personaggi della famiglia Medici e li sento più vicini, ma non riesco a non tenere conto di quali fossero i loro sentimenti. Se anche per noi moderni è corretto che la coscienza scientifica abbia il sopravvento su quella religiosa, non è forse il loro riposo quello che è stato disturbato? Non sarebbe quindi forse stato più giusto pensare a quale fosse il loro sentire piuttosto che il nostro? Non posso fare a meno di chiedermi cosa avrebbero provato un uomo devoto come Cosimo III o la stessa Anna Maria Luisa che, pur senza essere bigotta come il padre, era però permeata da un forte sentimento religioso dinnanzi a certi gesti e a certe azioni.

Voglio sperare che finalmente i Medici possano adesso essere lasciati riposare in pace. Parce sepultis.




domenica 16 gennaio 2022

“Anna Maria Francesca” di Alberto Bruschi

Una Principessa boema… una Fiorentina mancata così recita il sottotitolo del libro. 

Ma chi era davvero Anna Maria Francesca di Sassonia-Lauenburg?

La Signora di Reichstadt era una donna libera e volitiva che amava profondamente la sua gente, le sue terre, la vita all’aria aperta, la caccia e i cavalli.

Dopo essere rimasta vedova ancora giovane del primo marito il conte palatino Filippo Guglielmo Augusto di Neuburg dal quale aveva avuto due figlie, di cui una sola ancora in vita, non avrebbe avuto evidenti necessità di risposarsi. Probabilmente però stanca delle continue pressioni accettò il suggerimento del cognato di sposare il fratello di sua moglie. Il cognato di Anna Maria Francesca era l’Elettore Palatino Giovanni Guglielmo marito di Anna Maria Luisa de’ Medici.

Anna Maria Francesca accettò quindi quella che si sarebbe rivelata una delle unioni più mal riuscite della storia medicea: il matrimonio con Gian Gastone de’ Medici, terzogenito del Granduca di Toscana Cosimo III, venne celebrato il 2 luglio del 1697 a Düsseldorf e, contrariamente alle usanze del tempo, fu il principe cadetto di casa Medici a trasferirsi nelle terre della moglie e non viceversa.

Di fatto Anna Maria Francesca non vedrà mai Firenze, non accompagnerà Gian Gastone in occasione del suo breve rientro a Firenze nel 1705, dal quale egli ritornerà accompagnato dal tristemente famoso aiutante di camera Giuliano Dami, e neppure quando vi rientrerà definitivamente essendo ormai chiaro a tutti che sarebbe toccato a lui sedere sul trono granducale alla morte del padre Cosimo III. Anna Maria Francesca diventerà Granduchessa di Toscana, ma neppure questo evento la convincerà a lasciare la sua casa e la sua gente.

L’intento di Alberto Bruschi è quello di cercare di fare un po’ di chiarezza e liberare per quanto possibile la figura di Anna Maria Francesca dai luoghi comuni ormai storicizzati nei quali si tende a cadere quando si parla di lei e del suo matrimonio con Gian Gastone.

Rozza, spilorcia, priva di spirito e di ogni attrattiva sono solo alcuni degli attributi più comuni che da sempre sono stati associati alla sua persona. Dalle pagine del libro però inizia a farsi strada una donna diversa, una donna sì ostinata, ma anche un’ottima amministratrice delle sue terre, capace di trattare in prima persona con i suoi dipendenti, una signora scrupolosa e attenta alle esigenze dei suoi contadini.

Il rapporto con Gian Gastone fu un rapporto conflittuale fin dall’inizio, ma la rottura divenne definitiva solo quando Giuliano Dami, giunto a Reichstadt con la sua astuzia e la sua malvagità, annullò definitivamente ogni possibilità di mediazione tra i coniugi per il proprio tornaconto personale.

Attraverso le descrizioni della tenuta di Reichstadt, oggi Zákupy, Alberto Bruschi ci conduce a conoscere quei territori freddi e nevosi dai quali Gian Gastone sembrava tanto infastidito. In verità questo luogo non mancava di una certa eleganza e di un certo fascino, ma certamente poco si addiceva a un uomo con le caratteristiche di Gian Gastone melanconico e abituato al mite clima delle soleggiate colline toscane.

Anna Maria Francesca era una donna pratica, indipendente, abituata ad imporre la propria volontà, senza dubbio figlia di una cultura ben diversa da quella di Gian Gastone principe raffinato, malinconico, amante dell’arte, figlio di una civiltà che ormai da secoli faceva della bellezza una religione, un uomo che, viste la sua infanzia e le sue difficoltà, avrebbe avuto bisogno di una donna che lo amasse e lo comprendesse non di una moglie pronta anch’essa a comandarlo senza alcuna premura.

La differenza di costumi, l'incapacità di dialogo e l’incontro di Gian Gastone con Giuliano Dami furono alla base del fallimento dell’unione tra il futuro ultimo Granduca di casa Medici e Anna Maria Francesca di Sassonia-Lauenburg.

Con piacere ho scoperto tra queste pagine un accenno alla storia di altri personaggi ai quali spesso anch'io mi sono ritrovata a pensare leggendo delle vicende dell'ultimo Granduca Medici. Mi riferisco alla storia del fratello del Re Sole, Filippo d'Orléans e al suo rapporto con Filippo di Lorena, conosciuto anche come lo Chevalier e alla sua seconda moglie Elisabetta Carlotta del Palatinato soprannominata Liselotte.

“Anna Maria Francesca” è un volume prezioso, ben scritto e ben documentato, corredato di ampia documentazione fotografica. Un libro che ancora una volta assolve allo scopo che Alberto Bruschi si era prefissato ovvero fare di se stesso un “suscitatore di memorie”.

Purtroppo, come già per altri volumi di cui vi ho parlato ultimamente anche questo, edito da SP 44 Editore nel 1995, è fuori catalogo e l’unico modo per reperirlo è rivolgersi al mercato dell’usato.




domenica 9 gennaio 2022

“Maria de’ Medici” di Cristina Castillón Puig

Maria de’ Medici (1573-1642), figlia di Francesco I e Giovanna d’Austria, rimase orfana in giovane età. Ad occuparsi di lei fu lo zio Ferdinando I che era succeduto al fratello sul trono del Granducato di Toscana. Fu lui che combinò il matrimonio con il re di Francia Enrico IV che Maria sposò per procura a Firenze il 5 ottobre dell’anno 1600.

Giunta nella sua nuova patria Maria fu fin da subito osteggiata in quanto straniera e cattolica; l’essere una Medici, poi, non la rese certamente ben voluta alla Corte che ancora serbava un ostile ricordo di Caterina de’ Medici

Le casse francesi erano vuote e la dote della sposa aveva rappresentato un vero sollievo per il paese, ma questo non le fruttò alcuna simpatia anzi venne spesso derisa proprio per le sue origini legate ad una famiglia di banchieri.

Maria de’ Medici venne incoronata regina di Francia solo nel 1610, quando aveva già dato alla luce sei figli. Enrico IV venne assassinato proprio il giorno dopo l’incoronazione della moglie e questo non fece che alimentare i sospetti di un suo possibile coinvolgimento.

Divenuta regina reggente Maria favorì l’ascesa del proprio consigliere Concino Concini, marito di Leonora Dori la dama di compagnia fiorentina che l’aveva seguita in Francia. Questa sua simpatia per Concino Concini e per Leonora le attirò addosso accuse e generò molto malcontento.

Nel 1615 Maria convocò gli Stati Generali e in tale occasione conobbe Richelieu il quale, se dapprima si rivelò per lei un affidabile alleato, non esitò in seguito a decretarne la sua fine politica giocando un ruolo predominate nella definitiva rottura dei rapporti tra lei e il re del quale col tempo Richelieu era divenuto l’indispensabile primo ministro nonché colui che di fatto reggeva le redini della Francia.

Maria de’ Medici morì in esilio nel 1642 ospite della famiglia di Pieter Paul Rubens, il pittore con il quale aveva stretto amicizia e al quale aveva commissionato nel 1622 una serie di ventiquattro dipinti per il Palazzo del Lussemburgo, fatto costruire ad imitazione di Palazzo Pitti, dipinti che illustravano la storia della sua vita e celebravano il suo operato.

Una delle tante accuse che le furono rivolte fu proprio quella di sperperare denaro in opere d’arte, gioielli e vestiti. Maria era una vera Medici e il mecenatismo così come l’importanza di esso come strumento politico facevano parte del suo retaggio culturale. Diede di fatto grande impulso alle arti in Francia rivitalizzando un paese cupo e segnato da anni di guerre.

La figura di Maria de’ Medici è stata relegata per molto tempo ad un ruolo secondario della storia moderna europea e solo ultimamente questo ruolo è stato rivalutato. Pagò senza dubbio il fatto di essere donna e di non aver mai remissivamente accettato una posizione secondaria come gli veniva richiesto dalle convenzioni del tempo.

Il rapporto con il figlio Luigi XIII fu un rapporto sempre conflittuale, avendo fatto affidamento entrambi su stretti collaboratori dalla forte personalità più interessati al proprio tornaconto e all’acquisizione del potere personale che al bene del paese.

Maria de’ Medici venne accusata di incompetenza e ignoranza, non tenendo conto della difficoltà dello scacchiere politico sul quale ella fu costretta a muoversi. Il carattere forte, volitivo e orgoglioso di cui era dotata non le valse certamente alcuno sconto o simpatia.

Il libro di Cristina Castillón Puig è edito da RBA, fa parte di una collana “Regine e ribelli” dedicata ai personaggi femminili della storia i cui volumi stanno uscendo in edicola con cadenza settimanale.

Il volume è discretamente strutturato. Ad una introduzione generale segue il racconto della vita di Maria de’ Medici in forma molto discorsiva, un romanzo-saggio che si rivela la scelta narrativa più adatta per questo tipo di pubblicazione che vuole essere un’opera divulgativa di buona qualità, ma non eccessivamente impegnativa. Chiudono il volume alcune brevi schede riassuntive che aiutano il lettore a fissare i concetti principali e una breve cronologia.

Nell’insieme, a parte qualche piccola imprecisione, è un libro che permette al lettore di farsi un’idea generale del personaggio ed eventualmente spingerlo ad approfondire l’argomento. Proprio in quest’ottica sarebbe stata gradita e auspicabile la presenza di una bibliografia che invece risulta totalmente assente.

In caso preferiste invece leggere un bel romanzo storico incentrato sulla figura di Maria de’ Medici, vi consiglio l’ultimo romanzo della quadrilogia medicea di Matteo Strukul intitolato “Decadenza di una famiglia”.

 

 


sabato 8 gennaio 2022

“A sud dell’Inferno” di Claudio Giovanardi

Maria e Luigi partecipano al funerale del padre, ma già dalle prime righe si percepisce che l’atmosfera opprimente non è dovuta, come sarebbe naturale, alle circostanze bensì a qualcosa che travalica la contingenza. Maria e Luigi sono anime avare nessuna partecipazione, nessuna commozione traspare dai loro gesti, dalle loro parole per quel padre che, accusato ingiustamente di uno dei crimini più orribili, aveva trascorso da innocente ben tredici anni in carcere e ora si è suicidato senza lasciare loro neppure un rigo perché possano comprendere il motivo di un gesto tanto estremo.

Dopo aver assolto il loro compito come indifferenti automi, terminate le esequie, rientrando a casa trovano ad attenderli dinnanzi al portone tre loschi individui che senza mezzi termini minacciano loro e le loro famiglie: se non restituiranno quando loro sottratto dal padre defunto non si faranno scrupolo di ricorrere alle maniere forti finanche all’assassinio.

Inizia così una corsa contro il tempo per racimolare quanto richiesto, ma il denaro da trovare è davvero troppo. Maria e Luigi faranno una scelta sbagliata dietro l’altra, imboccando un pericoloso sentiero che li condurrà sempre più giù verso l’Inferno.

Il sottotitolo del libro recita enigma in quattro quadri e quattro sono, infatti, le parti in cui è suddiviso il romanzo. Un racconto a ritroso che lentamente svela tutto lo squallore di quattro vite rovinate dall’avidità, dalla lussuria, dall’incapacità di amare e dall’inettitudine.

Se il quarto quadro è dedicato al funerale di Umberto Albani, epilogo della storia, gli atti precedenti lo vedono protagonista: nel terzo, appena uscito di prigione, tenta di rifarsi una vita, ma viene nuovamente ingannato; il secondo è dedicato agli anni del carcere e all’incontro con gli altri detenuti colpevoli del crimine di cui lui, ingenua vittima di una squallida trappola ordinata ai suoi danni, era stato invece ingiustamente accusato.

Il primo quadro, quello conclusivo, racconta come tutto sia iniziato: l’incontro con una ragazza bellissima e provocante che diverrà sua moglie, la nascita dei due figli, insomma quella che all’apparenza doveva essere l’esistenza perfetta e che invece per tutti e quattro si è rivelata essere un vero inferno o piuttosto tanti piccoli inferni personali contrassegnati da amori malati, ossessioni, rancori e vendette.

Nel romanzo di Claudio Giovanardi non esiste riscatto, il perdono non è salvifico, ma serve solo a sprofondare colui che perdona nel girone più profondo.

Non esistono carnefice e vittima, anche colui che potrebbe sembrare il più innocente ha scheletri inconfessati e inconfessabili nell’armadio.

“A sud dell’Inferno” è una storia amara e perversa. Non può esserci empatia nei confronti dei protagonisti, troppo squallore. L’unico personaggio che forse suscita una qualche compassione è la figura dell’anziana Elisa Loyola con il suo misero e fallimentare tentativo di ritrovare un po’ di serenità mettendo a disposizione della famiglia di Umberto la propria villa.   

Il libro di Claudio Giovanardi è un libro particolare, dove la prosa si alterna alla rima dalla quale nascono lugubri filastrocche dal ritmo cadenzato foriero di sventura e dove al linguaggio popolare e al dialetto romanesco si alterna spesso un linguaggio elegante e dalle parole ricercate. 

Un racconto crudo dove Umberto è l’antieroe per eccellenza, un anti-Ulisse soggiogato da una Circe spietata a sua volta vittima di un altro terribile carnefice senza scrupoli.

Numerosi sono i richiami alla mitologia all’interno del romanzo così come alla letteratura per citarne uno su tutti la sventata rispose di manzoniana memoria.

Una storia senza via di uscita, senza possibilità di redenzione, un racconto tra il kafkiano e il pirandelliano, pervaso da un profondo senso di claustrofobia che raggiunge la sua acme nel momento in cui i cancelli della prigione si chiudono alle spalle di Umberto e al lettore sembra di venire richiuso assieme a lui in quella piccola cella dove muoversi sembra impossibile così stretti tra la sedia, la branda, il lavabo e l’armadietto.  

Con queste premesse secondo voi È ancora possibile amare a sud dell’Inferno? Questa la domanda che campeggia sulla quarta di copertina, a voi l’ardua sentenza…

 

 

giovedì 6 gennaio 2022

“Don Antonio de’ Medici. Un principe alchimista nella Firenze del ‘600” di Paola Maresca

Don Antonio de’ Medici (1576-1621) era figlio del Granduca di Toscana Francesco I e della sua seconda moglie Bianca Cappello. Quando nacque però il padre era ancora sposato con la prima moglie Giovanna d’Austria che morì solo due anni più tardi nell’aprile del 1578.

Don Antonio, sebbene fosse stato riconosciuto dal genitore, rimaneva di fatto un figlio illegittimo. Con le seconde nozze del padre e con la morte dell’erede designato Filippo, figlio di Francesco I e di Giovanna d’Austria, Antonio mutò la sua condizione. L’istruzione che gli venne impartita fu quindi consona al ruolo di principe ereditario quale egli era di fatto divenuto.

La vicenda di Bianca Cappello e di Francesco I è ricordata come una delle pagine più oscure della storia medicea.

Ferdinando I, non vide mai benevolmente la relazione prima e le nozze poi del fratello con la bella veneziana. Quando entrambi morirono a poche ore di distanza l’uno dall’altra durante un soggiorno nella Villa di Poggio a Caiano dove si trovava ospite lo stesso Ferdinando si pensò subito che entrambi fossero stati da lui avvelenati, ipotesi che resta ancora oggi tra le più accreditate anche se ci sono studi che lo assolverebbero.

Antonio, ancora undicenne, era comunque un ostacolo per Ferdinando il quale per liberarsi del legittimo erede si affidò a prezzolati testimoni affinché dichiarassero che il ragazzo non era figlio del fratello e di Bianca Cappello, ma che questa aveva ingannato Francesco facendo passare per suo il figlio di una popolana, una certa Lucia.

Tolto di mezzo lo scomodo nipote e condannata alla damnatio memoriae la tanto detestata cognata, Ferdinando, abbandonato l’abito cardinalizio, salì al trono granducale e sposò Cristina di Lorena.

Vuoi per mettersi al riparo da eventuali rivendicazioni da parte del nipote, vuoi a causa di un semplice senso di colpa, Ferdinando non abbandonò il giovane Antonio, ma lo accolse in seno alla famiglia alla condizione che, raggiunta la maggiore età, egli pronunciasse i voti come Cavaliere di Malta rinunciando in tal modo per sempre alla possibilità di avere eredi a cui poter trasmettere le proprie sostanze.

Gli venne così assegnato un appartamento a Palazzo Pitti e gli venne riconosciuto l’usufrutto di alcune ville oltre che del Casino di San Marco che ospitava ancora l’officina alchemica di Francesco I.

Don Antonio che aveva ereditato proprio dal padre la passione per le scienze alchemiche e la spagirica ne fece il suo quartier generale e, facendo eseguire ingenti lavori per renderlo consono alle sue esigenze abitative, lo trasformò in una splendida reggia.

Don Antonio fu un personaggio che dal nonno Cosimo I e dal bisnonno Giovanni dalle Bande Nere aveva ereditato la passione per le armi, combatté per mare riportando nette vittorie contro i pirati e si recò anche in aiuto di Rodolfo II che si trovava in difficoltà contro i Turchi che premevano ai confini dell’Impero.

A causa delle numerose ferite riportate in battaglia il suo stato di salute subì un peggioramento e dovette quindi abbandonare la carriera militare e ripiegare su quella diplomatica.

Ebbe così molto più tempo da dedicare alla sua vera passione: l’opera alchemica.

L’aver pronunciato i voti come Cavaliere di Malta non gli impedì di avere quattro figli, ma nonostante le suppliche che rivolse al cugino Cosimo II, divenuto nel frattempo il nuovo Granduca di Toscana, gli fu negata ogni possibilità di lasciare loro alcun bene.

Don Antonio de’ Medici è uno dei personaggi forse meno conosciuti e meno indagati della famiglia Medici, ma dal libro di Paola Maresca si intuisce chiaramente che fu una figura dal fascino non comune, intelligente e intraprendente, appassionato di musica ed arte, fece del Casino di San Marco un centro di riferimento per la cultura musicale oltre che uno dei principali centri di diffusione delle teorie di Paracelso non solo della Toscana ma di tutta l’Italia.

Paola Maresca riesce mirabilmente a condensare in appena un centinaio di pagine moltissime notizie sulla vita di Don Antonio, sulla sua famiglia, sugli studi da lui condotti, sulla ristrutturazione del Casino di San Marco e non ultimo su tutte quelle figure che ruotarono intorno al suo personaggio e lo affiancarono nella sua ricerca.

Il volume è corredato da una discreta bibliografia e da un’ampia e interessante documentazione fotografica.

Un valido volume per chi si accosti per la prima volta alla figura di Don Antonio e un buon punto di partenza per chi desideri approfondirne la conoscenza.

Se siete interessati all’argomento “alchimia e Medici” vi ricordo un altro libro di Paola Maresca di cui vi avevo parlato qualche tempo fa intitolato “Alchimia,magia e astrologia nella Firenze dei Medici” sempre edito da Angelo Pontecorboli Editore.



sabato 1 gennaio 2022

“Gian Gastone un trono di solitudine nella caligine di un crepuscolo” di Alberto Bruschi

Il romanzo si apre con l’immagine di Anna Maria Luisa che al capezzale del fratello morente con il quale si è da poco riconciliata lo assiste cristianamente nell’ora del trapasso.

Giuliano Dami che fino a poco tempo prima spadroneggiava senza alcuna moderazione sul Palazzo e su Firenze si presente ora timidamente nella stanza di Gian Gastone, ma ne viene scacciato con un solo duro sguardo dall’Elettrice Palatina. Per lui, il corruttore dell’anima dell’ultimo Granduca Medici, è finita, esiste solo la paura dell’incerto futuro che l’attende.

Gian Gastone ormai vicino alla morte ripercorre la sua triste e solitaria esistenza fin da quando ancora giovassimo cercava riparo nei luoghi più appartati dei giardini di Boboli dove si fermava a ragionare con se stesso sul senso della vita e sul significato della felicità. Scorrono così gli anni come in una lenta e triste pellicola d’altri tempi, come malinconica e solitaria fu la vita di questo mite e illuminato Principe che non era nato per regnare, ma che il fato volle vedere seduto sul trono del Granducato di Toscana, ultimo della sua stirpe.

Tanta solitudine e poco amore così si potrebbe riassumere la vita di Gian Gastone de’ Medici, il figlio minore, quello meno amato da un padre bigotto, frustrato da un matrimonio fallimentare e amareggiato per la mancanza di un nipote e dimenticato dalla madre che, dopo averlo abbandonato ancora bambino, non ebbe per lui neppure una tenerezza quando da adulto si recò a farle visita in Francia.

Il matrimonio al quale il giovane Gian Gastone da figlio ubbidientemente si sottomise per assecondare il volere paterno e la fredda ragion di stato si rivelò fin da subito un totale disastro. Un solo lampo di fugace felicità squarciò la fredda e solitaria esistenza del principe cadetto allorquando si imbatté nel bellissimo e sfrontato Giuliano Dami, ma quello che Gian Gastone volle credere un benigno dono del destino, si rivelò invece essere la tomba per la sua anima, l’inizio della sua discesa agli inferi ancora in vita.

Particolarmente suggestiva l’immagine dell’ultimo Medici che nel corso della sua esistenza si trova più volte a discorrere con una cutrettola fino alla conversazione finale quando il piccolo uccello si posa sul davanzale della finestra della camera del Granduca per congedarsi definitivamente da lui.

Alberto Bruschi partendo dalla consultazione delle numerose carte presenti negli archivi, analizzando le coeve opere d’arte e visitando i luoghi vuole restituire a noi contemporanei, sotto forma di romanzo, una nuova immagine di Gian Gastone, un’immagine più umana e senza dubbio più vicina alla verità storica.

Complici prima i Lorena che cercarono in ogni modo di legittimare la loro posizione sminuendo il loro predecessore e poi il perbenismo ottocentesco, la storia ha trasmesso dell’ultimo Granduca Medici l’immagine di un uomo inetto, corrotto e depravato. Gian Gastone è vero era omosessuale e poco importa se l’iniziativa quel giorno l’avesse presa il Dami, come viene scritto nel romanzo, o invece il timido Principe, questo non è una colpa, l’amore non è mai una colpa, quindi non può valergli alcuna condanna. Fu un uomo molto solo, afflitto dalla melanconia e dalla mancanza di affetti sinceri.

Detto questo, non è però neppure possibile ignorare la nefasta influenza che il Dami ebbe sul suo signore il quale non avrebbe potuto donare il proprio amore a nessuno meno meritevole di lui.

Ma tutto ciò non giustifica che si possa dimenticare che l’ultimo Granduca fu un principe liberale e illuminato, amante delle arti e della filosofia, che ebbe a cuore le sorti del suo popolo tanto da sgravarlo fin da subito dei numerosi balzelli che il padre Cosimo III aveva imposto persino dal letto di morte.

Leggere gli scritti di Alberto Bruschi è sempre un immenso piacere. La sua prosa è raffinata ed elegante; ogni frase, ogni citazione sono frutto di un’assoluta padronanza della lingua e della materia così come perfetta è la scelta di ogni singola parola. 

Gli incipit dei suoi libri che si tratti di saggi o di romanzi così come le prime pagine sono di una bellezza quasi commovente e l’empatia dell’autore verso i propri personaggi si riversa sull’affascinato lettore che ne resta completamente conquistato.

Alberto Bruschi non fa sconti a Gian Gastone, non edulcora la pillola quando deve raccontare dello stato in cui il Granduca trascorse gli ultimi anni, non si tira indietro, ma la sua penna riesce a farlo sempre con estrema delicatezza anche quando deve raccontare i fatti più penosi e squallidi.

La prima volta che incontrai la figura di Gian Gastone fu in occasione della lettura di “L’ultima regina di Firenze” di Luca Scarlini, libro che ho riletto, cosa che faccio molto raramente, non molto tempo fa per fare chiarezza sul mio sentire alla luce di tutte le successive letture.

Il racconto di Scarlini è un racconto dissacrante, le descrizioni riprendono molto dal testo di Giuseppe Conti e dai vecchi manoscritti tra cui il famoso manoscritto Moreniano n. 352. Ricordo che, pur non sapendo nulla di Gian Gastone, mi ero ribellata a quelle descrizioni e a quelle pagine, qualcosa di risultava troppo stonato e forzato. Così, per caso, è iniziato il mio viaggio alla ricerca del vero volto dell’ultimo Granduca. Quando poco tempo fa mi sono imbattuta nei libri del compianto Alberto Bruschi ho trovato finalmente tra le sue pagine un sentire comune e quell’immagine di Gian Gastone de’ Medici che avevo solo incidentalmente avvertito mi si è da ultimo palesata rivelandomi la fondatezza delle mie iniziali sensazioni. 

Il volume pubblicato nel 1995 da SP 44 Editore è ormai purtroppo fuori catalogo. Ho dato la caccia a questo libro per parecchio tempo perché non risultava di facile reperibilità neppure sul mercato dell’usato, ma direi che la fatica fatta per rintracciarlo è stata oltremodo ben ricompensata dal piacere della lettura.