La figura di Giuliano
Dami è una figura enigmatica e della quale è difficile riuscire a capire quanto
ci sia di vero nelle cronache del tempo
che ne hanno tramandato l’immagine di un uomo gretto e malvagio.
Tutto ciò che è stato
scritto si riallaccia alle infamanti
storie tratte da un manoscritto di dubbia attribuzione, l’avvocato Luca di
Bartolomeo, secondo Sir Harold Acton, o il dispensiere di Cosimo III Luigi di
Lorenzo Gualtieri secondo Giuseppe Conti (Firenze dai Medici ai Lorena).
Alberto Bruschi con
quest’opera si propone l’arduo compito di rileggere
il manoscritto affiancando tale lettura allo studio dei documenti d’archivio
nel tentativo di cercare di comprendere quanto ci sia di vero nel manoscritto e
quanto invece sia frutto, se non proprio di pura fantasia, quantomeno di una
volontà atta a distruggere la figura di Giuliano Dami.
Unico punto non
soggetto a controversie è il fatto che il
personaggio in questione fosse di una bellezza disarmante e che senza dubbio
proprio il suo aspetto fisico lo favorì nella sua incredibile ascesa sociale.
Alberto Bruschi inizia
le sue ricerche proprio da Mercatale in Val di Pesa, luogo di nascita del bel
Giuliano. L’autore del manoscritto liquida alla stregua di due pezzenti i
genitori del nostro protagonista, ma dai registri parrocchiali si evince che
questi non erano assolutamente tali. La
madre, in particolare, Caterina Ambrogi portava un cognome piuttosto
importante. Gli Ambrogi, per quanto popolani, erano dei possidenti
terrieri. Vero è che della famiglia si contavano più rami, ma Caterina pur non
appartenendo al ramo più facoltoso non poteva comunque essere annoverata
come una miserabile stracciona.
Morto il padre di Giuliano,
ad occuparsi della famiglia fu uno zio paterno che, visto il numero delle
bocche da sfamare, non poteva essere neppure lui particolarmente povero.
Giuliano fin dalla giovane età dimostrò di avere un
carattere vivace e ribelle che mal sottostava ai soprusi e all’autorità.
La sua carriera partì dal gradino più basso, iniziò addirittura come
votapozzi, ebbene sì, fu proprio uno di quei ragazzini che si occupavano di
svuotare i pozzi neri, solo il boia e il becchino potevano essere annoverati
come mestieri peggiori.
L’importante per Giuliano fu l'arrivo a Firenze perché lì, grazie al suo aspetto e alla
sua scaltrezza, ebbe comunque la possibilità di cogliere la giusta occasione per migliore pian piano la propria condizione.
Infatti, dopo diversi
lavori, prese servizio come lacchè presso il Marchese Ferdinando di Roberto
Capponi.
Giuliano smise quindi per sempre i vestiti cenciosi per
indossare una scintillante livrea di velluto rosso dai galloni dorati, la
livrea “all’Ussara”.
Durante una visita del
Capponi a Palazzo Pitti, Giuliano fu probabilmente notato da Gian Gastone e da
lì il passo fu breve, il giovane cambiò padrone sebbene ben presto fu lui
stesso a diventare il padrone del suo signore. Non mi dilungherò su
questa storia che ormai tutti conosciamo benissimo.
Contrariamente a quanto
riportato nel manoscritto Gian Gastone
conobbe Giuliano dopo il matrimonio e lo portò poi con sé a Reichstadt dopo
un suo soggiorno a Firenze.
Alberto Bruschi si interroga su quali fossero i reali sentimenti
che legarono Giuliano Dami a Gian Gastone de’ Medici, forse all’inizio
Giuliano provò anche affetto per il suo signore, impossibile avere una risposta
certa, ma senza dubbio guardando ai suoi testamenti e al codicillo al secondo
testamento quello che emerge è la figura di un uomo avaro e meschino che
neppure in quel momento, pensando alla propria morte, ebbe un pensiero per
onorare la memoria di chi per lui aveva fatto e sacrificato tanto.
Il libro racconta non solo le malversazioni del Dami alla Corte
medicea,
ma anche tutte le furfanterie e le appropriazioni indebite di cui si macchiò, di come fosse entrato in possesso del suo prestigioso
palazzo in via Maggio, delle ville e dei terreni nonché di quelle sue
operazioni che oggi non esiteremmo a definire di alta finanza.
Il libro indaga ogni
aspetto della vita di Giuliano Dami: il matrimonio con Maria Vittoria Selcini,
probabilmente contratto per cercare di mascherare la natura dei suoi rapporti
con Gian Gastone, sospetti impossibili ovviamente da allontanare; le sue
committenze artistiche, i suoi rapporti a Corte e i rapporti con gli altri
esponenti della famiglia granducale, i rapporti con i propri famigliari e
quelle donazioni fatte in particolare modo al Monastero delle Mantellate, le
cui suore da lui beneficiate lo ricordarono sempre come il nostro Giulianino.
Il racconto non
tralascia di delineare un ampio affresco
della Corte e della Firenze dell’epoca.
Il libro non si
interrompe con la morte di Gian Gastone, ma guarda anche alla vita di Dami dopo la dipartita del suo benefattore, colui che
anche sul letto di morte nonostante tutto chiese ancora pietà per l’amico alla
sorella Anna Maria Luisa.
Gli ultimi anni di Dami furono anni in cui si dovette
principalmente preoccupare di non perdere la vita e le sostanze accumulate nel
corso di tanti anni di prevaricazioni. Il delitto di sodomia, infatti, non venne
cancellato con l’avvento dei Lorena e la pena prevista per una tale reato rimase
la condanna a morte, senza contare che era sufficiente solo una denuncia perché, anche dopo la morte, a colui che fosse stato giudicato colpevole sarebbero stati
alienati tutti i beni cosicché questi sarebbero stati incamerati dallo Sato a
discapito degli eredi.
Il libro di Alberto
Bruschi è un’opera davvero importante ed
esaustiva, corredata di un’appendice molto ricca di documentazione fotografica e documentazione d’archivio.
Una prosa forbita ed elegante, fluida e
scorrevole, fanno di questo libro una lettura oltremodo piacevole
nonostante l’argomento sia piuttosto specifico ed esclusivo.
Non è mai facile parlare
di un libro che ci ha coinvolto particolarmente, si ha sempre paura di non
riuscire a dire tutto oppure farlo in modo sbagliato; sensazione ancora più
strana se poi certe emozioni ci sono state suscitate non da un romanzo, ma
piuttosto da un saggio.
L’immagine mefistofelica di Giuliano Dami non ne esce molto
diversa da quella descritta dal manoscritto; le fonti fredde degli archivi
confermano in buona parte l’anima meschina ed egoista dell’aiutante di camera
di Gian Gastone de’ Medici e anzi, se
possibile, la rendono ancora più enigmatica.
Colui che sarebbe
potuto divenire il più importante ministro della Corte medicea, il rappresentante
di un Granduca colto, raffinato, sensibile e illuminato, dal quale avrebbe
potuto attingere quella cultura e quell’educazione che per nascita gli erano
mancate, preferì invece servirsene per i propri scopi miserabili e gretti,
passando alla storia come un uomo abbietto che non conobbe mai il significato delle
parole carità e onore, un uomo che condannò all’eterno biasimo se stesso e colui
la cui più grande colpa fu quella di averlo, nella sua immensa solitudine,
accolto come un sincero amico a cui affidarsi.
Praticamente una canaglia.
RispondiEliminaHai scovato un'altra chicca fuori da qualsiasi radar. Hai recuperato il libro in Toscana?
Eh sì, giusto per definirlo gentilmente. Ti avevo detto che avevo in serbo una sorpresa su questo personaggio.
EliminaIl libro l'ho trovato in una libreria fiorentina, ma l'ho comprato online qualche mese fa. Mi sono stupita di essere riuscita a trovarne ancora una copia nuova, pensa che riporta ancora il prezzo in lire. Lire 100.000 una follia per l'epoca!
Ho comprato un sacco di libri a Firenze due settimane fa. Sono lì che mi aspettano, ma alcuni sono davvero tosti. Mi sa che mi sono fatta prendere un po' troppo la mano 😊