mercoledì 7 settembre 2022

“Vita del Reverendo Padre Athanasius Kircher. Autobiografia” a cura di Flavia De Luca

Sono venuto alla luce in questo mondo di calamità alle tre dopo mezzanotte del 2 maggio 1602 (…)

Inizia così l’autobiografia di Athanasius Kircher (1602-1680) astronomo, letterato, geologo, matematico, egittologo, musicista… Difficile elencare tutte le discipline a cui il gesuita Athanasius Kircher si dedicò nel corso della sua esistenza tanto più ai giorni nostri dove ogni singola materia viene suddivisa tra i più differenti specialisti. Nel Seicento però le cose erano molto diverse, non c’era alcun netto confine tra le varie scienze.

L’autobiografia, scritta con ogni probabilità negli ultimi anni della sua vita, venne pubblicata postuma nel 1684. Esistono diverse versioni di questo scritto, quella proposta in questa edizione a cura di Flavia De Luca è basata sulla copia manoscritta dell’Archivium Romanum Societatis Jesu. Laddove la curatrice abbia avuto dubbi sulla corretta interpretazione del testo si è avvalsa dell’edizione a stampa conservata presso la Biblioteca Marciana di Venezia.

Nella prefazione Flavia De Luca afferma di aver privilegiato una certa ricerca di scorrevolezza nella traduzione del testo così da renderne la lettura fluida e fruibile anche al lettore che non sia un profondo conoscitore del mondo seicentesco. Il risultato è una lettura piacevole e accattivante che riesce a coinvolgere e appassionare il lettore.

Athanasius figlio di Johanne Kircher, filosofo e professore di teologia, dimostrò fin da piccolo di possedere un’intelligenza non comune. Il padre, pertanto, lo avviò subito agli studi del latino, della musica e della geografia. In seguito, per permettergli di progredire nella conoscenza, lo inviò a Fulda presso il convento della Compagnia del Gesù.

La vita di Athanasius Kircher fu una vita anche movimentata nella quale non mancarono avvenimenti avventurosi quali naufragi, terremoti, incidenti e incontri con soldati malintenzionati. Ogni volta però l’autore attribuisce la sua salvezza alla Divina Clemenza.

Nonostante fosse stato scelto per ricoprire il ruolo di matematico imperiale alla corte di Vienna, mentre era in viaggio fu chiamato a Roma a seguito delle pressanti richieste di Papa Urbano VIII e del Cardinale Francesco Barberini. Nell’Urbe egli trascorse il resto della sua vita a parte qualche breve viaggio.

La sua più grande passione furono i geroglifici che per primo provò a decifrare. Lo stesso Champollion due secoli più tardi riconobbe l’importanza del contributo da lui apportato. 

L’ambiente dei Collegi era un ambiente molto competitivo e Kircher dovette spesso guardarsi dall’invidia altrui. Riuscì sempre a difendersi dagli attacchi e non ebbe mai problemi ad ottenere finanziamenti per le proprie ricerche e pubblicazioni.

L’autobiografia è pervasa da un forte sentimento religioso. Athanasius Kircher era un uomo di profondo sapere, le sue opere affrontano le più svariate discipline, ma era invero sempre pronto a rimandare all’intervento divino ogni evento si manifestasse nella sua vita.

Egli non si allontanò mai dalla retta via indicata dalla Chiesa. Per esempio in astronomia, come tutti i suoi confratelli, fu un seguace del compromesso tichoniano. Non ebbe il coraggio di un Galileo Galilei che, pur esiliato e costretto ad abiurare, tenne sempre fede a se stesso.

Galileo Galilei fu uno dei protagonisti della fondazione del metodo scientifico basato sull’esperimento come strumento alla base dell’indagine. Celebre è il motto dell’Accademia del Cimento, fondata da Leopoldo de’ Medici nel 1657, “Provando e riprovando”. Lo stesso Kircher non era estraneo a questa istituzione. Esiste infatti una corrispondenza tra il gesuita e Leopoldo de’ Medici e il fratello di questi, il granduca Ferdinado II de’ Medici.

Il metodo fu proprio quel quid che mancò ad Athanasius Kircher legato per tutta la sua vita alla tradizione aristotelica e alla sua devozione religiosa.

Nonostante la sua inclinazione al compromesso e la totale mancanza di laicità, non si possono però non riconoscere a Kircher i suoi importantissimi e molteplici meriti in materia di ottica, meccanica, egittologia e quant’altro senza dimenticare la sua Wunderkammer annoverata tra i più bei musei allora conosciuti e le cui collezioni sono oggi disseminate tra varie nostre realtà museali.

Ho scelto di leggere questo libro senza dubbio perché incuriosita dalle mie precedenti letture sugli esponenti della famiglia Medici ed il loro interesse per la scienza nonché dalla visita fatta un po’ di mesi fa all’Osservatorio Ximeniano di Firenze.

Sarò sincera, mi aspettavo un libro un po’ noioso e invece l’autobiografia di Kircher si è rivelata una lettura preziosa e ricca di fascino. Un libro coinvolgente, a tratti quasi una sorta di romanzo di avventura, che permette al lettore di avvicinarci piacevolmente e fare conoscenza con un mondo tanto vario quale fu il multiforme mondo intellettuale del Seicento.

 


martedì 6 settembre 2022

“Dante” di Alessandro Barbero

l volume si apre con il racconto della battaglia di Campaldino avvenuta il giorno 11 giugno del 1289. Tra le fila dell’esercito guelfo, formato in prevalenza da fiorentini, c’era anche Dante Alighieri. Egli, non solo partecipò alla battaglia, ma venne schierato tra i feditori ossia tra quei cavalieri che avevano il compito di scontrarsi per primi con il nemico. La battaglia decretò la sconfitta dell’esercito ghibellino.

Ma come facciamo ad essere così sicuri che Dante partecipò a quella battaglia armato da cavaliere e schierato tra i feditori? L’autore attraverso le fonti d’archivio, i documenti e l’analisi degli stessi testi danteschi ci spiega come sia possibile che si conoscano di lui tante più cose rispetto ad ogni altro personaggio dell’epoca. Egli stesso ci ha lasciato testimonianze personali e altrettante testimonianze le possiamo trovare tra gli scritti dei suoi contemporanei. Non dobbiamo dimenticare che Dante era già famoso alla sua epoca.

Nonostante le fonti però tanti sono ancora i tasselli mancanti. Molto poco sappiamo, infatti, della vita che condusse in esilio. Non ci sono documenti d’archivio che ci parlino dei suoi ultimi vent’anni e i criptici accenni autobiografici si prestano alle più svariate interpretazioni.

Il viaggio di Barbero ci conduce alla scoperta di un Dante Alighieri nelle sue varie sfaccettature: politico, innamorato, poeta, marito, amico, padre, cavaliere, esule, cortigiano. Molto spazio è dato all’indagine dei legami famigliari, a chi fossero stati i suoi antenati e quali i suoi discendenti. Inoltre, viene condotto anche un attento studio delle sue proprietà e della sua attività finanziaria svelandoci così un Dante, per certi versi inedito, non consacrato esclusivamente alla politica e alla poesia come spesso ci viene descritto.

Dante era nobile? Chi furono i suoi amici? Cosa conosciamo della sua formazione culturale? Cosa sappiamo del suo matrimonio? Sono solo alcuni degli interrogativi a cui l’autore cerca di dare una risposta esaustiva rifacendosi scrupolosamente alle fonti.

Il libro di Alessandro Barbero è un testo molto articolato, preciso e dettagliato. Tantissime le fonti citate e numerosissimi i documenti d’archino presi in esame e qui riportati. È indubbio che alla base di questo saggio ci sia un grandissimo lavoro di ricerca e lo dimostrano sia la vastissima bibliografia di ben 20 pagine sia le numerosissime note al testo per un totale di 59 pagine.

Non posso concordare però con chi lo descrive come un libro che si legge come un romanzo. Ad essere sincera mi aspettavo una lettura più scorrevole, un testo più snello. I numerosi riferimenti alle fonti d’archivio e ad una moltitudine di personaggi, spesso sconosciuti ai più, spezzano inevitabilmente il ritmo della lettura. Il testo acquista velocità e scioltezza, infatti, proprio laddove le fonti sono più scarne ovvero nella seconda parte del volume, quella dedicata al periodo dell’esilio del poeta.

Non fraintendetemi, non sto assolutamente dicendo che non sia un testo valido, semmai tutt’altro. Semplicemente a mio avviso “Dante” di Alessandro Barbero non è quello che si può definire un testo divulgativo, nel senso di una lettura facile, ma piuttosto un saggio abbastanza impegnativo che, pur non richiedendo al lettore ottime conoscenze di base dell’argomento trattato, richiede comunque tanta concentrazione.



 

domenica 4 settembre 2022

“L’affare Vivaldi” di Federico Maria Sardelli

Venezia, 27 maggio 1740. A casa Vivaldi Zanetta e Margarita sono di nuovo alle prese con il messo del tribunale. Il reverendo Don Antonio Vivaldi ha lasciato la Serenissima per cercare fortuna presso la corte dell’Imperatore abbandonando le sorelle all’ingrato compito di far fronte ai suoi numerosi debitori. La stella del Prete Rosso è ormai tramontata, nuovi autori e nuova musica lo hanno scalzato dalle altre vette raggiunte. Investimenti sbagliati e lavori sospesi lo hanno ridotto sul lastrico. Solo la scaltrezza e l’intraprendenza del fratello Francesco può giungere in soccorso delle due povere donne.

Occimiano nel Monferrato, autunno 1922. Nella villa portata in dote dalla moglie e nella quale si era rifugiato anni prima per lasciarsi alle spalle Genova e i dispiaceri famigliari, Don Marcello Durazzo sta per giungere al termine della sua vita terrena. La sua più grande preoccupazione è quella di trovare a chi affidare il suo tesoro: la sua biblioteca. 

Libri e manoscritti appartenuti un tempo alla biblioteca di famiglia che il padre volle dividere, compiendo una scelta scellerata, tra i suoi due figli. Don Marcello, nonostante la marchesa Francesca, sua moglie, molto più lungimirante di lui, lo abbia più volte sconsigliato in tal senso, decide comunque di affidare tutti i suoi preziosi volumi ai salesiani.

“L’affare Vivaldi” è la storia della riscoperta dei manoscritti di Antonio Vivaldi. Una storia che inizia a Venezia a metà del Settecento e termina nel 1938. Questo almeno per quanto riguarda la trama del libro perché la riscoperta dei manoscritti vivaldiani è tutt’oggi in corso e lo sa bene l’autore del romanzo che si occupa proprio del catalogo vivaldiano ormai da anni. Ogni anno spuntano nuove pagine, ma anche tante false attribuzioni spesso dovute a copisti senza scrupoli.

Sulla vita di Antonio Vivaldi ci sono ancora molte lacune. Sappiamo per certo che egli finì i suoi giorni in povertà e in solitudine. Ad un certo punto la sua musica passò di moda e le sue opere teatrali non incontrarono più il gusto del pubblico. Fu l’inizio di quell’oblio che durò quasi due secoli.

La storia narrata in “L’affare Vivaldi” può sembrare frutto di fantasia, ma in verità, come lo stesso Federico Maria Sardelli specifica nelle note al termine del volume, questo è uno di quei casi in cui la realtà supera di gran lunga l’immaginazione. All’inizio del libro troviamo un elenco dei principali personaggi. Questi sono quasi tutti personaggi reali tranne qualche raro caso in cui l’autore ha dovuto ricorrere alla fantasia per sopperire alle lacune documentali. Né è un esempio l’anarchico e tipografo Arnaldo Bruschi personaggio interamente nato dalla penna del maestro Sardelli.

I veri eroi di questa storia sono il compositore e musicologo Luigi Torri, direttore della Biblioteca Nazionale di Torino nonché soprintendente bibliografico per il Piemonte e la Liguria e il musicologo, direttore d’orchestra e compositore Alberto Gentili, professore di storia della musica all’Università degli Studi di Torino. Queste due figure con il loro impegno e la loro dedizione furono indispensabili per assicurare allo Stato l’acquisizione dei volumi vivaldiani delle collezioni Foà e Giordano.

Il racconto non segue una linearità temporale narrativa, ma ricorre a continui flashback che trovano tutti un loro epilogo nel capitolo conclusivo. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare la scelta dell’autore di fare ricorso a questi salti spazio-temporali non spezza assolutamente il ritmo del racconto che risulta invece coinvolgente e incalzante. I personaggi sono tutti ben delineati e caratterizzati. La narrazione, sempre scorrevole, non manca di una vena ironica. Essenziale, infatti, è riuscire a far sorridere il lettore e stemperare la tensione laddove si presentano eventi particolarmente irritanti o personaggi oltremodo indisponenti e superficiali. Un sarcasmo che fa sorridere, ma che allo stesso tempo sottolinea l’incapacità, la superficialità e gli errori commessi nel corso degli anni.

“L’affare Vivaldi” è il racconto di un’indagine che ha il sapore di un giallo, ma alla cui base c’è un gran lavoro di ricerca e consultazione documentaristica.


mercoledì 31 agosto 2022

“Nel segno di Cosimo” a cura di Marzia Cantini

Il volume è una raccolta di saggi scaturiti dagli interventi dei relatori che parteciparono alla giornata di studi “Nel segno di Cosimo” organizzata dal Lions Club Firenze il 6 giugno del 2019 in occasione del cinquecentenario della nascita del primo granduca di Toscana.

Cosimo I de’ Medici e Lorenzo il Magnifico furono le figure più rappresentative della dinastia. Fu Cosimo però il vero statista di casa Medici.

Salì al potere a seguito dell’omicidio del duca Alessandro de’ Medici quando non aveva ancora compiuto 18 anni. Figlio di Maria Salviati, nipote per parte di madre di Lorenzo il Magnifico, e di Giovanni dalle Bande Nere il celebre condottiero figlio di Giovanni de’ Medici e Caterina Sforza.

Il primo saggio è del professore Giovanni Cipriani ed è dedicato all’incoronazione di Cosimo come primo granduca di Toscana avvenuta nel 1570. Cosimo ricevette l’ambita corona dalle mani di Pio V a Roma. Nel saggio, oltre al cerimoniale dell’incoronazione, viene dato ampio spazio anche alla descrizione della corona. Nella bolla papale, infatti, furono date precise istruzioni su come questa avrebbe dovuto essere realizzata.

Si passa poi al saggio del professore Leonardo Rombai dove vengono evidenziate le scelte di carattere economico effettuate da Cosimo I de’ Medici nonché la sua saggia e attenta politica urbanistica e territorialistica, la sua opera fortificatoria e lo sviluppo dell’industria estrattiva-mineraria.

Con il suo intervento il professore Emanuele Masiello procede ad indagare quanto accadeva contestualmente in Europa e come la politica architettonica e urbana del granduca Cosimo si inserisse nel contesto delle contemporanee sovranità europee in particolare di quelle francese, spagnola e imperiale.

Il volume prosegue poi con i saggi di Eugenia Valacchi e di Jennifer Celani. Il primo riferisce degli esiti della Controriforma sul territorio e in particolare degli adeguamenti liturgici di alcune chiese richiesti da Cosimo secondo gli orientamenti espressi dal Concilio di Trento conclusosi nel 1563. Il secondo saggio ci racconta brevemente del caso del complesso di San Giovannino detto degli Scolopi.

A seguire il saggio di Francesco Martelli relativo alle carte di Cosimo I nei fondi Medici dell’Archivio di Stato di Firenze ed in particolare alla storia di un piccolo nucleo di carte che egli teneva sempre con sé denominato “Archivio segreto”.

All’intervento di Francesca Funis sulla trasformazione di Firenze da città di provincia a capitale di uno stato territoriale, fa seguito il saggio di Carlotta Paltrinieri sull’istituzione dell’Accademia delle Arti del Disegno a seguito dell’istituzionalizzazione della Compagnia di San Luca o Compagnia de’ Pittori, attiva dal 1339. Viene fatto un breve accenno anche all’istituzionalizzazione di un’altra accademia quella degli Umidi che nel 1541, per volere di Cosimo,  mutò il nome in Accademia Fiorentina.

Stefano Calonaci si dedica all’analisi della poderosa attività legislativa e normativa svolta da Cosimo I. Il granduca si interessò dei più svariati aspetti del vivere civile e per raggiungere i suoi obiettivi si circondò fin da subito di un entourage di uomini fidati a cui affidare le diverse magistrature.

L’ultimo intervento è quello di Lorenzo Allori che introduce il Medici Archive Project, un istituto di ricerca nell’ambito della digital history. Uno strumento valido per gli studiosi che possono trovare in rete preziose informazioni digitalizzate. Per chi volesse consultare il BIA ovvero il portale web in lingua inglese dedicato alla fruizione del fondo archivistico il link è il seguente http://bia.medici.org 

Cosimo I de’ Medici fu un uomo senza dubbio ambizioso, più burocrate che guerriero ma, come scrive Masiello, per quanto sia passato alla storia come un uomo dispotico, vendicativo e accentratore del potere, non si può non riconoscere che egli abbia anche dimostrato di essere stato un capo saggio e lungimirante.

Questo “viaggio intorno all’uomo che divenne primo Granduca di Toscana” mette in evidenza proprio questo suo aspetto meno conosciuto e trascurato dalla storiografia fino ai giorni nostri. È una figura diversa quella che emerge dalle pagine di questo libro.

Cosimo fu un uomo eclettico e dai molteplici interessi oltre che un capo abile nella politica internazionale. Un uomo visionario che proprio grazie alla sua curiosità, alla sua intraprendenza e alla sua saggezza seppe trasformare il Ducato di Firenze nel Granducato di Toscana.


martedì 30 agosto 2022

“L’uomo di vetro” di Giuseppe Manfridi

Un uomo siede su un pontile con una vecchia Colt Navy, una modello antiquato di pistola ma perfettamente funzionante. Come ogni giorno egli introduce ripetutamente la canna della pistola in bocca. È il suo gioco d’azzardo con la morte. Il suo discorrere a fior di labbra egli lo definisce il suo esercizio spirituale.

Gianni Cravero, ex Primo Ministro della Repubblica Italiana, dopo un essere stato assolto, grazie alla testimonianza di un’amante, da un processo che lo vedeva accusato di collusione con la mafia, è di nuovo in pista. Certo, il suo matrimonio ne ha risentito parecchio, per non dire che è proprio divenuto un inferno, ma ci sono ottime possibilità di essere rieletto e questo è la cosa che più conta.

La storia di svolge nell’arco di una notte, dal tramonto all’alba, nella casa bunker del protagonista. Una residenza costruita appositamente per lui, una casa avveniristica, fredda e raggelante come i suoi abitanti. Pochi i personaggi sulla scena: i coniugi Cravero ovvero Gianni e la moglie Gaia, la loro figlia Martina, il factotum del politico Traglia e una coppia di amici.

Maurizio e sua moglie Federica sono stati invitati a trascorrere una notte nella casa presidenziale. Attesi per la cena, fin dal loro arrivo percepiscono una forte tensione nell’aria e non possono smettere di interrogarsi sul perché sia stato fatto loro questo invito. Gianni e Maurizio sono amici fin dai tempi della scuola, ma il Dominus non fa mai nulla senza uno scopo preciso. Insomma, se loro si trovano lì la ragione può essere una soltanto: lui vuole qualcosa da loro. La richiesta o meglio l’ordine mascherato da favore non tarda ad arrivare.

“L’uomo di vetro” è un romanzo particolare. L’incipit è forse un po’ lento e artificioso, ma con l’avanzare della lettura, addentrandosi nella storia, diventa chiara la sua funzione introduttiva. 

Un romanzo piscologico che analizza le relazioni sociali e le dinamiche della coppia. Al centro della storia ci sono i rapporti interpersonali che si manifestano nell’incontro-scontro tra uomo e donna, la sudditanza psicologica nei confronti dell’uomo di potere o nei confronti del compagno o della compagna e il conflitto genitori-figli. A fare da padroni del racconto sono i sentimenti che caratterizzano l’essere umano: amore, desiderio, amicizia, sete di potere, riconoscenza, disprezzo, rancore, gelosia e ingratitudine.

Non si può provare alcuna empatia per i personaggi neppure per quella figlia borderline che, sebbene per non per sua colpa, diviene inevitabilmente parte del perverso ingranaggio.

Il romanzo di Manfridi sviscera la psicologia dei suoi personaggi entrando nei più remoti recessi della loro mente. In un continuo susseguirsi di sotterfugi, di mezze verità e di frasi non dette, ogni miseria e debolezza umana viene portata in superficie a beneficio del lettore che rimane spiazzato da tanta meschinità, ma anche da tanta fragilità.

“L’uomo di vetro” è una storia che si presterebbe benissimo ad essere portata sul palcoscenico di un teatro. Un libro consigliato in particolar modo a chi ama i romanzi cerebrali.

 


lunedì 29 agosto 2022

“Domani e per sempre” di Ermal Meta

Kajan vive con il nonno Betin a Rragam, un piccolo villaggio sulle sponde del fiume Drin. Siamo nell’inverno del 1943, l’occupazione nazista è subentrata a quella fascista. L’Albania è un paese in guerra. I genitori di Kajan sono andati a combattere per la libertà.

La casa di Betim è lontana dalle altre case del villaggio. L’uomo spera così di riuscire a tenere lontana la guerra, ma la guerra non si arresta davanti a nulla e inevitabilmente un giorno bussa anche alla sua porta.

Cornelius è un disertore tedesco dal passato misterioso. Un nemico, ma anche un brav’uomo perché in guerra non esiste differenza tra vincitori e vinti, tutti sono allo stesso tempo vittime e carnefici, tutti perdono qualcosa.

Quel bambino di appena sette anni diventa per Cornelius un’ancora a cui aggrapparsi per cercare di superare gli orrori della guerra e tentare di ritrovare l’umanità perduta sui campi di battaglia. Tra i due si instaura fin da subito un rapporto fatto di amicizia e complicità. Kajan riceverà da Cornelius un dono prezioso che lo accompagnerà per tutta la vita, nei giorni felici e nei giorni bui: la musica.

Sullo sfondo della storia di Kajan, della sua evoluzione dall’infanzia fino all’età matura, c’è la storia dell’Europa del Novecento dalla Seconda guerra mondiale fino alla caduta del regime in Albania. Attraverso le pagine del romanzo ripercorriamo la storia della guerra fredda tra Paesi Occidentali e Paesi dell’Est, tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Un passato che sembra solo un lontano ricordo, ma che non lo è affatto soprattutto alla luce di quanto sta accadendo ai giorni nostri.

“Domani e per sempre” è un racconto di una potenza straordinaria. Un romanzo di formazione capace di commuovere ed emozionare il lettore, di coinvolgerlo e renderlo partecipe della storia in un modo unico. Impossibile non provare empatia nei confronti di Kajan nel corso di tutta la sua lunga e travagliata vita. Impossibile restare impassibili e indifferenti dinnanzi al comportamento della madre di Kajan o davanti alla cattiveria e alla ferocia di alcuni personaggi.

Sebbene Ermal Meta mi piaccia moltissimo come cantante, confesso che sono stata a lungo indecisa se leggere o meno il suo romanzo. Prima di tutto era una storia troppo distante dai miei generi letterari preferiti e poi, lo ammetto, ero anche un po’ prevenuta verso quello che avrebbe potuto rivelarsi il libro dell’ennesimo artista che si improvvisava scrittore.

Dopo le prime due pagine “Domani e per sempre” mi aveva già totalmente conquistata. Ho amato ogni singola pagina di questo romanzo.  Credo che sia uno dei romanzi più belli che abbia letto negli ultimi anni. Era da tempo che non mi capitava un libro che facesse sorgere in me, da una parte, la voglia di terminarlo al più presto per conoscerne l’epilogo, dall’altra, di voler trovare il coraggio di rallentarne la lettura per non dover affrontare quel senso di vuoto che inevitabilmente ti assale ogni qualvolta devi lasciar andare per sempre i personaggi che tanto hai amato.

Alcune considerazioni e parole mi hanno richiamato alla mente alcuni testi di Ermal Meta, ma volutamente preferisco non entrare nel merito dei richiami alla sua poetica perché questo post, come è giusto che sia, è dedicato solo al suo libro e non alla sua musica.

Ermal Meta ha dimostrato con questo romanzo di possedere davvero un grande talento come scrittore e, al di là che lo si possa amare o meno come cantante, autore e musicista, “Domani e per sempre” è davvero un esordio letterario straordinario. Un libro assolutamente da leggere.



mercoledì 3 agosto 2022

“Milindapañha” a cura di Genevienne e Tea Pecunia

Il significato del titolo è “Le domande di Milinda”. Il Milindapañha è l’opera più famosa tra quelle maggiormente vicine per contenuto al Canone buddhista pur non facendone parte. Per questo motivo tali opere vengono classificate come paracanoniche.

Al Milindapañha, che consta in tutto di sette volumi, misero mano più autori nel corso del tempo. Parte del primo libro, il secondo e il terzo furono scritti dallo stesso autore mentre i rimanenti quattro furono aggiunti successivamente. 

Cronologicamente il Milindapañha si colloca tra l’inizio del I secolo a.C. o subito dopo il I secolo d.C. e non oltre il IV secolo d.C.

Il testo riporta le domande che il re Milinda, o Menadro se vogliamo usare il nome con cui lo si ritrova nelle fonti greche, pone al monaco buddhista Nagasena. Questi, come richiesto dallo stesso sovrano, risponde all’incalzante interrogatorio servendosi di numerosi esempi.

Gli esempi, tratti dalla vita di tutti i giorni, si rivelano un valido strumento per esplicitare anche i punti più complessi della dottrina. Il re, infatti, sopraffatto dalla logica stringente del monaco non può che accoglierne l’insegnamento chiudendo ogni dissertazione con un Reverendo Nagasena, siete molto sottile.

Appena si accenna al fatto che il libro sia stato scritto sotto forma di dialogo, la nostra mente corre immediatamente a Socrate. Questa associazione però viene troncata subito nella seconda pagina dell’introduzione. Genevienne e Tea Pecunia mettono subito in chiaro che il paragone sarebbe solo una forzatura e che i precedenti dell’opera sarebbero piuttosto da ricercarsi in testi scritti in sanscrito.

La prefazione che introduce alla lettura del secondo e del terzo libro del Milindapañha, ovvero i due libri oggetto di questa edizione edita da Feltrinelli, è ampia ed interessante

Genevienne e Tea Pecunia oltre a fornirci dettagliate informazioni sul Milindapañha (datazione, considerazioni sulla lingua ecc.), ci introducono alla dottrina buddhista attraverso il racconto della vita del Buddha e del contesto socio-religioso indiano senza tralasciare di chiarirci alcune parole chiave che incontreremo nel corso della lettura.

Karma, reincarnazione, comprendere il significato e la necessità di lasciare andare, il dolore e la precarietà della gioia, la saggezza, ogni cosa viene esaminata e indagata in questi dialoghi che espongono con chiarezza gli insegnamenti fondamentali del Buddha.

Questo libro non può essere classificato come una lettura agevole nonostante i dialoghi siano effettivamente scorrevoli. I concetti sono profondi e necessitano di tempo per essere convenientemente recepiti e assimilati.

La semplicità del dialogo è solo apparente e, ad essere sincera, questo testo mi ha messo più in difficoltà di tutti quelli da me letti sull’argomento. Non è facile addentrarsi in questa dottrina, ma questo non significa che sia impossibile.

Per esperienza personale ho constato che, nonostante alcuni concetti sembrino a noi estranei e pronti a prendere il volo appena posato il libro, in verità restano con noi senza che ce ne accorgiamo. Spesso durante il giorno o in determinate situazioni questi insegnamenti riaffiorino alla nostra mente donandoci un sollievo inaspettato.

Per quanto certe letture talvolta possano quindi sembrare troppo lontane da noi, ricordate che ogni nostro piccolo sforzo sarà sempre ben ripagato.


Giocando d’anticipo,

uno deve agire in modo da fare quanto è bene

per se stesso.