martedì 6 agosto 2019

“Il filo infinito” di Paolo Rumiz


IL FILO INFINITO
di Paolo Rumiz
FELTRINELLI
Aprile 2017, Paolo Rumiz sta compiendo un viaggio lungo la linea di faglia del terremoto che così duramente ha colpito l’Appennino, quando all’improvviso si ritrova a scendere verso Norcia.

Il paese è deserto e ovunque è devastazione, ma proprio lì dove tutto è crollato, una statua si erge ancora perfettamente integra, è la statua di San Benedetto da Norcia, il santo patrono d’Europa.

Come interpretare questo segno? Dobbiamo accettare che per l’Europa non ci siano più speranze oppure al contrario San Benedetto vuole dirci che la speranza esiste ed è nostro dovere avere fiducia nel futuro?

Inizia così il viaggio di Paolo Rumiz, un cammino lungo quel filo che unisce i monasteri benedettini, un viaggio attraverso quell’Europa la cui identità nacque proprio nell’Appennino Italiano.

Il viaggio che l’autore compie è sì un viaggio che attraversa luoghi reali, ma è anche un viaggio attraverso lo spirito, quello spirito che nel passato ha abitato quegli stessi luoghi e ancor oggi vive in essi.  

La regola di San Benedetto era una regola cenobitica, un regime dove regnava una stretta disciplina, una regola basata sul famoso motto “ora et labora”, ma il mondo benedettino era basato anche su quello che nel libro viene definito un “disordine democratico”, ogni monastero aveva ed ha alcune sue proprie caratteristiche legate alla realtà del territorio.

Così durante il suo viaggio Paolo Rumiz ha spesso riscontrato differenze nella gestione dei vari monasteri europei, ma al di là di alcune proprie peculiarità, ogni monastero rispetta sempre la tradizione basata sulla centralità di alcuni imprescindibili pilastri: lavoro, spiritualità, cultura ed accoglienza.
                                      
Il mondo monacale, contrariamente a quello che siamo portati a pensare, non è un mondo chiuso e ripiegato su se stesso, non lo è mai stato, è piuttosto un universo dove si può trovare musica, convivialità e cultura.

Proprio grazie a queste sue caratteristiche i monaci nei tempi più bui della storia europea riuscirono a trasformare il nemico in ospite.

Non dobbiamo infatti dimenticare che all’epoca di San Benedetto l’Europa stava vivendo in uno stato di sofferenza, ovunque vi erano terreni incolti ed inselvatichiti e gli eserciti barbari premevano alle frontiere, eppure, in questa situazione estrema e disperata i monaci, grazie alla forza della speranza, furono in grado di compiere il miracolo.

In queste pagine Rumiz si interroga proprio sulla condizione dell’Europa oggi e sulla possibilità di ritrovare quell’identità collettiva che ai giorni nostri sembra ormai disgregarsi, giorno dopo giorno, di fronte alla chiusura delle frontiere, al populismo, al materialismo e a questo nostro modo di vivere così frenetico ed iperconnesso.

“Il filo infinito” è un libro che aiuta a riflettere, che pone interessanti e stimolanti interrogativi e che propone al lettore nuove chiavi di lettura per riuscire ad interpretare meglio il presente attraverso il passato, perché la memoria dell’orrore è l’unico antidoto per evitare il suo ritorno, spingendolo a guardare con occhi diversi quel nostro territorio appenninico la cui importanza spesso tendiamo a dimenticare.

Lì in mezzo alle macerie di Norcia, vivevo una vertiginosa percezione della centralità dell’Italia e della sua colonna vertebrale. Se il mio Paese avesse perso l’Appennino, avrebbe perso se stesso. Per tre volte l’Europa era rinata da quelle montagne: con Roma, col monachesimo e col Rinascimento. Ma l’avevamo dimenticato.






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