Un tempo ci si scriveva
lettere e cartoline. Tanta è la corrispondenza d’amore giunta sino a noi,
alcune lettere furono scritte appositamente con intento letterario, altre
invece esclusivamente come messaggi privati destinati ad essere letti solo
dalla persona a cui erano indirizzati.
Grazie
agli epistolari che sono arrivati nelle nostre mani abbiamo oggi la possibilità
di curiosare nella vita di personaggi famosi, cogliere i loro
pensieri e i loro sentimenti, nel momento in cui erano più vulnerabili perché
convinti di non essere osservati. Quelle
pagine ingiallite ci restituiscono la loro immagine di donne e uomini comuni, senza
la maschera che erano soliti indossare in pubblico.
Viene da chiedersi cosa
invece resterà di noi, donne e uomini del XXI secolo, quando i posteri vorranno
approfondire la nostra vita. Il modo di
comunicare ha subito una trasformazione epocale; le lettere sono state
sostituite dalla messaggistica istantanea che non lascerà alcun segno a chi
verrà dopo di noi.
Veniamo però, adesso, al nostro
libro e alle lettere di Livia Vernazza e
Don Giovanni de’ Medici.
Livia
era figlia di un materassaio genovese andata in sposa poco più che tredicenne a Giovanni Battista Granara,
anche lui materassaio come il padre e molto
più anziano di lei. Dopo meno di due anni dalle nozze Livia fuggì a Firenze dove fece la serva o forse la prostituta. A
diciotto anni conobbe il quarantunenne Giovanni; il loro fu amore a prima
vista.
Sebbene
illegittimo, Giovanni era pur sempre il figlio del granduca Cosimo I de’ Medici, fratello
e zio di granduchi; la famiglia Medici
non poteva assolutamente accettare una relazione con una donna di così bassa estrazione sociale. Eppure, sebbene
fortemente avversata dalla famiglia a cui Giovanni era comunque molto legato, la
loro storia durò ben 13 anni. La loro unione trovò il giusto coronamento a Venezia nel 1619 quando venne celebrato il loro matrimonio.
Alla
morte di Don Giovanni la famiglia Medici, forte del proprio nome, fece
imprigionare Livia che, in un secondo
momento, fu trasferita e richiusa in convento. Il matrimonio fu fatto annullare
e il figlio avuto da Don Giovanni dichiarato illegittimo. Solo molto tempo dopo
fu permesso alla donna di risiedere nella casa di Montughi dove morì nel 1655.
Inutile dire che quanto tramandato sulla figura di Livia
Vernazza è per la maggior parte un resoconto deformato da radicati pregiudizi
e volutamente molti aspetti della vicenda furono passati sotto silenzio per
volere della famiglia Medici e di coloro che erano al suo servizio.
La
maggior parte della corrispondenza tra Livia e Don Giovanni a noi giunta risale
al periodo in cui il Medici era impegnato nella campagna militare di
Gradisca (detta anche guerra degli Uscocchi) al sevizio della Repubblica di
Venezia.
Dalle lettere emergono un
sentimento profondo e una passione ardente. Questa coppia, senza dubbio ai più
sconosciuta, venne però immortalata anche da Gabriele D’Annunzio che, in “Il
secondo amante di Lucrezia Buti”, la definì la
bellissima genovese, la venturiera ligure ch’era riuscita a farsi sposare da
Giovanni de’ Medici.
Nel carteggio a noi giunto (aprile
1614 - settembre 1619) vediamo la coppia affrontare i più disparati argomenti: dalla gestione della casa a quella delle proprietà finanche ai problemi
militari e politici. Risulta evidente
quanto fosse stretto il legame tra i due e quanto Don Giovanni de’ Medici si
fidasse delle capacità e della perspicacia di Livia. Invero, entrambi si affidavano
ai consigli l’uno dell’altro nelle più svariate occasioni.
Don Giovanni non si
tratteneva dal raccontare cose che riguardavano la campagna militare che stava conducendo e quando lo faceva, non era di sicuro perché non si fidasse del giudizio di
Livia, ma semplicemente perché le lettere potevano essere intercettate e di
certe cose, ovviamente, era meglio parlare di persona.
Livia era libera di disporre
dei mezzi economici di Don Giovanni; quando fu necessario il Medici non ci pensò due volte a rimettersi al suo discernimento e le firmò anche due pagherò in bianco
così che lei potesse scrivere la cifra necessaria alla transazione in
corso.
Molte nel carteggio sono anche le lettere d’amore; Don Giovanni era solito rivolgersi a Livia come alla Signora mia unica et vera Padrona. Ad un certo punto, però, salta fuori che lui dovette farsi perdonare un tradimento. Don Giovanni impiegò fiumi di carta per ottenere la tanto sospirata assoluzione e la donna, oltremodo orgogliosa, seppe tenergli testa dimostrandosi molto risoluta nel volergliela fare pagare.
Il carteggio è anche una sorta
di cronaca della vita dell’epoca; sono riportati, infatti, in maniera chiara e
dettagliata nomi di luoghi, notizie di eventi, modi di dire spesso tutt’oggi
ancora in uso oltre ad un preciso resoconto di fatti quotidiani e famigliari.
Molto interessante è anche il
breve saggio introduttivo di Brendan Dooley curatore di questa edizione pubblicata
da Edizioni Polistampa (2009).