venerdì 22 aprile 2022

“Cesare Borgia. Il principe spietato” di Lorenzo Demarinis

Il libro si apre con l’episodio che passerà alla storia come la strage di Senigallia, quando tra il 31 dicembre 1502 e il 18 gennaio 1503, Cesare Borgia si vendicherà in modo teatrale di coloro che lo avevano tradito.

Per Vitellozzo Vitelli, Francesco Orsini, Paolo Orsini e Oliverotto da Fermo che credevano, non solo di poter nuovamente tornare al servizio del Valentino, ma poterlo fare addirittura alle loro condizioni non ci sarà alcuno scampo; la vendetta del Borgia, sempre fedele al proprio motto aut Caesar aut nihil, si abbatterà implacabile su di loro.

È Niccolò Machiavelli, dal suo esilio all’Albergaccio, a narrare le vicende ad un mercante olandese che, dopo aver conosciuto la Toscana durante la propria attività lavorativa, ha deciso di eleggere questa terra a luogo del suo ritiro.

La scelta della figura di Machiavelli come narratore da parte dell’autore ha un duplice scopo. Nella finzione letteraria Machiavelli, rievocando i fatti, può fare il punto su quanto è intenzionato a scrivere su Cesare Borgia futuro protagonista del settimo capitolo di quello che diventerà il suo capolavoro “Il Principe”, ma allo stesso Lorenzo Demarinis riesce a trasmettete così al lettore il pensiero del fine politico e dei suoi contemporanei sul tanto chiacchierato figlio di Alessandro VI.

Sulla scena intervengono altri due personaggi Lucrezia Borgia, sorella di Cesare, e Francesco Guicciardini che conversando con Machiavelli ci espongono anche i loro punti di vista su una figura tanto controversa come quella del Valentino.

Il volume fa parte della collana intitolata I volti del male” in uscita in edicola e dedicata ai grandi criminali della storia. Nonostante il mio scetticismo, il libro si è rivelato una lettura piacevole e molto scorrevole.

Pensavo si trattasse di un saggio invece le vicende sono raccontate sotto forma di romanzo e, sebbene gli argomenti non vengano sviscerati in maniera esaustiva e capillare, l’insieme risulta comunque efficace.

Al termine del volume si trova una scheda curata da Vicente Garrido dedicata al profilo psicologico di Cesare Borgia. Ecco, questa scheda mi ha lasciata un po’ perplessa soprattutto per l’interpretazione troppo semplicistica del pensiero di Machiavelli che d’altra parte difficilmente può prestarsi ad essere sintetizzato in così poche pagine senza incorrere nell’evidente rischio di essere falsato e distorto.

Tornando invece al libro, ho molto apprezzato come  la descrizione della figura di Lucrezia Borgia, colei che per secoli è passata alla storia come un’avvelenatrice priva di scrupoli e di facili costumi, venga invece qui ritratta tenendo conto di quel revisionismo storico a cui è stata giustamente sottoposta negli ultimi anni.

Cesare Borgia era affascinante, coraggioso, risoluto e intelligente, ma è altrettanto vero che sapesse essere anche terribilmente spietato. Non si può certo negare questo aspetto del suo carattere, ma la sua figura andrebbe quantomeno storicamente contestualizzata. L’epoca in cui egli visse fu un’epoca dove tradimenti, crimini e assassinii erano all’ordine del giorno, eppure, egli passò alla storia come il più spietato di tutti. Stessa sorte toccò al tanto vituperato Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borgia, sebbene il papato avesse già conosciuto papi altrettanto corrotti e nepotisti. Non possiamo dimenticare, per esempio, che solo pochi anni prima nel 1478 Sisto IV fu uno dei più potenti alleati della famiglia Pazzi in quella congiura che si concluse durante la messa nel Duomo di Firenze con l’assassinio di Giuliano de’ Medici e dalla quale per pura fortuna il Magnifico riuscì ad uscirne solo lievemente ferito.

La figura di Cesare Borgia, come molto raramente accade nella storia, assurse alla gloria del mito quando egli era ancora in vita ed è davvero apprezzabile l’idea di riproporre una rilettura moderna della leggenda del Valentino rifacendosi agli scritti e all’esperienza del Machiavelli, per cui se cercate una lettura valida, ma non troppo impegnativa sull’argomento questo libro potrebbe fare al caso vostro.

 

 

domenica 17 aprile 2022

“Le dimore dei Medici in Toscana” di Laura Alidori

Il libro di Laura Alidori prende spunto dalla serie di medaglie dedicate alle dimore medicee da Cesare Alidori per raccontarci la loro storia.

Il numismatico, amante dell’arte arte e grande appassionato della famiglia Medici, creò questa serie di ventisette medaglie proprio con l’intento di ricostruire la fisionomia delle loro proprietà in Toscana così come dovevano apparire ai loro occhi.

Ogni medaglia riporta una data che si rifà alla data di acquisto oppure alla data in cui furono eseguiti degli importanti interventi di restauro che più ne caratterizzarono la fisionomia.

Alidori ci ha restituito quindi, attraverso un’accurata ricerca storica, l’immagine originale di quelle dimore così come noi oggi possiamo solo immaginarle essendo state profondamente modificate nel corso dei secoli.

Il libro è suddiviso in 26 capitoli, ognuno dedicato ad una dimora, ed è corredato da una piantina, da tre tavole riportanti tutta la serie completa delle medaglie e da una breve bibliografia.

Ogni capitolo presenta all’inizio la medaglia relativa all’edificio a cui è dedicato e si chiude con una fotografia dello stesso allo stato attuale.

Il racconto della storia delle dimore non può ovviamente prescindere dal racconto della storia della famiglia Medici e da quella di Firenze stessaIl percorso si snoda tra palazzi di città e ville di campagna

Le ville avevano funzioni diverse: dallo svago, alla villeggiatura, alla caccia oppure erano vere e proprie aziende agricole, ma non solo. La Villa di Seravezza, per esempio, in provincia di Lucca fu fatta costruire da Cosimo I per trascorrervi un lieto soggiorno estivo, ma anche per poter seguire personalmente i lavori di estrazione di marmo “mistio” di cui erano state riattivate a quel tempo le miniere.

Vasto spazio è dato alle dimore presenti a Firenze: da Palazzo Medici in Via Larga, nato dal desiderio di Cosimo il Vecchio, a Palazzo Vecchio che con Cosimo I divenne dimora della famiglia prima che questa si trasferisse a Palazzo Pitti e, proprio parlando di Palazzo Pitti, non poteva mancare una breve descrizione anche dei Giardini di Boboli. Sempre a Firenze viene incluso tra le dimore medicee anche il Forte Belvedere dove veniva custodito il tesoro dei Medici e dove la famiglia poteva rifugiarsi in caso di pestilenze o sollevazioni popolari.

Il racconto spazia dalle ville di campagna tanto care a Cosimo il Vecchio e a Lorenzo de’ Medici fino ad arrivare a quelle più amate dagli ultimi esponenti della famiglia.

Possiamo per esempio ricordare la Villa di Pratolino acquistata da Francesco I che ne fece una splendida dimora per lui e la sua seconda moglie, la veneziana Bianca Cappello, e che fu in seguito molto amata anche dal Gran Principe Ferdinando, primogenito di Cosimo III, che la elesse a sua dimora preferita facendovi costruire anche un teatro.

Ferdinando de’ Medici fu forse l’esponente della famiglia che più amò dedicarsi all’acquisto e alla ristrutturazione di ville, celebri sono la Villa di Artimino, detta anche la “Ferdinanda” e la Villa dell’Ambrogiana, villa che fu molto amata anche dal Granduca Cosimo III, nonostante le tante problematiche che la caratterizzarono fin dall’inizio, sia per la scelta del sito ventoso su cui si scelse di edificarla sia per la vicinanza dei fiumi Arno e Pesa che, con le loro continue inondazioni, ne indebolivano costantemente le strutture.

Tanti gli aneddoti legati a tutte queste dimore: dall’uccisione di Isabella de’ Medici avvenuta per mano del marito nella Villa di Cerreto Guidi, alle morti di Francesco I e Bianca Cappello avvenute nella Villa di Poggio a Caiano e delle quali il primo sospettato fu il fratello di lui, il futuro Ferdinando I. La villa di Poggio a Caiano era stata acquistata da Lorenzo de’ Medici che ne aveva affidato i lavori di ristrutturazione a Giuliano da Sangallo; alla morte del Magnifico fu il figlio Leone X, al secolo Giovanni de’ Medici, che si occupò di portare avanti i lavori non ancora terminati.

Ci sarebbe da dire tantissimo su queste dimore, ma ovviamente non posso parlarvi di tutte in un solo post. Molte di loro sono oggi proprietà privata o sede di istituzioni come nel caso della Villa di Castello, oggi sede della prestigiosa Accademia della Crusca, alcune sono state trasformate in abitazioni, ma ce ne sono altre ancora visitabili.

Ecco, il limite di questo volume è che essendo una pubblicazione del 1995 per quanto riguarda le possibili aperture al pubblico e la proprietà non può essere ovviamente aggiornato. Un esempio può essere quello della Villa dell’Ambrogiana che, all’epoca della pubblicazione, era l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario e tale restò fino al 2017, sebbene negli ultimi tempi fosse possibile visitarne alcune parti su appuntamento accompagnati da una guida. Oggi per la Villa dell’Ambrogiana si parla di un suo possibile inserimento nel progetto “Uffizi diffusi” che si spera possa restituirgli almeno in parte lo splendore di un tempo.

A chi volesse prendere spunto per la visita di qualche villa in particolare consiglio quindi di consultare i relativi siti online per non incorrere in spiacevoli sorprese.

Nell’insieme ho trovato il libro molto scorrevole, ben scritto, ben documentato e puntuale a parte forse qualche piccolo refuso.

Che dire? Non vedo l’ora di andare a visitare quelle dimore che ancora mi mancano.

 

 


domenica 3 aprile 2022

“Le ricorrenze” di Franco Brogi Taviani

Guglielmo Aspesi è il personaggio principale di questo singolare romanzo in cui la vita del protagonista viene narrata ripercorrendone gli episodi salienti attraverso le varie ricorrenze.

I diversi Natale, Ferragosto, Primo Maggio, Epifania, compleanni diventano l’impianto narrativo seguito da Franco Brogi Taviani per raccontare la storia della vita di Guglielmo dal 1929, quando ancora bambino amava ascoltare le favole che il padre gli raccontava, fino agli anni Duemila. 

La storia di Guglielmo Aspesi è però anche la storia dell’Italia dagli anni della recessione fino al nuovo millennio.

Una vita intensa quella di Guglielmo: partigiano, storico dell’arte, assistente universitario, politico, impiegato e giornalista. Tante personalità diverse in uno stesso uomo che sembra però non essere mai davvero soddisfatto della propria esistenza, sempre teso a desiderare qualcosa di diverso dall'obiettivo appena raggiunto.

Il rapporto distaccato con il fratello maggiore, l’indifferenza provata dinnanzi alla morte del padre, la superficialità con cui tradisce continuamente la moglie che lo porterà inevitabilmente al divorzio e al fallimento finanziario, i difficili rapporti con il figlio maggiore a lui ostile fin da bambino e l’amore per una figlia che fin da piccola presenta gravi disturbi alimentari sono evidenti segnali delle sue difficoltà relazionali.

“Le ricorrenze” è un romanzo crudo e per certi versi crudele come lo è la vita che ci pone dinnanzi a scelte dolorose e all’amara accettazione di ciò che avrebbe potuto essere ma non è stato talvolta per colpa nostra, altre volte per colpa di una sorte beffarda.

Sono i sentimenti umani i veri protagonisti di questo libro: l’invidia, la passione, il rimorso, l’amore, l’accettazione di sé e degli altri, la pietà, il senso di perdita, la paura, l’incommutabilità, i dubbi e la disillusione.

La famiglia Aspesi è una famiglia come tante altre con i propri limiti, le proprie debolezze e criticità, ma allo stesso è anche unica ed esclusiva nel proprio modo di essere. Leggendo queste pagine torna spesso alla memoria il famoso incipit di Anna Karenina di Lev Nikolàevič Tolstòj: “Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”.

Non si simpatizza con Guglielmo Aspesi troppo nevrotico, egocentrico, incapace di provare sentimenti genuini, sempre troppo concentrato su di sé. Lo stesso suo essere sostenitore delle pari opportunità uomo/donna alla fine si rivela nei suoi atteggiamenti, nei confronti della compagna prima e della moglie poi, solo pura ipocrisia.

Guglielmo Aspesi è pero umano, questo è innegabile, e forse proprio per questo il lettore si ritrova ad essere per certi versi comprensivo nei suoi confronti, perché essere indulgenti con lui significa poterlo essere anche con se stessi.

Il libro di Franco Brogi Taviani è un romanzo che invoglia il lettore a farsi domande e a guardare indietro al tempo andato, spingendolo a prendere un quaderno per mettere sulla carta quel flusso inarrestabile di ricordi fatto di eventi e di persone che magicamente sembrano riaffiorare da un passato che si pensava di aver dimenticato per sempre.

La quarta di copertina recita “Quanti giorni sono necessari per comprendere il senso di una vita?” una domanda a cui è difficile, se non proprio impossibile, dare una risposta, così come impossibile è sapere cosa si nasconda in quel cofanetto di cui parlavano i fratelli Grimm in “La chiave d’oro”, fiaba che ossessionò per tutta la vita Guglielmo Aspesi fin da quando bambino ne ascoltò dal padre per la prima volta il racconto.

 


 

domenica 27 marzo 2022

“La vita quotidiana a Firenze ai tempi di Lorenzo il Magnifico” di Pierre Antonetti

L’immagine che tutti noi abbiamo della Firenze dell’epoca di Lorenzo il Magnifico è quella di una città ricca e caratterizzata da un grande fermento culturale.

Pierre Antonetti in questo libro che potete trovare in libreria edito da BUR oppure in edicola come seconda uscita della collana “Biblioteca della storia. Vite quotidiane” del Corriere della Sera, si pone l’intento di ricostruire nella maniera più autentica possibile quella realtà piena di contrasti che caratterizzò la Città del Giglio in quegli anni.

Sulla figura di Lorenzo il Magnifico la storiografia ha fatto talvolta emergere delle ombre: Pierre Antonetti cerca, attraverso l’analisi degli aspetti quotidiani della Firenze del tempo, di fare luce anche sulla personalità e sull’opera di questo illuminato “sovrano” divenuto leggenda nell’immaginario collettivo.

Ogni aspetto della vita quotidiana della Firenze del Quattrocento viene inserito all’interno di un quadro più ampio e soprattutto quando si tratta di argomenti che riguardano la politica e l’economia questi vengono affrontati facendo le giuste premesse, rifacendosi cioè alla storia dei secoli precedenti e all’eredità anche culturale lasciata dai predecessori a Lorenzo. Egli sotto moltissimi aspetti fu l’esponente di maggior spicco della sua famiglia, ma ci furono campi in cui altri brillarono maggiormente ed è il caso del banco dei Medici il cui apice era stato raggiunto sotto la guida di Cosimo il Vecchio.

Molti i temi trattati: la città e le famiglie che si contendevano il potere, l’edilizia, la vita politica e la trasformazione degli organi istituzionali, la società e le differenze di classe, il mondo del lavoro e i salari, la schiavitù, la banca e le valute e, infine, un ampio sguardo sul mondo della cultura, delle feste e dei giochi.

Si fa riferimento agli scritti del Magnifico mettendo in evidenza che, per quanto essi fossero di pregevole qualità, il giudizio su di questi nel corso dei secoli sia stato influenzato con ogni probabilità dalla grandezza dell’uomo di Stato che egli indubbiamente fu.

Ampio spazio è poi dato agli artisti e alle loro botteghe, puntualizzando che la figura dell’artista libero di esprimere la propria arte, di scegliere i temi e lo stile era ben lungi da quello che intendiamo noi oggi. L’artista di quei tempi era pur sempre una specie di artigiano e, per quanto talvolta amico del committente, come ne caso di Donatello e Cosimo de’ Medici, non avrebbe mai potuto aspirare a quel rango di cittadino influente che gli avrebbe permesso di  dedicarsi alla direzione degli affari pubblici.

Anche le appendici del libro trattano temi e approfondimenti di notevole interesse che integrano quanto già esposto nelle precedenti pagine; tra gli argomenti più rilevanti: l’antisemitismo, la prostituzione e l’omosessualità.

L’esposizione molto discorsiva rende la lettura veramente piacevole, inoltre il testo è molto ben documentato come si evince dalle note a piè di pagina e dall’ampia bibliografia riportata al termine del volume.

Un libro interessante, di qualità e mai ripetitivo o noioso. Una lettura assolutamente consigliata per conoscere più a fondo questo affascinante periodo storico.

 



 

domenica 20 marzo 2022

“I giardini di Boboli” di Mariella Zoppi

I giardini di Boboli, dichiarati dall’UNESCO sito patrimonio dell’Umanità nel 2013, sono con i loro 45 ettari di estensione il più significativo dei giardini medicei.

Come recita il sottotitolo i giardini di Boboli sono una passeggiata nella storia, una storia che, iniziata nel 1549 con l’acquisto dei terreni da parte di Eleonora di Toledo, giunge fino ai giorni nostri.

I giardini di Boboli sono molto di più del monumentale giardino di Palazzo Pitti, sono di fatto un museo a cielo aperto che racchiude opere che vanno dall’epoca romana fino al XX secolo con il Tindaro screpolato di Igor Mitoraj, prima scultura novecentesca qui accolta per sottolineare la continuità della cultura, dell’arte e della bellezza ospitate in questo luogo nel corso di tanti secoli.

Il libro di Mariella Zoppi si apre con l’interrogativo ancora aperto su quale sia l’origine del termine “Boboli” che potrebbe risalire ad alcuni nomi di famiglie del luogo oppure da Bobilo un dignitario germanico che qui dimorava. Altra ipotesi è una derivazione da bubilia cioè la stalla bovina per la macellazione degli animali.

Cione di Bonacorso Pitti acquistò nel 1341 un primo nucleo di terreni e nel 1418 Luca Pitti iniziò a costruirvi il proprio palazzo che doveva rivaleggiare per magnificenza con quello dei Medici di via Larga, oggi Palazzo Medici Riccardi. Il declino della famiglia Pitti portò la proprietà all’abbandono fino a quando Eleonora di Toledo, sposa di Cosimo I de' Medici, volle acquistare il palazzo e il terreno circostante per far si che i propri figli potessero crescere in un ambiente più salubre di quello offerto da Palazzo Vecchio. Inoltre, fattore non secondario, da donna abile e accorta qual era, aveva compreso l’esigenza di dover dotare il Granducato di Toscana di una sede di rappresentanza degna del nuovo status raggiunto dalla famiglia.

Ogni Granduca operò delle trasformazioni e contribuì a suo modo a rendere questi giardini il luogo unico e magnifico giunto sino a noi. Mariella Zoppi descrive la passeggiata attraverso i giardini seguendo due itinerari: quello che definisce l’asse antico, che fa riferimento al primo impianto del giardino mediceo quello del cosiddetto anfiteatro, e un secondo percorso che si rifà all’ampliamento seicentesco con il Viottolone e la Vasca dell’Isola.

È presente anche un capitolo, opera di Paola Maresca, dedicato alla simbologia e alle tante allegorie alchemiche che caratterizzano i giardini in ogni loro elemento. 

In verità, come scrive Paola Maresca, nonostante il giardino abbia subito vari rimaneggiamenti nel corso dei secoli e abbia subito l’influenza delle varie correnti artistiche in particolare quelle del Rinascimento e del Manierismo, ha sempre mantenuto costante il concetto di giardino come iter iniziatico. Alchimia e scienza, del resto, sono sempre state molto importanti per la maggior parte degli esponenti della famiglia Medici.

La seconda parte del libro è dedicata alle biografie dei personaggi che hanno fatto la storia dei giardini di Boboli. Si tratta di brevi schede precise e accurate suddivise in tre parti: Granduchesse e Granduchi della famiglia Medici, i Lorena e infine le due figure femminili che occuparono la scena durante l’intermezzo napoleonico Maria Luisa di Borbone ed Elisa Bonaparte Baciocchi.

“I giardini di Boboli” è un libro di appena 130 pagine, ben articolato e corredato da un’ampia documentazione fotografica. Un giusto compromesso per chi voglia un volume che sia una valida via di mezzo tra la semplice guida turistica e il ponderoso saggio storico-artistico. Da leggere prima della visita e da portare con sé.




martedì 15 marzo 2022

“Il respiro degli angeli” di Emanuela Fontana

Venezia, 1688. Giambattista Vivaldi per mantenere la sua numerosa famiglia si è adattato a fare il barbiere, ma non perde occasione per dedicare ogni momento libero al suo amato violino.

Proprio con il violino è solito intrattenere anche i suoi bambini tra questi il piccolo Antonio che fin dalla nascita ha manifestato gravi problemi di salute. 

Toni, il cui cuore corre troppo veloce e a cui spesso manca il respiro, un giorno si ritrova il violino del padre tra le mani e, senza avere mai prima d’allora studiato musica, improvvisa una melodia che stupisce tutti i presenti. Sarà l’inizio di una passione che non lo abbandonerà più per tutta la vita neppure quando per voler dei suoi genitori sarà spinto a prendere i voti.

Antonio Vivaldi, conosciuto da tutti come il Prete Rosso per la sua ribelle chioma rossa come il fuoco, raggiungerà la fama e il successo, presenterà le sue opere in tutti i più celebri teatri e porterà la propria musica in tutte le più grandi Corti, farà conoscenza di nobili, re e principi, sarà ammirato e invidiato. Vivaldi sarà anche fonte di pettegolezzi a causa dell’unica donna della sua vita Anna Girò, prima sua allieva e poi sua cantante e musa, fino a quando terminerà i suoi giorni dimenticato da tutti in un freddo inverno viennese.

Della vita di Antonio Vivaldi si conosce poco o nulla per cui il libro di Emanuela Fontana, seppur ben documentato e frutto di un lungo lavoro di ricerca, è una storia fortemente romanzata a causa delle fonti lacunose.

Molti personaggi sono frutto di fantasia dell’autrice come il dottor Gavioli e la sua famiglia, i comprovati rapporti con i nobili Marcello sono stati rimaneggiati per meglio adattarsi alla narrazione e per quanto riguarda l’amore tra Antonio Vivaldi e Anna Girò non esiste alcuna fonte che ne possa confermare la veridicità sebbene all’epoca le voci e i pettegolezzi fossero stati molto insistenti al riguardo.

Il romanzo si svolge su più piani spazio-temporali. Ai capitoli nei quali viene narrata la vita di Vivaldi a partire da quando era un gracile bimbo di dieci anni fino alla conquista della fama, si alternano i capitoli che lo vedono, anziano e caduto in disgrazia, aggirarsi per le fredde strade di Vienna mentre la sua amata Anna, ignara dello stato di salute in cui lui versa si interroga, sul loro indissolubile legame.

Il ritmo del racconto sembra quasi seguire i tempi propri della musica, così da lento il ritmo narrativo accelera improvvisamente facendosi veloce per poi rallentare nuovamente e così via in un continuo crescendo e diminuendo.

Non sono quindi tanto i cambi spazio-temporali del racconto quanto piuttosto proprio questa continua variazione di cadenza che, per quanto di estrema efficacia narrativa, risulta talvolta un po’ impegnativa per il lettore che deve adattarsi al continuo alternarsi del ritmo.

Il Vivaldi di Emanuela Fontana è un genio del suo tempo, un uomo assetato di fama e denaro, ma allo stesso tempo generoso con i meno fortunati ai quali è sempre pronto a donare; un uomo ossessionato dal desiderio di compiacere il pubblico, perfezionista e accentratore tanto che delle sue opere egli vuole occuparsi in prima persona di ogni aspetto facendosi persino impresario.

Vivaldi è tormentato dalla fuggevolezza dello scorrere del tempo, è uomo legato agli affetti famigliari, ma allo stesso tempo se ne sente talvolta schiacciato, soffre ogni tipo di costrizione e per questo rifugge dalle accademie. È un uomo dalle mille contraddizioni, in perenne movimento.

“Il respiro degli angeli” è una storia struggente che appassiona e incanta per la sua intensità; un racconto carico di pathos e di liricità.

L’interesse dell’autrice non è rivolto solo al Vivaldi artista, ma anche incentrato sul desiderio di comprendere quale uomo si celasse dietro alla sua leggenda.

“Il respiro degli angeli” è però anche un viaggio attraverso la musica di Antonio Vivaldi, un invito ad approfondire la sua vasta produzione della quale troppo spesso si conoscono solo i concerti più famosi.




sabato 26 febbraio 2022

“Le magnifiche dei Medici” di Daniela Cavini

Dodici brevi ritratti dedicati alle donne dei Medici, figure femminili sconosciute alla maggior parte delle persone a meno che non siano storici o cultori della Toscana medicea come scrive Paolo Ermini nella presentazione del libro.

Se tutti più o meno conoscono, anche solo i nomi, degli esponenti maschili della dinastia, pochi sono informati o si soffermano sull’importanza che ebbero alcune donne di questa illustre famiglia.

Daniela Cavini (autrice di “Storia di un’altra Firenze”), attraverso questi dodici camei prova a fare luce su queste figure femminili che furono a loro modo protagoniste della storia sebbene spesso dimenticate o peggio ancora talvolta vilipese.

Il primo ritratto che incontriamo è quello della madre di Lorenzo il Magnifico Lucrezia Tornabuoni, moglie di Piero il gottoso, colei che il suocero Cosimo il Vecchio definì l’unico uomo della famiglia. Dapprima sostegno per il marito spesso malato e poi per il figlio al quale di fatto consegnò praticamente intatto il patrimonio familiare, patrimonio che Lorenzo non fu altrettanto bravo a gestire.

Fu proprio la mente acuta di Lucrezia a ritenere che fosse giunto il momento adatto per fare il salto di qualità procurando al figlio una moglie di nobile stirpe e la scelta ricadde su Clarice Orsini.

Clarice Orsini fu la prima straniera ad entrare nella famiglia Medici e come tutte le straniere non fu mai accettata dal popolo. Non fu un matrimonio d’amore, Clarice onorò il suo compito e diede al magnifico nove figli, ma non si adatto mai ai costumi fiorentini e si scontrò spesso con il marito per l’educazione da impartire alla prole. Fu lei ad individuare nella cugina Alfonsina Orsini la moglie più adatta al primogenito Piero, detto in seguito Piero il fatuo.

Alfonsina Orsini è forse una delle meno conosciute di queste figure femminili. Quando nel 1494 i Medici furono nuovamente cacciati da Firenze a seguito dell’arrivo dei francesi lei restò da sola per un anno nel palazzo di via Larga a presidiare i beni di famiglia prima di risolversi a riunirsi al marito. Dopo la morte di questi poté dare sfogo a quella che la storia definì ambizione smisurata, ma che se fosse appartenuta ad un uomo probabilmente sarebbe passata per astuzia e intraprendenza. Sta di fatto che riuscì ad accasare i figli in modo molto conveniente: la figlia Clarice sposò infatti il banchiere Filippo Strozzi e il figlio Lorenzo, per il quale la madre era riuscita ad ottenere dal cognato papa Leone X il Ducato di Urbino, sposò la nipote del re di Francia Madeleine de la Tour d’Auvergne, Purtroppo Lorenzo e la moglie morirono entrambi a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro, dopo solo un anno di matrimonio quando la figlia Caterina aveva solo qualche giorno di vita.

Oltre alle pagine dedicate a Caterina de’ Medici e a Maria de’ Medici le due regine di Francia, la prima passata alla storia come la regina nera, l’avvelenatrice e la discepola di Machiavelli e la seconda come la mercantessa di Firenze superficiale, superba e dallo scarso senso politico, troviamo le pagine dedicate a Caterina Sforza ricordata dalla storia anche come la Tigre di Forlì.

Caterina Sforza fu la madre di Giovanni dalle Bande Nere che sposò la nipote di Lorenzo il Magnifico, Maria Salviati, figura femminile della quale si parla pochissimo, ma che fu fondamentale per la formazione e l’educazione del figlio Cosimo, destinato a divenire il primo Granduca di Toscana.

Cosimo sposò Eleonora di Toledo, sovrana superba e di una bellezza marmorea, come la definisce Daniela Cavini; il loro fu un matrimonio politico basato su forti interessi economici, ma che si rivelò, stranamente per l’epoca, anche un matrimonio d’amore.

Altre pagine sono dedicate a Isabella de’ Medici, la figlia prediletta di Cosimo I, donna colta e libera che trovò la morte molto probabilmente per mano del marito Paolo Giordano Orsini con la complicità del fratello di lei Francesco I, e a Cristina di Lorena, nipote di Caterina de’ Medici andata in sposa a Ferdinando I succeduto al fratello Francesco dopo la morte di questi sopraggiunta quasi contemporaneamente a quella della sua seconda moglie, la famosa Bianca Cappello, a cui non poteva ovviamente mancare in questo libro un capitolo a lei dedicato.

Infine, l’ultimo ritratto non poteva essere che riservato a lei, ad Anna Maria Luisa de’ Medici, l’Elettrice Palatina, ultima della sua stirpe colei a cui spettò il gravoso e ingrato compito di consegnare il Granducato nelle mani degli Asburgo-Lorena non senza avergli fatto sottoscrivere prima quel famoso Patto di Famiglia grazie al quale Firenze possiede ancora oggi il suo immenso patrimonio artistico che ne fa una delle città d’arte più belle del mondo.

Non possiamo dire che le donne dei Medici rivestirono sempre un ruolo passivo perché furono mogli e madri di uno spessore straordinario. A mio avviso, i Medici per primi compresero il valore e l’importanza delle figure femminili nello scacchiere politico e sociale tanto che spesso attribuirono alle loro donne, diremmo oggi, un ruolo mediatico di rilievo. Le donne Medici si distinsero alcune anche per bellezza, ma soprattutto per la loro componente intellettuale e la loro eleganza. È vero che oggi solo gli appassionati della famiglia Medici e gli storici ne ricordano i nomi e l’importanza, ma se guardiamo al passato non fu sempre così o almeno non per tutte le figure femminili della famiglia.

Il libro di Daniela Cavini è un validissimo compendio per colmare le lacune del lettore sul ruolo della donna in seno alla famiglia Medici e per spingerlo ad approfondire la storia di quelle figure femminili che più l’hanno colpito e incuriosito.

“Le magnifiche dei Medici” è un breve saggio puntuale, ben documentato e dalla veste grafica preziosa ed accattivante.