domenica 26 settembre 2021

“Karma” di Fausta Leoni

Fausta Leoni (1929-2019), scrittrice e giornalista che ha collaborato a diversi programmi culturali ed è stata redattrice del TG2 Rai, ci racconta in prima persona la sua esperienza con il mondo dell’aldilà.

A questo argomento nel 1963 insieme al regista Gillo Pontecorvo Fausta Leoni dedicò anche un’inchiesta televisiva per indagare quale fosse l’atteggiamento degli italiani verso l’immortalità dell’anima. L’ultima parte del libro riporta proprio la scaletta delle quattro puntate del programma. 

Fausta Leoni si sta recando con il marito Gibì in Perù e più precisamente nel piccolo pueblo di Huallpa, sulla Cordigliera delle Ande, il luogo dove è ormai certa di aver vissuto la sua precedente esistenza.

Qui il racconto fa un passo indietro e la scrittrice inizia a narrarci della sua vita, della sua famiglia, di come abbia conosciuto il marito e di come, proprio durante un viaggio in Sudamerica subito dopo il matrimonio, sia affiorato insistentemente in lei il ricordo della sua vita precedente.

Un susseguirsi di eventi e coincidenze si succedono giorno dopo giorno nella sua vita fino a farle prendere coscienza che tali fatti non possono ritenersi semplici casualità ma piuttosto espressione di qualcosa di più profondo e complesso.

Il suicidio di una persona appena conosciuta e verso la quale lei aveva avvertito sin da subito un certo fastidio scatenano in lei l’insorgere di una strana malattia che i medici non riescono a diagnosticarle.

Il suo è un malessere dell’anima che le prosciuga le energie vitali. Tornata in Italia ha però la fortuna di conoscere una persona in grado di aiutarla, una donna straordinaria di nome Fidelia che le spiega cosa le sta accadendo e come combatterlo.

“Karma” è la storia della reincarnazione di Fausta Leoni raccontata in prima persona dalla protagonista. Un libro che è stato pubblicato in venti edizioni, un best seller internazionale che ha venduto milioni di copie.

È una storia decisamente fuori dall’ordinario a cui si può credere o meno e proprio in questi termini la stessa autrice all’inizio del volume si rivolge ai lettori.

Fausta Leoni non ha scritto la propria storia con l’intenzione di convincere qualcuno di quanto le fosse accaduto all’età di ventidue anni, ma piuttosto per aiutare chi, avendo vissuto qualcosa di simile a lei, avrebbe potuto trarre da queste pagine una qualche chiave di lettura.

Il racconto, seppure cronaca di un’esperienza vissuta  e reale, assume la forma di romanzo e la narrazione si fa fluida. Numerosi sono i personaggi che animano queste pagine, tra di essi anche nomi conosciuti del mondo della televisione, della cultura e non solo.

Insieme all’autrice scopriamo da Fidelia cosa sia il karma ossia la legge che regola le varie esperienze umane di un’entità spirituale, una legge per cui ogni vita è la conseguenza inevitabile di una precedente condotta.

Ma com’è fatta l’anima? È sempre Fidelia che ce lo spiega. L’anima è comporta di tre parti: quella che ha sede nel ventre e finisce quando muore il corpo; quella che ha sede nel cuore e che dopo la morte non si disintegra immediatamente, ma resiste ancora un po’ di tempo e, infine, la terza parte quella che ha sede nel cervello che sopravvive alla morte e si reincarna in diversi corpi.

Ciascuno di noi è libero di credere o meno in queste teorie, libero di credere o meno nell’esistenza di un aldilà, di un inferno o paradiso che sia, così come all’esistenza di qualche energia o entità in grado di comunicare con noi vivi.

Come si evince anche dalle interviste condotte difficilmente ci si interroga su tali argomenti o se ne parla volentieri. Perché questo accade? Per disinteresse? Paura? Superficialità? Chi può dirlo, non è mai giusto generalizzare e tanto meno lo si può fare su un argomento del genere.

“Karma” di Fausta Leoni è indubbiamente un libro che apre una breccia anche nelle persone più scettiche. Chi infatti durante la propria vita non si è mai trovato disorientato almeno una volta da qualche particolare coincidenza o da una qualche singolare premonizione?

Personalmente faccio parte di coloro a cui questo genere di cose incute sempre un po’ di timore e ansia per cui preferisco non indagare troppo e pur mantenendo un atteggiamento possibilista e aperto, confesso di cercare di evitare l’argomento nascondendo la testa sotto la sabbia. 

E voi cosa ne pensate? Come vi comportate quando sentite parlare dell'aldilà?

 

 

sabato 18 settembre 2021

“Giuliano Dami. Aiutante di Camera del Granduca Gian Gastone de’ Medici” di Alberto Bruschi

La figura di Giuliano Dami è una figura enigmatica e della quale è difficile riuscire a capire quanto ci sia di vero nelle cronache del tempo che ne hanno tramandato l’immagine di un uomo gretto e malvagio.

Tutto ciò che è stato scritto si riallaccia alle infamanti storie tratte da un manoscritto di dubbia attribuzione, l’avvocato Luca di Bartolomeo, secondo Sir Harold Acton, o il dispensiere di Cosimo III Luigi di Lorenzo Gualtieri secondo Giuseppe Conti (Firenze dai Medici ai Lorena).

Alberto Bruschi con quest’opera si propone l’arduo compito di rileggere il manoscritto affiancando tale lettura allo studio dei documenti d’archivio nel tentativo di cercare di comprendere quanto ci sia di vero nel manoscritto e quanto invece sia frutto, se non proprio di pura fantasia, quantomeno di una volontà atta a distruggere la figura di Giuliano Dami.

Unico punto non soggetto a controversie è il fatto che il personaggio in questione fosse di una bellezza disarmante e che senza dubbio proprio il suo aspetto fisico lo favorì nella sua incredibile ascesa sociale.

Alberto Bruschi inizia le sue ricerche proprio da Mercatale in Val di Pesa, luogo di nascita del bel Giuliano. L’autore del manoscritto liquida alla stregua di due pezzenti i genitori del nostro protagonista, ma dai registri parrocchiali si evince che questi non erano assolutamente tali. La madre, in particolare, Caterina Ambrogi portava un cognome piuttosto importante. Gli Ambrogi, per quanto popolani, erano dei possidenti terrieri. Vero è che della famiglia si contavano più rami, ma Caterina pur non appartenendo al ramo più facoltoso non poteva comunque essere annoverata come una miserabile stracciona.

Morto il padre di Giuliano, ad occuparsi della famiglia fu uno zio paterno che, visto il numero delle bocche da sfamare, non poteva essere neppure lui particolarmente povero.

Giuliano fin dalla giovane età dimostrò di avere un carattere vivace e ribelle che mal sottostava ai soprusi e all’autorità.

La sua carriera partì dal gradino più basso, iniziò addirittura come votapozzi, ebbene sì, fu proprio uno di quei ragazzini che si occupavano di svuotare i pozzi neri, solo il boia e il becchino potevano essere annoverati come mestieri peggiori.

L’importante per Giuliano fu l'arrivo a Firenze perché lì, grazie al suo aspetto e alla sua scaltrezza, ebbe comunque la possibilità di cogliere la giusta occasione per migliore pian piano la propria condizione.

Infatti, dopo diversi lavori, prese servizio come lacchè presso il Marchese Ferdinando di Roberto Capponi. 

Giuliano smise quindi per sempre i vestiti cenciosi per indossare una scintillante livrea di velluto rosso dai galloni dorati, la livrea “all’Ussara”.

Durante una visita del Capponi a Palazzo Pitti, Giuliano fu probabilmente notato da Gian Gastone e da lì il passo fu breve, il giovane cambiò padrone sebbene ben presto fu lui stesso a diventare il padrone del suo signore. Non mi dilungherò su questa storia che ormai tutti conosciamo benissimo.

Contrariamente a quanto riportato nel manoscritto Gian Gastone conobbe Giuliano dopo il matrimonio e lo portò poi con sé a Reichstadt dopo un suo soggiorno a Firenze.

Alberto Bruschi si interroga su quali fossero i reali sentimenti che legarono Giuliano Dami a Gian Gastone de’ Medici, forse all’inizio Giuliano provò anche affetto per il suo signore, impossibile avere una risposta certa, ma senza dubbio guardando ai suoi testamenti e al codicillo al secondo testamento quello che emerge è la figura di un uomo avaro e meschino che neppure in quel momento, pensando alla propria morte, ebbe un pensiero per onorare la memoria di chi per lui aveva fatto e sacrificato tanto.

Il libro racconta non solo le malversazioni del Dami alla Corte medicea, ma anche tutte le furfanterie e le appropriazioni indebite di cui si macchiò, di come fosse entrato in possesso del suo prestigioso palazzo in via Maggio, delle ville e dei terreni nonché di quelle sue operazioni che oggi non esiteremmo a definire di alta finanza.

Il libro indaga ogni aspetto della vita di Giuliano Dami: il matrimonio con Maria Vittoria Selcini, probabilmente contratto per cercare di mascherare la natura dei suoi rapporti con Gian Gastone, sospetti impossibili ovviamente da allontanare; le sue committenze artistiche, i suoi rapporti a Corte e i rapporti con gli altri esponenti della famiglia granducale, i rapporti con i propri famigliari e quelle donazioni fatte in particolare modo al Monastero delle Mantellate, le cui suore da lui beneficiate lo ricordarono sempre come il nostro Giulianino.

Il racconto non tralascia di delineare un ampio affresco della Corte e della Firenze dell’epoca.

Il libro non si interrompe con la morte di Gian Gastone, ma guarda anche alla vita di Dami dopo la dipartita del suo benefattore, colui che anche sul letto di morte nonostante tutto chiese ancora pietà per l’amico alla sorella Anna Maria Luisa.

Gli ultimi anni di Dami furono anni in cui si dovette principalmente preoccupare di non perdere la vita e le sostanze accumulate nel corso di tanti anni di prevaricazioni. Il delitto di sodomia, infatti, non venne cancellato con l’avvento dei Lorena e la pena prevista per una tale reato rimase la condanna a morte, senza contare che era sufficiente solo una denuncia perché, anche dopo la morte, a colui che fosse stato giudicato colpevole sarebbero stati alienati tutti i beni cosicché questi sarebbero stati incamerati dallo Sato a discapito degli eredi.

Il libro di Alberto Bruschi è un’opera davvero importante ed esaustiva, corredata di un’appendice molto ricca di documentazione fotografica e documentazione d’archivio.

Una prosa forbita ed elegante, fluida e scorrevole, fanno di questo libro una lettura oltremodo piacevole nonostante l’argomento sia piuttosto specifico ed esclusivo.

Non è mai facile parlare di un libro che ci ha coinvolto particolarmente, si ha sempre paura di non riuscire a dire tutto oppure farlo in modo sbagliato; sensazione ancora più strana se poi certe emozioni ci sono state suscitate non da un romanzo, ma piuttosto da un saggio.

L’immagine mefistofelica di Giuliano Dami non ne esce molto diversa da quella descritta dal manoscritto; le fonti fredde degli archivi confermano in buona parte l’anima meschina ed egoista dell’aiutante di camera di Gian Gastone de’ Medici e anzi, se possibile, la rendono ancora più enigmatica.

Colui che sarebbe potuto divenire il più importante ministro della Corte medicea, il rappresentante di un Granduca colto, raffinato, sensibile e illuminato, dal quale avrebbe potuto attingere quella cultura e quell’educazione che per nascita gli erano mancate, preferì invece servirsene per i propri scopi miserabili e gretti, passando alla storia come un uomo abbietto che non conobbe mai il significato delle parole carità e onore, un uomo che condannò all’eterno biasimo se stesso e colui la cui più grande colpa fu quella di averlo, nella sua immensa solitudine, accolto come un sincero amico a cui affidarsi.




domenica 12 settembre 2021

L’Albergaccio (Casa di Machiavelli)

Quest’estate sono riuscita a realizzare un sogno: visitare l’Albergaccio! Sì, lo so che Niccolò Machiavelli è un personaggio che ai più non è molto simpatico, ma io sin da ragazzina ho sempre nutrito per lui una vera passione.

Ringrazio soprattutto Villa Machiavelli che, nonostante fossero occupatissimi nell’allestimento per un matrimonio, mi hanno permesso lo stesso di visitare la casa museo di cui loro sono custodi e proprietari.






Non ci provo neppure a descrivervi l’emozione di poter camminare per quelle stanze e visitare lo studio dove venne scritta la sua opera più famosa: Il Principe. 







Da Sant’Andrea in Percussina si scorge in lontananza Firenze con la sua meravigliosa cupola. Chissà cosa avrà provato Niccolò ogni volta che guardava in quella direzione, lui esiliato in campagna, lontano dalla sua amata attività politica… Sto diventando troppo sentimentale, vero?



Al rientro dei Medici a Firenze nel 1512, Niccolò Machiavelli dopo essere stato incarcerato e torturato, perché accusato di aver preso parte alla congiura antimedicea, venne esiliato a San Casciano Val di Pesa. San’Andrea in Percussina dove si trova l’Albergaccio, è appunto una frazione di San Casciano.


Di come trascorresse i suoi giorni è rimasta traccia soprattutto in una lettera che Machiavelli scrisse all’amico Vettori, datata 10 dicembre 1513, nella quale egli racconta di come passasse il tempo del giorno ad occuparsi dei suoi poderi, a giocare a tric-trac all’osteria e di come alla sera invece “rivestito condecentemente” entrasse “nelle antique corti degli antiqui uomini” per discorrere e ragionar con loro.





La famiglia Machiavelli era suddivisa in più rami. Il ramo in cui nacque Niccolò si estinse nel XVII secolo e i suoi successori furono i Conti Serristori di Firenze che detennero il possesso di queste terre fino al passaggio all’attuale proprietà che ha provveduto a restaurare Casa Machiavelli in modo accurato facendone un museo molto suggestivo.




Un consiglio: fate una sosta e fermatevi a mangiare a Villa Machiavelli non ve ne pentirete! La coppa Machiavelli, una variante di tiramisù con cantucci e vin santo, è qualcosa di divino…





giovedì 9 settembre 2021

Villa medicea di Poggio a Caiano

Ho deciso di inaugurare la serie di post dedicati ai miei giorni in Toscana partendo dalla prima tappa: Villa Medici di Poggio a Caiano.



La villa fu commissionata da Lorenzo il Magnifico a Giuliano da Sangallo negli anni Ottanta del XIV secolo. Con la morte di Lorenzo e con la cacciata dei Medici da Firenze i lavori vennero interrotti per poi essere ripresi in seguito grazie all’intervento del figlio del Magnifico, papa Leone X.  



Grazie ad un modello conservato in una delle sale della villa è possibile capire quale fosse l’aspetto originario prima che venissero erette nei primi anni dell’Ottocento le scale a tenaglia così come appaiono oggi.




Al piano inferiore troviamo il teatro privato tanto caro alla sposa di Cosimo III, Marguerite Louise d’Orleans, che ne commissionò la realizzazione; molto apprezzato anche dal figlio il Gran Principe Ferdinando appassionato di musica (si può ammirare anche un piccolo organo).






Al piano superiore invece tutta l’attenzione è catturata dal salone di Leone X. Gli affreschi cinquecenteschi sono opera di Andrea del Sarto, Franciabigio e Pontormo. Il ciclo di affreschi fu poi portato a termine da Alessandro Allori.








Tante le leggende legate a questa villa. Qui trovarono la morte Francesco I e la moglie Bianca Cappello si dice per mano del fratello di lui Ferdinando I.







I Lorena non furono particolarmente legati a questa proprietà così come alle altre ville in generale. La villa di Poggio a Caiano tornò ai fasti di un tempo grazie a Elisa Baciocchi, sorella di Napoleone e granduchessa di Toscana, e successivamente con Vittorio Emanuele II che qui condusse la “bella Rosina”, prima amante e in seguito sua moglie morganatica.















lunedì 30 agosto 2021

“Firenze dai Medici ai Lorena” di Giuseppe Conti

Forse il modo migliore per introdurre questo libro è lasciare la parola proprio all’autore:

Alla mia Firenze
con cuore d’italiano
dedico questo libro
perché essa sempre ricordi
le sciagurate vicende
che dal corrotto principato concittadino
la condussero
a quell’aborrita servitù straniera
che in centoventidue anni
fece spesso sentire
al popolo toscano
la dura verità dell’antico dettato
dove pasce caval tedesco
non nasce più erba

Con questa dedica si apre il volume edito da Giunti Marzocco (1993), una ristampa anastatica, ossia una riproduzione inalterata, dell’edizione Bemporad & Figlio Editori del 1909 dell’opera di Giuseppe Conti.

Il libro racconta le vicende della storia toscana durante il regno degli ultimi due granduchi della dinastia Medici: Cosimo III (1642-1723) che regnò dal 1670 al 1723 e Gian Gastone (1671-1737) in carica dal 1723 al 1737.

Un periodo oscuro quello del regno di questi due granduchi per la Toscana e per l’Italia intera, un periodo in cui le grandi potenze straniere Francia, Spagna e Impero si contendevano i territori della penisola che di fatto erano ormai considerati dei semplici stati vassalli da tassare e sfruttare.

Quello di Conti è un quadro impietoso degli ultimi Medici. Il tono usato è moralistico e ironico; non stupisce quindi il suo apprezzamento per Giovan Battista Fagiuoli, poeta e commediografo fiorentino, vissuto all’epoca degli eventi raccontati i cui scritti erano acuti e taglienti ma mai volgari. Stralci di diario, di lettere e di opere sono riportati dal Conti e pertanto il lettore può farsi direttamente un’idea dello stile del Fagiuoli.

Il libro non vuole essere un libro di storia, ma piuttosto il racconto cronachistico degli avvenimenti storico-culturali che caratterizzarono gli anni del Granducato di Toscana dal 1671 al 1737.  

Attraverso le fonti letterarie, i bandi, i motuproprio e gli epistolari prende vita un affresco della società dell’epoca dove intrighi politici e amorosi fanno da padroni in una società ormai lontana dagli antichi fasti rinascimentali e delle prime corti granducali.

Attraverso il racconto di coloriti aneddoti e dei costumi del tempo Giuseppe Conti ci presenta da vicino gli ultimi esponenti della famiglia Medici con i loro quasi inesistenti pregi e i loro tanti difetti, introducendo sulla scena anche quei loschi figuri che popolarono la corte spadroneggiando spesso sui loro stessi signori.

Cosimo III ne esce come un uomo tirchio, bigotto e incapace, ossessionato dalla religione e succube dei Gesuiti, tormentato dalla mancanza di eredi, sempre preoccupato di poter entrare in contrasto con qualche sovrano, afflitto da insicurezza cronica, ma sempre pronto ad imporre nuove tasse ai propri sudditi persino sull’uso delle parrucche pur di rimpinguare le casse dello Stato.

Perennemente in lite con la moglie, Margherita Luisa d’Orleans, cugina del Re Sole, Cosimo III ebbe pessimi rapporti anche con i figli maschi il Gran Principe Ferdinando, troppo simile alla madre, e Gian Gastone troppo melanconico e solitario. L’unica con cui ebbe un ottimo rapporto fu la figlia Anna Maria Luisa che cercò in ogni modo senza successo, dopo la morte del primogenito, di designare come erede del Granducato.

Per quanto riguarda le lettere di famiglia di cui il Conti riporta alcuni estratti non potrete non sorridere leggendo alcune righe che la granduchessa inviava al consorte dopo essere finalmente riuscita a fare ritorno in Francia:

Mi mettete in stato di disperazione a tal segno, che non ci è ora alla giornata che io non vi desideri la morte e che io non volessi che voi fussi impiccato

Insomma, come avrete capito, quella che traspare da queste pagine è l’immagine di una dinastia da operetta la cui Corte era un luogo di beghe più private che politiche.

Attori principali ne erano i figli di Cosimo III: il Gran Principe Ferdinando il cui solo interesse erano musica, feste e divertimenti da condividere con il suo amato De Castris e l’amante veneziana mentre la moglie Violante Beatrice di Baviera, perdutamente innamorata di lui, cercava di giustificare ogni suo più equivoco comportamento; Anna Maria Luisa che avrebbe voluto fin da subito sottrarre il titolo al fratello minore e infine Gian Gastone che, schiavo dell’alcol e del suo scaltro e mefistofelico aiutante di camera Giuliano Dami, era solito terminare le sue giornate in mezzo a un numero spropositato di aitanti giovani di dubbia fama, i cosiddetti Ruspanti.

Giuseppe Conti rimarca quanto differente fosse stato lo spessore di Cosimo III, inetto e dubbioso sovrano, rispetto a quello di Vittorio Amedeo II valoroso guerriero e accorto politico in grado di tenere testa alla potentissima Francia e farsi stimare dalle altre potenze europee.  

Dobbiamo a questo punto necessariamente considerare alcune circostanze molto significative. Per prima cosa il Conti scriveva nel 1908, pochi decenni dopo i moti risorgimentali, non risulta quindi strano il suo trasporto nel voler rimarcare quanto fosse un’aborrita servitù quella del popolo toscano assoggettato ad una dinastia straniera come quella degli Asburgo-Lorena. Secondo cosa sempre non da sottovalutare: il Conti è un suddito del Regno d’Italia ragion per cui è abbastanza scontata la poco celata adulazione che egli dimostra nei confronti di Vittorio Amedeo II da lui definito il vero capostipite della dinastia sabauda.

Il Conti afferma che la fonte principale della sua opera consiste nel manoscritto di un certo Luigi di Lorenzo Gualtieri.

Lorenzo Gualtieri fu in gioventù lo staffiere e poi il dispensiere di Cosimo III. Il figlio Luigi ne ereditò l’incarico, ma ben presto venne cacciato trovando però più tardi occupazione presso la corte lorenese. Non sarebbe quindi così strano  leggervi un qualche intento vendicativo nel narrare certi fatti con così tanto livore e insensibilità.

Come abbiamo già detto in altre occasioni, grazie ad un certo revisionismo storico, negli ultimi anni è stato in parte rivalutato l’operato degli ultimi esponenti della dinastia medicea. Al di là del grande merito di Anna Maria Luisa per la sottoscrizione del Patto di famiglia, il Gran Principe Ferdinando fu ad esempio un ragguardevole mecenate musicale e Gian Gastone, seppur finirà i suoi giorni nel peggiore dei modi, fu in gioventù un principe illuminato e filosofo che purtroppo ebbe la sfortuna di dover sottostare ad un matrimonio per lui disastroso tanto da rovinargli per sempre il carattere.

Mi rendo perfettamente conto che non sia possibile in alcun modo rendere giustizia a una opera di tanto spessore e così corposa, sono più di novecento pagine, in così poche righe.

Il volume è senza dubbio una pietra miliare della storiografica medicea e la bellezza della veste grafica di questa edizione, trattandosi di una ristampa anastatica, è senza dubbio un valore aggiunto.

Detto questo, mi sento in dovere di mettere in guardia un eventuale lettore dall’affrontarne la lettura senza una forte motivazione e una qualche conoscenza della materia poiché va detto che l'opera di Conti, per quanto scritta in modo ironico e sagace, non è scevra da pagine scritte in un linguaggio terribilmente aulico soprattutto laddove vengono riportati i testi originali dei documenti dell’epoca.  




domenica 29 agosto 2021

“I Medici. Ascesa e potere di una grande dinastia” di Claudia Tripodi

La dinastia medicea raccontata attraverso quasi quattro secoli di storia, dal Rinascimento fino all’età moderna, durante i quali questa famiglia fu protagonista dapprima della storia italiana e poi, grazie a due importanti papi (Leone X e Clemente VII) e due regine di Francia (Caterina e Maria) anche di quella europea.

Il libro di Claudia Tripodi non è solo il racconto dell’ascesa di una grande dinastia, ma è inevitabilmente anche la storia di Firenze perché le loro vicende sono così affini che difficilmente si potrebbero scindere l’una dall’altra.

Quando gli esponenti della famiglia iniziarono ad ambire ad una politica di più ampio respiro guardando all’Europa, complice anche la sempre più complicata situazione politica della nostra penisola, il ruolo di Firenze andò via via riducendosi fino a divenire una piccola realtà regionale sullo sfondo di un panorama globale che vedeva le grandi potenze quali Impero, Francia e Spagna decise a spartirsi le terre italiane e con esse le loro genti.

Il racconto di Claudia Tripodi prende avvio dalle origini ovvero da quando alcuni membri della famiglia Medici, partiti dalle campagne del vicino Mugello, si inurbarono e decisero di investire alcune migliaia di fiorini d’oro per l’acquisto di un primo nucleo residenziale in via Larga, erano gli anni tra il 1335 e il 1375.

Il racconto prosegue nei secoli fino a giungere al triste epilogo che vide protagonisti il settimo e ultimo Granduca di Toscana, il tanto chiacchierato Gian Gastone, e sua sorella Anna Maria Luisa de’ Medici che consegnarono il Granducato agli Asburgo-Lorena.

L’Elettrice Palatina, grazie alla sua lungimiranza, riuscì a tutelare il patrimonio di famiglia accumulato nel corso dei secoli e a salvare tutte le ricchezze artistiche dalla dispersione vincolandole per sempre alla città di Firenze.

In verità, si può dire che i Medici non abbiano mai davvero lasciato Firenze, essi sono oggi ancora ben presenti in ogni monumento e in ogni angolo della città; vivono ancora in ogni ricordo, simbolo ed espressione. Con il celebre Patto di famiglia Anna Maria Luisa de’ Medici si è guadagnata l’eterna riconoscenza non solo dei suoi concittadini, ma di tutti noi oltre l’immortalità e la gloria imperitura per la sua famiglia.

Il libro di Claudia Tripodi vanta una vastissima bibliografia, una ricca fonte per ogni ulteriore approfondimento il lettore voglia svolgere.

Ritengo che “I Medici. Ascesa e potere di una grande dinastia” sia un saggio davvero valido per chiunque desideri approcciarsi alla storia medicea così da poterne trarre un quadro generale che tenga conto non solo della storiografia classica, ma anche delle ultime pubblicazioni.

Grande attenzione viene posta infatti dalla Tripodi anche a quei testi che, grazie ad un prezioso revisionismo storico, vedono quei personaggi più bistrattati nel corso dei secoli oggi a buon diritto in parte riabilitati.

Alcuni interessanti paragrafi sono dedicati a quei personaggi che spesso sono stati considerati di minore importanza e per questo spesso non ricordati oppure, se ricordati, liquidati comunque in poche righe. Qui troviamo capitoli dedicati a Don Antonio, il figlio di Francesco I e Bianca Cappello, delegittimato da Ferdinando I così che non potesse reclamare per sé il titolo di Granduca; il cardinale Leopoldo, fratello di Ferdinando II, grande studioso e mecenate che ebbe un ruolo di primo piano nell’Accademia della Crusca e contribuì a dare vita nel 1657 all’Accademia del Cimento, un’accademia scientifica sperimentale che aveva come fine quello di raccogliere l’eredità ideale di Galileo Galilei; Don Giovanni, fratellastro del Granduca Ferdinando I, estremamente portato per lo studio e di natura eclettica, fu ingegnere e architetto sebbene espletò per la famiglia anche incarichi militari e diplomatici e infine Maria Maddalena, sorella di Cosimo II, la principessa “nata malcomposta nelle membra” che venne fatta entrare nel Convento della Crocetta  e della quale si parla ampiamente nel libro di Daniela Cavini “Storia di un’altra Firenze” (Neri Pozza) in occasione del capitolo dedicato al corridoio segreto del Museo Archeologico di Firenze.

I Medici furono grandi mecenati, ma poco si conosce del loro mecenatismo in campo musicale. In modo particolare il Gran Principe Ferdinando fu un grande collezionista di strumenti e musicista egli stesso. Claudia Tripodi non tralascia neppure questo aspetto e ci ricorda ad esempio anche opere che vennero rappresentate in occasione di alcuni matrimoni.

Ottima l’idea di corredare con immagini, seppure in bianco e nero, opere che ritraggono i protagonisti più significativi della dinastia; se proprio poi si vuole trovare per forza un difetto direi che si sente la mancanza di una tavola dedicata all’albero genealogico, cosa bizzarra vista l’attenzione e la cura prestate all’edizione di questo saggio.

Libro consigliatissimo!




giovedì 26 agosto 2021

“Una Medici a Bolzano” di Alberto Pasquali

Paul, giovane esponente della famiglia Botsch, è cresciuto a Firenze dove, grazie alla cospicua fortuna della sua famiglia, ha potuto studiare all’Università.

Qui ancora giovanissimo viene scelto dal Granduca di Toscana come precettore per la bella e intelligente Claudia de’ Medici.

Un giorno, complice anche una dissertazione sul V canto della Divina Commedia, tra i due giovani divampa la passione. Un amore proibito come quello di Paolo e Francesca ai quali entrambi non sono in grado di resistere.

Presto Claudia però è costretta a lasciare Firenze. Per lei, infatti, è giunto il momento di adempiere ai suoi doveri e sposare Federico Ubaldo della Rovere, un matrimonio combinato anni prima dalle rispettive famiglie.

Claudia non riuscirà mai a dimenticare il suo primo amore, ma poco importa perché le loro vite saranno destinate ad incrociarsi ancora.

Io narrante di questo breve romanzo, o forse sarebbe meglio chiamarlo lungo racconto trattandosi di appena una cinquantina di pagine, è proprio Paul Botsch, personaggio immaginario ma piuttosto verosimile in quanto appartenente ad una famiglia realmente esistita il cui nome Botsch è una germanizzazione del cognome originario de’ Rossi. I de’ Rossi, uomini d'affari e banchieri, si trasferirono nel XIII secolo a Bolzano per fare fortuna in Tirolo.

Claudia de’ Medici, personaggio storico meno conosciuto rispetto ad altri esponenti della sua famiglia, fu una figura di spicco per la città di Bolzano, città natale dell’autore del romanzo.

Claudia de’ Medici (1604-1648), figlia di Ferdinando I e Cristina di Lorena, fu duchessa di Urbino per aver sposato, appena diciassettenne, in prime nozze (1621) Federico Ubaldo della Rovere e arciduchessa d’Austria e contessa del Tirolo a seguito delle seconde nozze contratte nel 1626 con l’Arciduca Leopoldo V d’Austria.

Il primo matrimonio con il duca di Urbino fu un matrimonio infelice, lo sposo si rivelò da subito un uomo vizioso, violento e scavezzacollo. Dalla loro unione nacque una bambina Vittoria della Rovere, futura Granduchessa di Toscana e moglie di Ferdinando II.

Fortunatamente per Claudia il duca di Urbino morì appena due anni dopo le loro nozze, nel romanzo si dice a seguito di un colpo apoplettico, ma alcuna storiografia non esclude un veleno inviato da Firenze e forse destinato più che a lui alla sua amante (vedi Giuseppe Conti, “Firenze. Dai Medici ai Lorena).

Claudia ebbe maggior fortuna con il secondo matrimonio, ma purtroppo anche l’arciduca morì presto. Dopo solo sei anni (1632) la Medici si ritrovò nuovamente vedova e assunse quindi la reggenza del Tirolo in vece del figlio Ferdinando Carlo d’Austria fino al 1646. Un periodo non facile quello in cui si trovò al potere, proprio allora infuriavano le guerre tra cattolici e protestanti e per lei, una straniera proveniente da una famiglia cattolicissima, non fu semplice riuscire a mantenere salde le redini dello Stato.

Claudia de’ Medici fu figura rilevante per la città di Bolzano. Sotto il suo governo vennero incrementati gli scambi commerciali e, proprio a tale scopo, venne istituito anche il Magistrato Mercantile con l’intento di accrescere l’importanza internazionale della città.

Il racconto di Pasquali non si addentra nei particolari storici e tende a non approfondire più di tanto neppure i sentimenti e la psicologia dei vari personaggi ma, pur rimanendo in superficie, il racconto non risulta mai banale sebbene talvolta l’uso del “tu” tra Paul e Claudia strida un poco.

Il vero protagonista del libro diventa quindi la delicata storia d’amore, un amore che si trasforma seguendo le fasi della vita, un legame talmente forte da piegarsi dinnanzi alle avversità senza mai spezzarsi.

Sullo sfondo troviamo le vicende dell’epoca: le guerre di religione, la ragion di stato e quella figura di Claudia de’ Medici che ha segnato profondamente lo sviluppo economico di una città che ancora la ricorda con gratitudine e affetto come testimonia proprio questo libro.

È un’aria insolita quella che si respira tra le pagine di questo romanzo; anche laddove si parla di Firenze si percepisce che il racconto è filtrato attraverso una cultura e una sensibilità differente da quella toscana; nelle licenze letterarie così come nelle atmosfere è forte il richiamo alla storia dell’Austria e del Tirolo anche quando il racconto ci narra di realtà fiorentine.

Ho scoperto questo volume per caso durante una visita in Alto Adige, direi una sorpresa gradita quanto inaspettata per un’appassionata di storia medicea come me.

“Una Medici a Bolzano” è un romanzo che invoglia senza dubbio ad approfondire la storia del Tirolo e chissà che magari non nasca in me una nuova passione.