sabato 29 maggio 2021

“Gian Gastone (1671-1737) Testimonianze e scoperte sull'ultimo Granduca de' Medici" a cura di Monica Bietti

Il libro dovrebbe essere il primo volume di una collana dedicata agli studi e alle scoperte sulla famiglia Medici. Dico dovrebbe perché in realtà le mie ricerche in rete per adesso non hanno prodotto alcun risultato sulla pubblicazione di ulteriori volumi dell’opera.

La collana si prefiggeva come scopo quello di rendere noti i dati scientifici, storici e storico artistici che sarebbero emersi nel corso degli studi legati al Progetto Medici. Un progetto che prese avvio nel 2004 con lo scopo principale di effettuare una ricognizione sui resti del ramo Granducale della famiglia partendo da Cosimo I fino ad arrivare all’ultimo esponente Gian Gastone. 

Questo volume è la prima pubblicazione istituzionale su quanto emerso dalle prime ricerche effettuate dall’Università di Firenze, dall’Università di Pisa e dalla Soprintendenza affiancate dall’Opificio delle Pietre Dure, dall’Opera Medicea Laurenziana, dalla Parrocchia di San Lorenzo e da numerosi altri istituti di ricerca.

Il libro fu pubblicato nel 2008 in occasione della mostra ospitata nella Cappella dei Principi dedicata alla contraddittoria figura di Gian Gastone; in questa occasione venne anche esposto per la prima volta il piccolo corredo funebre rinvenuto nella sepoltura dell’ultimo Granduca Medici.

Contrariamente all’idea iniziale di seguire l’ordine cronologico per le esumazioni, fu scelto di esumare per primo il corpo di Gian Gastone. Infatti, mentre le altre famiglie erano state esumate negli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento, la sepoltura di Gian Gastone non era stata più visitata dall’anno 1857. L’intervento si rendeva quindi prioritario soprattutto per i danni che senza dubbio, come fu subito chiaro all’apertura dell’ipogeo, erano seguiti all’inondazione dell’Arno del 1966.

Nel libro diversi saggi sono dedicati proprio a come si è operato per il recupero dei materiali, quali difficoltà si sono incontrate nel corso delle indagini e quali sono state le misure adottate per mettere in sicurezza il sito.

Alcuni saggi sono dedicati al ritrovamento e al restauro del corredo funerario altri alle indagini radiodiagnostiche effettuate sui resti di Gian Gastone. Tali indagini hanno evidenziato alcune patologie la cui sintomatologia potrebbe confermare alcuni disturbi di cui la cronaca dell’epoca ci ha lasciato memoria.

Molto interessante è il saggio di Franco Ugo Rollo in cui si vuole verificare attraverso la tecnica di sovrapposizione cranio-facciale la somiglianza dei ritratti di Gian Gastone giunti sino a noi con il suo vero volto.  

I primi due saggi del volume sono dedicati invece alla storia di Gian Gastone.

Il primo, scritto da Giovan Battista de’ Medici di Toscana (Principe di Ottajano, Duca di Sarno), come si evince dal titolo stesso “Due matrimoni sbagliati”, indaga su quanto abbiano influito negativamente sulla personalità di Gian Gastone la figura inesistente della madre Marguerite Louise d’Orléans e quella della moglie Anna Maria Franzisca di Saxe Lavemburg, vedova del principe Filippo di Neuburg. Una politica matrimoniale quella franco-fiorentina che si rivelò deleteria per la dinastia medicea.

Il secondo saggio del volume molto più articolato ad opera di Patrizia Urbani racconta la vita dell’ultimo Granduca della famiglia Medici cercando di indagarne la complessa psicologia e, attraverso quanto emerso proprio dagli ultimi studi e indagini, comprendere quanto ci sia di vero sugli eccessi di cui fu accusato Gian Gastone e quanto invece sia dovuto ad una falsa propaganda lorenese per cercare di legittimare la propria posizione come successori.

Patrizia Urbani ci racconta di un Gian Gastone che senza dubbio fu soggetto fin da giovane a crisi depressive, un giovane dal carattere introverso che mal si adattò alla rigida etichetta di Palazzo Pitti e al cerimoniale di corte.

Gian Gastone rimase schiacciato dal peso delle proprie responsabilità e non resse la tensione di dover dare per forza un erede alla dinastia. Patrizia Urbani non esclude inoltre che la sua misoginia potesse derivare sia dall’abbandono materno in giovane età sia dal pessimo rapporto che ebbe con la moglie. Non possiamo dimenticare che gli eccessi nel gioco e nel bere di Gian Gastone si manifestarono come diretta conseguenza dell’afflizione matrimoniale, un modo di evadere dalla gabbia a cui la politica paterna lo aveva condannato.

Se negli ultimi anni della sua vita vi furono eccessi di altro tipo le indagini non escludono che potessero essere causate da una malattia degenerativa forse causata anch’essa dall’eccesso di alcol e dall’intensificarsi delle crisi depressive. Non va però dimenticato che i racconti di coloro che incontrarono Gian Gastone alle corti europee lo descrivevano sempre come un principe che sapeva ben comportarsi, elegante e piacevole, tanto che lo stesso Cosimo III ricorreva spesso alle grandi doti da mediatore del suo figlio cadetto.

Gian Gastone era un uomo colto, nonostante fosse il secondogenito aveva ricevuto un’istruzione di prim’ordine, era un principe filosofo, amante delle arti, curioso e dalle maniere squisite la cui immagine venne purtroppo cancellata da quella di dissoluto e vizioso con la quale la cronaca lo ha fatto poi passare alla storia.

Il libro è corredato da un’amplia documentazione fotografica sia relativamente all’iconografia del Granduca e non solo sia come supporto esplicativo delle varie fasi degli studi (indagine del sito, indagini radiodiagnostiche, salvaguardia dei materiali e relativo restauro).

Non è facile riassumere questo libro in poche righe in quanto si tratta di una ricca raccolta di saggi molto approfonditi e ben strutturati.

Il mio giudizio potrebbe essere un po’ offuscato vuoi perché mi sono appassionata da tempo alla figura di Gian Gastone de’ Medici vuoi perché da laureata in archeologia la materia trattata mi è piuttosto familiare, ma credo che la lettura possa essere affrontata tranquillamente e interessare tutti nonostante all’apparenza alcuni aspetti trattati possano sembrare ostici per i non addetti ai lavori.

Un libro vivamente consigliato a chiunque voglia approfondire le sue conoscenze su, come recita la dedica del volume:

GIOVAN GASTON DE’ MEDICI

PRINCIPE DI GRAN MENTE

DI SOMMA AFFABILITÀ

E DI UNA VOLONTÀ TUTTA INCLINATA

AL PUBBLICO BENE




mercoledì 26 maggio 2021

“Raimondo Sirotti (1934-2017). La retrospettiva” Genova, Palazzo Ducale

Incontrai per la prima volta le opere di Raimondo Sirotti (Bogliasco, 1934-2017) quasi per caso nel 2010 in occasione della mostra a lui dedicata ospitata negli spazi espositivi del Teatro Falcone (Genova, Palazzo Reale). Ricordo che rimasi subito colpita dai suoi dipinti e forse anche un po’ stupita della mia inaspettata reazione così positiva dinnanzi ad opere che appartenevano ad un genere pittorico certamente non tra i miei preferiti.

A distanza di undici anni, nei giorni scorsi, ho visitato la mostra a lui dedicata a Palazzo Ducale (aperta fino al 25 luglio 2021), una mostra retrospettiva che, a pochi anni dalla morte del pittore, vuole ripercorrere, come dice il titolo stesso, la storia e l’evoluzione della sua opera.


Foresta lacustre

Non posso dire che i lavori esposti nella prima sezione “Gli esordi 1955-1960” mi abbiano particolarmente coinvolta, ma i colori delle tele eseguite negli anni successivi mi hanno conquistata come la prima volta.

La mostra è articolata in diverse sezioni:

- Gli esordi (1955-1960)

- Ipotesi di naturalismo astratto

- La finestra sul paesaggio 

- Eventi naturali 

- Tane, rocce e forre

- Paesaggi interiori

- Giardini 

Non essendo un’esperta di storia dell’arte non sono certamente in grado di parlarvi in modo appropriato di pittura informale e di impressionismo astratto, posso solo tentare di condividere con voi l’emozione provata dinnanzi all’intensità di quei colori che, da profana, talvolta mi hanno riportato alla mente le opere Monet e in particolare le sue Ninfee.



Nubi in movimento

Un plauso senza dubbio deve essere fatto anche all’allestimento del suggestivo percorso espositivo perfettamente integrato con l’architettura dello spazio che ospita le opere, ottima l’illuminazione e di grande effetto la finestra che, al termine del percorso, si apre sulla prima sala.



Gli spazi espositivi



Affaccio sulla prima sala

E ora la parola al alcune opere esposte…



Ringhiera



Galaverna



Silenzio verde



Paesaggio interiore




Finestra allo specchio




Le erbe alte di settembre

Per concludere con la filosofia del pittore...



L'affaccio sulla prima sala e la didascalia


lunedì 17 maggio 2021

“Berthe Morisot. Le luci, gli abissi" di Adriana Assini

Parigi 1868, Berthe Morisot posa per Édouard Manet, l’artista più discusso e affascinante del momento .

Sono gli anni in cui la modernità entra prepotentemente nei caffè e nei salotti parigini, sono gli anni della prima corsa ciclistica nel parco di Saint-Cloud e del brevetto per la fotografia a colori di Ducos du Hauron.

Sulla scia di questo fermento socioculturale un gruppo di pittori lancia una sfida al conservatorismo delle accademie. I loro nomi sono Renoir, Degas, Monet, Manet, Cézanne solo per citare i più famosi; passeranno alla storia con il nome di Impressionisti.

Berthe Morisot, terzogenita di un funzionario della Corte dei conti, desidera fare della pittura la sua professione; traguardo quasi impossibile in un mondo dove l’arte è esclusivo appannaggio maschile.

Nulla riesce però a distrarre Berthe dalle sue tele e dai suoi pennelli eccetto il misterioso e seducente Édouard Manet.

Bijou, come viene chiamata in famiglia, non esita ad accantonare i suoi strumenti per posare per il pittore che ha conquistato la sua anima e il suo cuore fin dal loro primo incontro. Tutto accade sotto lo sguardo vigile e attento della madre di lei Marie-Cornélie che disapprova questa infatuazione della figlia e la vorrebbe quanto prima accasata come si converrebbe ad una donna del suo ceto. 

Adriana Assini è maestra assoluta nel saper ricreare le atmosfere dei periodi storici nei quali si muovono i suoi personaggi; i suoi sono romanzi corali e questo lo è forse anche più degli altri. Ad affiancare la protagonista Berthe Morisot non c’è solo Manet ma tutti coloro che fecero parte del loro circolo; una confraternita che non si componeva di soli pittori ma anche di scrittori del calibro di Émile Zola o di poeti quali Stéphane Mallarmé.

Adriana Assini ci presenta Berthe Morisot come una donna forte e volitiva che non arretra di fronte a nulla pur di ottenere quei riconoscimenti che sa di meritare e che vuole ottenere senza dover rinunciare al suo essere donna. La Morisot, infatti, non acconsentì mai a cambiare il proprio nome con un nome maschile né ad abbigliarsi con abiti da uomo per ottenere quanto le spettava di diritto per i suoi meriti.

Pagina dopo pagina prende vita davanti ai nostri occhi una galleria di personaggi vividi e reali con le loro manie e le loro peculiarità caratteriali: la passione di Manet per gli abiti sartoriali di alta moda, i modi scostanti di Degas, la meticolosità di Monet e così via.

La vita artistica, e non solo, di Berthe Morisot fu profondamente segnata dal suo rapporto con il carismatico Édouard Manet, uomo sposato e seduttore impenitente.

Fu infatti un amore totalizzante e platonico quello che legò la Morisot al pittore anche dopo la morte di questi. Se Manet fu per lei amico e maestro, lei per lui fu la sua musa nonché l’unica donna in grado di comprenderlo davvero e sapergli tenere testa, lei così selvaggia eppure allo stesso tempo così per bene. 

Berthe Morisot era una perfezionista, mai veramente soddisfatta dei risultati raggiunti anche nella vita privata. Eppure, dalle sue opere traspariva tutt’altro. Le sue tele erano luminose ed eternavano a volte scene di intimità familiare; esprimevano quella luce e quella pace interiore alle quali la pittrice tanto aveva aspirato, ma che mai riuscì davvero a raggiungere.

Al termine del romanzo, però, il lettore non può che immaginarla in pace accanto al suo Édouard, finalmente insieme e uniti per l’eternità.

Adriana Assini è riuscita a rendere in modo eccellente le luci e gli abissi, per citare il titolo stesso del romanzo, propri dell’animo di quell'affascinante artista tanto caparbia e umbratile da essere, a torto, spesso accusata di freddezza e anaffettività.

Un viaggio malinconico e inquieto attraverso i sentimenti e le profondità dell’animo umano quello in cui ci conduce Adriana Assini in questo suo ultimo romanzo, ricco di citazioni che spaziano dal pensiero di Eraclito ai versi di Shakespeare; un viaggio rischiarato però dai vivaci colori dei lussureggianti giardini, dalle sfumature azzurre dell’oceano e dagli infiniti tentativi di Monet di riuscire a fermare sulla tela i riverberi della luce.

Credo che “Berthe Morisot. Le luci, gli abissi” possa essere insieme ad “Agnese, una Visconti”, uno dei romanzi ad oggi più riusciti dell’autrice.




venerdì 14 maggio 2021

“Florentine. La pupilla del Magnifico" di Marina Colacchi Simone

Nel 1466 Luca Pitti insieme ad Agnolo Acciaiuoli, Diotisalvi Neroni ed altri personaggi ordirono un attentato ai danni di Piero de’ Medici. L’attentato venne fortunatamente sventato, ma in quell’occasione Francesco de‘ Bardi riportò un grave ferita facendo scudo al figlio di Piero, Lorenzo de’ Medici. Una volta guarito l’uomo partì alla volta della Borgogna dove mise la sua spada al servizio di Carlo il Temerario. A Firenze Francesco de’ Bardi lasciò la moglie e i due figli piccoli.

La sedicenne Vanna de’ Bardi è rimasta sola, la madre e il fratello sono morti e del padre non sa più nulla da molto tempo. Dopo sette anni trascorsi in un convento ad Arezzo, grazie alla bontà del fratello della madre, Duccio Salimbeni, può ora tornare a Firenze. Lo zio di Vanna è una persona molto vicina a Lorenzo de’ Medici e proprio questi, per il rispetto e l’affetto che lo legano al Salimbeni, accetta di prendere la ragazza sotto la sua protezione donandole anche delle proprietà insieme al titolo di contessa.

Vanna viene condotta dalla più ammirata dama della città del Giglio, Simonetta Cattaneo Vespucci, entrando a far parte dell’elitaria cerchia delle sue dame. In casa Vespucci la ragazza incontra per la prima volta il nipote di Clarice, la moglie del Magnifico, l’affascinante e pericoloso Matteo Orsini la cui avvenenza e i modi sfrontati non lasciano Vanna indifferente seppure parecchio confusa.

Ad una festa a casa Medici però Vanna ritrova un caro amico d’infanzia, il bellissimo Guido Montefiori. Il giovane innamorato di Vanna sin da ragazzino non l’ha mai dimenticata e Vanna ricambia i suoi sentimenti.

Ovviamente, come in ogni romanzo che si rispetti, mille saranno le traversie che i due giovani dovranno affrontare per coronare il loro sogno d’amore.

Intrighi di corte e passioni si compenetrano alla perfezione in questo romanzo che a tutti gli effetti si sviluppa su due piani narrativi: a fare da contraltare alla storia romantica di Vanna de’ Bardi e Guido Montefiori abbiamo infatti la storia di Firenze e del suo signore Lorenzo de’ Medici.

La finzione letteraria si intreccia perfettamente alla verità storica; sullo sfondo delle rocambolesche vicende che vedono coinvolti i due innamorati contrastati si intravedono le prime avvisaglie della terribile congiura dei Pazzi (26 aprile 1478).

Ogni cosa è descritta in maniera minuziosa: dagli arredi, all’abbigliamento, ai gioielli nessun dettaglio viene tralasciato per ricreare in modo impeccabile i fasti della grandiosa corte medicea.

L’autrice è molto riguardosa nel descrivere la storia d’amore che lega Simonetta Cattaneo a Giuliano de’ Medici; non ci è dato sapere se il loro fosse stato realmente solo un amore platonico e Marina Colacchi Simone lascia rispettosamente il lettore nel dubbio.

L’elemento protagonista del finale del romanzo, senza anticiparvi troppo, posso dirvi che è l’agnizione, una soluzione da commedia plautina quella del riconoscimento che si rivela nell’insieme indovinata.

Moltissimi sono i personaggi e tutti molto ben caratterizzati. Non si può non provare empatia per la giovane Vanna, rimanere affascinati dalla figura carismatica di Lorenzo de’ Medici o incuriositi da quella di Agnolo Poliziano, detestare Girolamo Riario e Matteo Orsini, ma un personaggio in modo particolare mi ha davvero colpita ed è quello di Duccio Salimbeni uomo colto, intelligente e d’animo nobile che al momento giusto sa dimostrare una forza e una determinazione che non ti aspetti.

Il libro di Marina Colacchi Simone è un ottimo romanzo storico, il perfetto compromesso tra verità e finzione.

Un’ultima precisazione sul titolo. Perché Florentine? Florentine è il nome del diamante che Francesco de’ Bardi riceve dal duca di Borgogna per i servizi resi e che invia ai suoi figli prima di morire. Nel libro al grande diamante giallo paglierino viene dato il nome di “Florentine” da Matteo Orsini in onore di Vanna. In realtà, come si legge nelle note dell’autrice al termine del volume,  il diamante entrò in possesso dei Medici solo con Ferdinando I e la sua storia prima di allora è molto lacunosa, tante sono le versioni. Gli Asburgo-Lorena ne entrarono in possesso alla morte di Gian Gastone, ultimo granduca di Toscana. Resta avvolto nel mistero cosa sia accaduto a questa preziosa gemma dopo il 1919.

 



venerdì 7 maggio 2021

“The Witcher - Il battesimo del fuoco" di Andrzej Sapkowski

Geralt, ferito gravemente durante la rivolta scoppiata sull’isola di Thanedd, viene curato dalle driadi nei boschi di Brokilon. Qui conosce Milva, una giovane spia al servizio della regina delle driadi, che si adopera a mettere in salvo gli Scoiattoli in difficoltà.

Grazie a lei Geralt viene a conoscenza che la sua “bambina sorpresa” è sopravvissuta e si trova a Nilfgaard prigioniera dall’Imperatore Emyr var Emreis.

Nonostante non sia ancora del tutto guarito lo strigo decide di rimettersi in cammino per raggiungere il palazzo imperiale nilfgaardiano e liberare la sua Ciri.

L’impresa ovviamente si rivelerà più complicata del previsto perché la guerra infuria ovunque e tutte le strade sono pattugliate da ronde di soldati.

Ad accompagnare Geralt nel suo viaggio troviamo oltre a Milva anche una vecchia conoscenza, il simpatico poeta Ranuncolo; la compagnia è però destinata ad allargarsi grazie agli imprevedibili incontri fatti lungo la strada.

Tra questi l’incontro più affascinante è quello con il barbiere Regis, una figura molto interessante e misteriosa che nasconde un arcano segreto.

Geralt incrocerà anche un’altra vecchia conoscenza del lettore, il pericoloso Cavaliere Nero, il peggiore incubo della fiamma di Cintra; il cavaliere però si rivelerà un personaggio molto diverso da quello conosciuto nei libri precedenti.

Sappiamo, dalla fine dello scorso volume, che colei che a Nilfgaard viene fatta passare per la principessa Cirilla è in realtà solo una sosia; la vera leoncina di Cintra  scorazza infatti libera in compagnia dei Ratti, una pericolosa brigata di banditi.

Geralt troverà Cirilla? Che fine ha fatto Yennefer? La maga aveva davvero tradito? È sopravvissuta? E qual è il futuro della magia? Tante le domande a cui rispondere in questo terzo volume della saga (quinto in ordine di lettura).

Di tutti il libri “Il battesimo del fuoco” è forse quello che parte più lentamente; per il primo centinaio di pagine non accade molto, ma poi il racconto riprende il consueto ritmo e l’avventura ritorna il tema dominante. Potremmo considerarlo un volume di passaggio, dopo i fatti di Thannedd questo terzo libro prepara il lettore al futuro sviluppo della storia.

Ovviamente per non svelare qualcosa che possa guastare il piacere della lettura non posso dire molto di più, ma sia Regis che il Cavaliere Nero sono due personaggi che mi hanno davvero colpita. Anche Milva è indubbiamente una figura ben caratterizzata e non priva di fascino, ma è un personaggio più scontato mentre gli altri due sorprendono davvero il lettore pur se in modi diversi tra loro.

Sorprese e colpi di scena, come sempre, non mancano mai nei libri di Andrzej Sapkowski.  Prossimo appuntamento: “La torre della Rondine”.





giovedì 6 maggio 2021

“Dante enigma” di Matteo Strukul

Dopo la disfatta delle truppe senesi alle Giostre del Toppo il 26 giugno 1288, Corso Donati brama sempre più la guerra e cerca in ogni modo di spingere Firenze a scendere in campo contro Arezzo e Pisa.

A Pisa Ugolino della Gherardesca, schierato con i guelfi, è stato imprigionato nella Torre della Muda dove verrà lasciato morire di fame insieme ai figli e ai nipoti.

Dante è un uomo giovane e innamorato di Beatrice, la donna alla quale non potrà mai dichiarare il proprio amore. Demoralizzato per non poter vivere apertamente i propri sentimenti sceglie di rifugiarsi nelle lettere e nella poesia.

Gemma, sua moglie, non riesce a darsi pace della freddezza che Dante le riserva e giorno dopo giorno cerca in ogni modo di abbattere i muri innalzati dal marito. Non sarà facile per lei convincerlo a scegliere di accogliere anche la parte più reale della vita, ma Gemma è una donna determina e coraggiosa, nulla la spaventa tranne l’idea di perdere in battaglia l’uomo che ama.

Dante si arruolerà infatti come feditore tra le fila di Vieri de’ Cerchi, l’antagonista di Corso Donati, e parteciperà all’epocale battaglia di Campaldino dove l’11 giugno 1289 le truppe alleate di Firenze, Pistoia, Lucca, Siena, Volterra con l’appoggio del re di Francia affronteranno e sconfiggeranno i ghibellini aretini.

Chi è il Dante di Matteo Strukul? È un uomo di lettere, un poeta, un innamorato, un amico, un visionario, un marito, un soldato, ma sopratutto è un uomo che deve fare i conti con un mondo nel quale stenta a riconoscersi, un mondo violento ed estremista, dove non è contemplata alcuna neutralità, o si è guelfi o si è ghibellini, o sì è seguaci della fazione dei Donati o di quella dei Cerchi.

Tra verità storica e finzione letteraria il romanzo racconta la vita di Dante fino alla vittoria dei guelfi nella battaglia di Campaldino; evento che, per la sua sanguinosa ed efferata violenza, segnò profondamente l’immaginario dantesco.

Il Dante nel romanzo soffre di epilessia, la storiografia non conferma né smentisce tale ipotesi, ma queste crisi si prestano ottimamente allo sviluppo narrativo anticipando sia le infernali visioni presenti nella prima cantica della Divina Commedia sia proprio quegli svenimenti a cui Dante andrà soggetto nel corso del viaggio ultraterreno da lui narrato “e caddi come corpo morto cade”.

Come sempre nei romanzi di Strukul molti sono i personaggi che si muovono intorno al protagonista e che entrano immediatamente nel cuore del lettore.

In questo caso abbiamo la figura dell’artista Giotto, amico e confidente di Dante, sempre pronto a venire in suo soccorso. Non ci sono certezze del fatto che i due si conoscessero e che tanto più si frequentassero, ma essendo entrambi vissuti a Firenze in quello stesso periodo, quanto narrato nel romanzo seppur non reale resta quanto mai verosimile.

Inoltre molto appassionante è la storia della moglie di Ugolino della Gherardesca Capuana da Panico che, insieme al Lancia braccio destro del marito, vuole vendicarne la morte.

In generale non amo molto le pagine dedicate al racconto delle battaglie, ma Matteo Strukul è un vero maestro nel saperle narrare, riesce davvero a far appassionare anche i lettori più distaccati. Strukul ha, infatti, il dono prezioso di saper condurre il lettore al centro della mischia rendendolo partecipe non solo dello scontro armato ma anche delle emozioni e dei pensieri propri di coloro che lo stanno combattendo.

"Dante enigma" è un racconto affascinante come il suo protagonista, il “poeta guerriero” come viene definito da Omero nelle pagine del romanzo. 

Ci sarà un seguito? L’autore non l’ha escluso, staremo a vedere…