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lunedì 15 novembre 2021

Delle orazioni in morte di S.A.R. Gian Gastone de’ Medici VII Granduca di Toscana e delle lodi in vita di Giuliano Dami e compagni (un manoscritto inedito della meta del XVIII secolo)

Qualche tempo fa vi avevo parlato di un saggio di Alberto Bruschi dal titolo “Giuliano Dami. Aiutante di Camera del Granduca Gian Gastone de’ Medici”. Quasi per caso, nei giorni scorsi, mi sono imbattuta in questo libro dedicato alla trascrizione di un manoscritto che, come viene riportato nell’introduzione ad opera dello stesso Bruschi, è una delle ultime acquisizioni della Biblioteca Moreniana (numero progressivo d’ingresso 22227) o almeno lo era diciamo nel 1996 visto che questo volume è stato pubblicato nel febbraio del 1997.

Nelle pagine introduttive Alberto Bruschi ci ragguaglia su quanto questo fortunato ritrovamento, avvenuto poco prima di dare alle stampe il suo libro sul Dami, abbia fornito interessanti informazioni a completamento del materiale da lui già raccolto. 

In questa notevole seppur breve introduzione Bruschi ci erudisce su quella che risultava essere una vera e propria macchina funebre, tanto da essere definita proprio castrum dolori, accenna alla sua storia e spiega quali apparati scenici venissero approntati e con quali tempistiche avvenissero le celebrazioni. In particolare, per quanto ci riguarda, la morte di Gian Gastone avvenne il 9 luglio del 1737 mentre le esequie furono celebrate il 9 ottobre dello stesso anno.

La datazione del manoscritto dovrebbe quindi essere compresa tra la data delle esequie e la data di composizione del più famoso Manoscritto Moreniano n. 352 da alcuni attribuito a Luca Ombrosi e da altri a Luigi Gualtieri, datato 1741.

Le traduzioni dal latino sono opera di Gino Corti con il contributo di Candida Bruschi, Wanda e Cecilia Filippini, la trascrizione di Anita Valentini e le note sono state curate da Alberto Bruschi.

Il manoscritto non recava alcuna intestazione indice questo che molto probabilmente si trattava di appunti personali e non di un’opera che il suo autore intendeva rendere pubblica. Il titolo indicato quindi dai curatori della trascrizione è stato scelto tenendo conto del carattere vivace e ironico con cui l’autore ha composto i versi.

Nella prima parte del manoscritto troviamo sette iscrizioni in latino (Gian Gastone era il VII Granduca di Toscana), forse neppure opera dello scrittore, ma piuttosto una semplice trascrizione di quella sorta di iscrizioni lapidee che facevano parte del summenzionato apparato funebre. Da queste iscrizioni si evince che l’autore era legato agli Scolopi, legame confermato anche dal motteggio nei confronti dei rivali Gesuiti quando nell’ultimo componimento del manoscritto si finge essere uno di loro nelle vesti di confessore degli scellerati.

Le iscrizioni fanno riferimento alle virtù legate al defunto (costanza, generosità, giustizia, clemenza, sapienza, prudenza) ovviamente si tratta di iscrizioni commemorative e tali doti non potevano appartenere in sommo grado al defunto Granduca come la storiografia, fin troppo inclemente con Gian Gastone, ci ha tramandato.

Da questi scritti però si evince il desiderio dell’autore di lodare oltremodo il Granduca con l’intento di mettere tanto più in cattiva luce Giuliano Dami e i suoi collaboratori contro i quali colui che scrive sembra avere un forte risentimento.

Non per questo tutto ciò che viene scritto su Gian Gastone può però essere liquidato come una mera forma di celebrazione priva di fondamento. È infatti indubbio che l’ultimo Granduca fosse stato un sovrano clemente tanto da essere contrario alla pena di morte, attento a non gravare di troppe tasse la popolazione, concentrato a tenere i conflitti al di fuori dei confini del Granducato in un tempo dove le guerre imperversavano in tutta Europa, un sovrano illuminato e colto ma anche solo, ingenuo e troppo poco diffidente.

I nomi dei degli scellerati che ricorrono in queste pagine sono oltre a quello del famigerato Giuliano Dami, quelli del Dolci, di un certo Fumanti (di non facile identificazione) e dello speziale Branchi.

Proprio su quest’ultimo il nostro anonimo autore pone l’accento come colui che avrebbe somministrato il veleno al Granduca, insomma questi personaggi avrebbero congiurato per assassinare Gian Gastone.

Una nuova ipotesi originale e terribile emerge quindi da questo manoscritto che per quanto sorprendete potrebbe essere interessante approfondire.   

Queste ricerche mi stanno coinvolgendo parecchio anche se per me, almeno per ora, si tratta solo di spulciare nelle librerie e sul web. Chissà quanto materiale giace ancora sepolto negli archivi utile ad indagini come questa o che ci potrebbe porre tanti altri inattesi interrogativi.

 

domenica 7 novembre 2021

Anna Maria Luisa de’ Medici Elettrice Palatina - Atti delle celebrazioni 2002-2004 – Palazzo Vecchio, Firenze

Il volume a cura di Anita Valentini è il primo dei due volumi dedicati agli atti delle celebrazioni tenutesi a Palazzo Vecchio. Questo primo libro si riferisce agli anni 2002-2004 ed è stato pubblicato nel 2005, un anno prima di un altro volume sempre edito da Edizioni Polistampa di cui vi ho parlato qualche tempo fa intitolato “Il testamento di Anna Maria Luisa de’ Medici”.

Non mi dilungherò ulteriormente sulla biografia dell’ultima Medici di cui vi ho già più volte raccontato anche se, vista l’importanza del ruolo da lei svolto nell’evitare la dispersione delle collezioni medicee vincolandole alla città di Firenze e alla Stato, all’epoca Granducato di Toscana, non credo sia mai abbastanza ritornare sull’argomento per ringraziarla della lungimiranza e della sensibilità da lei dimostrate.

Il libro si apre con la presentazione di Eugenio Giani e un’introduzione di Anita Valentini che in realtà non si differenzia molto da quella riproposta poi l’anno seguente nel volume dedicato al testamento dell’Elettrice Palatina.

Più interessanti per noi quindi i successivi interventi suddivisi in ordine cronologico per le tre annualità delle celebrazioni.

Facendo riferimento alla Convenzione, nota oggi a tutti come Patto di Famiglia, sottoscritta da da Anna Maria Luisa de’ Medici e Francesco Stefano di Lorena il 31 ottobre 1737 ed in particolare all’articolo terzo dove sono contenute le tanto famose quanto fondamentali espressioni per ornamento dello Stato, per utilità del pubblico e per attirare la curiosità dei Forestieri, ogni relatore, secondo le proprie competenze, non solo approfondisce la figura dell’Elettrice Palatina, ma analizza anche quali effetti siano stati prodotti da quel suo gesto tanto anticipatore dei tempi futuri.

Cristina Acidini Luchinat (2002) pone proprio l’attenzione sulla missione dei musei e si interroga su quale possa essere oggi la modalità ottimale della loro gestione. Pone, inoltre, l’accento sulla condizione privilegiata dell’Italia dove basta uscire in strada o entrare in una chiesa per incontrare testimonianze d’arte straordinarie. Questa peculiare differenza con la maggior parte degli altri Paesi fa sì che sia corretto sostenere che i nostri musei dovrebbero avere un’accezione e uno scopo diversi da quelli di altre nazioni meno favorite dalla sorte sotto questo aspetto. Anche in questo senso Anna Maria Luisa fu una anticipatrice dei tempi, comprendendo l’importanza che la fruizione delle opere d’arte fosse strettamente legata al loro territorio di creazione e di committenza.

Dell’importanza della contestualizzazione delle opere parlano anche due esponenti dell’Arma dei Carabinieri nel 2004, il Comandante Costantini e il suo vice Bertinelli, che nel loro intervento molto interessante ci espongono le criticità che ogni giorno incontrano sul campo nel difficile compito di recupero di oggetti rubati e di tutela del patrimonio artistico e paesaggistico.

Altri interventi sono più specificatamente connessi alla biografia dell’Elettrice in particolare quello di Stefano Casciu, grande conoscitore dei temi a lei collegati, e quello di Mario Augusto Lolli Ghetti che pone in particolare l’accento sulle parentele francesi degli ultimi Medici.

Cosimo III aveva sposato la cugina del Re Sole, Marguerite Louise d’Orleans, matrimonio come sappiamo molto infelice tanto che la Granduchessa abbandonò i figli ancora piccoli per tornare in Francia. Lolli Ghetti passa in rassegna i personaggi della corte francese ricordando che la madrina dell’Elettrice fu niente meno che la famosa mademoiselle d’Orleans, sorellastra di Marguerite Louise.

In questo intervento si rivela anche che, sebbene in Francia i personaggi dell’epoca amassero scrivere e raccontare dettagliatamente della vita di corte, pochissime citazioni vennero fatte della madre dell’Elettrice. Un riferimento lo troviamo fatto da Maria Mancini Colonna, una delle famose mazzarinette, primo amore di Luigi XIV, la quale nomina Marguerite Louise esclusivamente per fare un paragone con la propria triste situazione matrimoniale chiedendo al re il permesso di poter tornare in Francia ospite dello stesso convento di Montmartre nel quale si era ritirata proprio la Granduchessa. Se siete interessati al personaggio di Maria Mancini Colonna vi consiglio il romanzo di Gerty Colin intitolato “La passione del Re Sole”, edito da Meridiano Zero.

Di particolare interesse l’intervento della storica dell’arte Marilena Mosco che ci racconta della passione di Anna Maria Luisa per le cosiddette “galanterie gioiellate” molte delle quali esposte al Museo degli Argenti a Palazzo Pitti.

Non mancano poi gli interventi in cui ci interroga sull’esistenza in vita di eventuali discendenti della famiglia e sul comportamento tenuto dagli agnati beneficiati dal testamento di Anna Maria Luisa, a porsi tali domande sono Alberto Bruschi (Firenze, 1944 – Grassina, 2021) e Ottaviano de’ Medici di Toscana di Ottajano.

In attesa di parlavi del secondo volume degli atti delle celebrazioni relative agli anni 2005-2008, vi saluto con una frase tratta da una lettera datata 6 novembre 1691 che l’Elettrice Palatina scrisse dalla corte di Düsseldorf riferendo di un viaggio:

Sono stata a Colonia ma a volere che queste città paressero belle non bisognerebbe esser nata a Firenze. 



sabato 18 settembre 2021

“Giuliano Dami. Aiutante di Camera del Granduca Gian Gastone de’ Medici” di Alberto Bruschi

La figura di Giuliano Dami è una figura enigmatica e della quale è difficile riuscire a capire quanto ci sia di vero nelle cronache del tempo che ne hanno tramandato l’immagine di un uomo gretto e malvagio.

Tutto ciò che è stato scritto si riallaccia alle infamanti storie tratte da un manoscritto di dubbia attribuzione, l’avvocato Luca di Bartolomeo, secondo Sir Harold Acton, o il dispensiere di Cosimo III Luigi di Lorenzo Gualtieri secondo Giuseppe Conti (Firenze dai Medici ai Lorena).

Alberto Bruschi con quest’opera si propone l’arduo compito di rileggere il manoscritto affiancando tale lettura allo studio dei documenti d’archivio nel tentativo di cercare di comprendere quanto ci sia di vero nel manoscritto e quanto invece sia frutto, se non proprio di pura fantasia, quantomeno di una volontà atta a distruggere la figura di Giuliano Dami.

Unico punto non soggetto a controversie è il fatto che il personaggio in questione fosse di una bellezza disarmante e che senza dubbio proprio il suo aspetto fisico lo favorì nella sua incredibile ascesa sociale.

Alberto Bruschi inizia le sue ricerche proprio da Mercatale in Val di Pesa, luogo di nascita del bel Giuliano. L’autore del manoscritto liquida alla stregua di due pezzenti i genitori del nostro protagonista, ma dai registri parrocchiali si evince che questi non erano assolutamente tali. La madre, in particolare, Caterina Ambrogi portava un cognome piuttosto importante. Gli Ambrogi, per quanto popolani, erano dei possidenti terrieri. Vero è che della famiglia si contavano più rami, ma Caterina pur non appartenendo al ramo più facoltoso non poteva comunque essere annoverata come una miserabile stracciona.

Morto il padre di Giuliano, ad occuparsi della famiglia fu uno zio paterno che, visto il numero delle bocche da sfamare, non poteva essere neppure lui particolarmente povero.

Giuliano fin dalla giovane età dimostrò di avere un carattere vivace e ribelle che mal sottostava ai soprusi e all’autorità.

La sua carriera partì dal gradino più basso, iniziò addirittura come votapozzi, ebbene sì, fu proprio uno di quei ragazzini che si occupavano di svuotare i pozzi neri, solo il boia e il becchino potevano essere annoverati come mestieri peggiori.

L’importante per Giuliano fu l'arrivo a Firenze perché lì, grazie al suo aspetto e alla sua scaltrezza, ebbe comunque la possibilità di cogliere la giusta occasione per migliore pian piano la propria condizione.

Infatti, dopo diversi lavori, prese servizio come lacchè presso il Marchese Ferdinando di Roberto Capponi. 

Giuliano smise quindi per sempre i vestiti cenciosi per indossare una scintillante livrea di velluto rosso dai galloni dorati, la livrea “all’Ussara”.

Durante una visita del Capponi a Palazzo Pitti, Giuliano fu probabilmente notato da Gian Gastone e da lì il passo fu breve, il giovane cambiò padrone sebbene ben presto fu lui stesso a diventare il padrone del suo signore. Non mi dilungherò su questa storia che ormai tutti conosciamo benissimo.

Contrariamente a quanto riportato nel manoscritto Gian Gastone conobbe Giuliano dopo il matrimonio e lo portò poi con sé a Reichstadt dopo un suo soggiorno a Firenze.

Alberto Bruschi si interroga su quali fossero i reali sentimenti che legarono Giuliano Dami a Gian Gastone de’ Medici, forse all’inizio Giuliano provò anche affetto per il suo signore, impossibile avere una risposta certa, ma senza dubbio guardando ai suoi testamenti e al codicillo al secondo testamento quello che emerge è la figura di un uomo avaro e meschino che neppure in quel momento, pensando alla propria morte, ebbe un pensiero per onorare la memoria di chi per lui aveva fatto e sacrificato tanto.

Il libro racconta non solo le malversazioni del Dami alla Corte medicea, ma anche tutte le furfanterie e le appropriazioni indebite di cui si macchiò, di come fosse entrato in possesso del suo prestigioso palazzo in via Maggio, delle ville e dei terreni nonché di quelle sue operazioni che oggi non esiteremmo a definire di alta finanza.

Il libro indaga ogni aspetto della vita di Giuliano Dami: il matrimonio con Maria Vittoria Selcini, probabilmente contratto per cercare di mascherare la natura dei suoi rapporti con Gian Gastone, sospetti impossibili ovviamente da allontanare; le sue committenze artistiche, i suoi rapporti a Corte e i rapporti con gli altri esponenti della famiglia granducale, i rapporti con i propri famigliari e quelle donazioni fatte in particolare modo al Monastero delle Mantellate, le cui suore da lui beneficiate lo ricordarono sempre come il nostro Giulianino.

Il racconto non tralascia di delineare un ampio affresco della Corte e della Firenze dell’epoca.

Il libro non si interrompe con la morte di Gian Gastone, ma guarda anche alla vita di Dami dopo la dipartita del suo benefattore, colui che anche sul letto di morte nonostante tutto chiese ancora pietà per l’amico alla sorella Anna Maria Luisa.

Gli ultimi anni di Dami furono anni in cui si dovette principalmente preoccupare di non perdere la vita e le sostanze accumulate nel corso di tanti anni di prevaricazioni. Il delitto di sodomia, infatti, non venne cancellato con l’avvento dei Lorena e la pena prevista per una tale reato rimase la condanna a morte, senza contare che era sufficiente solo una denuncia perché, anche dopo la morte, a colui che fosse stato giudicato colpevole sarebbero stati alienati tutti i beni cosicché questi sarebbero stati incamerati dallo Sato a discapito degli eredi.

Il libro di Alberto Bruschi è un’opera davvero importante ed esaustiva, corredata di un’appendice molto ricca di documentazione fotografica e documentazione d’archivio.

Una prosa forbita ed elegante, fluida e scorrevole, fanno di questo libro una lettura oltremodo piacevole nonostante l’argomento sia piuttosto specifico ed esclusivo.

Non è mai facile parlare di un libro che ci ha coinvolto particolarmente, si ha sempre paura di non riuscire a dire tutto oppure farlo in modo sbagliato; sensazione ancora più strana se poi certe emozioni ci sono state suscitate non da un romanzo, ma piuttosto da un saggio.

L’immagine mefistofelica di Giuliano Dami non ne esce molto diversa da quella descritta dal manoscritto; le fonti fredde degli archivi confermano in buona parte l’anima meschina ed egoista dell’aiutante di camera di Gian Gastone de’ Medici e anzi, se possibile, la rendono ancora più enigmatica.

Colui che sarebbe potuto divenire il più importante ministro della Corte medicea, il rappresentante di un Granduca colto, raffinato, sensibile e illuminato, dal quale avrebbe potuto attingere quella cultura e quell’educazione che per nascita gli erano mancate, preferì invece servirsene per i propri scopi miserabili e gretti, passando alla storia come un uomo abbietto che non conobbe mai il significato delle parole carità e onore, un uomo che condannò all’eterno biasimo se stesso e colui la cui più grande colpa fu quella di averlo, nella sua immensa solitudine, accolto come un sincero amico a cui affidarsi.