sabato 31 agosto 2024

“I Leoni di Sicilia” di Stefania Auci

Nel 1799 Paolo e Ignazio Florio lasciano Bagnara Calabra per trasferirsi a Palemo. I fratelli Florio sono ambiziosi e gran lavoratori, hanno tutta l’intenzione di farsi strada, ma i nobili palermitani sono aggrappati ai loro privilegi e, seppur pesantemente indebitati, guardano dall’alto chi si ammazza di fatica per ritagliarsi il proprio posto in società.

I Florio sono gente tenace e nel giro di due generazioni la bottega di spezie con la quale hanno cominciato è solo l’infinitesima parte dei loro giro d’affari. In meno di un secolo sono riusciti a costruire quella che oggi verrebbe definita una vera e propria holding. I loro interessi economici si sono diversificati: hanno acquistato case e terreni, sono proprietari di una compagnia di navigazione, gestiscono diverse tonnare, sono produttori di marsala.

Nonostante il successo economico e politico raggiunto, molti a Palermo li definiscono ancora facchini, la nobiltà gli è ancora preclusa, il sangue fa la differenza. Con la terza generazione si avverte che il vento sta cambiando, ma questa sarà materia per il secondo volume della saga, “L’inverno dei  Leoni”.

Sullo sfondo della storia italiana dai moti del 1818 fino all’unità d’Italia la storia dei Florio imprenditori si intreccia con quella delle loro vicende personali. Una saga famigliare seducente e intrigante come i suoi protagonisti. Una storia che, sia per scrittura che per tematiche, ricorda i grandi testi della letteratura, primo tra tutti Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.

Molti sono gli spunti di riflessione che nascono durante la lettura del romanzo: alcuni di carattere più generale e legate alla società dell’epoca, come il ruolo della donna oppure la collusione tra politica e imprenditoria, altri di carattere umano come i rapporti tra genitori e figli oppure gli amori segreti e le complicate relazioni sentimentali. 

I protagonisti del romanzo, specialmente quelli maschili, non riescono mai ad avere rapporti sereni con gli altri famigliari. L’impero che riescono a costruire è qualcosa di immenso, ma la smodata ambizione e l’impegno profuso assorbono ogni loro energia. Qualunque cosa deve essere sacrificata sull’altare di Casa Florio.

Una trama interessante e una scrittura scorrevole caratterizzano questo romanzo. Alcune parole in dialetto talvolta potrebbero risultare un po’ ostiche, ma le ho trovate decisamente utili affinché il lettore riesca a calarsi ancora più profondamente nell’atmosfera del racconto che risulta sempre molto intenso e coinvolgente.

Ognuno all’interno del libro proverà simpatia per alcuni personaggi piuttosto che per altri. I miei personaggi preferiti sono stati Ignazio, il primo, quello arrivato a Palermo con il fratello Paolo, e Giulia Portalupi. Alcuni personaggi invece incontreranno le simpatie del lettore all’inizio per perderla magari nel corso della narrazione.  A me è accaduto con Giuseppina, la moglie di Paolo Florio.

Sono curiosa di leggere il secondo volume della saga e di vedere la serie TV omonima tratta da questo primo libro con Vincenzo Florio interpretato da Michele Riondino e Miriam Leone nei panni di Giulia Portalupi.





domenica 25 agosto 2024

“Figlia della palude” di Priska Nicoly

Aprile 1782 Caroline del Sud. La milizia lealista dei Bloody Scout giunge a Little Eden, la proprietà dei Langstone, e appicca il fuoco distruggendo ogni cosa. La figlia di Solomon Langston, Laudicea (Dicey), viene fatta prigioniera dal famigerato capo dei Bloody Scout, Bloody Bill.

Alcuni uomini della milizia credono che la ragazza sia una strega e lei non fa nulla per non alimentare tale sospetto, nonostante questo possa mettere seriamente a repentaglio la sua vita. Bloody Bill, però, sembra intenzionato a salvarla ad ogni costo dai suoi soldati perché Dicey sa dove si trova l’accampamento del fratello, il capitano James Langston. Una motivazione che col tempo sembra sempre più una mera scusa per coprire la vera ragione. 

Il romanzo cerca di rimanere il più fedele possibile alla realtà dell’ambientazione storica. I protagonisti del romanzo Bloody Bill (William/Liam Cunningham) e Dicey (Laudicea Langstom) sono due personaggi realmente esistiti. Proprio dalle loro storie l’autrice ha tratto ispirazione per creare la trama di questo libro nato dalla sua fantasia.

Il racconto stenta un po’ a decollare, il ritmo iniziale è piuttosto lento e la parte legata ai riti e alle pratiche hoodoo, filo conduttore dell’intero romanzo, non è sempre di facile e immediata comprensione. Una volta entrati, poi, nel cuore della storia il ritmo si fa decisamente più rapido e incalzante.

Lui, il bello e dannato, ma che in verità non è poi così dannato; lei, giovane e innocente, ma che rivela fin da subito di possedere un carattere combattivo e ribelle; non ci si aspetterebbe nulla di diverso dai protagonisti di un romance, però Priska Nicoly è stata molto brava a renderli oltremodo carismatici e affascinanti. Unica pecca, non perché voglia essere puritana, ci stanno le pagine dedicate al sesso, però, le ho trovate talvolta non necessarie all’economia del romanzo, anzi alle volte sembrano entrare un po’ a gamba tesa nel racconto a discapito dello stesso.

Molto buona la trama del racconto, impeccabile la soluzione degli enigmi, a cui il lettore tenta di trovare una spiegazione fin dalle prime pagine,  e ottimo il colpo di scena finale in buon parte per niente scontato.

Assolutamente da fare una menzione alla stupenda veste grafica del libro.

Una lettura consigliata a chiunque ami il romance storico che porti con sé qualcosa di magico e misterioso.



venerdì 16 agosto 2024

“Le otto montagne” di Paolo Cognetti

Il romanzo racconta la storia di Pietro, un ragazzino di città, e del suo legame con Bruno, un figlio della montagna. Un’amicizia fatta di partenze e di ritorni, di separazioni e di riavvicinamenti, ma allo stesso tempo un legame solido che durerà tutta una vita.

I genitori di Pietro erano emigrati in città all’età di circa trent’anni subito dopo essersi sposati. Avevano lasciato il Veneto e le loro amate Dolomiti per trasferirsi a Milano. Due caratteri differenti, i loro: ansioso e ombroso lui, aperta e socievole leiAvevano trovato un loro equilibrio alla base del quale c’era la montagna. Avevano, però, modi diversi di viverla questa montagna: per lui significava raggiungere la vetta, laddove non si poteva più andare oltre; la quota prediletta di lei, invece, era quella dei 1500 metri, dove i caprioli si nascondono tra abeti e larici e dove fiorisce il rododendro.

“Le otto montagne” è un romanzo di formazione. Nel Piero e nel Bruno adulti  il lettore scorgerà molti tratti comuni ai loro genitori, ma la loro crescita porterà con sé anche singolarità di un carattere tutto loro. La quota prediletta di Bruno non sarà né la vetta, né il bosco, bensì quella che si trova nel mezzo dove ci sono la prateria alpina, i torrenti, le torbiere, l’erba d’alta quota e le bestie al pascolo. Proprio quel paesaggio che, quando era ragazzino, faceva da cornice alle sue estati spensierate in compagnia dell’amico di sempre, più prezioso di un fratello, così diverso da lui ma a lui complementare.

Avevo sentito parlare molto di questo romanzo e della sua successiva trasposizione cinematografica (2022). Proprio per questo motivo, ho preferito attendere un po' di tempo prima di affrontarne la lettura.

“Le otto montagne” è un libro intenso e toccante che analizza e osserva i tanti aspetti della vita, anche quelli più duri come la montagna d’invero, quando i turisti tornano nelle loro case di città e lassù, tra i monti, regnano il silenzio, la neve il ghiaccio, perché la montagna d’inverno non è fatta per gli uomini e deve essere lasciata in pace.

La montagna si presta ad essere una perfetta metafora della vita perché non è solo nevi e dirupi, creste, torrenti, laghi, pascoli. La montagna è un modo di vivere la vita. Un passo davanti all’altro, silenzio tempo e misura.

Un racconto emozionante dove il tempo è dettato dalle stagioni, dove si parla una lingua antica, un microcosmo dove una società primitiva è ancora detentrice di quei valori del passato che stanno via via scomparendo come le sue genti, come i ghiacciai sulle montagne.



mercoledì 14 agosto 2024

“Il conte Attilio” di Claudio Paglieri

Attilio Arrigoni è un valoroso capitano di ventura che, insieme al suo fedele amico il tenente Massimiliano Bonati, combatte nelle Fiandre sotto il comando del generale Ambrogio Spinola Doria.

Innamorato da sempre dell’unica donna che non potrà mai essere sua, quando riceve da lei una lettera in cui invoca il suo aiuto, Attilio, ottenuta licenza dallo Spinola, non esita a precipitarsi in suo soccorso. Affronterà un viaggio periglioso e ricco di insidie pur di arrivare in tempo a Milano per salvarla dal convento a cui il fratello l’ha destinata costringendola a prendere i voti.

Il conte Attilio è una vecchia conoscenza manzoniana. Nei Promessi Sposi egli scommetteva con il cugino Don Rodrigo se questi sarebbe riuscito o meno a sedurre Lucia, prendendo parte anche al piano per il rapimento della giovane.

Il conte Attilio dei Promessi Sposi era un nobile frivolo, un dongiovanni impenitente che viveva di rendita. Ben diverso il personaggio di Claudio Paglieri che nel suo romanzo vuole riscattarne la figura, prendendo spunto anche da una vecchia faida realmente esistita tra la famiglia Manzoni e quella degli Arrigoni.

“Il conte Attilio” è buon romanzo di cappa e spada che non manca di omaggiare i classici dello stesso genere attraverso numerosi richiami e riferimenti così come fa ovviamente nei confronti dei Promessi Sposi, di cui il romanzo si può ritenere un prequel o uno spin-off, se vogliamo usare la terminologia moderna delle serie televisive.

Invero, tanti sono i riferimenti alla letteratura, troviamo richiami a Dante, Machiavelli, Tasso, solo per citarne alcuni, ma molti sono pure i richiami alla pittura di cui la protagonista femminile Lucrezia è appassionata, dilettandosi essa stessa in quest’arte con pregevoli risultati.

Il conte Attilio è un protagonista affascinante, intelligente e arguto, un guascone dall’animo nobile, un seduttore impenitente, ma leale con gli amici e la famiglia. Impossibile non prenderlo in simpatia fin dalle prime pagine.

Attilio è molto impulsivo e, a bilanciare questa suo carattere precipitoso e focoso, troviamo l’amico Bonati altrettanto coraggioso, ma dall’animo più riflessivo e dai costumi più morigerati.

Da genovese, ho apprezzato parecchio le schermaglie verbali tra miei concittadini e i milanesi così come le descrizioni della Genova seicentesca e del suo entroterra. Mi hanno incuriosito alcuni personaggi in particolare della famiglia Balbi e la storia del capitano Ambrogio Spinola Doria la cui figura credo non mancherò di indagare successivamente.

Il romanzo è scritto molto bene, la storia è scorrevole e si legge con piacere. Non mancano colpi di scena e si percepisce chiaramente che l’autore si è molto documentato per rendere i personaggi e l’ambientazione quanto più verosimili possibile.

Unica nota stonata, a mio avviso, il finale che non è riuscito a coinvolgermi emotivamente come il resto del romanzo. Un epilogo alquanto scontato e annunciato che forse non sarebbe potuto essere diverso, ma che faceva comunque sperare nel sopraggiungere di un qualche colpo di scena a scompigliare le carte, tanto più trattandosi a tutti gli effetti di una storia di fantasia.

Le ultime battute lasciano uno spiraglio aperto per una possibile nuova avventura del conte Attilio ma, per quanto abbia apprezzato la lettura del romanzo, non riesco a intravederne la potenzialità per lo sviluppo di un secondo episodio.



 

domenica 11 agosto 2024

“La vita a mano libera” di Alessandra Tempesta

Angelica ha 30 anni appena compiuti e la consapevolezza di non poter più procrastinare oltre le proprie scelte.

Angelica può contare sull’appoggio dei suoi genitori, dell’amica Clizia e del collega Max che segretamente è innamorato di lei, ma l’ansia sembra comunque non volerle dare tregua. Angelica ama il proprio lavoro, ha fatto tanti sacrifici per aprire la sua libreria, ma nulla sembra allontanare da lei gli attacchi di panico che la colgono all’improvviso sempre più spesso. È stanca del suo essere sempre controllata, di guardare la sua vita scorrerle davanti agli occhi senza prendervi mai davvero parte. 

Le troppe notti insonni, i tanti pensieri smarriti, i numerosi rimorsi per opportunità non colte la portano alla scelta non facile di lasciare il confortevole nido famigliare e andare a vivere da sola.

Il piano narrativo si sdoppia quando Angelica un giorno trova, in modo del tutto fortuito, sotto una mattonella del magazzino della libreria la foto di una donna e una chiave. La chiave apre un armadietto a muro che custodisce un vecchio diario, datato 1970-71, che racconta la triste vicenda di Bianca, una giovane donna figlia di contadini.

Ci sono libri che parlano al cuore e “La vita a mano libera” è decisamente uno di questi. Ogni lettrice, troverà nelle pagine i propri sogni, desideri e speranze perché le protagoniste nate dalla penna di Alessandra Tempesta sono oltremodo realistiche. Ogni pagina porta con sé parole che spingono ad analizzare la propria vita, a rimettere in discussione le proprie scelte, a chiedersi quali siano davvero le nostre priorità, a capire se la persona che siamo oggi corrisponde a quella che avremmo desiderato essere.

“La vita a mano libera” è un racconto di dolore e sofferenza, di paure inconfessate, di sogni dimenticati e di compromessi, ma è anche un racconto di rinascita che dona speranza. Una storia che pone l’accento sull’importanza di credere in se stessi, sul valore dell’amicizia e dell’amore; un invito a non aver paura di vivere i propri sentimenti e di aprirsi all’altro.

È vero, talvolta la vita offre all’improvviso ciò che si è inseguito per anni e, anziché tuffarcisi e prenderlo a piene mani, si resta fermi, immobili, ipnotizzati a guardarlo mentre il tempo lo trascina via. E così si cercano altre chimere, altri aneliti, per dare un senso ai propri giorni.



lunedì 5 agosto 2024

“Il nido segreto” di Martina Tozzi

Mary e Fanny erano figlie della famosa Mary Wollstonecraft, una delle più importanti filosofe femministe della sua epoca. Mentre Mary era anche figlia di William Godwin, stimato e apprezzato filoso e scrittore britannico, Fanny, invece, era frutto di una relazione precedente della donna.

Fanny, che era stata adottata da Godwin, aveva solo tre anni quando la madre morì di parto dando alla luce la sua secondogenita Mary. 

Le bambine crebbero in un ambiente culturalmente molto stimolante. Il padre amava, infatti, circondarsi di filosofi, scienziati, letterati e non solo lasciava che le figlie prendessero parte a quegli incontri, ma ne incoraggiava proprio la partecipazione.

Quando William Godwin decise di risposarsi, lo fece con una donna che aveva già due figli coetanei delle sue bambine: Jane e Charles. Tra i ragazzi si stabilì fin da subito una bella intesa, ma non altrettanto sereno fu il rapporto della nuova signora Godwin con le figlie del marito in particolare con la giovane Mary.

Al centro del romanzo troviamo la storia delle tre ragazze Godwin Mary, Fanny e Jane e del poeta Percy Bysshe Shelley, la cui conoscenza cambiò per sempre le loro vite.

Un romanzo avvincente quello di Martina Tozzi come affascinanti e seducenti sono i personaggi che l’autrice descrive in modo talmente vivido e dettagliato che al lettore sembra quasi di farne la conoscenza di persona.

Tanti e suggestivi i riferimenti alle opere letterarie dei protagonisti che non possono non invogliare a leggere, o rileggere, le opere di Percy Bysshe Shelley, di Mary Shelley e di Lord Byron.

Un solo appunto, giusto per essere pignola: in un dialogo viene nominato lo Stregatto. Si tratta di una licenza letteraria in quanto il libro di Lewis Carroll è successivo alla morte dei protagonisti del romanzo di Martina Tozzi.

Le tre sorelle hanno un carattere diversissimo tra loro eppure tutte riescono ad entrare nel cuore del lettore: la dolce e insicura Fanny, l’esuberante e  intelligente Mary, la capricciosa e testarda Jane, che deciderà di farsi poi chiamare Claire.

Tutte e tre le donne, a modo loro, sono affascinate e innamorate di Shelley, un idealista dall’animo vivace e curioso, un ragazzo esuberante che rivelava di possedere ancora un lato infantile mai sopito.

Tanti i personaggi a fare da sfondo alla vicenda come l’affascinante Lord Byron e ovviamente il padre delle ragazze William Godwin.

Sia Byron che Godwin sono l’immagine del’ipocrisia. Il primo, l’uomo delle grandi passioni e dalle molte relazione con donne diversissime per estrazione sociali, non si fa scrupolo di rinchiudere la figlia, ancora bambina, in un convento perché diventi una giovane virtuosa. Il secondo, che tanto era animato dall’amore per Mary Wollstonecraft e tanto sosteneva di ammirare tutto ciò che il suo pensiero femminista rappresentava, non si fa scrupolo di allontanare la figlia prediletta Mary perché fuggita con un uomo sposato.

Shelley contrae debiti, è vero, ma è un poeta idealista e sognatore che non comprende il valore del denaro arrivando addirittura a regalare ai poveri quel poco che ha; Godwin, invece, non mostra la minima remora a sfruttare lo stesso Shelley, pur sapendolo in difficoltà economiche, pensando che tutto gli sia dovuto.

“Il nido segreto” è un romanzo estremamente scorrevole. Il racconto è appassionante e la descrizione dei personaggi non è mai banale.

Martina Tozzi è riuscita a riportare sulle pagine uno vero spaccato di vita dell’epoca e a far rivivere sulla carta dei personaggi dal fascino indimenticabile.

Impossibile rimanere indifferenti di fronte all’amore di Percy e Mary e al suo rafforzarsi nel corso degli anni dopo le tante difficoltà e tragedie affrontate dalla coppia.

Ogni personaggio di questo libro evolve nel corso del tempo acquistando spessore; Jane/Claire, Mary, Percy, Fanny, ognuno di loro reagisce alle avversità che la vita gli mette innanzi in modo differente, qualcuno ne esce più forte qualcuno soccombe, ma nessuno di loro resta lo stesso che abbiamo conosciuto all’inizio della storia,

Se amate il romanticismo inglese “Il nido segreto” è un romanzo che vi conquisterà fin dalle prime pagine.

 

 

giovedì 1 agosto 2024

“Un principe di Toscana in Inghilterra e in Irlanda nel 1669” a cura di Anna Maria Crinò

Si tratta del testo originale completo della relazione ufficiale del viaggio che Cosimo III de’ Medici compi nel 1669 in Inghilterra e in Irlanda.

Il testo è presente in due bei codici cartacei manoscritti illustrati da numerosi acquarelli conservati presso la Biblioteca Mediceo Laurenziana. Di questa relazione ufficiale esiste anche un secondo esemplare, senza pretese estetiche, ma più corretto come testo conservato presso la Biblioteca Centrale di Firenze. Anna Maria Crinò ha preferito quindi riprodurre questo secondo esemplare che contiene anche un’appendice sullo stato generale dell’Inghilterra dell’epoca.

Il testo è preceduto da un’interessante introduzione della curatrice in cui vengono evidenziati sia i criteri da lei usati per la riproduzione del testo sia una sintesi ragionata su quello che attende il lettore di questa “Relazione ufficiale del viaggio di Cosimo de’ Medici tratta dal Giornale di L. Magalotti”.

Non si tratta di quella che si potrebbe definire una lettura scorrevole, ma si tratta di un testo molto interessante sia per le descrizioni dei luoghi sia per il racconto dell’accoglienza riservata a Cosimo dal Re d’Inghilterra, dalla famiglia reale e dalle più importanti famiglie del regno.

Tanti i particolari curiosi narrati come le pagine dedicate alle sette religiose, al governo, alla personalità degli inglesi, alla storia recente del Paese o le pagine dedicate alla navigazione.

Cosimo visitò Londra negli anni subito successivi a quelli dell’incendio (1666) in cui gran parte della città antica andò distrutta; di particolare interesse sono alcuni dettagli raccontati di prima mano su come si presentasse all’epoca Londra e in particolare è suggestiva la descrizione dei resti della Cattedrale di Saint Paul che sarà ricostruita solo negli anni avvenire.

Il testo venne attributo negli corso degli anni ora al Marchese Filippo Corsini ora al conte Lorenzo Magalotti, l’attribuzione più probabile è quella del Magalotti.

Anche sulla datazione ci sono diverse ipotesi, la più accreditata è però quella che ritiene il testo definitivo redatto nel 1689, ben vent’anni dopo il viaggio compiuto da Cosimo.

Da sottolineare una particolarità del volume edito nel 1968 da Edizioni di Storia e Letteratura: si tratta di un libro intonso ovvero un volume che per scelta editoriale presenta i fogli non rifilati così da dover essere separati con il tagliacarte. Un tocco nostalgico che ho apprezzato molto.

 

venerdì 26 luglio 2024

“Amare note” di Matteo Della Rovere

La morte di Mozart resta ancora tutt’oggi un mistero, per anni si è addirittura pensato che fosse stato sepolto in una tomba comune. Gioacchino Rossini scrisse numerose opere, grandi successi, ma poi all’improvviso la sua vena artistica si esaurì, si dice a causa di una forte depressione.

Matteo Della Rovere con il suo romanzo “Amare note” regala al lettore uno scherzo, come recita lo stesso sottotitolo del libro: “Uno scherzo su Mozart e Rossini”. 

Una storia affascinante in cui l’autore fantastica su un improbabile, seppur seducente, legame tra i due artisti; un filo narrativo che ha dello straordinario e che si presterebbe benissimo come trama per il libretto di un melodramma.

Siamo nella Bassa Romagna, corre l’anno 1798,  quando una giovanissima Marietta prende servizio presso il maestro Amedeo Gasperini. Nonostante gli iniziali e legittimi dubbi nel dover vivere da sola con un uomo maturo in un isolato casale, Marietta si rende conto molto presto che il maestro Gasperini è davvero l’uomo dabbene che le avevano descritto. Questi, da parte sua, avendo preso fin da subito in simpatia la giovane, si adopera per darle un’istruzione e, nonostante l’iniziale scetticismo di lei che definisce l’idea una stramberia, le insegna a leggere e scrivere.

Il maestro, valente musicista, si guadagna da vivere dando lezioni di musica. Un giorno tra i suoi allievi arriva un bambino di dieci anni, il suo nome è Gioacchino Rossini. Il nuovo arrivato si rivelerà, sebbene molto dotato musicalmente, anche una vera spina nel fianco e metterà a dura prova l’equilibrio perfetto creatosi tra Amedeo e Marietta.

Non si può anticipare molto di più della trama per non rovinare al lettore il piacere di scoprire da sé i tanti intrighi, i molti colpi di scena e i numerosi sotterfugi che si susseguono incessantemente pagina dopo pagina rendendo la narrazione vivace e scorrevole.

Bellissimo il personaggio del maestro Gasperini: un uomo gentile, premuroso ma anche tremendamente tormentato. Amedeo ama Marietta per la sua vitalità, ma mai si sognerebbe di imporle i suoi sentimenti sapendoli non ricambiati. La sua è una figura malinconica e sin dall’inizio il lettore si interroga su quale sia il dolore che si cela dietro la sua pacatezza, quel dolore che il maestro cerca di annegare costantemente nel vino.

Marietta è un personaggio che cresce nel corso della storia non solo anagraficamente. Sin da ragazzina si comprende che ha un carattere forte e deciso. Una figura estremamente moderna nel rivendicare le proprie scelte di donna anche quelle che la conducono a commettere errori pesanti dei quali, però, è sempre pronta ad assumersi le proprie responsabilità. Quello di Marietta non è un personaggio che ispiri immediata simpatia nel lettore, però, grazie ad una sensibilità e ad una generosità inaspettate, riesce a conquistarne, nel corso del racconto, completamente l’anima regalandogli anche qualche interessante sorpresa.

Infine, troviamo “il cattivo” della storia: Gioacchino Rossini. Un personaggio riprovevole che racchiude in sé tutte le caratteristiche più negative: egoista e arrogante; fin da bambino risulta un elemento antipatico, viziato e prepotente.

“Amare note” è un romanzo breve, piacevole e denso di significati. Un plauso al suo autore per aver saputo creare una storia tanto accattivante e originale al tempo stesso.

 


domenica 7 luglio 2024

“È colpa nostra” di Mercedes Ron

Lo so, ero stata spietata nel mio giudizio sul secondo libro della trilogia, ma avevo promesso che avrei comunque letto il volume conclusivo non appena fosse uscito. Promessa mantenuta.

La storia d’amore tra Nick e Noah sembra arrivata al capolinea. Delusione, rimpianto, disperazione, desiderio di rivalsa, odio sembrano ormai da più di un anno gli unici sentimenti che riescono ad avere la meglio nel loro rapporto. Quando la speranza sembra ormai ridotta al lumicino, accade qualcosa, un evento inaspettato, che potrebbe nuovamente rimettere tutto in discussione. Quando si ferisce la persona amata tanto dolorosamente, il perdono non è mai scontato, ma è anche vero che quando conosci la persona con cui vuoi passare il resto della tua vita, non c’è più marcia indietro”.

La trama è piuttosto banale; c’è un particolare, poi, che non può sfuggire ad un lettore attento e che preannuncia quale possa essere l’imprevisto che potrebbe fare riavvicinare Nick e Noah.

D’altra parte devo riconoscere che ci sono anche alcuni colpi di scena non scontati e soprattutto che la narrazione è molto scorrevole fin dalle prime pagine. A differenza dei primi libri, infatti, il ritmo della narrazione di questo terzo romanzo mantiene un ritmo costante e coinvolgente.

La trama è ben costruita e i personaggi sono ben caratterizzati come lo erano quelli del primo volume.

Mercedes Ron riesce a mantenere alta l’attenzione del lettore per l’intero racconto che non è neppure brevissimo dal momento che sono più di cinquecento pagine.

Dopo la mia sofferta lettura di “E’ colpa tua?” direi che Mercedes Ron con il capitolo conclusivo della saga si è riscattata. 

Romanzo young adult dalla trama apprezzabile e dall’ottima impostazione.

Credo che valga la pena superare la lettura della prima parte del secondo volume, per approdare alla lettura di “E’ colpa nostra”.




venerdì 5 luglio 2024

“I superbi. Una donna tra amori e vendette” di Corrado Occhipinti Confalonieri

Papa Paolo III, al secolo Alessandro Farnese, non è mai riuscito a negare nulla al figlio prediletto nonostante questi abbia dimostrato in più d’una occasione di essere un’anima nera.

Nel 1545 Pier Luigi Farnese ottiene dal padre il ducato di Parma e Piacenza sebbene molti, tra cui anche l’imperatore, avrebbero preferito che il titolo ducale fosse stato assegnato al figlio del Farnese, Ottavio, marito di Margherita d’Austria e figlia naturale di Carlo V.

Animato dalla più una sfrenata ambizione e dalla smania di dimostrare le proprie doti di abile principe, Pier Luigi Farnese, appena stabilitosi a Piacenza, suscita fin da subito con il suo arrogante comportamento l’ostilità della nobiltà locale la quale, a sua volta, non perde tempo ad organizzarsi per liberasi di lui con la forza.

Tra i nobili chiamati a partecipare alla congiura c’è Gianluigi Confalonieri, un uomo giusto e leale, la cui fermezza però, dinnanzi ai soprusi perpetrati dal Farnese, inizierà a vacillare. La moglie, la bellissima e irreprensibile Elisabetta, dovrà impegnarsi non poco per fare desistere il marito dal tradire i suoi saldi principi.

Il libro di Corrado Occhipinti Confalonieri porta sulla scena personaggi realmente esistiti e tesse, restando quanto più possibile fedele alla veridicità storica, una coinvolgente trama in cui le vicende dei protagonisti danno vita ad un susseguirsi di colpi di scena.

Amori, tradimenti, alleanze, vendette, inganni, speranze e sogni infranti si alternano pagina dopo pagina. Ogni dettaglio, anche il più piccolo, apporta il proprio contributo nel ricreare l’affresco dell’epoca narrata: la descrizione di un abito, la ricetta di un dolce, la spiegazione di un’opera d’arte, l’illustrazione di una fortificazione.

Dopo una prima parte dedicata in maggiormente alla narrazione di fatti più strettamente storici, prende avvio la seconda parte del racconto dove a fare da padrone è l’amore.

Una storia  intensa e appassionata, che si rifà alla poesia epica-cavalleresca e riporta alla mente del lettore le vicende delle coppie di amanti più famose della letteratura quali Paolo e Francesca, Tristano e Isotta, Ginevra e Lancillotto.

Per dovere di cronaca devo sottolineare la presenza di un passaggio del libro che mi ha fatto un po’ sorridere poiché la scena in questione sembra ambientata più in un salotto di epoca Regency che in un palazzo rinascimentale; tutto è però concesso trattandosi di fatto di un romanzo e non di un saggio.

Ecco, quello che più ho apprezzato del libro di Corrado Occhipinti Confalonieri è proprio questa sua grande capacità di riuscire a far volare il lettore con la fantasia, trasportandolo in un altro tempo e in un altro mondo.

I romanzi storici sono difficili da affrontare perché è sempre molto complicato per l’autore riuscire a trovare la giusta combinazione tra verità storica e fantasia. 

“I superbi. Una donna tra amori e vendette” è un romanzo ben strutturato, un racconto di evasione che si basa su solide basi storiche senza che queste ne appesantiscano la trama e dove ampio spazio è concesso alla creatività e all’immaginazione.

Sempre difficile fare paragoni, ma se dovessi pensare ad un autore di romanzi storici che si possa avvicinare come stile a Corrado Occhipinti Confalonieri, ricorderei la penna di Marina Colacchi Simone, autrice di “Florentine. La pupilla del Magnifico” e di “Sacro Romano Impero. La Principessa di Charolles”.





giovedì 27 giugno 2024

“Amore e guerra nel tardo Rinascimento. Le lettere di Livia Vernazza e Don Giovanni de’ Medici” a cura di Brendan Dooley

Un tempo ci si scriveva lettere e cartoline. Tanta è la corrispondenza d’amore giunta sino a noi, alcune lettere furono scritte appositamente con intento letterario, altre invece esclusivamente come messaggi privati destinati ad essere letti solo dalla persona a cui erano indirizzati.

Grazie agli epistolari che sono arrivati nelle nostre mani abbiamo oggi la possibilità di curiosare nella vita di personaggi famosi, cogliere i loro pensieri e i loro sentimenti, nel momento in cui erano più vulnerabili perché convinti di non essere osservati. Quelle pagine ingiallite ci restituiscono la loro immagine di donne e uomini comuni, senza la maschera che erano soliti indossare in pubblico.

Viene da chiedersi cosa invece resterà di noi, donne e uomini del XXI secolo, quando i posteri vorranno approfondire la nostra vita. Il modo di comunicare ha subito una trasformazione epocale; le lettere sono state sostituite dalla messaggistica istantanea che non lascerà alcun segno a chi verrà dopo di noi.

Veniamo però, adesso, al nostro libro e alle lettere di Livia Vernazza e Don Giovanni de’ Medici.

Livia era figlia di un materassaio genovese andata in sposa poco più che tredicenne a Giovanni Battista Granara, anche lui materassaio come il padre e molto più anziano di lei. Dopo meno di due anni dalle nozze Livia fuggì a Firenze dove fece la serva o forse la prostituta. A diciotto anni conobbe il quarantunenne Giovanni; il loro fu amore a prima vista.

Sebbene illegittimo, Giovanni era pur sempre il figlio del granduca Cosimo I de’ Medici, fratello e zio di granduchi; la famiglia Medici non poteva assolutamente accettare una relazione con una donna di così bassa estrazione sociale. Eppure, sebbene fortemente avversata dalla famiglia a cui Giovanni era comunque molto legato, la loro storia durò ben 13 anni. La loro unione trovò il giusto coronamento a Venezia nel 1619 quando venne celebrato il loro matrimonio.

Alla morte di Don Giovanni la famiglia Medici, forte del proprio nome, fece imprigionare Livia che, in un secondo momento, fu trasferita e richiusa in convento. Il matrimonio fu fatto annullare e il figlio avuto da Don Giovanni dichiarato illegittimo. Solo molto tempo dopo fu permesso alla donna di risiedere nella casa di Montughi dove morì nel 1655.

Inutile dire che quanto tramandato sulla figura di Livia Vernazza è per la maggior parte un resoconto deformato da radicati pregiudizi e volutamente molti aspetti della vicenda furono passati sotto silenzio per volere della famiglia Medici e di coloro che erano al suo servizio.

La maggior parte della corrispondenza tra Livia e Don Giovanni a noi giunta risale al periodo in cui il Medici era impegnato nella campagna militare di Gradisca (detta anche guerra degli Uscocchi) al sevizio della Repubblica di Venezia.

Dalle lettere emergono un sentimento profondo e una passione ardente. Questa coppia, senza dubbio ai più sconosciuta, venne però immortalata anche da Gabriele D’Annunzio che, in “Il secondo amante di Lucrezia Buti”, la definì la bellissima genovese, la venturiera ligure ch’era riuscita a farsi sposare da Giovanni de’ Medici.

Nel carteggio a noi giunto (aprile 1614 - settembre 1619) vediamo la coppia affrontare i più disparati argomenti: dalla gestione della casa a quella delle proprietà finanche ai problemi militari e politici. Risulta evidente quanto fosse stretto il legame tra i due e quanto Don Giovanni de’ Medici si fidasse delle capacità e della perspicacia di Livia. Invero, entrambi si affidavano ai consigli l’uno dell’altro nelle più svariate occasioni.

Don Giovanni non si tratteneva dal raccontare cose che riguardavano la campagna militare che stava conducendo e quando lo faceva, non era di sicuro perché non si fidasse del giudizio di Livia, ma semplicemente perché le lettere potevano essere intercettate e di certe cose, ovviamente, era meglio parlare di persona.

Livia era libera di disporre dei mezzi economici di Don Giovanni; quando fu necessario il Medici non ci pensò due volte a rimettersi al suo discernimento e le firmò anche due pagherò in bianco così che lei potesse scrivere la cifra  necessaria alla transazione in corso.

Molte nel carteggio sono anche le lettere d’amore; Don Giovanni era solito rivolgersi a Livia come alla Signora mia unica et vera Padrona. Ad un certo punto, però, salta fuori che lui dovette farsi perdonare un tradimento. Don Giovanni impiegò fiumi di carta per ottenere la tanto sospirata assoluzione e la donna, oltremodo orgogliosa, seppe tenergli testa dimostrandosi molto risoluta nel volergliela fare pagare.

Il carteggio è anche una sorta di cronaca della vita dell’epoca; sono riportati, infatti, in maniera chiara e dettagliata nomi di luoghi, notizie di eventi, modi di dire spesso tutt’oggi ancora in uso oltre ad un preciso resoconto di fatti quotidiani e famigliari.

Molto interessante è anche il breve saggio introduttivo di Brendan Dooley curatore di questa edizione pubblicata da Edizioni Polistampa (2009).




giovedì 20 giugno 2024

“La signora delle Fiandre” di Giulia Alberico

Spesso ad un certo punto della vita si avverte l’esigenza di fare un bilancio della propria esistenza, andare indietro nel tempo, ripercorrere ciò che è stato e forse immaginare come sarebbero andate le cose se si fossero fatte scelte diverse.

Sul finire dell’anno 1585 Margherita d’Austria, ritiratasi ad Ortona a Mare, sente che la sua fine è vicina e si lascia andare ai ricordi. Ha vissuto a lungo, tanti viaggi e tante conoscenze costellano la sua esistenza, alcune persone sono solo ricordi sbiaditi, altre, nonostante non siano più da tanto tempo, sono ancora lì, presenze costanti nella sua mente e nel suo cuore.

Margherita d’Austria, figlia naturale dell’imperatore Carlo V, nacque e crebbe nelle Fiandre.  Fu affidata dal padre alle cure prima di Margherita di Savoia e poi di Margherita d’Ungheria. Per quanto Carlo V amasse la figlia, questo non gli impedì di seguire le consuetudini della politica matrimoniale del tempo.  Margherita venne concessa in sposa al duca Alessandro de’ Medici, per consolidare l’alleanza con Clemente VII dopo il terribile episodio del Sacco di Roma. Margherita conobbe così l’Italia, la corte di Napoli prima e di Firenze dopo. Il matrimonio durò solo pochi mesi poiché Alessandro venne assassinato per mano del cugino Lorenzino.

Vedova ad appena quindici anni, Margherita si ritrovò di nuovo ad essere una pedina sullo scacchiere politico. Carlo V decise di concedere la mano della figlia a Ottavio Farnese, legandosi così nuovamente alla famiglia di un papa, Paolo III.

Se il matrimonio con Alessandro era stato accettato da Margherita con ubbidienza, quello con Ottavio fu da lei contrastato profondamente. Gli sposi, però, dopo un inizio burrascoso, riuscirono col tempo a trovare un loro equilibrio di coppia fatto di stima e affetto reciproci.

Margherita per volontà del fratellastro Filippo II, succeduto al padre Carlo V, fu governatrice delle Fiandre dove trascorse parecchi anni, ma nessun luogo le fu mai caro quanto la terra d’Abruzzo. Non è quindi un caso che questa terra per cui Margherita si adoperò tanto per emanciparla a livello economico e amministrativo, proiettandola sul grande scenario politico nazionale ed europeo, non manchi mai di celebrarla e tenerne viva la memoria ancora oggi.

Inutile dire che mi sono avvicinata a questo personaggio perché legata alla famiglia Medici sebbene solo per un brevissimo periodo. Avrebbe forse potuto esserlo più a lungo se Carlo V avesse accettato di darla in sposa a Cosimo I de’ Medici, ma il destino volle che scegliesse diversamente e forse per Firenze e la Toscana fu meglio così perché altrimenti non avrebbe avuto una duchessa come Eleonora di Toledo al quale il granducato deve moltissimo.

Margherita d’Austria, duchessa di Parma e Piacenza, fu però anch’ella una figura di grande forza. Donna colta, intelligente, ostinata e intraprendente, in un mondo governato dagli uomini, percorse sempre, laddove le fu possibile, la via diplomatica della mediazione.

I fatti narrati nel romanzo di Giulia Alberico sono ovviamente liberamente reinterpretai dall’autrice, ma invogliano il lettore a cercare di saperne di più su questa protagonista la cui storia non è così conosciuta come quella di altre grandi figure femminili a lei contemporanea o di poco discoste nel tempo. 

Il racconto è scorrevole, le pagine scivolano via velate di malinconia: l’incalzare del tempo che volge al termine, i ricordi di una vita, un bilancio fatto di sogni infranti e desideri realizzati, di rimpianti per amori che avrebbero meritato una possibilità, di rimorsi per essere stata troppo egoista con chi avrebbe meritato più attenzioni, ma anche di coraggio e gratitudine, coraggio per essere riuscita ad affrontare prove difficili e gratitudine per coloro che le sono rimasti accanto senza chiederle mai nulla in cambio.

“La signora delle Fiandre” è un buon romanzo storico dove l’atmosfera e il modo di pensare dell’epoca sono resi in maniera minuziosa e dove i personaggi di pura invenzione si integrano perfettamente ai numerosi personaggi realmente esistiti. Pur trattandosi di un racconto liberante ispirato alla storia di Margherita d’Austria è evidente che l’autrice abbia effettuato una scrupolosa ricerca storica prima di accingersi alla stesura del romanzo.





sabato 8 giugno 2024

“Richelieu. La storia dell’uomo che cambiò la Francia” di Natascia Luchetti

Sono sempre stata affascinata dai personaggi più discussi e controversi della storia e forse, proprio per questo, sono stata attratta fin da subito da questo romanzo di Natascia Luchetti.

Armand-Jean, il quarto dei cinque figli del Grand Prévôt di Francia François du Plessis, signore di Richelieu, e di Susanne de La Porte, rimane orfano di padre all’età di appena cinque anni. 

Armand sembra condannato per la sua salute malferma a non sopravvivere all’infanzia. La madre del piccolo decide così di affidarlo alle cure di un medico donna, Eugénie de Clombert, con la speranza che la sua esperienza e le sue capacità riescano laddove tutti gli altri luminari hanno fallito. Eugénie porta con sé al castello di Chillou la figlia Ninon, sua promettente allieva. Al castello ritroverà anche Jonàs, il figlio minore, che già da qualche tempo presta servizio presso la residenza dei Richelieu.

Il compito di Ninon al castello sarà quello di occuparsi di Armand. Nonostante la diffidenza iniziale del piccolo paziente, presto tra i due si instaurerà un rapporto di amicizia e confidenza destinato a consolidarsi nel tempo.

Armand come terzogenito maschio è destinato ad una carriera militare, ma quando Alphonse, il secondogenito, non si dimostrerà all’altezza del compito, toccherà a lui abbracciare, nonostante la sua avversione per questa strada, la carriera ecclesiastica diventando vescovo di Luçon.

Risulta evidente che l’autrice abbia studiato a lungo la figura del cardinale Richelieu così come è certo che molti particolari, soprattutto legati ai luoghi menzionati e agli eventi occorsi, siano frutto di accurate ricerche e numerose letture da lei effettuate.

Il risultato è un romanzo storico di grande effetto, ricco di colpi di scena e personaggi davvero intriganti e affascinanti.

Armand è un uomo che ha dovuto combattere contro una malattia invalidante fin dalla nascita, ma la sua caparbietà e la sua tenacia, lo hanno portato a superare ogni tipo di ostacolo. Il giovane Richelieu è ostinato, intelligente, scaltro, determinato a non fermarsi di fronte a nulla e a nessuno pur di perseguire i propri scopi, ma è anche estremamente leale con chi ha condiviso la sua strada e gli è stato fedele.

Ninon è forte, coraggiosa e risoluta; un personaggio molto moderno. Nonostante la vita non le abbia fatto sconti, riesce sempre a rialzarsi senza perdere mai davvero la sua umanità. Come Armand è inflessibile con i nemici, ma sincera e devota nei confronti dei propri cari e degli amici sinceri.

Armand-Jean du Plessis de Richelieu ha un disegno politico ben preciso ed è determinato a realizzarlo sostenendo chiunque al momento gli sembri l’alleato più conveniente senza preoccuparsi di tradirlo qualora qualcun altro gli prospetti maggiori vantaggi per la sua causa.

Tra i tanti personaggi che si incontrano tra queste pagine troviamo il re di Francia Luigi XIII e Anna d’Austria, la regina madre e reggente Maria de’ Medici, il principe di Condè e le figure tanto discusse di Concino Concini e la sua consorte Leonora Galigai.

Tra le critiche che ho letto rivolte a questo libro ci sono l’accusa all’autrice di essersi dilungata troppo in descrizioni che appesantirebbero il racconto e l’aver reso la storia troppo romanzata.

Personalmente ho trovato la storia estremamente piacevole e sebbene si tratti di un tomo di quasi ottocento pagine l’ho trovato nell’insieme molto scorrevole. Tante, è vero, sono le descrizioni, ma sempre utili all’economia del racconto e tutt’altro che superflue. Si tratta senza dubbio di un romanzo che, sebbene come precedentemente evidenziato nasce da attenti studi, non vuole essere assolutamente un saggio.

Se guardiamo al taglio dato al racconto dall’autrice sembrerebbe quasi quello di un romanzo d’altri tempi, con un forte richiamo alla letteratura ottocentesca; del resto, in più di un’occasione, Natascia Luchetti schiaccia l’occhio ad un classico come “I tre moschettieri” di Alexandre Dumas e, visto l’argomento, non potrebbe essere diversamente. Un omaggio allo scrittore francese per certi versi doveroso anche se l’autrice è ammirata sostenitrice del “cattivo” della storia di Dumas.

A differenza dei “I tre moschettieri” di Dumas, romanzo di cappa e spada, quello della Luchetti è un romanzo più articolato dove è l’introspezione psicologica a prevalere seguendo le inclinazioni del suo protagonista, politico fine ed arguto ma anche spietato se necessario.

Il racconto si presterebbe benissimo a diventare un’avvincente serie televisiva. Alla sua trama non mancherebbe davvero nulla: personaggi intriganti e seducenti, numerosi colpi di scena inaspettati e luoghi ricchi di fascino e mistero dove ambientare la storia.

Le case editrici e gli autori ci hanno talmente abituati alle saghe in più volumi che quando ci troviamo dinnanzi ad un volume più corposo del solito ci spaventiamo. Al potenziale lettore interessato alla figura di Richelieu quindi consiglio di non farsi intimorire dalla mole del libro e di affrontare serenamente la lettura di questa storia che non potrà che coinvolgerlo ed emozionarlo fin dalle prime pagine.



lunedì 20 maggio 2024

“La vita s’impara” di Corrado Augias

Non saprei dire precisamente il momento in cui si siano radicati così fortemente in me la stima e l’apprezzamento per Corrado Augias, sta di fatto che da qualche anno a questa parte egli è divenuto una sorta di grillo parlante per la mia coscienza oltre che occasione di piacevoli momenti di condivisione con mio padre ogni qualvolta vi sia una sua trasmissione in televisione.

Ho parlato di grillo parlante perché non sono mai stata particolarmente attratta dalla storia del Risorgimento e, mea culpa, ancor meno da quella del Novecento. Ebbene, Corrado Augias grazie alle sue trasmissioni ha gradatamente instillato in me il desiderio di colmare questa lacuna spingendomi a fare i conti con il nostro “recente” passato di italiani.

Alla soglia dei novant’anni Corrado Augias, giornalista, scrittore, autore di programmi culturali in tv, si racconta, con lo stile garbato e ironico che lo contraddistinguono, attraverso aneddoti famigliari e lavorativi, letture, incontri, città (Roma, Parigi e New York), occasioni colte e mancate del suo percorso umano e professionale.

Leggiamo dell’infanzia passata in Libia al seguito del padre ufficiale della Regia Aeronautica, della paura dei bombardamenti e dell’arrivo degli americani a Roma, del collegio cattolico, degli studi classici e dell’università, dei concorsi fatti e di quello vinto che ne decretò il suo ingresso in RAI, dove Augias ha trascorso quasi sessant’anni e, assistendo all’avvicendarsi di tutte le varie ondate politiche, dai socialisti ai berlusconiani ai grillini, è stato testimone del suo lento e inesorabile declino.

Il racconto della sua vita diventa il racconto dell’Italia. Un’Italia che nel corso degli ultimi ottant’anni ha subito moltissimi cambiamenti. Come scrive lo stesso Augias, non si tratta solo di grandi differenze che possono essere colte facilmente come la pace e la guerra, la povertà e la ricchezza, la religiosità e la laicizzazione, ma si tratta anche di tanti piccoli e impercettibili cambiamenti, spesso di difficile individuazione e ancor più di difficile valutazione.

Nelle pagine di questo libro Augias affronta anche il tema del suo essere ateo che tiene a precisare non deve intendersi con una mancanza di spiritualità. Molti gli scritti a cui fa riferimento e a cui sin da giovane si è dedicato per indagare questo suo rapporto mancato con Dio.

Si ritrovano in queste pagine molte delle tematiche che Augias è solito affrontare nelle sue trasmissioni, ma tanti sono anche gli spunti di lettura per approfondire i temi trattati, a tal scopo di grande utilità è la dettagliata nota bibliografica presente.

Attraverso la lettura del libro sono riaffiorati alla mia mente tanti ricordi di quando ero una ragazzina come alcuni fotogrammi di “Telefono giallo”, uno dei fortunati programmi condotti da Augias, e una sigla che era solita nominare mia nonna, Unrra, riferita ad un’amministrazione delle Nazioni Unite per l’assistenza ai paesi europei devastati dalla seconda guerra mondiale.

Un rammarico grande quello di non aver dato più peso ai ricordi del tempo di guerra di mia nonna. Non che non l’abbia ascoltata, anzi, in fin dei conti se Corrado Augias con i suoi racconti riesce a smuover così tanto la mia coscienza, il merito è senza dubbio di mia nonna e dei suoi ricordi. È tuttavia altrettanto vero che se potessi ascoltare oggi quegli stessi racconti, lo farei con più consapevolezza traendone maggior beneficio, ma come giustamente recita il titolo del libro, la vita s’impara.

Corrado Augias è un giornalista arguto ed elegante, pacato ma allo stesso tempo implacabile. In una televisione urlata, la sua calma e la sua garbata eloquenza sono un vero balsamo.

Augias ha il grande pregio in questo libro come nelle sue trasmissioni televisive, cito a semplice titolo esemplificativo “La Torre di Babele” e  “Città segrete”, di non sottovalutare mai l’intelligenza del lettore, o spettatore che sia, spronandolo a colmare le proprie lacune piuttosto che assecondandone le mancanze come spesso accade per la maggior parte delle trasmissioni divulgative di oggi.    

Difficile classificare questo libro. Un testo autobiografico, uno scritto giornalistico, uno spaccato di società e costume, un invito alla partecipazione alla società civile e alla salvaguardia della democrazia, la testimonianza preziosa di un cambiamento storico, economico, politico e culturale, “La vita s’impara”  è tutto questo e molto altro ancora.