IL GARZONE DEL BOIA
di Simone Censi
ELISON PUBLISHING
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Il
romanzo è raccontato in prima persona
dal protagonista che, ormai anziano, trasferitosi in Francia e avendo
cambiato vita da moltissimi anni, preferisce rimanere anonimo.
Egli non ci fornice nessun indizio che possa ricondurci in qualche modo alla sua identità, tranne che era nato con una gamba più corta e che da giovane era conosciuto con il soprannome di Balzarino, quello che fece il sarto troppo corto e non ce prese.
Quando
era ancora un bambino, piccolo e malnutrito, fu venduto dal padre alla stregua di uno schiavo ad un uomo sconosciuto che faceva di
mestiere il boia, al secolo Gianbattista Bugatti, ma da tutti soprannominato
Mastro Titta.
Balzarino
nel corso degli anni aveva imparato a vedere in Mastro Titta la figura paterna
che a lui, uscito da casa giovanissimo, era venuta a mancare e, per sua stessa
ammissione, probabilmente il boia si era rivelato essere un genitore migliore di quanto non sarebbe stato il suo vero padre.
L’uomo
truce e feroce che tutti vedevano in Mastro Titta, un uomo che a causa del suo
lavoro veniva scansato dalla gente, era in realtà, a detta del protagonista, un uomo giusto e devoto oltre che un uomo
dotato a suo modo di una grande umanità.
Il
boia era un uomo che sapeva leggere e scrivere; teneva un taccuino nel quale
annotava tutte le esecuzioni e i dati di coloro che la giustizia gli affidava.
Fu
proprio lui che insegnò a Balzarino a
leggere e a scrivere ed il ragazzo, come il suo maestro, si mise all’opera tendendo
un diario dei giorni trascorsi al suo
servizio.
Il
racconto nasce proprio dalla revisione
di quegli stessi appunti che il protagonista dice di voler riordinare più che
altro a scopo terapeutico, per fare chiarezza e per curare gli attacchi di
panico che ancora oggi, durante la vecchiaia, sono soliti coglierlo pensando a
quanto vissuto durante la sua gioventù.
Mastro Titta svolgeva il suo compito con rigore e
rettitudine, sicuro che
se non ci fosse stato lui a farlo, lo avrebbe fatto qualcun altro.
Riteneva
il suo compito un lavoro giusto in quanto grazie ad esso egli non solo aiutava
a salvaguardare l’incolumità delle persone, ma faceva sì che le sue stesse
vittime avessero la possibilità, attraverso la morte, di espiare le loro colpe
e presentarsi così purificate dinnanzi al Signore.
Balzarino però con il
passare degli anni iniziò a non essere più così sicuro dell’attendibilità delle
parole del suo maestro e la sua coscienza iniziò a ribellarsi quando, esecuzione dopo esecuzione, cominciò
ad accorgersi che non tutti i condannati venivano trattati allo stesso modo; spesso infatti venivano usati due pesi e due misure quando veniva processata
gente in vista oppure quando gli offesi erano uomini di Chiesa, nobili o
ricchi.
Proprio
per questo, a differenza di Mastro Titta, il giorno che se ne presentò
l’occasione, Balzarino non se lo fece ripetere due volte, afferrò al volo
l’opportunità e cambiò vita per sempre.
Il libro di Simone Censi è
un racconto che intreccia verità storiche a vicende romanzate.
Mastro
Titta è un personaggio realmente esistito, nato nel 1779 e morto nel 1869, fu un celebre boia a servizio dello Stato
Pontificio.
Quando
il papa Pio IX lo congedò, assegnandogli una pensione di 30 scudi mensili, fu
il suo aiutante Vincenzo Balducci a prenderne il posto.
Prima
del Balducci, secondo alcune fonti storiche, Mastro Titta aveva al suo servizio un garzone del quale si ignora
l’identità; è proprio ispirandosi alla misteriosa figura di quel garzone che
Simone Censi scrive il suo romanzo.
Nel
1891 venne pubblicata in dispense una falsa autobiografia, attribuita ad
Ernesto Mezzabotta, intitolata “Mastro
Titta, il boia di Roma: memorie di un carnefice scritte da lui stesso”,
lavoro che prese spunto però dagli appunti
effettivamente tenuti da Gianbattista Bugatti durante la sua attività di boia e
ritrovati nel 1886.
La figura di Mastro Titta è nota al grande pubblico nella sua veste di personaggio della commedia musicale “Il
Rugantino”, opera teatrale rappresentata per la prima volta nel 1962 con
Aldo Fabrizi ad impersonare la parte del boia.
Mastro
Titta non ha ispirato solo commedie e letteratura, ma è entrato anche a far
parte della vita di tutti i giorni attraverso i detti popolari a lui ispirati come “Boia nun passa ponte” (ciascuno deve stare nel proprio ambiente)
oppure “Mastro Titta passa ponte”
(qualcuno ci rimetterà la testa).
Il
libro di Simone Censi è un resoconto
delle esecuzioni dell’epoca che ci fa conoscere non solo le tecniche
utilizzate dal boia, ma anche i crimini commessi dai condannati a morte.
La condanna capitale
veniva comminata per svariati motivi,
ma da quello che si evince dal romanzo la maggior parte di essi erano dovuti a
grassazione, cioè rapine a mano armata, o per aver commesso assassinio.
Gli
omicidi a loro volta avevano come movente la maggior parte delle volte il denaro e il tradimento, così
leggiamo molte storie di matricidi, patricidi e uxoricidi.
Col
tempo però a questi crimini si andranno ad aggiungere anche quelli politici,
entriamo infatti nel periodo in cui all’esecuzione
dei briganti verranno affiancate anche le condanne di coloro che si
sacrificavano nel nome di un’ideale di Italia unita.
Considerato
l’argomento e le descrizioni inevitabilmente violente delle esecuzioni, il racconto non risulta così truculento e
raccapricciante come ci si potrebbe aspettare e questo giova decisamente
all’economia della narrazione che è a tutti gli effetti molto scorrevole.
“Il
garzone del boia” è un libro particolare così come particolare ed inaspettato è
effettivamente l’argomento trattato; un
romanzo unico nel suo genere che racconta uno spaccato di vita dell’epoca
visto da una prospettiva totalmente diversa ed inusuale.
Il
libro di Simone Censi è un romanzo adatto agli amanti del genere storico, agli
appassionati di cronachistica e a tutti coloro che sono sempre alla ricerca di
storie curiose legate al nostro passato.