giovedì 29 febbraio 2024

“Cosimo I de’ Medici” di Eugenio Giani

Perché scrivere un altro libro su Cosimo I quando tanto è già stato scritto sull’argomento? Inizia con questo interrogativo il saggio di Eugenio Giani. Invero, lo stesso che mi ero posta io prima di accingermi alla lettura. Domanda lecita dalle risposte molteplici e non banali.

Il libro di Eugenio Giani è un saggio dal carattere divulgativo che indaga tutte le sfaccettature della complessa personalità di Cosimo I de’ Medici. In queste pagine viene evidenziata, attraverso connessioni e suggestioni, l’importanza che Cosimo ebbe non solo per Firenze ma per l’intera Toscana. Il sottotitolo che lo definisce “il padre della Toscana moderna” è senza dubbio un titolo evocativo ma anche un’incontrovertibile verità. 

Se è vero, infatti, che tutti ricordano quello che di grande fece il Magnifico per Firenze, è indubbio che altrettanti meriti vadano riconosciuti proprio al primo Granduca di Toscana, colui che fece di questa terra uno Stato moderno in grado di dire la propria accanto alle grandi potenze dell’epoca, certo non in virtù dell’estensione territoriale, davvero esigua, ma grazie ad un’efficiente macchina governativa.

Cosimo scelse come suo motto Festina lente (affretti lentamente) e come impresa una tartaruga con una vela sul suo carapace. Fu un uomo dotato di una determinazione e una lungimiranza non comuni, ma contrariamente a quanto si potrebbe pensare, seppe essere anche molto paziente, attendendo sempre il momento propizio per agire e comunque mai prima di essersi ampiamente documentato.

Per molti egli fu un uomo ambizioso, accentratore e umorale. Certamente Cosimo I non ebbe un carattere facile; fu sempre poco incline a fidarsi del prossimo, retaggio degli insegnamenti materni e di un’infanzia piuttosto complicata per via degli eventi politici del tempo, e agì anche in modo spietato contro chi osò sfidare la sua autorità. Va però detto, almeno a sua parziale discolpa, che fu un grande legislatore e, tenendo conto di quelle che dovevano essere la moralità e la cultura dell’epoca, egli agì sempre secondo la legge.

Quando Cosimo salì al potere la situazione finanziaria dello Stato era prossima alla bancarotta. Nei suoi 37 anni di governo ridisegnò l’economia della Toscana e non ci fu settore al quale egli non mise mano, dall’attività estrattiva fino addirittura alla pesca e alla piscicoltura.

Comprese fin da subito l’importanza degli sbocchi sul mare sia per aiutare l’espansione economica del territorio sia per rafforzare il peso del Ducato sullo scacchiere politico del tempo.

Cosimo non fu un condottiero, non scese mai in battaglia in prima persona, fu  piuttosto un uomo di penna dotato di grande lucidità ed eloquenza.

Ebbe la straordinaria capacità di saper scegliere e circondarsi dei più validi collaboratori in ogni settore; questo lo condusse alla vittoria in quelle guerre che dovette combattere.

Firenze fu indubbiamente il centro del potere, ma Cosimo comprese l’importanza di fare sentire la propria presenza su tutto il territorio e lo fece anche attraverso innumerevoli viaggi. La stessa Pisa, l’antica rivale, la Repubblica sconfitta dai fiorentini, diverrà a tutti gli effetti una sorta di seconda capitale del Granducato.

Cosimo sostituì il vecchio sistema della Corte con delle magistrature che noi oggi noi definiremmo ministeri. Tra questi potremmo identificare tra gli altri un ministero dei beni culturali, a cui fece capo il Vasari, e un ministero dei beni ambientali affidato al vecchio Ordine di Parte Guelfa a cui venne data nuova vita attraverso la Legge dell’Unione.

Persino il paesaggio della Toscana venne rimodellato per volere di Cosimo: furono costruite nuove città e ne furono ammodernate altre, grande impulso venne dato alla costruzione di mura e fortificazioni, vennero costruiti nuovi acquedotti e molti terreni vennero bonificati per essere resi produttivi.

Cosimo diede molta importanza agli archivi, alla stampa, alla cultura e all’arte non meno che all’economia.

Ebbe la fortuna di essere affiancato da una consorte quale Eleonora di Toledo, donna colta, raffinata e dotata di un fiuto per gli affari non inferiore al suo. Il loro fu un matrimonio politico ma anche un’unione molto felice. Purtroppo Eleonora morì molto giovane e questo fu un duro colpo per Cosimo. Eleonora morì con il titolo di duchessa, non poté partecipare alla gioia del marito per la consacrazione a primo Granduca di Toscana.

Il libro di Eugenio Giani è una lettura estremamente piacevole, dettagliata e ampiamente documentata. Seguendo le tracce dei tanti luoghi disseminati in Toscana che ancora oggi portano il segno dell’opera del primo Granduca Medici, Giani ci regala un vivido ritratto di quel fine politico e statista che fu Cosimo I senza tralasciare di dipingerne anche, attraverso curiosi particolari e aneddoti, i connotati più umani, legati al suo essere anche uomo comune, figlio, marito e padre oltre che capo di Stato.

“(…) a volte sono proprio le vicende a margine che danno il senso di un’esistenza”



domenica 18 febbraio 2024

“Dietro le colonne” di Navid Carucci

Dopo “La Luce di Akbar”, pubblicato sempre con La Lepre Edizioni, Navid Carucci torna a parlarci dell'Impero Moghul.

Siamo nel 1657, l’Hindostan è una terra florida e in pace, il regno è amministrato da ufficiali capaci e giusti, la raccolta dei tributi è equa, ma improvvisamente, quando il sovrano si ammala e tutti temono il peggio, si riaccendono le faide per la successione.

L’imperatore Shan Jahan ha già da tempo designato come erede il primogenito Dara Shikoh, ma questo non impedirà che gli altri fratelli scendano in campo contro di lui e contro lo stesso padre, che si sarà nel frattempo rimesso dalla la crisi, scatenando una sanguinosa guerra per il trono.

Jahanara, la figlia maggiore, Somma Principessa, ha fatto da madre ai fratelli e le sorelle; Mumtaz Mahal era infatti morta di parto quando Jahanara aveva appena diciassette anni.

La tradizione dei Timuridi è una tradizione di sangue, lo stesso Shan Shikoh non si era fatto scrupoli di uccidere fratello e nipote pur di conquistare il potere. Jahanara, principessa illuminata e cosmopolita, vorrebbe impedire che la storia si ripeta ma non ci riuscirà.

Jahanara è molto vicina all’erede al trono designato dal padre. Dara Shikoh è di un solo anno più giovane di lei. Entrambi desiderano una religione universale e non divisiva, tutto è Dio.

Proprio la religione sarà al centro dello scontro con Aurangzeb, terzo figlio maschio di Shan Jahan, sunnita ortodosso ed estremista.

Se Jahanara parteggia per il primogenito Dara Shikoh, Rosahanara è dalla parte di Aurangzeb, mentre la più giovane delle figlie dell’imperatore, Gauharara, è molto vicina Shah Shuja, secondogenito maschio, di presunta fede sciita.

Navid Carucci con magistrale bravura è riuscito ancora una volta a raccontare la storia con la S maiuscola attraverso la narrazione romanzata dei suoi personaggi. Con l’introduzione di personaggi nati dalla sua fantasia e grazie alla dettagliata caratterizzazione piscologica dei protagonisti realmente esistititi, l’autore è riuscito a regalarci un affresco quanto più verosimile di un’epoca tanto ricca di contraddizioni.

Tra le pagine troviamo racconti di avvenimenti e tradizioni che spesso ci colpiscono per la loro violenza e crudeltà, come quando leggiamo della cerimonia funebre hindu in cui le mogli del defunto venivano arse vive insieme al corpo del marito talvolta volontariamente, più spesso costrette. In verità, se ci pensiamo, anche la storia occidentale è costellata di altrettanta violenza, basti pensare per esempio alle nostre corti rinascimentali, alle guerre di religione tra cattolici e protestanti e all’Inquisizione.

L’aggressività che ritroviamo nel racconto di Navid Carucci però non è solo quella fisica che si sviluppa tra i fratelli in lotta per il potere; le sorelle, pur non combattendo tra loro con le armi, si fronteggiano con una violenza psicologica altrettanto vigorosa.

Jahanara è fortemente avversata da Rosahanara. Le accuse che la secondogenita rivolge alla sorella maggiore nascono soprattutto da un sentimento di rivalsa e invidia per essere sempre stata messa in secondo piano. Esecrabile per i suoi modi, non la si può certamente assolvere per la sua cattiveria d’animo, ma Rosahanara non è poi così lontana dalla verità quando accusa Jananara di non sapere cosa voglia dire essere sempre seconda, di aver sempre vissuto su di un piedistallo. Da parte sua Jahanara, schiacciata dalle responsabilità, ha anche lei i suoi demoni da affrontare come la mancata maternità, che vive come un terribile fallimento personale, e la continua ricerca di un equilibrio che sembra sempre sfuggirle.

Gauharara è forse l’unica che riuscirà a fare pace con se stessa superando il proprio demone ovvero il terribile senso di colpa per aver provocato la morte della madre con la propria nascita.

“Dietro le colonne” racconta il passato, un passato lontano nel tempo, ma che ha ancora un forte legame con il presente, vuoi perché ci porge una chiave per meglio afferrare dinamiche politiche e religiose ancora attuali, vuoi perché ci fa comprendere che alcuni demoni personali con i quali ci confrontiamo noi tutti sono gli stessi da sempre perché parte dell’essere umano in quanto tale.

Farti valere non significa tradire i tuoi famigliari, anzi non devi smettere di amarli, di amare, o governerai senza cuore. Però i vincoli della sottomissione sono d’impaccio al volo.

giovedì 1 febbraio 2024

“Giuliano de’ Medici” di Rita Delcroix

Quando ci si sofferma ad osservare la splendida tomba del duca di Nemours (1479-1516), con la bellissima rappresentazione del giorno e della notte, opera di Michelangelo, pochi si interrogano su chi davvero fosse stato Giuliano de’ Medici, pochi ne conoscono la storia.

Rita Delcroix ha colmato questa lacuna regalandoci, a mio avviso, una delle più belle biografie che siano mai state scritte su questo personaggio le cui sembianze sono a noi giunte grazie ad un meraviglioso dipinto di Raffaello

Pochi come l’Urbinate furono capaci di cogliere l’anima dei personaggi ritratti e così fu anche per Giuliano. Non solo i dettagli fisici non sfuggirono all’occhio attento di Raffaello, come la falange mancante del dito indice della mano destra, ma anche quel suo essere gentile e quella sua bontà d’animo, qualità che lo resero benvoluto da tutti tanto da piangerlo ovunque quando per lui sopraggiunse la morte a soli 37 anni.

Lorenzo il Magnifico era solito dire dei suoi tre figli maschi che fossero uno saggio, uno buono e uno pazzo. Il pazzo era Piero, il primogenito, colui che morì nel Garigliano senza mai poter fare ritorno a Firenze dopo la cacciata del 1494; il buono, Giovanni, colui che salì al soglio pontificio con il nome di Leone X e infine, il saggio, Giuliano, quello a cui era più legato, l’ultimogenito nato l’anno dopo la Congiura dei Pazzi e a cui aveva dato il nome dell’amato fratello assassinato nel Duomo di Firenze il giorno 26 aprile 1478.

Giuliano, forse più degli altri figli, soffrì per la morte del padre al quale era sinceramente affezionato e per il quale nutriva quasi una venerazione. Per tutta la vita Giuliano, che verrà anch’egli appellato Magnifico come il padre, cercò invano di ricreare intorno a sé quell’ambiente famigliare e intriso della dottrina neoplatonica che aveva conosciuto durante la sua infanzia. 

Troverà però, per un breve periodo, qualcosa di simile ad Urbino, alla Corte dei Montefeltro, ultimo baluardo di cavalleria e neoplatonismo, dove stringerà solide amicizie e ritroverà vecchie conoscenza.

Malinconico, disilluso, sempre alla ricerca di un suo equilibrio in un’epoca tanto violenta e voltagabbana in cui stentava a riconoscersi, lui così leale e sincero, pervaso da un sentimento di fedeltà orgogliosa al passato e dalla volontà di essere all’altezza del nome di suo padre, Giuliano non possedeva né i difetti né le qualità necessarie per essere un politico. L’amore per il bello e per lo studio ne fecero l’emblema del cortigiano ideale, tanto che lo stesso Baldassare Castiglione ne fece uno dei protagonisti del suo celebre “Cortegiano”.

In un’epoca dove l’Italia era terra di conquista, dove ogni giorno alleanze, fedeltà, amicizie venivano continuamente negate e tradite, l’esule Giuliano,  unico Medici ovunque ben accetto per il suo buon carattere, viaggiò costantemente tra Venezia, Bologna, Roma, Urbino, fino al suo tanto agognato ritorno a Firenze. La città però era mutata e il palazzo di Via Larga non era più lo stesso, le sue mura non risuonavano più delle voci amate e famigliari dei protagonisti della Corte di Lorenzo Il Magnifico. Giuliano, spaesato e solo, preferì dunque fare ritorno a Roma, ancora una volta in cerca di quel mondo perduto, sempre nel vano tentativo di far rivivere un giorno i fasti della vecchia corte medicea perduta.

Giuliano de’ Medici fu molte cose: un soldato valoroso e sfortunato, un poeta e un letterato, un mecenate amico degli artisti, ma soprattutto, ammantato della suprema eleganza della sprezzatura, egli fu uno degli ultimi rappresentanti di un mondo al crepuscolo.

Il libro di Rita Delcroix è caratterizzato da una prosa elegante e fluida, le immagini scorrono vivide dinnanzi al lettore che sente, pagina dopo pagina, quasi di partecipare in prima persona agli eventi che incalzanti si susseguono.

L’opera della Delcroix è una biografia romanzata che presenta qualche imprecisione storica senza dubbio, ma nell’insieme è un libro davvero ben scritto: commovente, avvincente ed emozionante.

Una delle caratteristiche più apprezzabili di questo libro è l’interdisciplinarità degli argomenti perché, indagando a trecentosessanta gradi il personaggio di Giuliano e di coloro che vissero accanto a lui, Pietro Bembo , il Castiglione, Leonardo da Vinci, Raffaello solo per citarne alcuni,  Rita Delcroix indaga a tuttotondo anche la sua epoca dal punto di vista artistico, politico, storico, filosofico e letterario.

Difficile davvero condensare in poche righe i tanti stati d’animo suscitati da queste pagine ricche di storia e partecipazione emotiva.

Una lettura decisamente consigliata al di là della passione o meno condivisa per la famiglia Medici e per il periodo storico in cui i fatti narrati si svolsero.

(…) quell’esule povero e splendido che temperava l’orgoglio degli Orsini con l’intelligente umanità dei Medici.