IL FILO INFINITO
di Paolo
Rumiz
FELTRINELLI
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Aprile 2017, Paolo Rumiz sta compiendo
un viaggio lungo la linea di faglia del
terremoto che così duramente ha colpito l’Appennino, quando all’improvviso si ritrova a scendere verso Norcia.
Il paese è deserto e ovunque è
devastazione, ma proprio lì dove tutto è crollato, una statua si erge ancora perfettamente integra, è la statua di San Benedetto
da Norcia, il santo patrono d’Europa.
Come interpretare questo segno? Dobbiamo
accettare che per l’Europa non ci siano più speranze oppure al contrario San
Benedetto vuole dirci che la speranza esiste ed è nostro dovere avere fiducia
nel futuro?
Inizia così il viaggio di Paolo Rumiz, un cammino lungo quel filo che unisce i
monasteri benedettini, un viaggio attraverso quell’Europa la cui identità
nacque proprio nell’Appennino Italiano.
Il viaggio che l’autore compie è sì un
viaggio che attraversa luoghi reali, ma è anche un viaggio attraverso lo spirito, quello spirito che nel passato ha
abitato quegli stessi luoghi e ancor oggi vive in essi.
La regola di San Benedetto era una regola cenobitica, un regime dove
regnava una stretta disciplina, una regola basata sul famoso motto “ora et
labora”, ma il mondo benedettino era basato anche su quello che nel libro
viene definito un “disordine democratico”,
ogni monastero aveva ed ha alcune sue proprie caratteristiche legate alla
realtà del territorio.
Così durante il suo viaggio Paolo Rumiz
ha spesso riscontrato differenze nella
gestione dei vari monasteri europei, ma al di là di alcune proprie peculiarità,
ogni monastero rispetta sempre la tradizione basata sulla centralità di alcuni imprescindibili pilastri: lavoro, spiritualità,
cultura ed accoglienza.
Il mondo monacale, contrariamente a
quello che siamo portati a pensare, non è
un mondo chiuso e ripiegato su se stesso, non lo è mai stato, è piuttosto un universo
dove si può trovare musica, convivialità e cultura.
Proprio grazie a queste sue
caratteristiche i monaci nei tempi più
bui della storia europea riuscirono a trasformare il nemico in ospite.
Non dobbiamo infatti dimenticare che all’epoca di San Benedetto l’Europa
stava vivendo in uno stato di sofferenza,
ovunque vi erano terreni incolti ed
inselvatichiti e gli eserciti
barbari premevano alle frontiere, eppure, in questa situazione estrema e
disperata i monaci, grazie alla forza
della speranza, furono in grado di compiere il miracolo.
In queste pagine Rumiz si interroga proprio sulla condizione
dell’Europa oggi e sulla possibilità di ritrovare quell’identità collettiva che
ai giorni nostri sembra ormai disgregarsi, giorno dopo giorno, di fronte alla
chiusura delle frontiere, al populismo, al materialismo e a questo nostro modo
di vivere così frenetico ed iperconnesso.
“Il filo infinito” è un libro che aiuta
a riflettere, che pone interessanti e stimolanti interrogativi e che propone al
lettore nuove chiavi di lettura per
riuscire ad interpretare meglio il presente attraverso il passato, perché la memoria dell’orrore è l’unico
antidoto per evitare il suo ritorno, spingendolo a guardare con occhi
diversi quel nostro territorio appenninico la cui importanza spesso tendiamo a
dimenticare.
Lì
in mezzo alle macerie di Norcia, vivevo una vertiginosa percezione della
centralità dell’Italia e della sua colonna vertebrale. Se il mio Paese avesse
perso l’Appennino, avrebbe perso se stesso. Per tre volte l’Europa era rinata
da quelle montagne: con Roma, col monachesimo e col Rinascimento. Ma l’avevamo
dimenticato.
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