Quando si inizia una nuova
lettura talvolta si rimane disorientati perché il romanzo non corrispondente
alle nostre aspettative. È quanto è accaduto a me leggendo le prime pagine di
“La danza della lepre”. Ero confusa perché non riuscivo a comprendere a cosa davvero
mirasse l’autrice con il suo racconto. Questa impressione è durata però solo
per qualche attimo, infatti, quasi senza accorgermene mi sono ritrovata
completamente assorbita dalla storia.
Una storia oltremodo singolare
che muta scenario di continuo e la cui interpretazione si apre su infiniti
piani spazio-temporali sebbene ambientata in un solo luogo e in
un tempo ben definito.
Nel 1959 Isabella Stazzano,
una studiosa inglese di folklore contadino, si ritrova a trascorre qualche mese
in un paese nella zona di Ascoli Piceno. Questa piccola frazione che da tutti viene
indicata come La Villa, in verità si chiama Noèlle,
nome il cui significato suonerebbe come luogo
che non è sicuro che esista ossia quello che in inglese potrebbe essere
tradotto similmente con nowhere.
La guida e custode di Isabella
in queste sue giornate alla Villa è una bimba sfrontata, maleducata, trasandata
e sporca che, nonostante tutte le attenuanti del caso, non suscita
proprio grande simpatia nel lettore. Pietruccia, derisa dagli anziani e
bullizzata dagli altri ragazzini, con i suoi otto anni d’età è il capro
espiatorio che porta addosso tutta l’umiliazione di un’intera comunità. Una collettività
che cerca, con ogni mezzo, di garantirsi un’esistenza nel futuro anche a costo di
cancellare per questo il proprio passato e le proprie origini.
La madre di Pietruccia, la Zinghirina,
è una donna irridente, irriverente e molto risoluta. Come la figlia è bersaglio
delle malelingue dei compaesani, ma nonostante la sua ruvidezza di modi e
l’indifferenza che mostra nei confronti di Pietruccia, si intuisce che la donna
nasconde anche un lato più umano che non sorprende quando, seppur per una sola
frazione di secondo, l’autrice ce lo mostra tra le righe.
La propensione ad esporre
sotto una luce sfavorevole le vicende altrui è parte integrante della chiusa
comunità contadina della Villa così come lo sono i foulard che le anziane
portano annodato sotto il mento e lo zinale dall’ampia tasca che indossano
sull’abito.
Filo conduttore del romanzo è
la storia delle gemelle Contigiani, le ultime ospiti del vecchio romitorio
femminile del paese. Il romanzo, che sulle prime appare quasi una sorta di
storia del folklore, all’improvviso si tinge di giallo quando Isabella
Stazzano viene spinta a ricercare la verità sulla morte delle Friche o Santucce.
A chiedere giustizia e verità sono le tre anziane custodi delle gemelle, le
Vizzòghe, che appaiano alla protagonista come l’immagine delle Parche, ma che
molto hanno in comune anche con le tre streghe del Macbeth shakespeariano.
A Noèlle il passato continua ad affacciarsi nonostante i
suoi abitanti lottino strenuamente per ricacciarlo indietro. È un luogo non luogo, né antico né moderno, è un
paese che lotta per la sopravvivenza, per affermare la sua voglia di resistere ed
esistere nel futuro.
La
storia delle Friche, di Pietruccia, della Zinghirina, del prete disperato,
delle Vizzòghe è la storia del passato che si scontra con il presente e lo fa
anche con violenza. In questa dura lotta non stupisce che il racconto sconfini
talvolta nel soprannaturale perché ai confini del mondo moderno, dove si
trova la Villa, chiunque alla fine potrebbe essere uno spettro.
Quella
raccontata nel romanzo di Giuseppina Pieragostini è una società che vive un’epoca
di passaggio, alla ricerca di identità e di stabilità. Una società
spaventata e confusa che non riesce ad afferrare pienamente il cambiamento che si trova di fronte.
Viene
spontaneo, per certi versi, paragonarla alla società moderna. Anche noi oggi ci
sentiamo disorientati e anche noi oggi stiamo vivendo un’epoca di grande trasformazione.
Siamo, che ci piaccia o meno, ormai entrati nell’era digitale, ma non è facile abbracciare
davvero una trasformazione così grande quando la si sta vivendo. Probabilmente
solo le generazioni future avranno gli strumenti per capire fino in fondo
quanto ci stia accadendo oggi e allora, quando anche noi saremo storia, chissà forse
appariremo ai loro occhi come gli abitanti di Noèlle.
"Questi tempi non hanno pazienza né per le magherie buone né per quelle cattive; rimane soltanto una parvenza di qualcosa che ne nessuno sa più cosa fosse".