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sabato 26 aprile 2025

“Onesto” di Francesco Vidotto

Rapito in tenerissima età, Onesto ritrova la sua famiglia all’età di cinque anni. Un ristretto nucleo famigliare composto esclusivamente da lui, suo fratello gemello Santo e sua madre Rita. I tre vivono in condizioni di povertà, lottando ogni giorno per sopravvivere. Tuttavia, ciò che non manca è l’amore, che rappresenta la loro ricchezza più grande, un legame capace di resistere alle avversità più dure.

Nonostante l’amore famigliare, il destino di Onesto sarà segnato dalla solitudine e, forse per riempire quel vuoto, o forse per aggrapparsi ai ricordi, Onesto inizierà a trovare conforto nella scrittura. Le sue lettere, indirizzate non a persone, ma alle amate montagne del Cadore, diventano il suo diario segreto, la voce con cui confidare tutto ciò che gli pesa sul cuore. Le montagne, immutabili e silenti, sono per lui non solo un rifugio fisico, ma anche emotivo, un simbolo della sua eterna appartenenza.

Guido Contin, soprannominato Cognac, possiede solo due cose di grande valore: la sua dentiera e quelle lettere, accuratamente conservate in una cartellina nera dai bordi alzati. È proprio attraverso la lettura di quelle lettere che si svela al lettore la complessa e struggente storia di Onesto, del gemello Santo e di Celeste, la donna amata da entrambi sin da quando erano poco più che bambini.

Quella di Onesto è una storia familiare che, all’apparenza, potrebbe sembrare comune a tante altre, ma si rivela straordinaria per i tanti eventi che l’hanno attraversata: il rapimento, la miseria, la violenza, la guerra che hanno segnato le vite dei protagonisti. Sullo sfondo, le montagne del Cadore rimangono immutate, testimoni silenziose del tempo che passa, in contrapposizione ai cambiamenti nei paesi e nelle persone.

Il lettore si trova immerso nel racconto, quasi seduto accanto a Guido Contin e Francesco Vidotto, leggendo quelle lettere, vivendo le emozioni dei protagonisti, condividendo il loro dolore, la loro gioia, la loro speranza e le loro delusioni. È un’esperienza così coinvolgente che anche chi legge il romanzo può ritrovarsi sopraffatto da queste emozioni.

Ad un certo punto della narrazione, l’autore vorrebbe leggere l’ultima lettera per scoprire il mistero che essa custodisce, ma Cognac lo trattiene, affermando che, una volta letta, tutto sarà finito. Anche il lettore si ritrova combattuto: da un lato, la voglia di scoprire il finale; dall’altro, il rispetto per quei momenti che necessitano di riflessione e assimilazione.

Mi sono ritrovata a chiudere il libro, posandolo con cura, nonostante il desiderio di proseguire fosse forte, quasi irresistibile, ho scelto di aspettare il giorno successivo, seguendo i saggi consigli di Guido Contin. È stato un atto di rispetto, non solo verso la narrazione, ma anche verso il tempo necessario per assimilare e riflettere su ciò che avevo letto.

Il romanzo di Francesco Vidotto è un’opera che emoziona, commuove e tocca corde profonde. È una storia triste, ma intensa e autentica, in cui i sentimenti narrati emergono con forza. Le lettere, le montagne, e i personaggi diventano parte di un quadro che racconta la forza della memoria e dell’amore. È un libro che riesce a trasformare il dolore in poesia e che lascia il lettore con il desiderio di custodire ogni emozione narrata come un tesoro prezioso.

 


martedì 22 aprile 2025

“Claudia de’ Medici sul trono del Tirolo” di Louise von Mini-Hansen

Claudia de’ Medici (1604-1648), ultima figlia di Ferdinando I e Cristina di Lorena, fu una figura straordinaria per determinazione e lungimiranza.

La sua vita fu segnata da eventi drammatici e scelte coraggiose che la portarono a emergere come una delle donne più influenti della sua epoca.

Nel 1621, Claudia sposò Francesco Ubaldo Della Rovere, duca di Urbino, un matrimonio che si rivelò infelice a causa del carattere distante e arrogante del marito. L'unione generò una sola figlia, Vittoria Della Rovere, ma non riuscì a garantire la continuità dinastica del Ducato di Urbino, che tornò sotto il controllo papale. Rimasta vedova a soli diciannove anni, Claudia tornò a Firenze con la figlia e si ritirò in convento.

Il 25 marzo 1626, Claudia sposò per procura l'arciduca Leopoldo V d’Asburgo, diventando arciduchessa d’Austria e contessa del Tirolo. Questo secondo matrimonio fu felice e prospero, ma si concluse prematuramente con la morte di Leopoldo nel 1632. Nonostante le iniziali resistenze dell'imperatore, Claudia fu nominata reggente del Tirolo, seguendo le volontà testamentarie del marito, e governò con saggezza fino alla maggiore età del figlio primogenito, Ferdinando Carlo.

Claudia si distinse per la sua abilità politica e amministrativa in un contesto dominato dagli uomini e segnato dalla guerra. Fu una sovrana attenta ai bisogni dei suoi sudditi, promotrice del bilinguismo e delle arti, trasformando la corte di Innsbruck in un centro culturale di grande prestigio. Inoltre, incentivò gli scambi commerciali istituendo il Magistrato Mercantile, contribuendo a rafforzare l'importanza internazionale di Bolzano.

Profondamente cattolica, Claudia lasciò che la sua fede guidasse molte delle sue azioni, ma non permise mai che il suo ruolo di donna la relegasse ai margini. La sua determinazione e il suo spirito innovativo la resero una figura unica nel panorama politico e culturale dell'epoca.

La sua vita è narrata in forma di romanzo, una lettura piacevole e coinvolgente, sebbene non priva di gravi errori storici.

Tra gli errori presenti nel libro, spicca la congiura dei Pazzi, che l'autrice colloca erroneamente il lunedì di Pasqua invece che nell'ultima domenica di Pasqua, come realmente accaduto. Un altro errore riguarda il nome del fratello di Lorenzo de' Medici: nel libro è chiamato Piero, ma il suo nome era Giuliano (Piero era invece il nome del loro padre).

Particolarmente grave è la confusione tra Cosimo I e Cosimo il Vecchio, che l’autrice perpetua per diverse pagine. Louise von Mini-Hansen attribuisce a Cosimo I, nonno di Claudia, il merito di aver commissionato a Brunelleschi i lavori per la cupola del Duomo di Firenze, arrivando persino a definirlo il "talent scout" dell'architetto. Le date fornite nel testo (nascita 1519 e morte 1574) riferite a Cosimo I sono corrette, peccato che Brunelleschi visse molti anni prima (1377-1446), rendendo questa attribuzione evidentemente impossibile.

Gli errori genealogici e storici proseguono, ma anche limitandosi ai sopracitati, è evidente quanto incidano negativamente sulla qualità del volume.

La figura di Claudia de’ Medici rimane affascinante e merita di essere ricordata per il suo contributo alla storia e alla cultura del suo tempo, ma le gravi inesattezze riportate nel libro rendono difficile consigliare la lettura dell’opera. Un vero peccato.

 



domenica 20 aprile 2025

“Alma” di Federica Manzon

Il passato: fardello o risorsa? Questo interrogativo attraversa tutto il romanzo, insinuandosi nelle riflessioni della protagonista e nelle dinamiche della trama. Indubbiamente, il passato è essenziale per comprendere se stessi e le proprie origini. Eppure, può trasformarsi in un peso soffocante, un bagaglio ingombrante da sotterrare per vivere più serenamente, concentrandosi esclusivamente sul futuro. Non di rado viene percepito come un masso legato alla caviglia, un vincolo che ostacola il percorso verso la realizzazione personale e l'apertura a nuove prospettive.

Alma, protagonista del romanzo di Federica Manzon, incarna perfettamente questa lotta interiore. Decisa a lasciarsi alle spalle il suo passato, si trasferisce a Roma per ricominciare a vivere. Tuttavia, i ricordi si rivelano tenaci, inseguendola nonostante i suoi tentativi di rimuoverli. Inevitabilmente, giunge il momento in cui Alma è costretta a confrontarsi con quell'eredità che tanto aveva cercato di ignorare. La chiamata arriva sotto forma dell'eredità paterna: Alma deve tornare nella sua città natale, Trieste.

Trieste è per Alma il crocevia delle sue radici, un intrico di culture e lingue diverse. Da un lato, la tradizione del nonno, legata all’Impero Austro-Ungarico e al mondo accademico e borghese. Dall’altro, il retaggio paterno, permeato della cultura slava e di un universo estraneo, eppure famigliare al tempo stesso, il "di là". 

In questo ritorno, Alma si scontra con la complessità del proprio passato e delle proprie origini. La sua infanzia era stata segnata da un mosaico di passioni per la letteratura, il teatro e la poesia, retaggi di un’Europa antica, intrecciati al comunismo slavo e ai paesaggi del Carso, dove la famiglia si era trasferita dopo la rottura con i nonni materni.

Il difficile rapporto di Alma con il padre, una figura enigmatica divisa tra l’Italia e l’ex Jugoslavia di Tito, rappresenta un nodo irrisolto; il padre è al contempo un personaggio distante e affascinante.

L’assenza di radici solide, frutto della scelta consapevole dei genitori per garantire ad Alma la libertà di plasmare il proprio futuro senza vincoli, si rivela una libertà ambivalente. Crescendo senza punti di riferimento chiari, Alma si rifugia nell'evitare legami profondi e nell'esperienza di relazioni fugaci.

Non meno complesso è il legame con la madre, che canalizza tutto il suo amore verso il marito, lasciando Alma ai margini e contribuendo al suo senso di alienazione.

Il romanzo di Federica Manzon si distingue per una narrazione stratificata, densa di introspezione psicologica e riflessioni sulla storia. Contrappone figure opposte, come il nonno e il padre di Alma, mentre la protagonista emerge come un simbolo delle tensioni e degli ideali delle loro culture.

Un altro personaggio che arricchisce la narrazione è Vili, giovane figlio di intellettuali belgradesi, in fuga dalle persecuzioni di Tito. Anche lui vive lo sradicamento, lontano dalle sue origini, condividendo con Alma il tormento di una ricerca identitaria. Due anime affini, accomunate dalla difficoltà di trovare un equilibrio personale e di coppia.

La prosa di Federica Manzon sfida il lettore, procedendo con lentezza iniziale e conquistandolo a poco a poco. L’autrice non offre riferimenti geografici espliciti, affidando al lettore il compito di collegare luoghi e contesti storici, come l’ex Jugoslavia di Tito e le guerre che ne seguirono. Il romanzo indaga le sfumature della storia, dove bene e male si intrecciano, dove i fatti sono sempre sporchi e opachi, dove spesso i crimini restano impuniti e le ferite dell’anima si trasformano in cicatrici profonde.

"Alma" un libro che stimola riflessioni profonde, proponendo una visione sfaccettata e complessa delle eredità culturali e delle scelte personali.

 

 


domenica 23 marzo 2025

“Il buio e le stelle” di Luigi De Pascalis

Luigi De Pascalis torna a narrare le vicende di Andrea Sarra, già protagonista de “La pazzia di Dio” (2010), in una nuova opera che espande e completa la storia precedente.

Nel romanzo originale, la narrazione prendeva avvio con la nascita del protagonista nel 1895, seguendo la sua crescita fino alla partenza per Zanzibar nei primi anni ’20 del Novecento. In questa nuova versione, intitolata “Il buio e le stelle,” “La pazzia di Dio” viene inglobato e integrato come parte di una narrazione più ampia che approfondisce ulteriormente il destino di Andrea.

Il romanzo si apre con l’introduzione del capostipite della famiglia Sarra, Sigismondo, il nonno di Andrea. Sigismondo è descritto come un uomo autoritario, consapevole del potere che gli derivava dalla sua posizione di proprietario terriero. Questo spaccato risale agli anni successivi all’Unità d’Italia, un periodo segnato anche dal fenomeno del brigantaggio, offrendo un affresco storico denso di dettagli.

Il vero fulcro dell’ampliamento della narrazione, tuttavia, è costituito dalla permanenza di Andrea a Zanzibar, un luogo che rappresenta tanto un rifugio quanto un teatro di conflitti personali e politici.

Ne “La pazzia di Dio,” il viaggio di Andrea lasciava il lettore col fiato sospeso e con molte domande sulla possibilità di trovare la libertà e la verità sulla figura paterna. Ne “Il buio e le stelle,” scopriamo un Andrea profondamente trasformato, segnato dagli orrori della guerra e sempre più ossessionato dal desiderio di comprendere il passato del padre. Nonostante il genitore sia deceduto, Andrea sembra ancora alla ricerca della sua approvazione, come quando da ragazzo scelse di partire per il fronte.

Il contrasto tra il mondo di Borgo San Rocco, immaginario paese abruzzese che fa da sfondo al primo romanzo, nonché alla prima parte di questa nuova edizione, e la realtà tumultuosa di Zanzibar è netto. Se da una parte Borgo San Rocco rappresenta un microcosmo di provincialismo e tradizioni radicate, dove reale e imponderabile riescono a coesistere; Zanzibar appare come un mondo affascinante ma pericoloso, popolato da avventurieri, schiavisti e politici corrotti. Eppure, nonostante l’immensa distanza dall’Italia, Andrea non sfugge al controllo del regime fascista, trovandosi a dover affrontare rappresentanti del partito anche lì, in quella che avrebbe dovuto essere per lui una terra di libertà.

La narrativa di De Pascalis tesse abilmente una trama in cui i fantasmi del passato si mescolano con la realtà cruda e complessa del presente, creando un racconto ricco di pathos e introspezione.

La scelta di completare e ampliare il romanzo iniziale si rivela non solo coerente, ma anche necessaria per fornire una conclusione più esaustiva alla storia di Andrea Sarra.



sabato 8 marzo 2025

“La pazzia di Dio” di Luigi De Pascalis

Andrea Sarra nasce a Borgo San Rocco il 12 marzo 1895. È lui il protagonista e io narrante della vicenda che prende avvio proprio dal racconto dei suoi primi trent'anni di vita. Una narrazione che si intreccia con quella dei suoi familiari, dei compaesani e, in un gioco di sovrapposizioni, con le grandi vicende della Storia, quella con la "S" maiuscola.

Dal 1895 al 1925, Andrea attraversa il delicato passaggio dall'infanzia all'età adulta, crescendo e forgiandosi come uomo. Sullo sfondo troviamo un mondo sconvolto da eventi epocali: la Prima Guerra Mondiale, le ondate di emigrazione, l'epidemia di spagnola e l'avvento del fascismo.

La pazzia di Dio si presenta come un romanzo di formazione, ma è al contempo anche un racconto corale. Borgo San Rocco, il paese natale di Andrea, è frutto della fantasia dello scrittore, così come lo è la famiglia Sarra, protagonista della vicenda. Questo microcosmo immaginario diventa metafora e ritratto della realtà contadina, quella stessa realtà destinata a scomparire nel volgere di pochi decenni.

La narrazione si dipana attraverso diversi registri, riflettendo la varietà dei personaggi che animano le pagine del romanzo. Anche il ritmo del racconto muta costantemente: accelera o rallenta in sintonia con l'intensità degli eventi. Così, la scrittura passa dall’essere ironica e divertente all’uso di toni riflessivi e malinconici, seguendo il fluire imprevedibile delle circostanze.

Nella vita nulla resta invariato, tutto è cambiamento. I rapporti tra le persone si trasformano: ci si scopre spesso più vicini a coloro che si ritenevano tanto diversi e più distanti da chi invece si pensava essere tanto simile.

La pazzia di Dio è un'opera di legami familiari, di sogni spezzati, di speranze tradite e di rimpianti. Ma è anche un racconto intriso di voglia di riscatto e di speranza.

De Pascalis dipinge un mondo antico e ancestrale, intriso di riti, credenze e religiosità. Un mondo dove il rispetto e la dignità rappresentano valori assoluti, indipendentemente dal ceto sociale, e dove non sorprende neppure incontrare il fantasma di famiglia aggirarsi tra le mura di casa. È un mondo scandito dal ritmo ciclico delle stagioni, armonizzato con la terra.

Ma quel mondo antico, con le sue buone maniere e l’importanza dell'abito della festa, si sgretola sotto il peso del progresso e delle rivoluzioni sociali lasciando sempre più spazio alla forza e alla prepotenza del nuovo che avanza.

Quello dipinto da De Pascalis con tanta maestria è un mondo capace di imprimersi profondamente nel cuore e nella memoria del lettore, lasciando in lui una traccia indelebile.

 


domenica 23 febbraio 2025

“I sette corvi” di Matteo Strukul

Nicla Rossi vede due alunni allontanarsi durante la pausa e decide di seguirli per riportarli indietro. Si addentra nel bosco, li chiama, ma di loro non sembra esserci traccia. L’insegnante avverte qualcosa di diverso in quel luogo a lei tanto familiare, percepisce la presenza di un qualcosa di inquietante e primordiale che non sa spiegare. Nicla Rossi non uscirà viva da quel bosco.

Ad indagare sul presunto omicidio vengono inviati da Belluno la giovane ispettrice Zoe Tormen e il medico legale Alvise Stella. Il caso si rivelerà fin da subito complesso e carico di dettagli inspiegabili.

 

Zoe Tormen indossa abiti sportivi, una camicia a quadri e un parka, è dotata di un fascino molto particolare. È appassionata di rally, guida una Lancia Delta Martini, è amante della montagna e ascolta musica grunge.

 

Zoe e Alvise hanno due caratteri molto diversi. È la prima volta che si trovano a lavorare insieme, ma tra i due nasce subito un’ottima intesa, grazie anche alla capacità del medico legale di saper rispettare le zone d’ombra di Zoe.

 

Per la prima volta Matteo Strukul si cimenta con il genere thriller e direi che lo fa nel modo migliore. Il soggetto è una leggenda nera che dimora da cinquecento anni in un immaginario paesino di montagna situato al confine tra il Veneto e il Friuli. È un paesaggio a metà tra reale e fantastico quello in cui si trova immerso il lettore, un luogo ai confini del mondo popolato da centinaia di leggende, un luogo dove il limite tra possibile e impossibile diventa pagina dopo pagina sempre più impalpabile.

 

Come per ogni suo romanzo, si vede quanto lavoro di ricerca ci sia stato prima di arrivare alla stesura definitiva del racconto che non presenta mai una sbavatura. La storia è perfettamente ambientata nella metà degli anni ’90 e un aspetto che ho molto apprezzato è quello di aver arricchito il racconto con una colonna sonora di quegli anni. The Cure, The Cranberries, Nirvana, The Black Crowes sono solo alcuni degli artisti citati. Molto indovinata l’idea di inserire al termine una playlist delle canzoni.

 

Se tante sono le citazioni musicali, altrettante sono le fonti di ispirazione e le citazioni letterarie e fumettistiche; da quelle più evidenti, come “Il Corvo” di James O'Barr o “Gli Uccelli” di Daphne du Maurier, a quelle meno palesi. Potrei citare una frase su tutte: “cadde come corpo morto” di dantesca memoria.

 

“I sette corvi” è un thriller dal ritmo incalzante, una fiaba gotica dove leggenda e magia si fondono in un intreccio oscuro e affascinante.

 

Una cosa è certa, sia che si tratti di un romanzo storico, sia che si tratti di un thriller, Matteo Strukul sa sempre come catturare l’attenzione del lettore.





 

domenica 26 gennaio 2025

“Voci da casa Pascoli” di Claudio Giovanardi

Il libro non è una biografia di Giovanni Pascoli, ma un romanzo in cui la storia si dipana attraverso i ricordi esposti in prima persona dal poeta e da coloro, familiari e amici, che fecero parte della sua vita.

Le memorie e i fatti di vita vissuta non seguono un ordine cronologico prestabilito, ma incalzano il lettore in un ininterrotto susseguirsi di flashback. Gli avvenimenti e i dialoghi riportarti in queste pagine non necessariamente sono accaduti davvero, ma nascono dalla lettura della figura di Pascoli da parte dell’autore che ne fa un racconto che si potrebbe definire verosimile.

Molto suggestiva è l’immagine che Giovanardi dà dei suoi personaggi definendoli come coriandoli e al lettore sembra quasi di vederli volteggiare nel vento quei coriandoli, figure di uomini e donne che fecero parte della vita del poeta.

La scuola ha consegnato a noi studenti la figura di un Pascoli ossessionato dalla morte del padre, un uomo che aveva sofferto profondamente l'essere orfano. Forse proprio per questo motivo, attribuiva un'importanza fondamentale al nido familiare, considerandolo l'unico luogo dove poter trovare la pace.

Il Giovanni Pascoli di Claudio Giovanardi è un uomo, un professore, un poeta, ma soprattutto è un fratello devoto, votato alla felicità delle due sorelle minori. Mentre Ida avrà la forza di vivere la sua vita e rompere il cordone ombelicale, Giovanni quella forza non la troverà mai, restando per sempre legato a Maria che egoisticamente lo terrà avvinto a sé per tutta la vita, impedendogli di spiccare il volo.

Altra figura particolare è quella di Giuseppe Pascoli: un rapporto burrascoso quello del poeta con questo fratello sventurato, inventore mancato e sempre a corto di denaro. Un rapporto fatto di amore e odio il loro, dove Giuseppe dichiara sì di amare Giovanni, ma allo stesso tempo non si esime dal dipingerne un ritratto fosco, attribuendogli talvolta un comportamento ipocrita e a tratti anche crudele.

Nel raccontarsi, i Pascoli spesso cadono in contraddizione, narrando versioni diverse di uno stesso episodio; la situazione si fa quasi pirandelliana, inducendo il lettore ad interrogarsi su quale sia il personaggio che sta dicendo la verità, ma forse non esiste mai una sola verità.

Dieci fratelli, una famiglia numerosa, eppure solitudine e silenzi sono le due parole che ricorrono più spesso per descrivere i rapporti tra loro e il loro comune sentire.

La vita di Giovanni Pascoli orfano, studente, anarchico socialista, carcerato, insegnante sempre in giro per l’Italia e poi finalmente professore universitario, sembra aver avuto come filo conduttore il vivere sempre ai limiti dell’indigenza.

Le sue poesie parlano di un vissuto quotidiano, di piccoli gesti, di cose semplici; quanto diversa la sua poesia da quella roboante di D’Annunzio, ma anche da quella del suo maestro Giosuè Carducci.

Il libro di Claudio Giovanardi non può prescindere dalla poetica e dai testi di Giovani Pascoli, ma non manca neppure di riferimenti alla poesia di altri poeti, come la sillaba storta che appare all’improvviso, eco di montaliana memoria.

“Voci dal Passato” è un romanzo particolare, dalla prosa scorrevole ed intensa, un testo profondo e intimo reso con un linguaggio elegante e poetico.




 


domenica 19 gennaio 2025

“Il caso Ildegarda” di Edgar Noske

La mia prima scoperta di Ildegarda di Bingen, suora, scrittrice, scienziata, filosofa, profetessa e visionaria, avvenne quasi per caso attraverso la sua musica.

Ildegarda fondò ben due monasteri e, a testimonianza della sua eclettica personalità, ci sono pervenuti numerosi canti, lettere, scritti scientifici e poesie. Fu anche l'ideatrice di un nuovo linguaggio, noto come lingua ignota o litterae ignotae. Di lei ci sono giunte anche molte composizioni musicali accompagnate da originali testi poetici.

Il romanzo di Edgar Noske è un giallo storico in cui il personaggio di Ildegarda emerge con tutta la forza, l’energia e la determinazione che ne contraddistinsero il carattere.

Corre l’anno 1177 quando il monaco Wiber von Gembloux riesce, con un sotterfugio, a ottenere il permesso del suo priore per recarsi presso il monastero di Rupertsberg. Il suo più grande desiderio è infatti quello di diventare segretario della badessa Ildegarda, la mistica e visionaria profetessa teutonica.

In una giornata di piogge torrenziali, un cadavere emerge dal terreno, segnando l'inizio di una serie di rivelazioni a lungo taciute.

L'anziana Ildegarda inizia a raccontare le difficoltà incontrate nel fondare il suo monastero, svelando i personaggi insospettabili, come l'abate Kuno, che per avidità e invidia tentarono con ogni mezzo, spesso illecito, di ostacolarla. Un racconto suggestivo e ricco di misteri e intrighi, popolato da personaggi affascinanti e complessi, che cattura l'attenzione del lettore e lo trasporta in un'epoca lontana, dove le passioni e le lotte di potere si intrecciano in una trama avvincente.

L'autore ha saputo magistralmente ricreare le atmosfere dell'epoca, regalandoci un intrigante e appassionante giallo storico medievale. La trama, ben costruita, cattura l'attenzione dalla prima all'ultima pagina, grazie all'accuratezza storica e alla ricchezza di dettagli che rendono il racconto ancora più realistico e affascinante.




lunedì 2 dicembre 2024

“Lady Constance Lloyd” di Laura Guglielmi

Lady Constance Lloyd, moglie di Oscar Wilde, è una figura affascinante e complessa. Nata in Irlanda, Constance crebbe a Londra e incontrò Wilde durante una lettura della Divina Commedia in cui lei recitava i celebri versi del V canto dell’Inferno.

Constance era una donna attraente e intellettualmente curiosa, attirata dagli ambienti culturali e desiderosa di un marito che le permettesse di perseguire le proprie aspirazioni.

Il libro di Laura Guglielmi, scritto sotto forma di diario, mette in luce la personalità di Constance: una giovane donna affascinata dal carattere forte di donne indipendenti e forti quali furono Mary Shelley e Lizzie Siddal.

Con alle spalle una storia familiare difficile, una madre violenta e anaffettiva e un padre assente che morì quando lei era ancora giovane, Constance sviluppò un forte senso di libertà che volle mantenere anche nel matrimonio.

All'inizio, quella con Oscar Wilde fu una vera storia d'amore, legati l’uno all’altra da profondi sentimenti, da un’ottima intesa sessuale e da una forte corrispondenza intellettuale. Con la nascita del secondo figlio, Wilde però inizio ad allontanarsi sempre più dalla moglie e iniziò a frequentare diversi giovani uomini fino al fatale incontro con l’aristocratico Bosie che ne decretò la rovina, ovvero il processo per sodomia e la successiva condanna a due anni di lavori forzati.

Nonostante tutto, Constance non fu mai una vittima passiva come venne dipinta per molto tempo. Ella si dimostrò invece una donna coraggiosa e forte, che difese il suo matrimonio e l'amore per Oscar rimanendo fermamente al suo fianco anche quando la società e tanti amici gli avevano voltato le spalle.

Il libro di Laura Guglielmi è un testo ben scritto e documentato, con bellissime descrizioni dei paesaggi e dei tantissimi personaggi che ruotavano intorno alla vita di Constance. Tuttavia, a mio avviso, alcune frasi dette dalla Constance, protagonista del romanzo, e a tratti anche il suo modo di difendere e comprendere l'omosessualità di Wilde, per quanto indubbiamente ella avesse dimostrato di essere una donna illuminata, straordinariamente moderna e di mente aperta, sembrerebbero un po’ forzate per l’epoca.

“Lady Constance Lloyd. L’importanza di chiamarsi Wilde” offre un quadro completo e affascinante della vita di Constance e delle sue vicende famigliari.

Per chi fosse interessato alla storia della famiglia di Oscar Wilde ricordo anche un altro bellissimo libro scritto proprio dal figlio minore della coppia, Vyvyan Holland, di cui vi avevo parlato qualche tempo fa intitolato “Essere figlio di Oscar Wilde” (2023, La Lepre Edizioni).

domenica 10 novembre 2024

“Il priore oscuro” di Jack Roland

Il campo di battaglia è disseminato di cadaveri, l’Ordine Bianco è stato sconfitto, ma la strega non è morta, la guerra non è finita. È solo questione di tempo prima che l’esercito di Wèn (Vortingern), torni a seminare terrore e morte.

I dodici Priori, i custodi dei dodici elementi sui quali si basa l’equilibrio del mondo, stanno morendo. Wèn, la creatrice del tredicesimo elemento, la stregoneria, ne sta distruggendo la stabilità con il suo esercito di strigoi e lamie.

Ad un cavaliere risorto per mano dei Priori spetterà il compito di fermare la strega e le sue orde di spettri. Ad affiancarlo, in questo incarico dagli esiti quantomai incerti, ci saranno tre donne: la gatta mutaforma Vesper, la veggente Avril e la regina Valka, conosciuta da tutti anche come Valka la Sanguinaria o la Madre dei Predoni.

Il romanzo di Jack Roland è un racconto in cui nulla è come sembra e dove la sottile linea che distingue il bene dal male è fragilissima. Bene e male non possono mai essere concetti assoluti e il personaggio del cavaliere Tristo è l’incarnazione stessa del principio per cui, talvolta, un male diventa necessario quando il bene che ne scaturisce è superiore.

La conoscenza di Jack Roland dei grandi classici del ciclo arturiano è indubbia così come è vasta la sua conoscenza della letteratura fantasy, possiamo citare due saghe su tutte quella di The Witcher di Andrzej Sapkowski e quella del Trono di Spade di George R.R. Martin. Jack Roland, però, conosce altrettanto bene i racconti del terrore, si potrebbero in questo caso citare come Lovecraft e Poe.

Jack Roland è stato bravo a trarre ispirazione da questa vasta materia letteraria per ricreare un mondo tutto suo, dove i personaggi hanno una loro propria identità. Non è facile creare un mondo dove una veggente, che a tratti richiama alla mente la leggendaria Morgana, e un cavaliere, che presenta alcune caratteristiche tipiche dei paladini arturiani e allo stesso tempo quelle di un Geralt di Rivia, riescano a risultare credibili aggirandosi tra vampiri e inquisitori. Eppure, non solo il racconto è estremamente piacevole, ma i personaggi sono tutti dotati di un carisma e un fascino non comuni. 

Interessante poi la sottotraccia del racconto in cui si evidenza l’importanza di una convivenza civile e rispettosa tra le varie etnie e le varie professioni di fede, una tematica estremamente attuale.

Quella narrata nel Priore Oscuro è una storia molto interessante e coinvolgente, a suo modo anche originale, senza dubbio un racconto cupo e potente come i suoi protagonisti.  

  

 


domenica 27 ottobre 2024

“Lady Athlyne” di Bram Stoker

Non a molti è noto che Bram Stoker, il famosissimo autore di Dracula, scrisse anche un romanzo rosa o forse sarebbe meglio dire una commedia romantica.

Lady Athlyne è infatti una storia molto particolare, caratterizzata fin dalle prime pagine da un fitto intreccio giocato su equivoci e mezze verità taciute.

Joy Ogilvie è una giovane ricca americana, determinata e molto moderna sia nei modi che nel pensiero. Joy è figlia del Colonello Ogilvie, un uomo all’antica, ossessionato dal concetto di onore tanto da aver sfidato parecchie persone a duello per codesto motivo. Nonostante questa rigida personalità, però, il Colonnello è sempre molto indulgente verso la sua unica figlia per la quale prova un affetto incondizionato.

Joy si ritrova per caso a fantasticare sulla possibilità di diventare la moglie di un certo Lord Athlyne. La giovane, in verità, non ha mai visto l’uomo in questione, ma è rimasta affascinata dalle parole con cui la balia di questi gliene ha descritto pregi e qualità. Il destino vuole che un giorno, in modo alquanto avventuroso, le strade di Joy e di Lord Athlyne si incrocino davvero. Joy ignora l’identità del giovane appena conosciuto e lui, a sua volta, non sa ovviamente che Joy sia proprio quella donna che va in giro spacciandosi per sua moglie e che lui è più che mai determinato a smascherare.

L’intreccio sembrerebbe presagire una storia scoppiettante e ricca di colpi di scena, ma in verità le lunghe descrizioni rallentano notevolmente il ritmo del racconto. Insomma, se le aspettative del lettore sono quelle di un romanzo alla Jane Austen, queste saranno inevitabilmente deluse.

Non fraintendetemi, il racconto è ben articolato e la storia interessante, ma i personaggi non riescono a coinvolgere totalmente il lettore. Insomma, non si crea tra il lettore e i protagonisti quell’empatia che ci si aspetterebbe leggendo un romanzo di questo genere.

L’intento di Bram Stoker di voler denunciare attraverso le pagine di questo suo racconto la rigidità delle regole della società vittoriana è esplicito e ben condotto, ma talvolta a discapito della descrizione dei protagonisti che troppo spesso assumono le caratteristiche di una macchietta.

Zia Judy, la cognata del Colonnello, è forse il personaggio più austeniano del libro. Come lei stessa suole definirsi facendosi beffe della società, è una vecchia zitella che vive con la famiglia della sorella. In verità, la donna ha appena quarant’anni ed è il personaggio più coerente del romanzo. Mentre la giovanissima Joy che vorrebbe rompere i rigidi schemi imposti dalla società, sembra sempre un po’ frenata nel momento in cui si getta nell’impresa; Judy trasgredisce alle regole quanto la giovane nipote, ma lo fa in modo più cauto, più ragionato come l’età più matura e l’esperienza le hanno insegnato a fare.

Lady Athlyne è una lettura interessante che fa conoscere al lettore un Bram Stoker diverso e se vogliamo inaspettato. Un plauso va alla casa editrice Caravaggio Editore per la decisione di stampare questa prima edizione italiana integrale di un romanzo che altrimenti sarebbe rimasto sconosciuto ancora a lungo ai lettori. Bellissima anche la veste grafica scelta.

 


domenica 15 settembre 2024

“Inquisizione Michelangelo” di Matteo Strukul

È un Michelangelo avanti con gli anni e in cerca di redenzione il protagonista di questo bellissimo romanzo di Matteo Strukul.

Le parole di Lutero hanno infiammato l’Europa e la Chiesa sta attraversando una delle peggiori crisi degli ultimi tempi, persino a Roma si parla di una nuova fede. Michelangelo, si interroga sul ruolo da lui svolto alla corte papale, pentendosi e quasi vergognandosi di essere stato proprio lui, con la sua arte, uno dei maggiori artefici di quello splendore e di quel fasto che ad altro non servivano se non a camuffare la vera essenza del potere e del dominio.

Giunge in suo soccorso l’amica Vittoria Colonna, marchesa di Pescara, donna colta e illuminata, che lo mette in contatto con un gruppo di riformatori di cui ella stessa fa parte e che sono capeggiati dal cardinale inglese Reginald Pole. Michelangelo ritrova se stesso, ma non la pace perduta perché Gian Pietro Carafa, capo del Santo Uffizio, è più che mai deciso ad eliminare la setta degli Spirituali. 

 

Matteo Strukul riesce in maniera magistrale a ricreare l’ambientazione perfetta per raccontare fatti realmente accaduti facendo interagire personaggi storici con altri di pura fantasia. Protagonisti affascinanti che coinvolgono il lettore con le loro storie fin dalle prime pagine, come nel caso di Malasorte, una ragazzina a cui la vita non ha mai fatto sconti. Forte, intelligente e determinata, anche aggressiva se necessario, Malasorte è anche capace di donare amore incondizionato, sempre leale con chi gli ha dimostrato affetto. Questa ragazzina, dal nome così particolare, non può che far breccia nel cuore del lettore, così come lo ha fatto in quello del rude Michelangelo. Pagina dopo pagina, però, scopriremo che l'artista in fin dei conti non è l'uomo burbero che la storia ci ha sempre dipinto, ma è un uomo che, a suo modo, sa anche essere sensibile e generoso.

 

Il presunto coinvolgimento di Michelangelo con il gruppo degli Spirituali e con l’Ecclesia Viterbensis di Reginald Pole, a cui si ricollega Matteo Strukul, nasce dalle tesi sostenute da una particolare corrente della critica dell’arte a cui fanno capo Antonio Forcellino, Maria Forcellino e Adriano Prosperi. Essi sostengono che nell’ultima produzione di Michelangelo è evidente l’importanza delle sue frequentazioni in quanto nelle sue ultime opere si scorgono chiari segni di quella dottrina riformata che sosteneva un ritorno alla purezza evangelica.

 

“Inquisizione Michelangelo” è un bellissimo romanzo storico coinvolgente ed emozionante, ricco di colpi di scena. Tradimenti, amore, cospirazioni… non manca proprio nessun elemento per tenere incollato il lettore alle pagine. Come sempre Matteo Strukul ci regala un puntuale affresco storico dell’epoca nel quale si muovono i suoi meravigliosi personaggi di fantasia che ci raccontano la loro storia interagendo con quei personaggi reali, altrettanto straordinariamente narrati dall’autore, che a loro volta ci raccontano la Storia.





 

sabato 31 agosto 2024

“I Leoni di Sicilia” di Stefania Auci

Nel 1799 Paolo e Ignazio Florio lasciano Bagnara Calabra per trasferirsi a Palemo. I fratelli Florio sono ambiziosi e gran lavoratori, hanno tutta l’intenzione di farsi strada, ma i nobili palermitani sono aggrappati ai loro privilegi e, seppur pesantemente indebitati, guardano dall’alto chi si ammazza di fatica per ritagliarsi il proprio posto in società.

I Florio sono gente tenace e nel giro di due generazioni la bottega di spezie con la quale hanno cominciato è solo l’infinitesima parte dei loro giro d’affari. In meno di un secolo sono riusciti a costruire quella che oggi verrebbe definita una vera e propria holding. I loro interessi economici si sono diversificati: hanno acquistato case e terreni, sono proprietari di una compagnia di navigazione, gestiscono diverse tonnare, sono produttori di marsala.

Nonostante il successo economico e politico raggiunto, molti a Palermo li definiscono ancora facchini, la nobiltà gli è ancora preclusa, il sangue fa la differenza. Con la terza generazione si avverte che il vento sta cambiando, ma questa sarà materia per il secondo volume della saga, “L’inverno dei  Leoni”.

Sullo sfondo della storia italiana dai moti del 1818 fino all’unità d’Italia la storia dei Florio imprenditori si intreccia con quella delle loro vicende personali. Una saga famigliare seducente e intrigante come i suoi protagonisti. Una storia che, sia per scrittura che per tematiche, ricorda i grandi testi della letteratura, primo tra tutti Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.

Molti sono gli spunti di riflessione che nascono durante la lettura del romanzo: alcuni di carattere più generale e legate alla società dell’epoca, come il ruolo della donna oppure la collusione tra politica e imprenditoria, altri di carattere umano come i rapporti tra genitori e figli oppure gli amori segreti e le complicate relazioni sentimentali. 

I protagonisti del romanzo, specialmente quelli maschili, non riescono mai ad avere rapporti sereni con gli altri famigliari. L’impero che riescono a costruire è qualcosa di immenso, ma la smodata ambizione e l’impegno profuso assorbono ogni loro energia. Qualunque cosa deve essere sacrificata sull’altare di Casa Florio.

Una trama interessante e una scrittura scorrevole caratterizzano questo romanzo. Alcune parole in dialetto talvolta potrebbero risultare un po’ ostiche, ma le ho trovate decisamente utili affinché il lettore riesca a calarsi ancora più profondamente nell’atmosfera del racconto che risulta sempre molto intenso e coinvolgente.

Ognuno all’interno del libro proverà simpatia per alcuni personaggi piuttosto che per altri. I miei personaggi preferiti sono stati Ignazio, il primo, quello arrivato a Palermo con il fratello Paolo, e Giulia Portalupi. Alcuni personaggi invece incontreranno le simpatie del lettore all’inizio per perderla magari nel corso della narrazione.  A me è accaduto con Giuseppina, la moglie di Paolo Florio.

Sono curiosa di leggere il secondo volume della saga e di vedere la serie TV omonima tratta da questo primo libro con Vincenzo Florio interpretato da Michele Riondino e Miriam Leone nei panni di Giulia Portalupi.





domenica 25 agosto 2024

“Figlia della palude” di Priska Nicoly

Aprile 1782 Caroline del Sud. La milizia lealista dei Bloody Scout giunge a Little Eden, la proprietà dei Langstone, e appicca il fuoco distruggendo ogni cosa. La figlia di Solomon Langston, Laudicea (Dicey), viene fatta prigioniera dal famigerato capo dei Bloody Scout, Bloody Bill.

Alcuni uomini della milizia credono che la ragazza sia una strega e lei non fa nulla per non alimentare tale sospetto, nonostante questo possa mettere seriamente a repentaglio la sua vita. Bloody Bill, però, sembra intenzionato a salvarla ad ogni costo dai suoi soldati perché Dicey sa dove si trova l’accampamento del fratello, il capitano James Langston. Una motivazione che col tempo sembra sempre più una mera scusa per coprire la vera ragione. 

Il romanzo cerca di rimanere il più fedele possibile alla realtà dell’ambientazione storica. I protagonisti del romanzo Bloody Bill (William/Liam Cunningham) e Dicey (Laudicea Langstom) sono due personaggi realmente esistiti. Proprio dalle loro storie l’autrice ha tratto ispirazione per creare la trama di questo libro nato dalla sua fantasia.

Il racconto stenta un po’ a decollare, il ritmo iniziale è piuttosto lento e la parte legata ai riti e alle pratiche hoodoo, filo conduttore dell’intero romanzo, non è sempre di facile e immediata comprensione. Una volta entrati, poi, nel cuore della storia il ritmo si fa decisamente più rapido e incalzante.

Lui, il bello e dannato, ma che in verità non è poi così dannato; lei, giovane e innocente, ma che rivela fin da subito di possedere un carattere combattivo e ribelle; non ci si aspetterebbe nulla di diverso dai protagonisti di un romance, però Priska Nicoly è stata molto brava a renderli oltremodo carismatici e affascinanti. Unica pecca, non perché voglia essere puritana, ci stanno le pagine dedicate al sesso, però, le ho trovate talvolta non necessarie all’economia del romanzo, anzi alle volte sembrano entrare un po’ a gamba tesa nel racconto a discapito dello stesso.

Molto buona la trama del racconto, impeccabile la soluzione degli enigmi, a cui il lettore tenta di trovare una spiegazione fin dalle prime pagine,  e ottimo il colpo di scena finale in buon parte per niente scontato.

Assolutamente da fare una menzione alla stupenda veste grafica del libro.

Una lettura consigliata a chiunque ami il romance storico che porti con sé qualcosa di magico e misterioso.



venerdì 16 agosto 2024

“Le otto montagne” di Paolo Cognetti

Il romanzo racconta la storia di Pietro, un ragazzino di città, e del suo legame con Bruno, un figlio della montagna. Un’amicizia fatta di partenze e di ritorni, di separazioni e di riavvicinamenti, ma allo stesso tempo un legame solido che durerà tutta una vita.

I genitori di Pietro erano emigrati in città all’età di circa trent’anni subito dopo essersi sposati. Avevano lasciato il Veneto e le loro amate Dolomiti per trasferirsi a Milano. Due caratteri differenti, i loro: ansioso e ombroso lui, aperta e socievole leiAvevano trovato un loro equilibrio alla base del quale c’era la montagna. Avevano, però, modi diversi di viverla questa montagna: per lui significava raggiungere la vetta, laddove non si poteva più andare oltre; la quota prediletta di lei, invece, era quella dei 1500 metri, dove i caprioli si nascondono tra abeti e larici e dove fiorisce il rododendro.

“Le otto montagne” è un romanzo di formazione. Nel Piero e nel Bruno adulti  il lettore scorgerà molti tratti comuni ai loro genitori, ma la loro crescita porterà con sé anche singolarità di un carattere tutto loro. La quota prediletta di Bruno non sarà né la vetta, né il bosco, bensì quella che si trova nel mezzo dove ci sono la prateria alpina, i torrenti, le torbiere, l’erba d’alta quota e le bestie al pascolo. Proprio quel paesaggio che, quando era ragazzino, faceva da cornice alle sue estati spensierate in compagnia dell’amico di sempre, più prezioso di un fratello, così diverso da lui ma a lui complementare.

Avevo sentito parlare molto di questo romanzo e della sua successiva trasposizione cinematografica (2022). Proprio per questo motivo, ho preferito attendere un po' di tempo prima di affrontarne la lettura.

“Le otto montagne” è un libro intenso e toccante che analizza e osserva i tanti aspetti della vita, anche quelli più duri come la montagna d’invero, quando i turisti tornano nelle loro case di città e lassù, tra i monti, regnano il silenzio, la neve il ghiaccio, perché la montagna d’inverno non è fatta per gli uomini e deve essere lasciata in pace.

La montagna si presta ad essere una perfetta metafora della vita perché non è solo nevi e dirupi, creste, torrenti, laghi, pascoli. La montagna è un modo di vivere la vita. Un passo davanti all’altro, silenzio tempo e misura.

Un racconto emozionante dove il tempo è dettato dalle stagioni, dove si parla una lingua antica, un microcosmo dove una società primitiva è ancora detentrice di quei valori del passato che stanno via via scomparendo come le sue genti, come i ghiacciai sulle montagne.



mercoledì 14 agosto 2024

“Il conte Attilio” di Claudio Paglieri

Attilio Arrigoni è un valoroso capitano di ventura che, insieme al suo fedele amico il tenente Massimiliano Bonati, combatte nelle Fiandre sotto il comando del generale Ambrogio Spinola Doria.

Innamorato da sempre dell’unica donna che non potrà mai essere sua, quando riceve da lei una lettera in cui invoca il suo aiuto, Attilio, ottenuta licenza dallo Spinola, non esita a precipitarsi in suo soccorso. Affronterà un viaggio periglioso e ricco di insidie pur di arrivare in tempo a Milano per salvarla dal convento a cui il fratello l’ha destinata costringendola a prendere i voti.

Il conte Attilio è una vecchia conoscenza manzoniana. Nei Promessi Sposi egli scommetteva con il cugino Don Rodrigo se questi sarebbe riuscito o meno a sedurre Lucia, prendendo parte anche al piano per il rapimento della giovane.

Il conte Attilio dei Promessi Sposi era un nobile frivolo, un dongiovanni impenitente che viveva di rendita. Ben diverso il personaggio di Claudio Paglieri che nel suo romanzo vuole riscattarne la figura, prendendo spunto anche da una vecchia faida realmente esistita tra la famiglia Manzoni e quella degli Arrigoni.

“Il conte Attilio” è buon romanzo di cappa e spada che non manca di omaggiare i classici dello stesso genere attraverso numerosi richiami e riferimenti così come fa ovviamente nei confronti dei Promessi Sposi, di cui il romanzo si può ritenere un prequel o uno spin-off, se vogliamo usare la terminologia moderna delle serie televisive.

Invero, tanti sono i riferimenti alla letteratura, troviamo richiami a Dante, Machiavelli, Tasso, solo per citarne alcuni, ma molti sono pure i richiami alla pittura di cui la protagonista femminile Lucrezia è appassionata, dilettandosi essa stessa in quest’arte con pregevoli risultati.

Il conte Attilio è un protagonista affascinante, intelligente e arguto, un guascone dall’animo nobile, un seduttore impenitente, ma leale con gli amici e la famiglia. Impossibile non prenderlo in simpatia fin dalle prime pagine.

Attilio è molto impulsivo e, a bilanciare questa suo carattere precipitoso e focoso, troviamo l’amico Bonati altrettanto coraggioso, ma dall’animo più riflessivo e dai costumi più morigerati.

Da genovese, ho apprezzato parecchio le schermaglie verbali tra miei concittadini e i milanesi così come le descrizioni della Genova seicentesca e del suo entroterra. Mi hanno incuriosito alcuni personaggi in particolare della famiglia Balbi e la storia del capitano Ambrogio Spinola Doria la cui figura credo non mancherò di indagare successivamente.

Il romanzo è scritto molto bene, la storia è scorrevole e si legge con piacere. Non mancano colpi di scena e si percepisce chiaramente che l’autore si è molto documentato per rendere i personaggi e l’ambientazione quanto più verosimili possibile.

Unica nota stonata, a mio avviso, il finale che non è riuscito a coinvolgermi emotivamente come il resto del romanzo. Un epilogo alquanto scontato e annunciato che forse non sarebbe potuto essere diverso, ma che faceva comunque sperare nel sopraggiungere di un qualche colpo di scena a scompigliare le carte, tanto più trattandosi a tutti gli effetti di una storia di fantasia.

Le ultime battute lasciano uno spiraglio aperto per una possibile nuova avventura del conte Attilio ma, per quanto abbia apprezzato la lettura del romanzo, non riesco a intravedere potenzialità per lo sviluppo di un eventuale secondo episodio.