sabato 5 settembre 2020

“La forma del silenzio” di Stefano Corbetta

Leo ha poco più di un anno quando gli viene diagnosticata una sordità bilaterale.

Siamo alla fine degli anni Cinquanta, il padre di Leo, Vittorio, fa il tassista e non guadagna abbastanza per poter pagare un docente privato che insegni al figlio la Lingua dei Segni.

Grazie all’amore dei genitori e soprattutto alla dedizione di Anna, la sorella maggiore, Leo impara però a comunicare e interagire con gli altri attraverso le mani, le braccia e le espressioni del viso.

All’età di sei Leo viene iscritto all’Istituto Tarra di Milano, una scuola per bambini speciali come lui, un collegio dal quale Leo torna a casa ogni fine settimana per trascorrerlo in famiglia.

Leo però non riesce ad ambientarsi, in istituto tutto è diverso, sente la mancanza dei genitori e della sorella, gli insegnanti sono severi e gli vietano di usare le mani per comunicare; il bambino si sente ancora più isolato e intrappolato.

Leo prova più volte ad esternare il suo malessere, specialmente con Anna, ma la sua sofferenza resta inascoltata.

Un giorno, poco prima delle vacanze di Natale, la scuola chiama i genitori nel cuore della notte, Leo è scomparso, è il 18 dicembre 1964.

La famiglia si sgretola inesorabilmente, quattro vite che avevano cominciato ad allontanarsi e poi smarrirsi come pianeti di una galassia priva di stelle.

Vittorio, già debole e depresso, non regge a questo ulteriore colpo ed Elsa questa volta, nonostante la resilienza che la contraddistingue, non riesce a salvare il marito da se stesso come tante volte aveva fatto in passato.

Sono trascorsi diciannove anni da quel giorno, Vittorio non c’è più, Elsa ha aperto un negozio di fiori e Anna che all’epoca della scomparsa di Leo aveva quattordici anni, è oggi una trentatreenne insegnante di sostegno alle scuole elementari oltre che una psicologa con un proprio studio privato.

Elsa, Anna e tutti coloro che furono toccati dalla vicenda hanno provato ad andare avanti con le loro vite, ma certe ferite non si possono mai davvero rimarginare.

Qualcuno all’improvviso riemergerà dal passato costringendo Anna ad indagare e a cercare di fare chiarezza su quanto accaduto quella maledetta notte di neve del 1964.

Sarà possibile risolvere un  mistero dopo diciannove lunghi anni di silenzi e di verità taciute?

Diversamente da quanto mi succede solitamente, questa volta non mi ero fatta un’idea precisa su quale tipo di romanzo potesse essere “La forma del silenzio”. Cosa aspettarsi? Un thriller, un giallo oppure un romanzo psicologico?

Il romanzo di Stefano Corbetta è in verità un po’ una combinazione di tutti e tre questi generi; abbiamo la suspense del thriller, l’indagine del romanzo giallo, ma l’elemento preponderante è senza dubbio l’introspezione psicologica dei personaggi.

L’autore indaga la personalità di ognuno di loro analizzando minuziosamente quali ripercussioni il tragico evento abbia avuto sulla loro vita, sul loro spirito e sui loro rapporti interpersonali.

La storia di Anna è senza dubbio il filo conduttore della narrazione, da qui il racconto si sposta poi sulle vite degli altri personaggi che popolano le pagine del romanzo.

La figura di Leo invece riemerge per la maggior parte attraverso i numerosi flashback dei ricordi della sorella; Anna aveva un rapporto speciale con il fratello, un rapporto fatto di amore, complicità e dedizione.

Stefano Corbetta è particolarmente bravo a rendere sulla carta il linguaggio dei segni, cosa per nulla facile, eppure sembra davvero di vederli quei dialoghi fatti di gesti e di espressioni.

Nessuno può capire appieno quali difficoltà debba affrontare quotidianamente un non udente a meno che non si soffermi seriamente a pensarci, ma anche così si è molto distanti dal comprendere cosa davvero significhi non aver modo di comunicare in assenza di luce o non poter usare un normale telefono, quanta forza di volontà ci voglia per compiere quei piccoli gesti che a tutti noi sembrano così semplici e scontati.

C’è una frase all’inizio del romanzo che mi ha colpito moltissimo e credo possa rendere perfettamente l'idea dello stato di solitudine con cui debba convivere costantemente chi non può sentire

Viveva dietro una parete di cristallo che lo teneva lontano dagli altri e teneva gli altri lontano da lui

Valerio, il padre di Leo, è un uomo debole e in preda a continue crisi depressive, non sa come relazionarsi con il figlio e questo non fa che acuire i suoi sensi di colpa; quando il figlio scompare egli non ha dubbi sul fatto che questo sia accaduto per le sue mancanze come genitore.

Elsa, la madre, è una donna pragmatica che tende a lasciarsi plasmare dagli eventi, cerca di tenere unita la famiglia, ma la famiglia ha iniziato sgretolarsi molto tempo prima della scomparsa di Leo; l’evento in sé non farà che costringerla a prendere atto di quanto sapeva ormai già da parecchio tempo e arrendersi all'inevitabile fallimento.

Anna è solo un’adolescente quando il fratello scompare e per quanto nel corso degli anni provi ad elaborare il lutto non ci riuscirà mai veramente.

Sembra quasi si sia imposta proprio di non riuscirci perché, anche solo provare a farlo seriamente, significherebbe rinunciare a Leo per sempre.

La scelta di studiare psicologia e la LIS (Lingua dei Segni) è in fin dei conti un modo come un altro per costringersi a ricordare e continuare ad avvertire la presenza del fratello mantenendone vivo il ricordo.

Anna si lascia vivere, trascina la sua esistenza chiudendo tutti fuori dal suo mondo, ma alla fine pure lei dovrà fare i conti non solo con il passato, ma anche con la donna che è diventata.

“La forma del silenzio” non è solo la storia di un mistero e di un segreto inconfessabile, ma è anche il racconto di tanti tipi di solitudini diverse.

Ci racconta della solitudine dovuta alla sordità, ma ci parla anche di quelle solitudini autoimposte dettate dall’incapacità di accettare se stessi o dalla difficoltà di aprirsi al mondo esterno a causa delle paure, dei pregiudizi e dell’insicurezza.

Sembra che la gente riesca a rendersi infelice con molta facilità, forse è la cosa che ci riesce meglio

Così afferma Anna parlando con l’amica Stella, ma questo forse perché, come dice sempre lei qualche riga più avanti

Non esiste una verità (…) esiste solo quello che manca. Il resto non lo vediamo.

 

 

2 commenti:

  1. Le tue scelte di lettura sono sempre molto eclettiche, Elisa.

    Che pena per Leo. Mi rendo conto che anche per il resto della famiglia traspare un'esistenza buia e drammatica, tra depressione e apatia, ma essere un ragazzino sordo alla fine degli anni Cinquanta e finire in un collegio per bambini speciali con velleità 'correttive'. Specialmente con la sensibilità odierna, leggere questo libro deve essere un bel colpo.

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    1. Mi piace diversificare le letture, a volte si trovano collegamenti inaspettati tra i vari generi che sono molto interessanti da sviluppare.

      Hai colto nel segno, è una storia commovente e dolorosa ancora più difficile da assorbire se la si legge, come dici tu, con la sensibilità odierna.

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