mercoledì 20 luglio 2022

“Sotto il sole della Toscana” di Frances Mayes

Frances Mayes racconta in prima persona la storia dell’acquisto della sua casa nei pressi di Cortona avvenuto nel 1990. In quegli anni era piuttosto inusuale acquistare una casa in un paese straniero a ben 12.000 km di distanza dalla propria residenza. Oggi può sembrare una cosa banale, ma all’epoca la maggior parte degli amici della Mayes e del suo compagno Ed pensarono che fossero completamente impazziti. Gettare via i risparmi di una vita in un’impresa che sembrava quasi impossibile, un capriccio, eppure…  

La vera protagonista è Bramasole. Pagina dopo pagina, quella casa abbandonata da trent’anni in cima alla collina, riprende vita insieme al terreno circostante con i suoi ulivi, gli alberi da frutto e i terrazzamenti.

Tanti i problemi con cui confrontarsi dopo aver acquistato la proprietà: dagli scontri con la farraginosa burocrazia italiana per la concessione dei permessi alla difficile ricerca dell’impresa più valida a cui affidare i lavori di ristrutturazione.

Tante le piccole e grandi scoperte: da quelle più piacevoli, come il ritrovamento di un vecchio lavandino, a quelle più angoscianti come un pozzo improvvisamente asciutto.

Innumerevoli gli incontri fatti nel corso degli anni: conoscenze occasionali, ma anche tante amicizie che col tempo hanno avuto modo di consolidarsi dando luogo ad una fitta rete di rapporti con le persone del luogo e non solo.

Il romanzo non ha una trama vera e propria. Il racconto consiste piuttosto nell’evocazione di ricordi e sensazioni.

Profumi, colori e sapori quasi si sprigionano dalle pagine immergendo il lettore in quella meravigliosa terra che è la Toscana. Una terra moderna ed antica allo stesso tempo perché, come scrive l’autrice, “i toscani vivono nel tempo attuale, solo che hanno avuto il buon senso di portarsi dietro il proprio passato”.

Con l’acquisto di Bramasole la Mayes decise di tenere un diario in cui riportare dettagliatamente ogni cosa: aneddoti, stato di avanzamento dei lavori di ristrutturazione, scoperte, ricette, impressioni ecc.

Uno zibaldone scritto sulle pagine bianche di un quaderno con la copertina di carta fiorentina chiuso con dei nastri azzurri.

A questo quaderno di appunti negli anni ne seguirono molti altri, ma è dalle pagine di questo primo diario che nacque l’idea di pubblicare il libro, quasi una sorta di  bilancio dell’esperienza vissuta fino a quel momento.

Un bilancio totalmente positivo perché, nonostante la complessa burocrazia italiana, i politici pazzi, gli scorpioni, la negligenza della manodopera e tanti altri elementi destabilizzanti, nulla avrebbe potuto mai screditare agli occhi dell’autrice quei valori ancestrali di cui questa terra è ancora oggi fortemente permeata.  

“Sotto il sole della Toscana” nel 2003 diventa anche un film con Diane Lane nella parte della protagonista. Si tratta di una commedia leggera e divertente.

Dopo aver visto il film diverse volte e complici i miei continui viaggi in Toscana, era forte la curiosità di leggere anche il libro.

In verità, libro e film non hanno molto in comune. Il film ha una trama molto più romanzata e ci sono personaggi di pure invenzione come ad esempio l’amante della protagonista, figura alquanto discutibile, interpretato da Raoul Bova.

Possiamo dire che libro e film sono due facce della stessa medaglia, due differenti modi di raccontare la medesima storia e trasmettere l’amore per questa bellissima terra. Entrambi molto piacevoli nella loro diversità.




 

 

 

 

giovedì 14 luglio 2022

“Il principe in fuga e la principessa straniera” di Leonardo Spinelli

La vocazione allo spettacolo da parte della famiglia Medici è oggi largamente riconosciuta grazie a quanto emerso dai carteggi e dagli studi dei documenti d’archivio nel corso degli anni.

La spettacolarità era senza dubbio uno strumento di svago, ma nascondeva anche un secondo aspetto più velato e, forse, anche molto più importante. Arte e spettacolo, infatti, avevano lo scopo di consolidare l’immagine della famiglia Medici e legittimarne il potere. 

Nel Cinquecento, proprio a Firenze, sorse per volere di Francesco I negli Uffizi il primo teatro stabile e nel secolo successivo, sempre a Firenze, nacque un nuovo genere teatrale ovvero l’opera in musica.

L’interesse per la spettacolarità non scemò neppure nei periodi più difficili del granducato e molto attivi furono su questo fronte i fratelli di Ferdinando II: Giovan Carlo, Mattias e Leopoldo. Il testimone passò poi al gran principe Ferdinando, figlio di Cosimo III.

Il libro è incentrato proprio sulle vicende biografiche e sulla committenza del gran principe di Toscana e della moglie Violante Beatrice di Baviera.

Il loro fu tutt’altro che un matrimonio ben riuscito. Violante svolgeva con grande scrupolosità i suoi compiti di moglie e futura granduchessa, si dice fosse anche molto innamorata del marito, ma Ferdinando non provò mai alcun trasporto per quella consorte che gli era stata imposta dalla ragion di Stato. Il gran principe non solo non fece nessuno sforzo per cercare di tenere nascosi i propri tradimenti, ma neppure si sentì mai minimamente in colpa per le proprie mancanze verso la moglie.

La freddezza del marito e la sterilità del matrimonio non resero la vita facile a Violante che, nonostante venisse spesso messa in ridicolo dai comportamenti del marito, si impegnò fino alla fine dei suoi giorni per il bene della famiglia Medici senza mai però dimenticare la propria casa d’origine.

Molto diverso fu invece il rapporto tra Ferdinando e Violante sul piano della spettacolarità. Entrambi appassionati di teatro e musica, si esibirono talvolta essi stessi in prima persona come artisti e come compositori.

Sul piano della spettacolarità trovarono quindi quell’intesa perfetta che, nei ventiquattro anni che trascorsero insieme, gli mancò come coppia: lui stimato come collezionista e mecenate, lei perfettamente calata nel ruolo di addetta alle pubbliche relazioni, per darne una definizione moderna.

Ferdinando si occupava di tutto ciò che riguardava la mercatura teatrale mentre a Violante spettava il compito di scrivere lettere di raccomandazione a favore degli artisti inviati fuori dalla corte granducale. Poter vantare la stima della gran principessa era molto importante soprattutto per l’immagine delle cantanti che dovevano affrancarsi dall’opinione pubblica che le considerava poco più che delle cortigiane.

Violante Beatrice di Baviera seppe intrattenere rapporti non solo con gli attori, i cantanti, i musicisti, i librettisti (dopo la morte di Ferdinando fu lei ad occuparsi anche della parte artistica), ma soprattutto fu molto apprezzata per la sua capacità di sapersi rapportare anche con gli esponenti del clero e della nobiltà.

Lo stesso cognato Gian Gastone, che non amava particolarmente la spettacolarità, partecipò ad alcuni eventi organizzati da lei.

Dopo la morte di Ferdinando, con il ritorno dell’Elettrice Palatina a Firenze, Violante venne allontanata dai ruoli di maggior visibilità, salvo tornare in prima linea dopo la morte di Cosimo III e l’ascesa al trono granducale di Gian Gastone. Il settimo granduca, infatti, sembrava nutrire un affetto sincero per la cognata, mentre i suoi rapporti con la sorella erano piuttosto tesi.

Il saggio di Leonardo Spinelli prende in esame ogni aspetto della spettacolarità (teatri, cantanti, librettisti, opere, ecc.) senza tralasciare di indagare i rapporti interpersonali dei protagonisti con la corte e con i famigliari né di evidenziare le motivazioni di alcune scelte fatte dai protagonisti stessi.

Un esempio ne è la spiegazione del perché Ferdinando avesse optato per la privatizzazione del teatro di Livorno e la costruzione del teatro privato nella villa di Pratolino a discapito di un teatro come quello della Pergola.

Decisamente un valido saggio non solo per l’esaustiva parte riservata alla mercatura teatrale, agli spettacoli, ai personaggi e ai confronti della spettacolarità nelle varie corti dell’epoca, ma soprattutto perché ha il grande merito di farci scoprire tante sfaccettature del carattere di Violante Beatrice di Baviera che, complice una storiografia che l’ha il più delle volte liquidata in poche righe, erano a noi completamente sconosciute.

Si scopre così la figura di una donna certamente devota, tanto da essere stata insignita anche della Rosa d’Oro, ma mai dogmatica. Una donna che sacrificò ogni cosa, passioni e orgoglio compresi, alla ragion di Stato, ma che nonostante questo seppe rimanere ferma nei propri propositi e, mantenendo saldi i propri ideali e restando fedele a se stessa, seppe conquistarsi l’affetto e la stima di molti.




giovedì 30 giugno 2022

“I leoni d’Europa” di Tiziana Silvestrin

Corre l’anno 1582. A Mantova lo scozzese James Crichton e l’amico Thomas, dopo aver sottratto con l’inganno al sagrestano le chiavi della basilica di Santa Barbara, si introducono nella chiesa per trafugare un oggetto particolarmente significativo. 


Poiché tra le chiavi in loro possesso manca proprio quella che apre la cripta, Crichton e il suo sodale cercano di forzare la serratura, ma il rumore mette in allarme le guardie costringendoli a scappare. 


Nella fuga si imbattono nel principe Vincenzo Gonzaga in compagnia di Ippolito Lanzoni. Ne nasce, apparentemente senza ragione, uno scontro nel quale il Lanzoni perde la vita per mano di Crichton. Il principe Vincenzo, accecato dalla rabbia per l’uccisione dell’amico, ferisce a morte lo scozzese che cerca inutilmente soccorso presso lo speziale Geniforti. 


Il caso è spinoso: il figlio scapestrato del duca di Mantova deve rispondere di omicidio e il consigliere ducale Zibramonti incarica il capitano di giustizia Biagio dell’Orso di scoprire cosa sia realmente accaduto.


Il capitano dovrà recarsi a Venezia per indagare su chi fosse davvero Crichton. Sebbene il duca in persona si fosse legato molto a lui, il giovane aveva tutta l’aria di essere un avventuriero e proprio dalla Serenissima giungono voci alquanto contraddittorie sul suo conto.


Biagio dell’Orso si troverà davanti ad un complotto internazionale dalla complessa trama dove ad essere coinvolti, oltre a scaltre cortigiane e spietate spie prezzolate, non mancheranno importanti elementi quali il pericoloso Walsingham, diplomatico della regina Elisabetta I, i servizi segreti del Consiglio dei Dieci della Serenissima e anche alcuni religiosi appartenenti alla Compagnia di Gesù.


“I leoni d’Europa” è il primo volume della saga dei Gonzaga nata dalla penna di Tiziana Silvestrin. Avevo iniziato col leggere il secondo libro “Le righe nere della vendetta” attirata dalla trama che vedeva sulla scena anche la dinastia Medici.

Rimasi conquistata dall’abilità della Silvestrin di saper costruire una trama, passatemi il gioco di parole, avvincente e convincente, basata su verità storiche ampiamente documentate, nessuna sbavatura sia a livello storiografico che narrativo.


Da qui la voglia di leggere l’intera saga a partire ovviamente da questo primo episodio dove la famiglia Medici è un po’ defilata, ma sempre presente con le trame ordite da Bianca Cappello decisa a sferrare un duro colpo all’orgoglio dei Gonzaga.

Il principe Vincenzo sposerà Eleonora de’ Medici, figlia di Francesco I e della sua prima moglie Giovanna d’Austria, ma non senza essere costretto prima a dare pubblica prova della sua virilità.


In questo romanzo si fa la conoscenza del protagonista della saga ovvero l’affascinate Biagio dell’Orso. Questi non solo è tremendamente attraente con la sua carnagione scura e i suoi profondi occhi neri ma anche leale affidabile. Dotato di un così profondo senso di onestà e rettitudine, da essere tormentato dagli scrupoli di coscienza ogni qualvolta si trovi a dover fare rispettare una legge che non coincida con la giustizia.


La saga dei Gonzaga si compone di sei romanzi, l’ultimo uscito proprio questo mese. Sono tutte storie autoconclusive, nessun vincolo per il lettore tranne il fatto che, devo avvisarvi, sarà difficilissimo trattenersi dal volerli leggerli tutti.


A presto con il terzo episodio “Un sicario alla corte dei Gonzaga”.

 

 


mercoledì 22 giugno 2022

“Furtivo come un ninja” di Marina Panatero e Tea Pecunia

Non è per nulla facile riuscire a riassumere in un semplice post il nuovo libro di Marina Panatero e Tea Pecunia perché, sebbene siano meno di 150 pagine, l’argomento trattato è piuttosto articolato e per certi versi anche piuttosto complesso.

La difficoltà nasce soprattutto, a mio avviso, dalla nostra poca capacità di riuscire a interiorizzare e fare nostri alcuni concetti che sono alla base di quanto esposto nel volume. Questa nostra inconscia reticenza è molto subdola e, senza accorgercene, ci svia dallo scopo principale per cui questo libro è stato scritto.

Le autrici però sanno bene come riportare il lettore sulla retta via facendogli mettere a fuoco quale sia l’obiettivo da raggiungere e perché abbia deciso di intraprendere questo percorso.

Bisogna ricordare che questa strada la si è scelta coscientemente non per raggiungere fama, ricchezza e successo, ma perché vogliamo conquistare la nostra libertà, diventare autonomi e indipendenti.

Il sottotitolo recita “l’arte di rendersi invisibili per brillare”. Ecco, questo brillare non deve essere inteso come riuscire a catturare più like e condivisioni sui social oppure come riuscire a conquistare lodi per la nostra bravura e il nostro zelo. Il nostro fine è quello di imparare in questo mondo sempre più iperconnesso e che ci vuole visibili a mantenere un profilo basso per sfuggire alle gabbie che spesso, bisogna ammetterlo, ci siamo costruiti da soli.

Come i guerrieri ninja erano bravissimi a mimetizzarsi e a trovare soluzioni alternative, così noi seguendo i loro insegnamenti dobbiamo imparare a nasconderci per liberarci da quelle etichette che la società moderna ci vuole per forza imporre. L’essere identificati attraverso la nostra religione, il nostro status lavorativo e così via è un qualcosa che ci danneggia. L’unica approvazione che dobbiamo cercare per essere felici non è quella degli altri, ma la nostra, solo noi possiamo infatti essere gli artefici della nostra pace interiore.

La continua ricerca del consenso altrui è stressante oltre che inutile perché alimenta solo il nostro ego, la gioia autentica invece è alimentata dall’autostima e dalla realizzazione di noi stessi.

Fondamentale è cercare di rendersi indipendenti perché solo così si può raggiungere la piena libertà ed essere liberi significa essere felici. Questo non vuol dire chiudersi agli altri, ma imparare ad aprirsi con chi ne vale davvero la pena, con coloro che ci vogliono bene e che condividono il nostro sentire.

Non dobbiamo convincere nessuno delle nostre idee, tutto deve fluire naturalmente, arrabbiarsi e alzare la voce fa male prima di tutto a noi.

Spesso siamo talmente impegnati a raggiungere l’obiettivo che ci siamo prefissati che non ci rendiamo neppure conto di averlo magari già raggiunto, oppure, siamo talmente concentrati sul raggiungimento del risultato finale da non accorgerci che questo sarebbe facilmente raggiungibile se solo usassimo una strategia alternativa.

Diventa quindi fondamentale restare centrati sul momento presente, sul qui e ora, per non perdere le occasioni e riuscire a cogliere l’attimo. 

Questo status per quanto possa sembrare a parole alquanto banale è in realtà piuttosto difficile da conquistare. C’è quindi bisogno di tanto allenamento e per questo la pratica della meditazione ci viene in aiuto. A tal proposito in appendice troviamo una serie di esercizi di meditazione quotidiani con i quali iniziare fin da subito.

Nel corso della lettura inoltre viene proposta tutta una serie di interessanti esercizi per invogliare il lettore a mettere in pratica quando viene esposto nel libro. A chiusura si trova poi un’ampia bibliografia per approfondire gli argomenti trattati.

Se siete stanchi di sprecare il vostro tempo a rincorrere futili traguardi e un piacere effimero forse è arrivato per voi il momento di provare a trasformavi in un ninja moderno, resiliente e invisibile.







lunedì 20 giugno 2022

“L’occhio di Galileo” di Jean-Pierre Luminet

Alla morte del mathematicus imperiale Tycho Brahe, il suo assistente Keplero riceve in eredità il suo bastone. Il bastone di Euclide ha una particolarità ovvero quella di poter celare al suo interno alcune pagine. In questo modo Keplero riuscirà a trafugare gli studi di Tycho dai quali gli eredi, in particolare il genero Tengnagel, stanno cercando di ricavare economicamente quanto più possibile incuranti del loro valore scientifico.

Il rapporto tra il vecchio mathematicus e il suo assistente era sempre stato piuttosto conflittuale: Tycho, geloso delle sue scoperte, non era mai stato incline alla condivisione e aveva mantenuto sempre un certo distacco verso Keplero che, al contrario, era fermamente convinto che il cielo fosse di tutti.

Molto diverso sarà quindi il rapporto che Johannes Keplero, subentrato a corte come nuovo mathematicus imperiale, terrà con i propri assistenti. Convinto da sempre che gli studi e il progresso scientifico siano le uniche vere priorità, non sarà semplice per lui conformarsi ad un ambiente come quello accademico caratterizzato da tanta competitività.

Invero, anche Keplero ha i suoi difetti tra cui una certa tendenza a divagare e a fare dell’ironia nei momenti meno opportuni, ma al contrario della maggior parte dei suoi colleghi non si attribuirebbe mai il merito di una scoperta altrui. Keplero inoltre avverte forte il bisogno di essere compreso e accettato dagli altri e questa sua debolezza purtroppo a volte sarà per lui fonte di incomprensione anche con alcuni colleghi.

È il caso di Galileo Galilei. Il toscano ha un carattere completamente diverso da quello di Keplero; burbero, energico e sbrigativo, Galilei non è certo capace di suscitare simpatia. A suo favore bisogna dire che l’ambiente accademico italiano è oltremodo competitivo e inoltre a lui non è concessa la libertà di cui godono alcuni suoi colleghi come lo stesso Keplero. Galilei è costantemente controllato e basterebbe davvero poco perché si ritrovasse condannato al rogo come accaduto a Giordano Bruno.

Keplero nutre una stima profonda per l’orgoglioso Galilei e soffre tremendamente per la freddezza che questi sembra dimostrargli; un giorno però tanta ammirazione verrà ripagata con un dono inaspettato proprio da parte di Galilei, il quale non riuscirà invece ad eludere per sempre, nonostante la protezione dei Medici, il tribunale della Santa Inquisizione.

“L’occhio di Galileo” fa parte di una serie di biografie che Jean-Pierre Luminet ha dedicato ai Costruttori del cielo. Sotto forma di romanzo Luminet ci illustra non solo studi e teorie, ma ci conduce alla scoperta anche degli uomini e dei tempi che concorsero a produrre tali invenzioni e scoperte scientifiche.

Spesso quando guardiamo a queste scoperte dimentichiamo che vennero fatte da persone che, come ognuno di noi, avevano i loro caratteri, i loro timori, le loro ansie, le loro gelosie e i loro affetti. L’epoca in cui vissero Keplero, Galilei e tutti gli altri numerosi scienziati, filosofi, matematici che in questo romanzo vengono menzionati e che sono essi stessi personaggi vissero in un periodo pericoloso e turbolento contrassegnato da continue guerre dinastiche, lotte di potere e guerre di religione.

“L’occhio di Galileo” è un libro semplice? No, non lo è. Non potrebbe esserlo anche volendo sia per la complessità del periodo storico sia perché gli argomenti trattati che sono soggetti a una grande interdisciplinarità. Non dobbiamo scordare, infatti, che a quei tempi non esisteva come esiste oggi una netta distinzione tra le varie discipline: meccanica, ottica, fisica, matematica. filosofia, astrologia, astronomia, teologia e non le ho neppure citate tutte!

“L’occhio di Galileo” è un libro interessante? Decisamente sì, è un romanzo coinvolgente e dalla trama affascinante come affascinanti sono i suoi protagonisti.

Due parole vanno spese su Sir John Askew, ufficialmente diplomatico a servizio della corona inglese, in verità spia e scienziato dilettante, personaggio di pura fantasia ispirato però a personaggi realmente esistiti. Il personaggio di Sir Askew è una scelta davvero indovinata da parte dell’autore per legare insieme le varie vicende, fare interagire i vari personaggi e potersi muovere liberamente sul complicato scacchiere politico dell’epoca che vide coinvolte numerose corti europee tra cui quella medicea del Granducato di Toscana che tanta parte ebbe nelle vicende di Galileo Galilei anche dopo la sua morte.

Una lettura senza dubbio impegnativa, ma anche in grado di appassionare alla storia dell’astronomia, e non solo, anche il lettore più esigente.

 

 


lunedì 6 giugno 2022

“I Medici” di Franco Cardini

Primo volume che il Corriere della Sera dedica alle Grandi dinastie della storia, “I Medici” di Franco Cardini riassume in modo chiaro ed essenziale le vicende più significative della famiglia che per quasi quattro secoli governò Firenze e la Toscana.

Cardini identifica in ricchezza, credito e nome i tre elementi distintivi fondamentali grazie ai quali questa famiglia, originaria del Mugello, riuscì ad affermarsi come una delle dinastie più importanti della storia.

Ogni personaggio della famiglia senza dubbio fu dotato di sue peculiari qualità e caratteristiche che favorirono l’ascesa politica del casato, ma la cosa che più servì allo scopo fu la forte coesione dei vari esponenti e l’unità di intenti che li accumunò.

La bibliografia della quale si avvale Cardini è di fatto quella più conosciuta e di cui spesso abbiamo parlato anche nei precedenti post. Troviamo ad esempio “La congiura” scritta dallo stesso Cardini insieme a Barbare Frale, “Gli ultimi Medici” di Acton, “I Medici” di Young, “Lorenzo de’ Medici” di Giulio Busi e molti altri che non vi sto ad elencare.

Ne nasce un buon compendio, di facile consultazione e di pronto uso per un veloce ripasso oppure per un primo approccio alla storia medicea secondo l’intento divulgativo del piano editoriale dell’opera di cui questo breve saggio (140 pagine) è appunto il volume di esordio.

Non mancano alcuni refusi come nel caso di Lucrezia Tornabuoni indicata ad un certo punto erroneamente come moglie di Lorenzo de’ Medici anziché madre o qualche piccola imprecisione, ma nell’insieme si tratta di un valido volumetto in grado di offrire un quadro semplice e chiaro della dinastia medicea a chi per la prima volta intenda avvicinarsi ad essa.

Trattandosi di un libro pensato per un vasto pubblico viene ovviamente dato più spazio al ramo più famoso della famiglia ossia a quello dei Medici di Cafaggiolo, mentre per quanto riguarda il ramo granducale vengono soprattutto presi in esame la figura e il ruolo svolto da Cosimo I.

Questo non significa che vengano trascurati però gli importanti elementi che contraddistinsero il ramo granducale, tra cui i vari riferimenti alle accademie, agli studi scientifici, all’importanza del ruolo svolto da Anna Maria Luisa de’ Medici così come non vengono tralasciati i racconti di interessanti aneddoti e di alcune tra le più famose dicerie sulla famiglia.  

Cardini punta molto all’analisi del periodo storico segnato dalla dinastia Medici piuttosto che al racconto della vita dei singoli esponenti come sono soliti fare i saggi dedicati alla casata. Un taglio particolare quindi quello scelto dallo storico per questo libro la cui lettura forse talvolta risulta non troppo snella  per coloro che non sono proprio addentro alla materia, ma che senza dubbio riesce a ricreare un affresco dell’epoca molto dettagliato e completo.

 

 

 

martedì 24 maggio 2022

“I sepolcri dei Medici” di Marco Ferri

Marco Ferri, nella sua duplice veste di storico e giornalista, si pone l’obiettivo di raccogliere in questo volume una summa di tutti gli studi e le ricerche effettuate fino ad oggi sui sepolcri medicei.

Il libro è suddiviso in tre parti: la prima parte è dedicata alla storia delle traslazioni e delle esumazioni avvenute dal 1467 fino al primo dopoguerra, nella seconda parte viene dato ampio spazio a quello che venne presentato ai media nel 2003 come il “Progetto Medici” oltre a successive indagini tra cui il forse meno conosciuto “Progetto Sagrestia Vecchia” e infine una terza parte in cui Ferri analizza due casi emblematici della storia medicea ovvero il mistero legato alla sepoltura di Bianca Cappello, seconda moglie di Francesco I, invisa al cognato Ferdinando I e i diversi spostamenti della salma di Cosimo I fino alla sua definitiva collocazione all’interno della cripta delle Cappelle Medicee accanto all’amata prima moglie Eleonora di Toledo. 

Secondo quanto riportato dal Vasari l’idea di realizzare una terza grande sagrestia che potesse ospitare i sepolcri di tutta la famiglia fu di Cosimo I tuttavia l'idea prese corpo solo con il terzo granduca Ferdinando I. Ad un primo progetto di Bernardo Buontalenti fu preferito il progetto di Don Giovanni de’ Medici e Matteo Nigetti. In verità, i corpi degli esponenti della famiglia Medici restarono nella Sagrestia Vecchia e nella Sagrestia Nuova in attesa di essere trasferiti fino al 1791 quando il granduca lorenese Ferdinando III ne ordinò la traslazione nella cripta delle Cappelle Medicee. Qui restarono fino al 1858 allorquando per volontà del granduca Leopoldo II trovarono finalmente una dignitosa e definitiva tumulazione.

In questa sede abbiamo più volte affrontato l’argomento delle sepolture medicee in particolare parlando di due specifici libri: “Illacrimate sepolture” di Donatella Lippi e “Gian Gastone (1671-1737). Testimonianze e scoperte sull’ultimo Granduca de’ Medici”. Proprio questo secondo libro doveva essere l’esordio di una collana intitolata “I Medici. Studi e scoperte” a cui purtroppo nessun volume fece seguito e anche per questo motivo il libro di Marco Ferri diventa oggi un testo fondamentale per fare il punto di quanto indagato e scoperto fino ad ora.

Ferri prende in considerazione tutti e tre i luoghi di sepoltura facenti parte del complesso di San Lorenzo: la Sagrestia Vecchia, la Sagrestia Nuova e la Cappella dei Principi la cui cripta spesso viene attraversata dai visitatori in modo troppo frettoloso poiché impazienti di raggiungere la Sagrestia Nuova per poter ammirare il capolavoro michelangiolesco.

Il volume è arricchito da un’ampia documentazione fotografica e ogni capitolo è corredato di esaustive appendici dove sono riportati: verbali, comunicati stampa, riferimenti bibliografici, progetti di indagine, diari delle giornate di scavo e di studio, budget di spesa oltre ai diversi atti con cui le varie parti si obbligavano a rispettare gli impegni presi per la realizzazione dei programmi.

“I sepolcri dei Medici” di Marco Ferri è come si legge nella quarta di copertina "un lavoro che rappresenta 18 anni di studi e che ha a che fare con la storia, ma anche con la genealogia, la politica, l’architettura, le interazioni tra le corti italiane e europee, la medicina, la biologia, la letteratura, la tanatologia, l’arte, l’avvincente mondo delle relazioni umane”.

Ferri, così come alcuni degli autori delle pagine introduttive, auspica che in un prossimo futuro possano essere fatte ulteriori indagini, personalmente come ho già avuto modo di dire altre volte sarà forse perché si tratta della famiglia Medici le cui vicende mi coinvolgono particolarmente, ma non mi sentirei proprio al momento di condividere questa speranza.