lunedì 30 agosto 2021

“Firenze dai Medici ai Lorena” di Giuseppe Conti

Forse il modo migliore per introdurre questo libro è lasciare la parola proprio all’autore:

Alla mia Firenze
con cuore d’italiano
dedico questo libro
perché essa sempre ricordi
le sciagurate vicende
che dal corrotto principato concittadino
la condussero
a quell’aborrita servitù straniera
che in centoventidue anni
fece spesso sentire
al popolo toscano
la dura verità dell’antico dettato
dove pasce caval tedesco
non nasce più erba

Con questa dedica si apre il volume edito da Giunti Marzocco (1993), una ristampa anastatica, ossia una riproduzione inalterata, dell’edizione Bemporad & Figlio Editori del 1909 dell’opera di Giuseppe Conti.

Il libro racconta le vicende della storia toscana durante il regno degli ultimi due granduchi della dinastia Medici: Cosimo III (1642-1723) che regnò dal 1670 al 1723 e Gian Gastone (1671-1737) in carica dal 1723 al 1737.

Un periodo oscuro quello del regno di questi due granduchi per la Toscana e per l’Italia intera, un periodo in cui le grandi potenze straniere Francia, Spagna e Impero si contendevano i territori della penisola che di fatto erano ormai considerati dei semplici stati vassalli da tassare e sfruttare.

Quello di Conti è un quadro impietoso degli ultimi Medici. Il tono usato è moralistico e ironico; non stupisce quindi il suo apprezzamento per Giovan Battista Fagiuoli, poeta e commediografo fiorentino, vissuto all’epoca degli eventi raccontati i cui scritti erano acuti e taglienti ma mai volgari. Stralci di diario, di lettere e di opere sono riportati dal Conti e pertanto il lettore può farsi direttamente un’idea dello stile del Fagiuoli.

Il libro non vuole essere un libro di storia, ma piuttosto il racconto cronachistico degli avvenimenti storico-culturali che caratterizzarono gli anni del Granducato di Toscana dal 1671 al 1737.  

Attraverso le fonti letterarie, i bandi, i motuproprio e gli epistolari prende vita un affresco della società dell’epoca dove intrighi politici e amorosi fanno da padroni in una società ormai lontana dagli antichi fasti rinascimentali e delle prime corti granducali.

Attraverso il racconto di coloriti aneddoti e dei costumi del tempo Giuseppe Conti ci presenta da vicino gli ultimi esponenti della famiglia Medici con i loro quasi inesistenti pregi e i loro tanti difetti, introducendo sulla scena anche quei loschi figuri che popolarono la corte spadroneggiando spesso sui loro stessi signori.

Cosimo III ne esce come un uomo tirchio, bigotto e incapace, ossessionato dalla religione e succube dei Gesuiti, tormentato dalla mancanza di eredi, sempre preoccupato di poter entrare in contrasto con qualche sovrano, afflitto da insicurezza cronica, ma sempre pronto ad imporre nuove tasse ai propri sudditi persino sull’uso delle parrucche pur di rimpinguare le casse dello Stato.

Perennemente in lite con la moglie, Margherita Luisa d’Orleans, cugina del Re Sole, Cosimo III ebbe pessimi rapporti anche con i figli maschi il Gran Principe Ferdinando, troppo simile alla madre, e Gian Gastone troppo melanconico e solitario. L’unica con cui ebbe un ottimo rapporto fu la figlia Anna Maria Luisa che cercò in ogni modo senza successo, dopo la morte del primogenito, di designare come erede del Granducato.

Per quanto riguarda le lettere di famiglia di cui il Conti riporta alcuni estratti non potrete non sorridere leggendo alcune righe che la granduchessa inviava al consorte dopo essere finalmente riuscita a fare ritorno in Francia:

Mi mettete in stato di disperazione a tal segno, che non ci è ora alla giornata che io non vi desideri la morte e che io non volessi che voi fussi impiccato

Insomma, come avrete capito, quella che traspare da queste pagine è l’immagine di una dinastia da operetta la cui Corte era un luogo di beghe più private che politiche.

Attori principali ne erano i figli di Cosimo III: il Gran Principe Ferdinando il cui solo interesse erano musica, feste e divertimenti da condividere con il suo amato De Castris e l’amante veneziana mentre la moglie Violante Beatrice di Baviera, perdutamente innamorata di lui, cercava di giustificare ogni suo più equivoco comportamento; Anna Maria Luisa che avrebbe voluto fin da subito sottrarre il titolo al fratello minore e infine Gian Gastone che, schiavo dell’alcol e del suo scaltro e mefistofelico aiutante di camera Giuliano Dami, era solito terminare le sue giornate in mezzo a un numero spropositato di aitanti giovani di dubbia fama, i cosiddetti Ruspanti.

Giuseppe Conti rimarca quanto differente fosse stato lo spessore di Cosimo III, inetto e dubbioso sovrano, rispetto a quello di Vittorio Amedeo II valoroso guerriero e accorto politico in grado di tenere testa alla potentissima Francia e farsi stimare dalle altre potenze europee.  

Dobbiamo a questo punto necessariamente considerare alcune circostanze molto significative. Per prima cosa il Conti scriveva nel 1908, pochi decenni dopo i moti risorgimentali, non risulta quindi strano il suo trasporto nel voler rimarcare quanto fosse un’aborrita servitù quella del popolo toscano assoggettato ad una dinastia straniera come quella degli Asburgo-Lorena. Secondo cosa sempre non da sottovalutare: il Conti è un suddito del Regno d’Italia ragion per cui è abbastanza scontata la poco celata adulazione che egli dimostra nei confronti di Vittorio Amedeo II da lui definito il vero capostipite della dinastia sabauda.

Il Conti afferma che la fonte principale della sua opera consiste nel manoscritto di un certo Luigi di Lorenzo Gualtieri.

Lorenzo Gualtieri fu in gioventù lo staffiere e poi il dispensiere di Cosimo III. Il figlio Luigi ne ereditò l’incarico, ma ben presto venne cacciato trovando però più tardi occupazione presso la corte lorenese. Non sarebbe quindi così strano  leggervi un qualche intento vendicativo nel narrare certi fatti con così tanto livore e insensibilità.

Come abbiamo già detto in altre occasioni, grazie ad un certo revisionismo storico, negli ultimi anni è stato in parte rivalutato l’operato degli ultimi esponenti della dinastia medicea. Al di là del grande merito di Anna Maria Luisa per la sottoscrizione del Patto di famiglia, il Gran Principe Ferdinando fu ad esempio un ragguardevole mecenate musicale e Gian Gastone, seppur finirà i suoi giorni nel peggiore dei modi, fu in gioventù un principe illuminato e filosofo che purtroppo ebbe la sfortuna di dover sottostare ad un matrimonio per lui disastroso tanto da rovinargli per sempre il carattere.

Mi rendo perfettamente conto che non sia possibile in alcun modo rendere giustizia a una opera di tanto spessore e così corposa, sono più di novecento pagine, in così poche righe.

Il volume è senza dubbio una pietra miliare della storiografica medicea e la bellezza della veste grafica di questa edizione, trattandosi di una ristampa anastatica, è senza dubbio un valore aggiunto.

Detto questo, mi sento in dovere di mettere in guardia un eventuale lettore dall’affrontarne la lettura senza una forte motivazione e una qualche conoscenza della materia poiché va detto che l'opera di Conti, per quanto scritta in modo ironico e sagace, non è scevra da pagine scritte in un linguaggio terribilmente aulico soprattutto laddove vengono riportati i testi originali dei documenti dell’epoca.  




2 commenti:

  1. Un'altra chicca proveniente dal forziere delle tue letture estive!

    Dinastia da operetta, un mefistofelico aiutante, i Ruspanti... sembra quasi un romanzo che racconta delle conseguenze di un patto col diavolo.

    Mi ricordavo del Patto di famiglia da un tuo precedente post.

    "[...] mi sento in dovere di mettere in guardia un eventuale lettore dall’affrontarne la lettura senza una forte motivazione e una qualche conoscenza della materia [...]"
    Apprezzo la tua schietta onestà.

    Secondo me Conti scriveva sì cronologicamente abbastanza vicino ai moti risorgimentali, ma anche opportunamente distante per non risentire più degli anni di lotta al brigantaggio e delle illusioni perdute, che emergono, talvolta, nella letteratura post-unitaria.

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    1. Te l'avevo detto che mi ero dedicata al recupero di tutte le letture medicee, ma non ho ancora finito. Uno non si rende mai conto di quanti libri si riescono ad accumulare durante il periodo lavorativo fino al momento di andare in ferie e si trova a dover scegliere quali libri portare con sé!

      Oggettivamente questo è bello tosto anche se molto interessante. Certo se lo affronti come prima lettura sull'argomento rischi di non voler leggere più nulla. Non è detto che succeda per forza, ma il rischio secondo me è alto.

      No, concordo con te non risente delle lotte del brigantaggio e delle illusioni perdute. Punta però molto sul valore della libertà ottenuta scrollandosi di dosso la dominazione straniera che egli considerava come qualcosa di inaccettabile. In questo senso non perdona ai Medici di essere stati secondo il suo giudizio troppo "servili" nei confronti delle potenze straniere.

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