Siamo sul finire del
Seicento, in una Venezia in declino dal punto di vista politico ma ancora
largamente attiva sul piano culturale e musicale, due bambini vengono alla luce a distanza di un anno l’uno
dall’altro.
Nel 1677 la neonata Lucietta viene abbandonata e affidata all’Ospedale
della Pietà, Antonio Vivaldi nasce
appena un anno dopo, nel 1678.
Due
vite consacrate alla musica, le loro, ma mentre Lucietta è
condannata a trascorre tutta la sua esistenza tristemente reclusa in un ambiente
difficile e ostile, Antonio è invece destinato ad andare in giro per il mondo e
ottenere una fama internazionale.
Don
Antonio Vivaldi e l’organista Lucietta avranno modo di fare musica
insieme, seppur per un breve periodo, ma quei pochi attimi basteranno per
toccare in qualche modo le loro anime per sempre.
“Lucietta” di Federico Maria
Sardelli è un libro che unisce due
generi molto diversi tra loro: il romanzo e il saggio. Alternando capitoli
dedicati a fatti immaginati a capitoli
dedicati a fatti documentati,
l’autore riesce a ricreare perfettamente le atmosfere della Venezia dell’epoca.
Il racconto è incentrato sulle
condizioni di vita delle piccole che venivano accolte all’Ospedale della Pietà,
vite di povere segregate, come era stata quella di Lucietta; racconto di vite caratterizzate
da cibo scarso e di pessima qualità, da malattie (angoscianti le pagine in cui
viene descritto come si tentò di curare l’affezione agli occhi di Lucietta), da
cattiverie e vessazioni perpetrate ai danni delle recluse sia dalle compagne che
da chi avrebbe dovuto vegliare su di loro.
È tangibile il senso di
angoscia e di claustrofobia che doveva attanagliare le figlie della Pietà. Federico
Maria Sardelli è davvero abile a descrivere quei sentimenti di inquietudine,
rivalsa, gelosia e tormento che si dovevano respirare tra quelle mura.
Eppure, ambienti tanto
freddi e privi di empatia come gli
ospedali veneziani furono formidabili centri di produzione musicale a cui si
guardava con interesse non solo da parte dei cittadini, ma anche dei visitatori
stranieri. Alcune esecuzioni raggiungevano tali livelli da suscitare grande ammirazione
persino nei diaristi e nei cronisti più celebri dell’epoca.
Molti
dei manoscritti che Vivaldi scrisse durante il suo primo mandato per l’Ospedale
della Pietà sono andati purtroppo perduti. Il maestro Sardelli
sottolinea però il fatto che, sulla base di quel poco che si è conservato, possiamo
oggi osservare quanta formidabile cura Vivaldi mettesse nel dare a ciascuna figlia il tipo di musica adatta
all’altezza della sua maturazione tecnica.
Avvalendosi delle fonti d’archivio per raccontare la verità dei
fatti e facendo al tempo stesso ricorso alla fantasia per compensarne le lacune e per rendere più fluida la narrazione, Federico Maria Sardelli è riuscito
nell’impresa di fare riemergere dalle
ombre del passato e dare voce alla figura storica di una musicista di grande
talento dimenticata dal tempo, non perché non abbastanza talentuosa, ma
perché, come scritto nelle note stesse dell’autore, appartenente alla classe dei
diseredati.
La Lucietta di Federico
Maria Sardelli è mansueta e testarda, ha imparato presto che la rassegnazione è
la miglior medicina nei momenti di avversità, ma per lei sbagliare è un’umiliazione
insopportabile. Ha un carattere forte e sembra sempre molto sicura di sé, eppure,
nasconde anche tante fragilità e una di queste si chiama proprio Antonio
Vivaldi.
La protagonista di questo libro, così come il famoso musicista che abbiamo già avuto modo di apprezzare negli altri volumi a lui dedicati da Federico Maria Sardelli, fa parte di quei personaggi destinati ad essere irrimediabilmente amati da tutti i lettori.
Di Federico Maria Sardelli vi ricordo: