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lunedì 20 maggio 2024

“La vita s’impara” di Corrado Augias

Non saprei dire precisamente il momento in cui si siano radicati così fortemente in me la stima e l’apprezzamento per Corrado Augias, sta di fatto che da qualche anno a questa parte egli è divenuto una sorta di grillo parlante per la mia coscienza oltre che occasione di piacevoli momenti di condivisione con mio padre ogni qualvolta vi sia una sua trasmissione in televisione.

Ho parlato di grillo parlante perché non sono mai stata particolarmente attratta dalla storia del Risorgimento e, mea culpa, ancor meno da quella del Novecento. Ebbene, Corrado Augias grazie alle sue trasmissioni ha gradatamente instillato in me il desiderio di colmare questa lacuna spingendomi a fare i conti con il nostro “recente” passato di italiani.

Alla soglia dei novant’anni Corrado Augias, giornalista, scrittore, autore di programmi culturali in tv, si racconta, con lo stile garbato e ironico che lo contraddistinguono, attraverso aneddoti famigliari e lavorativi, letture, incontri, città (Roma, Parigi e New York), occasioni colte e mancate del suo percorso umano e professionale.

Leggiamo dell’infanzia passata in Libia al seguito del padre ufficiale della Regia Aeronautica, della paura dei bombardamenti e dell’arrivo degli americani a Roma, del collegio cattolico, degli studi classici e dell’università, dei concorsi fatti e di quello vinto che ne decretò il suo ingresso in RAI, dove Augias ha trascorso quasi sessant’anni e, assistendo all’avvicendarsi di tutte le varie ondate politiche, dai socialisti ai berlusconiani ai grillini, è stato testimone del suo lento e inesorabile declino.

Il racconto della sua vita diventa il racconto dell’Italia. Un’Italia che nel corso degli ultimi ottant’anni ha subito moltissimi cambiamenti. Come scrive lo stesso Augias, non si tratta solo di grandi differenze che possono essere colte facilmente come la pace e la guerra, la povertà e la ricchezza, la religiosità e la laicizzazione, ma si tratta anche di tanti piccoli e impercettibili cambiamenti, spesso di difficile individuazione e ancor più di difficile valutazione.

Nelle pagine di questo libro Augias affronta anche il tema del suo essere ateo che tiene a precisare non deve intendersi con una mancanza di spiritualità. Molti gli scritti a cui fa riferimento e a cui sin da giovane si è dedicato per indagare questo suo rapporto mancato con Dio.

Si ritrovano in queste pagine molte delle tematiche che Augias è solito affrontare nelle sue trasmissioni, ma tanti sono anche gli spunti di lettura per approfondire i temi trattati, a tal scopo di grande utilità è la dettagliata nota bibliografica presente.

Attraverso la lettura del libro sono riaffiorati alla mia mente tanti ricordi di quando ero una ragazzina come alcuni fotogrammi di “Telefono giallo”, uno dei fortunati programmi condotti da Augias, e una sigla che era solita nominare mia nonna, Unrra, riferita ad un’amministrazione delle Nazioni Unite per l’assistenza ai paesi europei devastati dalla seconda guerra mondiale.

Un rammarico grande quello di non aver dato più peso ai ricordi del tempo di guerra di mia nonna. Non che non l’abbia ascoltata, anzi, in fin dei conti se Corrado Augias con i suoi racconti riesce a smuover così tanto la mia coscienza, il merito è senza dubbio di mia nonna e dei suoi ricordi. È tuttavia altrettanto vero che se potessi ascoltare oggi quegli stessi racconti, lo farei con più consapevolezza traendone maggior beneficio, ma come giustamente recita il titolo del libro, la vita s’impara.

Corrado Augias è un giornalista arguto ed elegante, pacato ma allo stesso tempo implacabile. In una televisione urlata, la sua calma e la sua garbata eloquenza sono un vero balsamo.

Augias ha il grande pregio in questo libro come nelle sue trasmissioni televisive, cito a semplice titolo esemplificativo “La Torre di Babele” e  “Città segrete”, di non sottovalutare mai l’intelligenza del lettore, o spettatore che sia, spronandolo a colmare le proprie lacune piuttosto che assecondandone le mancanze come spesso accade per la maggior parte delle trasmissioni divulgative di oggi.    

Difficile classificare questo libro. Un testo autobiografico, uno scritto giornalistico, uno spaccato di società e costume, un invito alla partecipazione alla società civile e alla salvaguardia della democrazia, la testimonianza preziosa di un cambiamento storico, economico, politico e culturale, “La vita s’impara”  è tutto questo e molto altro ancora.




domenica 17 marzo 2013

“Stil Novo” di Matteo Renzi


Devo ammettere che sono stata a lungo indecisa se scrivere o no un post su questo libro. Il dubbio nasceva dal fatto che commentare un libro scritto da Renzi, soprattutto in questo momento, potesse essere considerato come una dichiarazione di apparenza ad uno schieramento politico preciso.  In realtà il mio incontro con questo testo è stato piuttosto casuale. Ero in libreria quando, passando davanti allo scaffale dei libri di attualità, sono stata colpita dal titolo “Stil Novo” e così, nonostante il mio marcato scetticismo per la classe politica in generale, ho deciso di seguire il mio istinto e ne ho comprato una copia. Risultato? Ho letto il libro in un giorno. Ammetto che si tratta di un volume di meno di 200 pagine, ma chi legge sa che se una lettura non è avvincente anche un libretto di poche pagine può diventare un mattone. Per dovere di cronaca bisogna ammettere che se un libro è alla quinta edizione a meno di un anno dalla sua prima pubblicazione qualche messaggio positivo dovrà pur trasmetterlo…
Come recita il sottotitolo “la rivoluzione della bellezza tra Dante e Twitter” il libro non vuole essere un testo di storia tout court ma piuttosto vuole, attraverso la storia di Firenze, scoprire differenze e similitudini con il mondo contemporaneo e nel contempo ricercare proprio nei fatti del passato degli spunti per affrontare il presente perché “le impronte del passato servono a indirizzare il cammino futuro. Una città non è un ammasso casuale di pietre. Ha un’anima che parla e va ascoltata”.
Lo ammetto non sarà un’idea originale ma Renzi in questo libro è riuscito a bilanciare bene il racconto storico con il suo pensiero politico. Pensiero che, visto il suo ruolo di esponente di partito e sindaco di Firenze, è inevitabile venga espresso. Renzi l’ha fatto però in maniera molto delicata, per nulla forzata, con una giusta carica di ironia e attraverso una scrittura asciutta e diretta.
Devo essere sincera, il fatto che le cose che ho letto, mi abbiamo trovato quasi sempre d’accordo non gioca a favore della mia obiettività sul libro, ma concedetemi che non si trova tutti i giorni un politico che parli in modo diretto e appassionato di cultura, letteratura, pittura, biblioteche, teatro, istruzione, “ambientalismo senza paraocchi ideologico” e perché no anche di bellezza che non è quella della farfallina di Belen ma quella dei monumenti e dell’arte. Forse quello che colpisce di più è proprio la passione, non solo la passione per la politica ma anche l’amore per la propria città, per la propria terra, per le proprie radici. Poco importa quindi se quando nelle ultime pagine del libro descrivendo gli affreschi del suo ufficio a Palazzo Vecchio (la sala di Clemente VII) scrive “Alla mia destra c'è La Battaglia di Gavinana, il quartiere che nel 1530, diventa teatro dello scontro tra le forze della Repubblica e quelle di Carlo V che tenta di riportare i Medici in città" confondendo il piccolo centro sulla montagna pistoiese teatro dello scontro con l’omonimo quartiere Gavinana di Firenze. La mia domanda è: quanti politici conoscete che con uffici in palazzi storici ne conoscono la storia o si interessano ad essa? Con questo non voglio giustificare l’imprecisione…
Però una cosa la devo dire, se non altro per quel campanilismo che tanto contraddistingue anche i Toscani, va bene che Firenze sia stata una città così importante nel passato, ma concedetemi che se il capoluogo Toscano aveva il fiorino a Genova avevamo il genovino con potere d’acquisto non inferiore, se Amerigo Vespucci ha dato il nome all’America è pure vero che il nuovo mondo è stato scoperto da un genovese che rispondeva al nome di Cristoforo Colombo, se è vero che Firenze ha inventato le banche, il sistema bancario moderno è nato nel 1406 a Genova con il Banco di San Giorgio e potrei andare avanti così per ore…
Il punto è che come l’autore scrive nelle prime pagine spiegando il valore e lo scopo della bellezza “il discorso vale ovviamente anche per le altre città, quello scrigno prezioso di relazioni umane, di vicende esemplari, di monumenti artistici, di ingegni creativi che fanno del nostro Paese qualcosa di più che un semplice ammasso di codici fiscali”.
Qualche giorno fa sono stata ad un incontro presso il Teatro Stabile di Genova dove tra gli ospiti era presente Alessandro Gassman. Parlando di tagli alla cultura, al teatro e affini esponeva l’idea che si debba credere fermamente che la cultura vada aiutata non solo per sostenere lo spirito ma perché in grado di creare anche nuovi posti di lavoro. Il fatto che il teatro, nonostante la crisi economica, fosse comunque tutto esaurito era un chiaro segnale da parte delle persone di voler vivere e coltivare le proprie passioni. Gassman sosteneva che proprio finché ci saranno persone mosse dalla passione, sebbene si stia attraversando un periodo buio, potrà esserci la speranza per un futuro migliore.
Anche Renzi in “Stil Novo” sostiene l’idea che non sia vero che con la cultura non si mangi e crede fortemente che proprio attraverso di essa si possano creare nuovi posti di lavoro e nuova ricchezza. Nonostante mi spaventi un po’ l’idea che il “marketing” possa prendere il sopravvento, sono d’accordo con questa visione delle cose perché penso che alla fine se non troveremo, e presto, un modo per salvaguardare il nostro patrimonio artistico e culturale perderemo tutto.  Forse ha ragione Renzi quando scrive che bisogna avere coraggio perché “il passato ci dà valori e suggerimenti splendidi, ma le idee, i metodi, le persone debbono rinnovarsi se non vogliono vivere di perdente nostalgia”.