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giovedì 18 aprile 2024

“I Medici. Uomini, potere e passioni” a cura di A. Wieczorek, G. Rosendahl e D. Lippi

Edizione italiana del volume pubblicato in occasione della mostra a Mannheim per il 270° anniversario della morte di Anna Maria Luisa de’ Medici (2013), “I Medici. Uomini, potere e passione” è un libro nato con l’intento di rimanere un testo di riferimento sulla storia medicea anche negli anni successivi a quello dell’evento.

Il libro presenta brevi e dettagliate schede dedicate ai personaggi della dinastia e racconta gli eventi storici che li videro protagonisti per quasi trecento anni. Vengono inoltre indagati dettagliatamente tutti quegli elementi legati alla storia dell’arte, alla letteratura e alla filosofia che tanto interessarono tutti gli esponenti della famiglia Medici nel corso dei secoli.

Il volume è costituito da una serie di articolati interventi molto diversi tra loro per argomento e stile, numerosi infatti sono gli autori, che terminano tutti con un’interessante bibliografia per chi volesse approfondire quanto trattato in ciascuno di essi.

Le prime pagine sono dedicate alle sepolture dei Medici con ampie digressioni su San Lorenzo, le Cappelle Medicee e l’Opificio delle Pietre Dure e con una breve storia alle traslazioni, esumazioni e ricognizioni dei luoghi di sepoltura.

Tra i tanti altri argomenti trattati troviamo: il sistema bancario, di cui si analizza dettagliatamente anche l’aspetto teologico e filosofico, il recupero e il restauro delle vesti di Eleonora di Toledo, di don Garzia e di Cosimo I, l’educazione, il ruolo sociale e la mortalità dei bambini, il mestiere delle armi, la storia di Galileo Galilei e il Calcio Storico Fiorentino.

Tra i vari autori non poteva mancare il compianto Alberto Bruschi. In verità mi sono imbattuta in questo volume proprio mentre stavo effettuando una ricerca dei suoi scritti.

Il suo intervento non poteva che essere dedicato all’amato Giovanni Gastone, o Gian Gastone come da subito venne chiamato.

Il ritratto a corredo dell’articolo di Bruschi è un dipinto, opera di Franz Ferdinand Richter, che per un periodo è stato esposto anche al Museo de’ Medici nella sua precedente sede. Analizzando nel dettaglio quest’opera del Richter Alberto Bruschi tratteggia, con la sensibilità che sempre lo ha contraddistinto parlando dell’ultimo granduca Medici, il ritratto di un sovrano dal volto bonario corrotto dagli anni e dalle amarezze, dall’animo ricco di contraddizioni proprie della sua follia e della sua genialità, i cui “occhi velati da profonda tristezza paiono fissati nell’eternità, rivelando sgomenti pensieri”. 

Bruschi non manca ancora una volta di sottolineare quanto la memoria di Gian Gastone sia stata vittima, e lo sia purtroppo spesso ancor oggi, di “biografi prezzolati e servi rancorosi” in gara tra loro per indirizzare i contemporanei verso i Lorena ed ingraziarsi così questi nuovi padroni, più tardi, poi, il perbenismo dell’Ottocento fece il resto.

“I Medici. Uomini, potere e passioni” è un volume interessante, ricco di spunti e curiosità. Un’edizione particolarmente accurata nel suo apparato tipografico con bellissime illustrazioni. Una lettura assolutamente consigliata.




sabato 27 maggio 2023

“L’antiquario in cornice” (Alberto Bruschi – Silvestra Bietoletti)

Durante le mie letture mi imbattei un giorno in una frase di Alberto Bruschi che mi incuriosì molto: “Quando sbaglia l’antiquario deve piangere in cantina, ma è meglio che pianga per i propri errori che per quelli altrui”. Una massima che si potrebbe definire universale.

La frase è tratta dal libro “L”antiquario in cornice”, un catalogo, a cura di Silvestra Bietoletti, che prende in esame alcune delle opere della collezione Bruschi, i cui soggetti sono figure legate all’ambiente del mercato dell’arte, non solo antiquari ma anche collezionisti, restauratori, rigattieri, venditori di libri usati.

Il catalogo è preceduto da una lunga introduzione. In queste pagine, definite da Bruschi appunti di memoria, egli si racconta accompagnando il lettore nel proprio mondo. 

Quello del mercato dell’arte è un mondo complesso e cosmopolita che, a torto o a ragione, nel corso dei secoli è stato spesso guardato con sospetto e ha suscitato molta diffidenza.

L’amore per l’antiquariato caratterizzò Alberto Bruschi sin dalla più tenera età così come la passione per i libri che sempre egli antepose all’effimero e alla vanità.

L’antiquario, afferma Bruschi, non ha interessi al di fuori del proprio lavoro, non ci possono essere per lui distrazioni perché completamente assorbito dal proprio lavoro che diviene quasi una sorta di missione. Egli non andrà mai veramente in pensione perché sino all’ultimo giorno non desisterà mai dalla ricerca di quell’oggetto raro e prezioso che è per lui una specie di Santo Graal.

Ma è possibile comprare e vendere senza troppi rimpianti? Secondo Alberto Bruschi sicuramente sì e, a pensarci bene, non potrebbe essere altrimenti per chi ha fatto dell’antiquariato la propria professione. Il rapporto con le antichità non dovrebbe mai essere un rapporto di possesso, ma piuttosto di amicizia. Fondamentale è imparare a possedere le cose senza lasciare che queste ci possiedano a loro volta. Tutto dovrebbe essere ricondotto alla necessità di instaurare un dialogo con il passato. Se poi gli eredi alieneranno preziosi oggetti o dipinti non c’è da disperare perché quegli stessi oggetti e dipinti faranno la felicità di qualche altro collezionista che ne saprà apprezzare il valore.

L’antiquario non deve necessariamente essere figlio d’arte e non deve per forza provenire da una famiglia facoltosa; tutti i veri antiquari sono figli dell’aristocrazia dell’intelletto.

È di fatto un lupo solitario, non si mescola al branco e vive ritirato nella propria tana, sebbene non si sottragga mai quando venga chiamato a viaggiare senza sosta per raggiungere i luoghi più impervi e lontani con qualunque mezzo di trasporto pur di ottenere l’oggetto dei desideri.

L’antiquario è monumento di autonomia intellettuale. Tutto e il contrario di tutto lo possono definire. L’autore snocciola una pletora infinita di aggettivi che ben si addicono a descriverne la figura, solo per citarne alcuni potremmo dire modesto e presuntuoso, sospettoso e credulone, accorto e incosciente, spietato e mecenate…

Questo libro è un’importante tassello per meglio incorniciare la figura di Alberto Bruschi che fino ad oggi avevo conosciuto principalmente come studioso di storia medicea. Con l’ironia, lo spirito arguto e il linguaggio elegante e raffinato che sempre ne caratterizzano i suoi scritti, si incontra in queste pagine il Bruschi antiquario e collezionista.

Si conferma quanto egli fu persona non comune e quanto quel lungo elenco di aggettivi, di cui ho accennato poco sopra, potesse attagliarsi a lui e a pochissimi altri, nonostante egli stesso scrivesse, se per falsa modestia o vanità celata non è dato sapere e poco importa, di ritenere almeno il novantotto per cento dei colleghi più intelligenti di lui.

La sua fu una personalità estremamente versatile, impossibile da definire. Fu antiquario, storico, romanziere, saggista, archeologo, collezionista, letterato, promotore di iniziative culturali, mecenate e, se come egli sosteneva l’antichità è per chi la capisce e per chi se la merita, davvero pochi avrebbero potuto tenere il suo passo.

Alcune pagine del libro sono dedicate a importanti e famosi antiquari e collezionisti come Stefano Bardini ed Elia Volpi che furono per Bruschi fonte di ispirazione. Egli rimase però sempre fedele a se stesso; da ottimo antiquario quale fu, infatti, non si lasciò influenzare da nessuno, indipendente fino alla fine, mai rinunciò alle proprie convinzioni.

 

 

 

 


mercoledì 24 maggio 2023

“Giovan Battista Fagiuoli” di Rossella Foggi

Il volumetto venne pubblicato nel 1993 in occasione della scoperta avvenuta l’anno precedente da parte di Alberto Bruschi, editore della Collana Loggia Rucellai di cui anche libro fa parte, di un ritratto di Giovan Battista Fagiuoli eseguito da Pier Dandini.

Al saggio di Rossella Foggi in cui viene raccontata la vita e descritta la personalità del Fagiuoli, segue una breve analisi di Sandro Bellesi del dipinto ritrovato. In queste pagine Bellesi riporta anche un estratto dell’opera del Fagiuoli, un capitolo che questi volle dedicare al Dandini proprio come ringraziamento del ritratto.

Antonio Paolucci definisce Giovan Battista Fagiuoli eccentrico bardo degli ultimi Medici. Definizione calzante, sebbene molte delle facezie che la tradizione popolare fiorentina gli ha attribuito nel corso dei secoli siano in verità sono solo false credenze.

Il poeta e commediografo fiorentino fu testimone di quell’epoca che vide per sempre calare il sipario sulla dinastia medicea. Si spense infatti l’anno prima di Anna Maria Luisa de’ Medici e i suoi funerali vennero celebrati in San Lorenzo.

Nato il giorno di San Giovanni Battista del 1660, il Fagiuoli dovette lasciare presto il collegio dei Gesuiti, dove aveva intrapreso gli studi, poiché il padre morì all’età di soli 43 anni. Appena tredicenne, per mantenere la madre, dovette accettare un impiego presso un dottore in legge, ma fin da subito fu chiaro come il lavoro d’ufficio non fosse la sua vera inclinazione. Egli riuscì fin da subito a ritagliarsi un suo spazio dedicandosi alla recitazione, passione quella per il palcoscenico che lo accompagnò per tutta la sua esistenza. Suo malgrado, per far quadrare il bilancio famigliare, dovette però sempre destreggiarsi tra l’impiego presso l’Arcivescovado e la vocazione di letterato.

I suoi scritti non furono mai troppo pungenti o violenti; poeta satirico, raramente ironico e in nessun modo cattivo, questo suo aspetto fu dovuto indubbiamente al suo carattere, ma in parte anche alle sue ispirazioni ad entrare nell’ambiente di Corte.

Scelse la strada più lunga per raggiungere i suoi scopi, ovvero la sua arte, poiché da uomo orgoglioso, mai avrebbe venduto la sua dignità in cambio di un posto da cortigiano.  Purtroppo, anche i suoi amici il Redi e il Magliabechi, rispettivamente il medico e il bibliotecario di Corte, non riuscirono a intercedere in suo favore come avrebbe desiderato.

Dovette allontanarsi da Firenze per lavoro, trascorse un periodo a Livorno e persino un anno a Varsavia. Poi, finalmente, un giorno venne accolto da Francesco Maria de’ Medici, fratello del Granduca Cosimo III, e iniziò a frequentare le feste e gli eventi mondani nella Villa di Lappeggi tanto cara al cardinale. Sfortunatamente, quando questo morì, dal momento che il Fagiuoli non era mai stato stipendiato come cortigiano, si ritrovò nuovamente a dover contare solo sul reddito ricavato da un piccolo podere di proprietà e dallo stipendio ricevuto come attuario. Solo l’Elettrice Palatina, all’epoca ancora a Düsseldorf, cerco di intercedere presso il padre Cosimo III in suo favore e sempre lei lo sostenne anche quando salì al trono il fratello Gian Gastone, non particolarmente interessato all’opera del Fagiuoli.

Giovan Battista Fagiuoili ebbe una vita non facile, sempre a corto di denari sin da bambino si ritrovò a dover far fronte anche ad una famiglia molto numerosa. La moglie gli diede ben dieci figli ma solo quattro di questi, quattro figlie tutte monacate, gli sopravvissero. Il Fagiuoli in verità sopravvisse pure alla moglie sebbene molto più giovane di lui e a tutti i suoi nipoti.

Una figura affascinante incontrata spesso nelle mie letture sugli ultimi Medici che sono contenta di aver potuto approfondire grazie a questo interessante saggio.

Giovan Battista Fagiuoli fu uomo del suo tempo e rileggere le sue opere (rime, composizioni, commedie) e i suoi diari che si compongono di ben 30 volumi, di cui i primi tre redatti in bella copia, che vanno dal 1672, anno della morte del padre, fino a due giorni prima della sua morte, avvenuta il 12 luglio 1742, è fondamentale per comprendere l’epoca di cui lui fu testimone.

Rossella Foggi con questo suo saggio e Alberto Bruschi con questa collana hanno dimostrato di aver compreso quanto sia importante andare alla riscoperta di quei personaggi che solo all’apparenza possono essere considerati marginali a quella che viene considerata la storia con la “S” maiuscola.




domenica 7 maggio 2023

“Lorenzo il Magnifico in salute in malattia” di Emiliano Panconesi e Lorenzo Marri Malacrida

Questo piccolo volume, terza uscita della Collana Loggia Rucellai, si pone come obiettivo si analizzare la figura di Lorenzo il Magnifico da un punto di vista diverso da quello consueto.

Oggetto di questo breve saggio non è quindi il Lorenzo statista, letterato, politico e mecenate, tutte sue caratteristiche che qui vengono ricordate solo a scopo biografico.

L’argomento centrale di questo saggio è invece quello della malattia del Magnifico e del rapporto che questi ebbe con la medicina. Gli autori indagano quindi quali furono le sue caratteristiche fisiche e psichiche.

Lorenzo de’ Medici mori all’età di 43 anni. Il 1492 fu davvero un anno particolare perché non solo se ne andava colui che allora era l’ago della bilancia della politica italiana ed europea, ma anche un grande pittore a lui contemporaneo quale fu Piero della Francesca, uno dei tanti artisti che Lorenzo de’ Medici ebbe la fortuna di poter incontrare nel corso della sua vita.  Ad ottobre di quello stesso anno Cristoforo Colombo sbarcava sulle coste del nuovo continente e da quel momento in poi si sarebbe entrati ufficialmente nell’Era Moderna.

Nel Quattrocento non esisteva una marcata differenza tra le discipline come la conosciamo noi oggi. All’epoca del Magnifico tra il sapere medico-fisico e la cultura letteraria e filosofica vi era uno stretto legame. Studiando la biblioteca di Pier Leoni (o Pierleone) da Spoleto medico di Lorenzo si può facilmente comprendere quanto fossero intrecciate tra loro discipline quali la filosofia, la medicina, la matematica ma anche l’astrologia. La cultura rinascimentale in generale e quella del Rinascimento fiorentino in particolare erano davvero complesse.

Interessante è l’approfondimento dedicato all’accezione del termine saturnino in cui si spiega come durante il Rinascimento melanconico e saturnino perdettero via via sempre più la connotazione patologica o negativa che essi mantenevano ancora in epoca medievale.

Tutti i Medici, da Cosimo Pater Patriae fino ad arrivare a Cosimo III e al figlio di questi il Gran Principe Ferdinando, furono affetti dalla gotta. Il padre di Lorenzo de’ Medici fu definito addirittura “Il Gottoso” e neppure Lorenzo trovò scampo dalla nemica di famiglia. 

Di Lorenzo si sa che già all’età di diciotto anni fu afflitto da un eczema di notevole aggressività al quale poi seguirono manifestazioni di iperuricemia.

Difficile, nonostante gli studi effettuati sui resti del Magnifico, in particolare da Genna e Pierraccini nel 1945, riuscire a individuare le vere cause che portarono Lorenzo alla morte. La gotta può degenerare in forme di reumatismo cronico e interessare non solo le articolazioni ma anche altri organi quali occhi, cuori, nervi, stomaco e reni.

Dagli scritti del Poliziano sappiamo che Lorenzo soffri negli ultimi giorni di fortissimi dolori presumibilmente di stomaco. Questi dolori gli autori del saggio non escludono potessero essere imputati oltre alla gotta anche a qualche ulcera gastrica o duodenale. Alcuni avvenimenti della vita di Lorenzo quali la perdita del fratello Giuliano nella Congiura dei Pazzi, il Sacco di Volterra e la decisione di concedere la mano della giovane figlia prediletta Maddalena al dissoluto Franceschetto Cybo figlio di Papa Innocenzo VIII per opportunismo dinastico e politico contribuirono probabilmente a minare ulteriormente la già malferma salute del Magnifico.

Un saggio interessante che, sebbene forse un po' datato in quanto edito nell’anno 1992, prova a risolvere importanti interrogativi utilizzando una chiave di lettura davvero insolita e particolare.

 


lunedì 10 aprile 2023

“Cosimo III de’ Medici” di Alberto Bruschi

Cosimo III de’ Medici, Pellegrino tra trono e altare, come recita il sottotitolo scelto dall’autore, visse la sua vita con lo sguardo più rivolto verso la beatitudine celeste che verso le miserie umane e terrene. Il suo lungo regno che si snodò sotto ben dieci pontificati, da Urbano I fino a Innocenzo XIII, fu caratterizzato dai suoi eccessi religiosi e moralistici.

Nonostante l’educazione umanistica impartitagli da insigni e autorevoli precettori, dimostrò assai scarse risorse intellettuali. La stessa sua committenza artistica fu quasi sempre rivolta verso il culto. Non esitò a dilapidare il patrimonio del Granducato per costruire chiese e conventi, così come non esitò ad alienare parte delle collezioni medicee per arricchire gli apparati liturgici delle chiese. Ossessionato dalle reliquie, di cui cercava in ogni modo di fare incetta, non si risparmiò mai dal mettere in campo ogni risorsa per la moralizzazione dei costumi, arrivando anche a bruciare parecchi libri perché considerati pericolosi per la fede. Insomma, arrivò a comportarsi persino peggio del Savonarola e dei suoi Piagnoni.

Non stupisce quindi che quando, alla veneranda età di 81 anni e dopo ben 53 anni di regno, Cosimo III lasciò la vita terrena, i fiorentini videro la sua morte come una liberazione tanto a lungo attesa. Nessuno, se non qualche ipocrita, poté rimpiangere la dipartita di un sovrano che non dimostrò mai alcun amore per quei suoi sudditi che nel corso degli anni aveva ripetutamente tassato e spremuto fino all’ultima goccia a favore del clero.

La figura di Cosimo III fu vista come una macchietta dai suoi contemporanei persino in Vaticano nonostante egli profondesse tanto denaro a favore della religione. Il suo matrimonio disastroso con la cugina del Re Sole, Marguerite Louise d’Orleans che abbandonò il tetto coniugale per far ritorno in Francia, ma che pur lontana non  perdette mai occasione per rendergli la vita amara, e l’anaffettività dimostrata nei confronti dei figli maschi, il Gran Principe Ferdinando e Gian Gastone, non fanno che avvalorare l’immagine di un sovrano che altro non fu che la parodia della grandezza dei suoi predecessori.

Impietoso è il giudizio di Alberto Bruschi per questo sesto Granduca di Toscana, la cui ottusa bigotteria fu pari solo alla sua superbia, tanto da escludere quasi con certezza che nessuna futura scoperta potrà mai salvarlo dal giudizio negativo con cui la storia lo ha accompagnato fino ai giorni nostri.

Nei testi dedicati agli ultimi esponenti della dinastia Alberto Bruschi è sempre stato molto imparziale; non ha mai fatto loro nessuno sconto, però, è sempre riuscito a cogliere quell’elemento delle loro vicende che, senza voler giustificare nessuno, poteva essere quanto meno un’attenuante per gli errori commessi. Attenuanti che Bruschi non negò neppure ad Anna Maria Francesca di Sassonia-Lauenburg, moglie di Gian Gastone, la fiorentina mancata, nel libro a lei dedicato.

Per Cosimo III, invece, Alberto Bruschi sembra non riuscire neppure a trovare delle attenuanti e, anche impegnandosi a ricercare qualche elemento che possa riscattarne almeno in parte l'operato, poco o nulla emerge se non l’aver riportato a Firenze il corpo di Giovanni dalle Bande Nere che dal 1526, anno della sua morte, riposava a Mantova.

Di questo libro che Alberto Bruschi ha dedicato a Cosimo III de’ Medici sono state stampate nel 2018 invero (parola tanto amata dall’autore) solo poche copie.

Alberto Bruschi fu molte cose nel corso della sua vita: antiquario, ricercatore, archeologo, medievalista, studioso di araldica, difficile se non impossibile stilare un elenco completo visti i suoi molteplici interessi, ma non è per nulla singolare che in questo specifico caso egli, che fa riferimento a stesso utilizzando il plurale maiestatis, si definisca un cantastorie.

Ebbene sì, questo volume non è solo il racconto di Cosimo III de’ Medici, ma è l’affresco dell’epoca in cui egli visse. È una summa di aneddoti non solo contemporanei al sesto Granduca di Toscana, ma anche il racconto di eventi occorsi in epoche precedenti così come di eventi che avranno luogo negli anni successivi.

Non è facilissimo seguire il filo della narrazione poiché, a differenza degli altri scritti di Bruschi, qui il racconto segue un percorso funambolesco; un percorso, se vogliamo difficile, che mette a dura prova il lettore, ma allo stesso tempo lo rende anche molto attento e partecipe.

Si avverte in questo scritto quasi un’urgenza da parte dell’autore di voler trasmettere tutti quegli elementi riemersi dal passato, quasi una sorta di testamento perché nulla di quello da lui raccolto nel corso di tanti anni di ricerca possa andare perduto. In queste 450 pagine, infatti, tantissimi sono gli spunti che meriterebbero un ulteriore approfondimento; sarebbe davvero impossibile incamerare tutto ciò che è qui riportato nel corso di una sola lettura.

Il libro, come tutti gli scritti di Alberto Bruschi, presenta una scrittura elegante e raffinata. È sempre un piacere per il lettore incontrare quelle belle parole, tante ahimè ormai desuete, che sono state non solo dimenticate, ma nel caso in cui qualcuno per errore si azzardasse a pronunciare, verrebbe apostrofato malamente in virtù del fatto che è oggi imperativo usare tanti begli anglicismi imposti da questa nostra società globale.

Non manca neppure la solita ironia fiorentina del Bruschi a me tanto cara, ma si percepisce in questo suo scritto una sorta di impercettibile cambiamento nel suo sentire, quasi che egli avesse avuto qualche avvisaglia che il suo tempo stesse per giungere alla fine. Eppure, Alberto Bruschi mancherà tre anni dopo la pubblicazione di questo volume.

C’è un’altra particolarità che distingue questo libro dai precedenti dedicati dall’autore agli ultimi Medici o comunque ai personaggi a loro vicini. Qui, più che nei precedenti libri, emerge molto più forte lo sguardo del Bruschi rivolto al mondo contemporaneo. C’è il suo pensiero sulla politica europea e nazionale, sulla Chiesa e sull’Oriente. In questo volume, più che nei precedenti, Bruschi prende una posizione netta e ne esce prepotentemente la figura di un uomo che non ha più nessuna remora, se mai davvero l'abbia avuta, ad apparire non politicamente corretto, Un uomo forse anche po’ amareggiato da ciò che lo circonda, senza dubbio ormai disilluso.

Nelle ultime pagine, in quelle poche righe dedicate all’amato Gian Gastone de’ Medici, però, ogni disinganno e amarezza cedono il passo alla consueta sensibilità e a quel sentimento di pietas che Alberto Bruschi nutrì sempre verso quell’ultimo Granduca Medici che si ritrovò sul trono senza mai averlo desiderato e che “(…) permise tutto a tutti. Solo a se stesso mai permise di credersi qualcuno più importante di qualsiasi altro uomo”.

 

 


mercoledì 19 ottobre 2022

“Scoperte e ritorni” a cura di Cristina Acidini e Sandro Bellesi

Il libro è una miscellanea di brevi saggi su argomenti diversi che hanno come denominatore comune la figura di Alberto Bruschi alla cui memoria il volume è dedicato.

Invero, non si tratta di scritti celebrativi né tanto meno di meri racconti aneddotici bensì, piuttosto, di contributi offerti da studiosi, antiquari e storici dell’arte che ebbero con Alberto Bruschi rapporti di amicizia, di lavoro e di confronto sulle più svariate tematiche. 

In questi saggi la figura di Bruschi appare spesso sullo sfondo come un cammeo o talvolta si manifesta nelle vesti di un deus ex machina che, grazie alle sue molteplici capacità, fornisce interessanti soluzioni e un valido supporto.

Alberto Bruschi fu, come si comprende già leggendo il significativo profilo biografico all’inizio del volume, un uomo colto, brillante e appassionato. I suoi interessi spaziarono dall’arte antica a quella moderna, dalla storia all’archeologia.

Uomo dalla personalità estremamente versatile, difficile, se non impossibile darne un’univoca definizione. Fu antiquario, storico, romanziere, saggista, archeologo, collezionista, letterato, promotore di iniziative culturali.

Non fu mai avaro delle proprie competenze. Mai lesinò il proprio sostegno a coloro che si rivolsero a lui per un consiglio o un aiuto.

Di questa sua disponibilità al servizio dell’arte e della conoscenza il libro riporta infiniti esempi. A voler citarne uno in particolare si potrebbe ricordare quella volta in cui non riuscì ad intercettare prima dell’amico Giuseppe De Juliis un ritratto di Gian Gastone de’ Medici in un catalogo di vendita, eppure, nonostante la delusione cocente che dovette provare in quel momento, non ci pensò un attimo a fornire all’amico tutto il supporto necessario.  

Nel volume si spazia dalla pittura lucchese alla porcellana di Doccia sino ai disegni di Lorenzo Gelati. Ognuno, leggendo questo libro, potrà scoprire quella particolarità di Alberto Bruschi a lui più affine, più vicina al suo modo di sentire. 

Ho conosciuto la figura di Alberto Bruschi grazie ai suoi libri dalla prosa raffinata, elegante, intrisa di ironia, ma sempre misurata. Una prosa che è ricerca di bellezza, dove ogni parola e ogni virgola sono studiate, riviste, pensate e soppesate, ma la perfezione raggiunta non è mai artifizio quanto piuttosto poesia in prosa.

Alberto Bruschi fu un appassionato di storia medicea, in particolare modo di quella degli ultimi Medici; a lui si deve infatti la valorizzazione della figura di Anna Maria Luisa Elettrice Palatina. Da ricordare inoltre il suo impegno per riabilitare la figura dell’ultimo Granduca Medici a cui fu particolarmente affezionato.

Proprio la passione che egli ebbe per la storia e gli esponenti della dinastia medicea lo spinsero a dedicare la propria vita alla ricerca di ogni sorta di cimelio, dipinto e oggetto che li riguardasse o fosse loro appartenuto. Molti sono i saggi di questo volume la cui lettura mi ha oltremodo appassionato, ma quelli che più mi hanno coinvolta riguardano senza dubbio questa ricerca che a volte assume quasi l’aspetto di una caccia al tesoro.

L’estate scorsa ho avuto la fortuna di poter vedere da vicino alcune di questi reperti ed opere d’arte grazie all’amicizia di Candida Bruschi che non ringrazierò mai abbastanza per avermi aperto le porte della sua casa per rendermi partecipe di tanta bellezza e conoscenza. Leggere di quelle opere oggi mi ha fatto rivivere tutte le emozioni provate allora. Emozioni che si riaffacciano ogni qualvolta riprendo in mano gli scritti del suo babbo per rileggere quelle parole che solo lui sapeva, con tanta grazia, dedicare a un principe tanto illuminato e colto quanto sfortunato e triste quale fu Gian Gastone de’ Medici.

Numerosi sono gli scritti di cui vorrei parlarvi tra cui quello dedicato alla casa-torre ovvero la Torre Lanfredini in Oltrarno che, come scrive Elena Capretti, Alberto Bruschi elesse a suo “studio, rifugio, giaciglio e pensatoio”, ma un solo post non basterebbe.

Almeno un breve accenno è però doveroso farlo al saggio di Cristina Acidini sull’apertura di un museo dedicato a Caterina de’ Medici nella Villa medicea di Cafaggiolo. Il museo, per l'allestimento del quale Cristina Acidini si era confrontata proprio con Alberto Bruschi, che all’epoca stava collaborando all'apertura del nascente Museo de Medici a Firenze, per ora, complici anche le procedure progettuali e la pandemia, è rimasto purtroppo solo un proposito di costruendo museo che si spera un giorno possa davvero vedere la luce.

Credo sinceramente che Alberto Bruschi, per quanto io possa averlo conosciuto solo attraverso i suoi scritti e i racconti della sua famiglia, sarebbe stato davvero lieto di questo volume pensato e scritto in sua memoria. Trovo infatti che i saggi qui raccolti, senza alcuna piaggeria, incarnino perfettamente quello spirito eclettico, quella sete di conoscenza e quella raffinata sensibilità artistica che contraddistinsero colui a cui sono dedicati.

Vi saluto con alcune parole che Alberto Bruschi dedicò proprio a Gian Gastone de’ Medici, quel granduca che tanto amò, ma al quale con la sua penna leggera non fece mai sconti:

Nel rosolio che beveva in quantità durante questi intrattenimenti, cercava di affogare infiniti ricordi non facili da rimuovere. Le sue baldorie sono la manifestazione dell’inesprimibile tristezza dell’allegria. Egli è tutto e il contrario di tutto, il suo caleidoscopico comportamento sembra un cumulo di ossimori.


 


venerdì 29 aprile 2022

“Gli ultimi Medici” di Harold Acton

Il libro di Harold Acton, pubblicato per la prima volta nel 1932, fu oggetto di revisione da parte dell’autore alla fine degli anni Cinquanta in occasione di una nuova edizione dell’opera, Acton però preferì non apportare modifiche per non stravolgere l’unità della narrazione originaria.

Oggetto delle ricerche di Harold Acton sono gli ultimi anni della dinastia medicea, argomento ancora poco noto al suo tempo quando la letteratura aveva invece già molta familiarità con la storia del ramo primigenio della famiglia.

Il volume ripercorre la storia a partire da Ferdinando II fino al VII Granduca di Toscana Giovanni Gastone (conosciuto come Gian Gastone), o meglio fino alla morte dell’ultima rappresentante della stirpe Anna Maria Luisa de’ Medici Elettrice Palatina.

E’ uno splendido affresco quello che emerge dalle pagine di questo libro popolato da  granduchi, principesse e sovrani. Il racconto scorre in modo fluido come in un romanzo: arte, musica, scienza, ma anche feste, intrattenimenti e tanti piacevoli pettegolezzi, tanta ironia ma nessuna volgarità

Nel volume la dettagliata introspezione psicologica dei protagonisti affianca il racconto di un periodo storico caratterizzato da costanti ingerenze da parte delle potenze straniere sul territorio italiano nel continuo tentativo di spartirselo.

Qualcuno mi aveva sconsigliato di leggere questo testo perché datato. Che dire? Sono contenta di aver seguito il mio istinto perché “Gli ultimi Medici” non si è rivelato solo una piacevolissima lettura, ma anche un saggio illuminato, perspicace e imparziale molto più di tanti libri di recente pubblicazione.

Harold Acton non nega i difetti che contraddistinsero gli ultimi Granduchi che potevano essere tra le tante caratteristiche l’indolenza di Ferdinando II piuttosto che la bigotteria di Cosimo III o la rilassatezza di Gian Gastone, ma guarda anche ai loro pregi e riconosce i loro meriti come, cosa da non sottovalutare assolutamente, la capacità di essere riusciti, in un periodo in cui i conflitti sembravano non cessare mai, a tenere lontano la guerra dal Granducato di Toscana, l’ultima in cui fu coinvolto infatti fu quella di Castro.

Tanti i documenti citati: dagli epistolari familiari, alle lettere dei ministri, ai resoconti di visitatori e ambasciatori stranieri, ma anche tante fonti d’archivio e manoscritti dell’epoca. Tra le lettere riportate c’è anche in versione integrale la famosa minuta in cui Marguerite Louise d'Orléans esprimeva a Cosimo III il suo più vivo desiderio di vederlo morto impiccato e non si può non sorridere leggendo il passaggio in cui gli scriveva perché voi siete un fior di ruta. Dio non vi vuole e il Diavolo vi rifiuta.

“Gli ultimi Medici” è un libro davvero unico di cui non si possono non apprezzare lo stile, la scelta narrativa, ma soprattutto la sensibilità dell’autore nel saper cogliere lo spirito e la personalità degli ultimi esponenti della dinastia riconoscendo ad ognuno di essi la dignità e il rispetto che meritano.

Nella descrizione di Gian Gastone ci sono molti punti di contatto con gli scritti di Alberto Bruschi, non vi è ovviamente la stessa liricità né il medesimo pathos, ma senza dubbio la stessa delicatezza e la stessa onestà intellettuale nel rendere giustizia all’immagine di questo ultimo Granduca Medici che nonostante la depressione e le sbornie, fece quanto in suo potere per il bene di Firenze guidato da un notevole buon senso, una viva intolleranza verso gli abusi ecclesiastici e la viva simpatia per gli uomini di cultura.

Molti i punti di contatto anche con il romanzo di Anna Banti “La camicia bruciata”, non solo nelle descrizioni di Marguerite Louise e di Violante di Baviera, ma anche in quella del Gran Principe Ferdinando dotato di quell’impulsività che caratterizza il temperamento artistico, ma anche del pessimismo che è proprio degli edonisti.

Devo ammettere che se la Banti con il suo romanzo mi ha fatto ricredere sulla principessa Violante, Acton è riuscito a farmi mutare opinione almeno in parte sul Gran Principe Ferdinando.

Per assurdo forse la figura con la quale Harold Acton è stato più severo, pur riconoscendogli ogni merito, è stata quella di Anna Maria Luisa che finché visse volle mantenere ancora le splendide illusioni e convenzioni.

Alla luce dei nuovi studi si riscontrano nel libro alcune imprecisioni, per esempio, contrariamente a quanto scritto nel manoscritto Moreniano, Giuliano Dami, il famigerato aiutante di Camera, conobbe Gian Gastone dopo il matrimonio e lo seguì a Reichstadt solo dopo il soggiorno di quest’ultimo a Firenze. Piccole inesattezze a parte, “Gli ultimi Medici” è un libro assolutamente da leggere.

Una lettura affascinante e coinvolgente che mi ha fatto comprendere ancora meglio il perché mi sia tanto appassionata alla storia di questi ultimi e tanto discussi esponenti della dinastia.

 

 

sabato 19 febbraio 2022

“Paolino Dolci nobile Ruspante fiorentino” di Alberto Bruschi

Eccoci nuovamente alla Corte del Granduca Gian Gastone de’ Medici. Ricorderete che più volte vi ho parlato dell’esecrato Giuliano Dami, ebbene, ricorderete dunque anche che il Dami aveva scelto accuratamente alcuni personaggi della sua risma affinché lo affiancassero nei suoi disonesti traffici.

La cronaca del tempo ci riporta in particolare i nomi dello speziale Branchi, quello di un certo Fumanti, personaggio di non facile identificazione, e quello di Paolino Dolci.

Il libro di Alberto Bruschi si pone come intento proprio quello di provare a redigere una biografia di questo discusso personaggio, degno accolito di quella combriccola di scellerati. Se dell’affascinate quanto freddo e calcolatore Giuliano Dami ci è pervenuto un solo ritratto, di Paolino al momento non sembra esserci giunta alcuna immagine. L’unica possibilità potrebbe essere forse l’identificazione del fiorentino, ormai già avanti negli anni, con un personaggio in abito civile da cerimonia in un dipinto di Claude Marie Gordot, datato 1774 o secondo altri 1776, in cui viene rappresentato l’ingresso del Vice Legato nel Palazzo dei Papi ad Avignone.

Da questa affermazione potete già comprendere quanto fu avventurosa la vita del nostro Paolino Dolci, una vita ricca senza dubbio di avvenimenti così come di furti, bassezze e perversità. Lunga è infatti la strada che portò il nostro protagonista dalla Corte medicea, a Roma e infine addirittura ad Avignone dove lo troviamo vestire i panni di capitano delle Guardie Svizzere.

Attraverso una capillare ricerca, fatta di consultazioni di fonti d’archivio e visite a quei luoghi teatro delle vicende narrate, attraverso l’analisi delle opere d’arte senza tralasciare l’importanza delle preziose informazioni desunte dalla disciplina araldica, Alberto Bruschi inizia il suo racconto partendo delle origini della famiglia Dolci.

 “Nobile Ruspante fiorentino” una definizione che merita qualche precisazione.

Paolino Dolci, al contrario del suo sodale Giuliano Dami che era di umili origini, proveniva da una famiglia nobile. La nobiltà dei Dolci non aveva nulla a che vedere con quella che si potrebbe definire “nobiltà di razza”, ma piuttosto si intendeva che la famiglia apparteneva alla classe agiata ovvero quella dei mercanti e dei proprietari terrieri.

Dei Ruspanti abbiamo parlato altre volte specie in occasione dei libri dedicati alla figura di Gian Gastone e a quella di Giuliano Dami. I Ruspanti erano i giovani, ma vi erano tra loro anche delle giovani, che gravitavano intorno al Granduca e che venivano pagati settimanalmente in ruspi, da qui l’appellativo Ruspanti. Esistevano due liste: quella dei “Provvisionati palesi” e quella dei “Provvisionati occulti”. Coloro che erano iscritti nella seconda lista erano coloro che perché nobili o cavalieri o simili dovevano essere trattati con un certo riguardo e pertanto ricevevano quanto dovuto a domicilio e non direttamente dalla Stanza dello Scrittoio.

Una curiosità: i ruspi erano monete che venivano così chiamate perché per essere state coniate da poco tempo si presentavano ruvide al tatto.

Questo libro di Alberto Bruschi si differenzia un po’ per forma rispetto ai precedenti presentando un guazzabuglio, nell’accezione buona del termine,  di registri linguistici amalgamati perfettamente tra loro. Non è un mistero che io sia affascinata dalla prosa e dallo stile di questo autore, ma devo ammettere che ancora una volta è riuscito davvero a stupirmi.

In questo volume abbiamo pagine caratterizzate da un severo rigore storico alternate a pagine romanzate di grande effetto che sono a loro volta contrassegnate da un linguaggio che varia da quello più aulico a quello più scurrile in special modo quando vengono riportati alcuni tra i più impudenti proverbi e detti toscani. Eppure, nonostante questo, nonostante a volte il racconto si faccia estremamente dissacrante, caustico e ironico non risulta mai sconveniente.

La prosa di Alberto Bruschi ha la rara capacità di riuscire a mantenersi elegante pur nell’insolenza e nella volgarità dei temi trattati.

Il solito Alberto Bruschi, umano e diciamolo forse anche po’ sdolcinato, riappare poi ogni qualvolta si affaccia nel racconto la figura di Gian Gastone e la scelta delle parole a lui dedicate emoziona sempre.

Il libro è corredato di ampia documentazione, trovate in appendice persino gli inventari delle aste degli arredi di Paolino Dolci oltre ad una sezione dedicata alle satire e ai sonetti contro gli Aiutanti di Camera del Granduca Gian Gastone scritti da uno sconosciuto autore del XVIII secolo.

Credo che anche questo volume come gli altri di Alberto Bruschi sia ormai fuori catalogo e che sia stata fortunata a reperirne ancora una copia. Eppure, questi volumi meriterebbero davvero una ristampa.

 

 

 


domenica 16 gennaio 2022

“Anna Maria Francesca” di Alberto Bruschi

Una Principessa boema… una Fiorentina mancata così recita il sottotitolo del libro. 

Ma chi era davvero Anna Maria Francesca di Sassonia-Lauenburg?

La Signora di Reichstadt era una donna libera e volitiva che amava profondamente la sua gente, le sue terre, la vita all’aria aperta, la caccia e i cavalli.

Dopo essere rimasta vedova ancora giovane del primo marito il conte palatino Filippo Guglielmo Augusto di Neuburg dal quale aveva avuto due figlie, di cui una sola ancora in vita, non avrebbe avuto evidenti necessità di risposarsi. Probabilmente però stanca delle continue pressioni accettò il suggerimento del cognato di sposare il fratello di sua moglie. Il cognato di Anna Maria Francesca era l’Elettore Palatino Giovanni Guglielmo marito di Anna Maria Luisa de’ Medici.

Anna Maria Francesca accettò quindi quella che si sarebbe rivelata una delle unioni più mal riuscite della storia medicea: il matrimonio con Gian Gastone de’ Medici, terzogenito del Granduca di Toscana Cosimo III, venne celebrato il 2 luglio del 1697 a Düsseldorf e, contrariamente alle usanze del tempo, fu il principe cadetto di casa Medici a trasferirsi nelle terre della moglie e non viceversa.

Di fatto Anna Maria Francesca non vedrà mai Firenze, non accompagnerà Gian Gastone in occasione del suo breve rientro a Firenze nel 1705, dal quale egli ritornerà accompagnato dal tristemente famoso aiutante di camera Giuliano Dami, e neppure quando vi rientrerà definitivamente essendo ormai chiaro a tutti che sarebbe toccato a lui sedere sul trono granducale alla morte del padre Cosimo III. Anna Maria Francesca diventerà Granduchessa di Toscana, ma neppure questo evento la convincerà a lasciare la sua casa e la sua gente.

L’intento di Alberto Bruschi è quello di cercare di fare un po’ di chiarezza e liberare per quanto possibile la figura di Anna Maria Francesca dai luoghi comuni ormai storicizzati nei quali si tende a cadere quando si parla di lei e del suo matrimonio con Gian Gastone.

Rozza, spilorcia, priva di spirito e di ogni attrattiva sono solo alcuni degli attributi più comuni che da sempre sono stati associati alla sua persona. Dalle pagine del libro però inizia a farsi strada una donna diversa, una donna sì ostinata, ma anche un’ottima amministratrice delle sue terre, capace di trattare in prima persona con i suoi dipendenti, una signora scrupolosa e attenta alle esigenze dei suoi contadini.

Il rapporto con Gian Gastone fu un rapporto conflittuale fin dall’inizio, ma la rottura divenne definitiva solo quando Giuliano Dami, giunto a Reichstadt con la sua astuzia e la sua malvagità, annullò definitivamente ogni possibilità di mediazione tra i coniugi per il proprio tornaconto personale.

Attraverso le descrizioni della tenuta di Reichstadt, oggi Zákupy, Alberto Bruschi ci conduce a conoscere quei territori freddi e nevosi dai quali Gian Gastone sembrava tanto infastidito. In verità questo luogo non mancava di una certa eleganza e di un certo fascino, ma certamente poco si addiceva a un uomo con le caratteristiche di Gian Gastone melanconico e abituato al mite clima delle soleggiate colline toscane.

Anna Maria Francesca era una donna pratica, indipendente, abituata ad imporre la propria volontà, senza dubbio figlia di una cultura ben diversa da quella di Gian Gastone principe raffinato, malinconico, amante dell’arte, figlio di una civiltà che ormai da secoli faceva della bellezza una religione, un uomo che, viste la sua infanzia e le sue difficoltà, avrebbe avuto bisogno di una donna che lo amasse e lo comprendesse non di una moglie pronta anch’essa a comandarlo senza alcuna premura.

La differenza di costumi, l'incapacità di dialogo e l’incontro di Gian Gastone con Giuliano Dami furono alla base del fallimento dell’unione tra il futuro ultimo Granduca di casa Medici e Anna Maria Francesca di Sassonia-Lauenburg.

Con piacere ho scoperto tra queste pagine un accenno alla storia di altri personaggi ai quali spesso anch'io mi sono ritrovata a pensare leggendo delle vicende dell'ultimo Granduca Medici. Mi riferisco alla storia del fratello del Re Sole, Filippo d'Orléans e al suo rapporto con Filippo di Lorena, conosciuto anche come lo Chevalier e alla sua seconda moglie Elisabetta Carlotta del Palatinato soprannominata Liselotte.

“Anna Maria Francesca” è un volume prezioso, ben scritto e ben documentato, corredato di ampia documentazione fotografica. Un libro che ancora una volta assolve allo scopo che Alberto Bruschi si era prefissato ovvero fare di se stesso un “suscitatore di memorie”.

Purtroppo, come già per altri volumi di cui vi ho parlato ultimamente anche questo, edito da SP 44 Editore nel 1995, è fuori catalogo e l’unico modo per reperirlo è rivolgersi al mercato dell’usato.




sabato 1 gennaio 2022

“Gian Gastone un trono di solitudine nella caligine di un crepuscolo” di Alberto Bruschi

Il romanzo si apre con l’immagine di Anna Maria Luisa che al capezzale del fratello morente con il quale si è da poco riconciliata lo assiste cristianamente nell’ora del trapasso.

Giuliano Dami che fino a poco tempo prima spadroneggiava senza alcuna moderazione sul Palazzo e su Firenze si presente ora timidamente nella stanza di Gian Gastone, ma ne viene scacciato con un solo duro sguardo dall’Elettrice Palatina. Per lui, il corruttore dell’anima dell’ultimo Granduca Medici, è finita, esiste solo la paura dell’incerto futuro che l’attende.

Gian Gastone ormai vicino alla morte ripercorre la sua triste e solitaria esistenza fin da quando ancora giovassimo cercava riparo nei luoghi più appartati dei giardini di Boboli dove si fermava a ragionare con se stesso sul senso della vita e sul significato della felicità. Scorrono così gli anni come in una lenta e triste pellicola d’altri tempi, come malinconica e solitaria fu la vita di questo mite e illuminato Principe che non era nato per regnare, ma che il fato volle vedere seduto sul trono del Granducato di Toscana, ultimo della sua stirpe.

Tanta solitudine e poco amore così si potrebbe riassumere la vita di Gian Gastone de’ Medici, il figlio minore, quello meno amato da un padre bigotto, frustrato da un matrimonio fallimentare e amareggiato per la mancanza di un nipote e dimenticato dalla madre che, dopo averlo abbandonato ancora bambino, non ebbe per lui neppure una tenerezza quando da adulto si recò a farle visita in Francia.

Il matrimonio al quale il giovane Gian Gastone da figlio ubbidientemente si sottomise per assecondare il volere paterno e la fredda ragion di stato si rivelò fin da subito un totale disastro. Un solo lampo di fugace felicità squarciò la fredda e solitaria esistenza del principe cadetto allorquando si imbatté nel bellissimo e sfrontato Giuliano Dami, ma quello che Gian Gastone volle credere un benigno dono del destino, si rivelò invece essere la tomba per la sua anima, l’inizio della sua discesa agli inferi ancora in vita.

Particolarmente suggestiva l’immagine dell’ultimo Medici che nel corso della sua esistenza si trova più volte a discorrere con una cutrettola fino alla conversazione finale quando il piccolo uccello si posa sul davanzale della finestra della camera del Granduca per congedarsi definitivamente da lui.

Alberto Bruschi partendo dalla consultazione delle numerose carte presenti negli archivi, analizzando le coeve opere d’arte e visitando i luoghi vuole restituire a noi contemporanei, sotto forma di romanzo, una nuova immagine di Gian Gastone, un’immagine più umana e senza dubbio più vicina alla verità storica.

Complici prima i Lorena che cercarono in ogni modo di legittimare la loro posizione sminuendo il loro predecessore e poi il perbenismo ottocentesco, la storia ha trasmesso dell’ultimo Granduca Medici l’immagine di un uomo inetto, corrotto e depravato. Gian Gastone è vero era omosessuale e poco importa se l’iniziativa quel giorno l’avesse presa il Dami, come viene scritto nel romanzo, o invece il timido Principe, questo non è una colpa, l’amore non è mai una colpa, quindi non può valergli alcuna condanna. Fu un uomo molto solo, afflitto dalla melanconia e dalla mancanza di affetti sinceri.

Detto questo, non è però neppure possibile ignorare la nefasta influenza che il Dami ebbe sul suo signore il quale non avrebbe potuto donare il proprio amore a nessuno meno meritevole di lui.

Ma tutto ciò non giustifica che si possa dimenticare che l’ultimo Granduca fu un principe liberale e illuminato, amante delle arti e della filosofia, che ebbe a cuore le sorti del suo popolo tanto da sgravarlo fin da subito dei numerosi balzelli che il padre Cosimo III aveva imposto persino dal letto di morte.

Leggere gli scritti di Alberto Bruschi è sempre un immenso piacere. La sua prosa è raffinata ed elegante; ogni frase, ogni citazione sono frutto di un’assoluta padronanza della lingua e della materia così come perfetta è la scelta di ogni singola parola. 

Gli incipit dei suoi libri che si tratti di saggi o di romanzi così come le prime pagine sono di una bellezza quasi commovente e l’empatia dell’autore verso i propri personaggi si riversa sull’affascinato lettore che ne resta completamente conquistato.

Alberto Bruschi non fa sconti a Gian Gastone, non edulcora la pillola quando deve raccontare dello stato in cui il Granduca trascorse gli ultimi anni, non si tira indietro, ma la sua penna riesce a farlo sempre con estrema delicatezza anche quando deve raccontare i fatti più penosi e squallidi.

La prima volta che incontrai la figura di Gian Gastone fu in occasione della lettura di “L’ultima regina di Firenze” di Luca Scarlini, libro che ho riletto, cosa che faccio molto raramente, non molto tempo fa per fare chiarezza sul mio sentire alla luce di tutte le successive letture.

Il racconto di Scarlini è un racconto dissacrante, le descrizioni riprendono molto dal testo di Giuseppe Conti e dai vecchi manoscritti tra cui il famoso manoscritto Moreniano n. 352. Ricordo che, pur non sapendo nulla di Gian Gastone, mi ero ribellata a quelle descrizioni e a quelle pagine, qualcosa di risultava troppo stonato e forzato. Così, per caso, è iniziato il mio viaggio alla ricerca del vero volto dell’ultimo Granduca. Quando poco tempo fa mi sono imbattuta nei libri del compianto Alberto Bruschi ho trovato finalmente tra le sue pagine un sentire comune e quell’immagine di Gian Gastone de’ Medici che avevo solo incidentalmente avvertito mi si è da ultimo palesata rivelandomi la fondatezza delle mie iniziali sensazioni. 

Il volume pubblicato nel 1995 da SP 44 Editore è ormai purtroppo fuori catalogo. Ho dato la caccia a questo libro per parecchio tempo perché non risultava di facile reperibilità neppure sul mercato dell’usato, ma direi che la fatica fatta per rintracciarlo è stata oltremodo ben ricompensata dal piacere della lettura.



domenica 21 novembre 2021

Anna Maria Luisa de’ Medici Elettrice Palatina - Atti delle celebrazioni 2005-2008 – Palazzo Vecchio, Firenze

Secondo volume dedicato agli Atti delle celebrazioni tenutesi a Palazzo Vecchio in onore di Anna Maria Luisa de’ Medici negli anni 2005-2008, come il precedente libro si apre con una breve presentazione di Eugenio Giani a cui segue un’introduzione a cura di Anita Valentini.

Anche in questo volume viene naturalmente dato ampio spazio all’importanza del Patto di Famiglia e si ripercorrono le tappe fondamentali della vita dell’Elettrice Palatina. 

In questi scritti si cerca inoltre di dare una descrizione quanto più completa del carattere di Anna Maria Luisa de’ Medici, donna forte e volitiva, orgogliosa e sicura di sé nonostante i dispiaceri che non mancarono affatto nella sua vita.

L’amore per l’arte, il teatro e la musica, così come il suo mecenatismo e i suoi gusti raffinati sono ormai conosciuti da tutti, ma nel 2007 Antonia Ida Fontana dedica il suo intervento ad uno degli interessi forse meno noti dell’Elettrice Palatina ossia gli interessi letterari. 

Le preferenze della principessa si possono individuare facendo riferimento agli acquisti da lei fatti per la biblioteca di Düsseldorf negli anni tra il 1691 e il 1713 dove troviamo grandi capolavori italiani come “La Gerusalemme liberata” di Torquato Tasso e “Il pastor fido” di Battista Guarini, molte traduzioni in francese di opere orientali, numerose opere di storia politica, oltre a trattati di pace, trattati matrimoniali e atti diplomatici, a dimostrazione dell’ampio ventaglio di interessi propri di Anna Maria Luisa. Ci sono poi anche tutta una serie di testi di letteratura devozionale relativi alle vite e alle opere dei santi di cui furono acquistate più copie probabilmente da donare alle dame di corte.

Quasi nulla invece si conosce della sua biblioteca privata a Palazzo Pitti lasciata in eredità in parte al fedele segretario tesoriere Jacopo Niccolò Guiducci e in parte al suo aiutante di camera Giovanni Luigi De Goè. Questo materiale librario è infatti purtroppo andato tutto irrimediabilmente disperso.

Due sono gli interventi di Alberto Bruschi. Il primo più conciso del 2005 nel quale oltre a parlare della scoperta di un manoscritto relativo a una biografia inedita del Granduca Gian Gastone ritratta quanto espresso nel 2004 in merito alla sua ostilità nei confronti del “Progetto Medici”, un’operazione scientifica intrapresa dalle Università di Pisa e Firenze per la riesumazione delle spoglie del ramo granducale mediceo. Di questo progetto vi avevo già parlato un po’ di tempo fa nel post dedicato al libro "Gian Gastone (1671-1737) Testimonianze e scoperte dell'ultimo Granduca de' Medici a cura di Monica Bietti".

Nel secondo intervento datato 2006 Alberto Bruschi ci parla della malattia di Anna Maria Luisa e delle cause della sua morte dovuta molto probabilmente ad un tumore al seno e non a sifilide. Il fatto che Anna Maria Luisa avesse contratto dal marito la sifilide sembra essere una delle tante calunnie scaturite dal famigerato manoscritto attribuito dai più a Luigi Gualtieri e ripreso poi da Giuseppe Conti nel suo “Firenze dai Medici ai Lorena”. In verità, non ci sarebbero neppure prove che l’Elettore Palatino ne fosse affetto.

L’ultimo intervento del libro è a cura di Mirella Branca e tratta di Villa La Quiete, il luogo dove Anna Maria Luisa era solita ritirarsi fin tanto che la salute e gli affari di Stato glielo permisero. In particolare, Mirella Branca ci parla del mecenatismo dell’Elettrice verso questo Conservatorio e lo fa rifacendosi alle pagine dei Ricordi scritti dalle Montalve, le Minime Ancille della Santissima Trinità che vi abitavano.

Gli interventi sono numerosi e io vi ho accennato solo ad alcuni di questi. Ogni intervento tocca i più diversi aspetti della figura di Anna Maria Luisa, ma tutti sottolineano quanto l’Elettrice Palatina fosse stata una figura davvero unica, ribadendo ancora una volta quanto a lei vada tutta la riconoscenza di tutti i fiorentini e non solo.

Emma Catarci scrive nel suo articolo:

perché non ha avuto quella successione al feudo in cui credeva e sperava, ha con molta intelligenza vissuto la sua assenza di maternità, facendo di Firenze la sua vera figlia.

Non condivido pienamente questo pensiero, sento decisamente a me più affine, pur dovendo riconoscere di essere di parte, l’affermazione di Alberto Bruschi:

I Medici regalano sempre una piacevole sorpresa a chiunque si appassioni alla loro epopea.