domenica 26 settembre 2021

“Karma” di Fausta Leoni

Fausta Leoni (1929-2019), scrittrice e giornalista che ha collaborato a diversi programmi culturali ed è stata redattrice del TG2 Rai, ci racconta in prima persona la sua esperienza con il mondo dell’aldilà.

A questo argomento nel 1963 insieme al regista Gillo Pontecorvo Fausta Leoni dedicò anche un’inchiesta televisiva per indagare quale fosse l’atteggiamento degli italiani verso l’immortalità dell’anima. L’ultima parte del libro riporta proprio la scaletta delle quattro puntate del programma. 

Fausta Leoni si sta recando con il marito Gibì in Perù e più precisamente nel piccolo pueblo di Huallpa, sulla Cordigliera delle Ande, il luogo dove è ormai certa di aver vissuto la sua precedente esistenza.

Qui il racconto fa un passo indietro e la scrittrice inizia a narrarci della sua vita, della sua famiglia, di come abbia conosciuto il marito e di come, proprio durante un viaggio in Sudamerica subito dopo il matrimonio, sia affiorato insistentemente in lei il ricordo della sua vita precedente.

Un susseguirsi di eventi e coincidenze si succedono giorno dopo giorno nella sua vita fino a farle prendere coscienza che tali fatti non possono ritenersi semplici casualità ma piuttosto espressione di qualcosa di più profondo e complesso.

Il suicidio di una persona appena conosciuta e verso la quale lei aveva avvertito sin da subito un certo fastidio scatenano in lei l’insorgere di una strana malattia che i medici non riescono a diagnosticarle.

Il suo è un malessere dell’anima che le prosciuga le energie vitali. Tornata in Italia ha però la fortuna di conoscere una persona in grado di aiutarla, una donna straordinaria di nome Fidelia che le spiega cosa le sta accadendo e come combatterlo.

“Karma” è la storia della reincarnazione di Fausta Leoni raccontata in prima persona dalla protagonista. Un libro che è stato pubblicato in venti edizioni, un best seller internazionale che ha venduto milioni di copie.

È una storia decisamente fuori dall’ordinario a cui si può credere o meno e proprio in questi termini la stessa autrice all’inizio del volume si rivolge ai lettori.

Fausta Leoni non ha scritto la propria storia con l’intenzione di convincere qualcuno di quanto le fosse accaduto all’età di ventidue anni, ma piuttosto per aiutare chi, avendo vissuto qualcosa di simile a lei, avrebbe potuto trarre da queste pagine una qualche chiave di lettura.

Il racconto, seppure cronaca di un’esperienza vissuta  e reale, assume la forma di romanzo e la narrazione si fa fluida. Numerosi sono i personaggi che animano queste pagine, tra di essi anche nomi conosciuti del mondo della televisione, della cultura e non solo.

Insieme all’autrice scopriamo da Fidelia cosa sia il karma ossia la legge che regola le varie esperienze umane di un’entità spirituale, una legge per cui ogni vita è la conseguenza inevitabile di una precedente condotta.

Ma com’è fatta l’anima? È sempre Fidelia che ce lo spiega. L’anima è comporta di tre parti: quella che ha sede nel ventre e finisce quando muore il corpo; quella che ha sede nel cuore e che dopo la morte non si disintegra immediatamente, ma resiste ancora un po’ di tempo e, infine, la terza parte quella che ha sede nel cervello che sopravvive alla morte e si reincarna in diversi corpi.

Ciascuno di noi è libero di credere o meno in queste teorie, libero di credere o meno nell’esistenza di un aldilà, di un inferno o paradiso che sia, così come all’esistenza di qualche energia o entità in grado di comunicare con noi vivi.

Come si evince anche dalle interviste condotte difficilmente ci si interroga su tali argomenti o se ne parla volentieri. Perché questo accade? Per disinteresse? Paura? Superficialità? Chi può dirlo, non è mai giusto generalizzare e tanto meno lo si può fare su un argomento del genere.

“Karma” di Fausta Leoni è indubbiamente un libro che apre una breccia anche nelle persone più scettiche. Chi infatti durante la propria vita non si è mai trovato disorientato almeno una volta da qualche particolare coincidenza o da una qualche singolare premonizione?

Personalmente faccio parte di coloro a cui questo genere di cose incute sempre un po’ di timore e ansia per cui preferisco non indagare troppo e pur mantenendo un atteggiamento possibilista e aperto, confesso di cercare di evitare l’argomento nascondendo la testa sotto la sabbia. 

E voi cosa ne pensate? Come vi comportate quando sentite parlare dell'aldilà?

 

 

sabato 18 settembre 2021

“Giuliano Dami. Aiutante di Camera del Granduca Gian Gastone de’ Medici” di Alberto Bruschi

La figura di Giuliano Dami è una figura enigmatica e della quale è difficile riuscire a capire quanto ci sia di vero nelle cronache del tempo che ne hanno tramandato l’immagine di un uomo gretto e malvagio.

Tutto ciò che è stato scritto si riallaccia alle infamanti storie tratte da un manoscritto di dubbia attribuzione, l’avvocato Luca di Bartolomeo, secondo Sir Harold Acton, o il dispensiere di Cosimo III Luigi di Lorenzo Gualtieri secondo Giuseppe Conti (Firenze dai Medici ai Lorena).

Alberto Bruschi con quest’opera si propone l’arduo compito di rileggere il manoscritto affiancando tale lettura allo studio dei documenti d’archivio nel tentativo di cercare di comprendere quanto ci sia di vero nel manoscritto e quanto invece sia frutto, se non proprio di pura fantasia, quantomeno di una volontà atta a distruggere la figura di Giuliano Dami.

Unico punto non soggetto a controversie è il fatto che il personaggio in questione fosse di una bellezza disarmante e che senza dubbio proprio il suo aspetto fisico lo favorì nella sua incredibile ascesa sociale.

Alberto Bruschi inizia le sue ricerche proprio da Mercatale in Val di Pesa, luogo di nascita del bel Giuliano. L’autore del manoscritto liquida alla stregua di due pezzenti i genitori del nostro protagonista, ma dai registri parrocchiali si evince che questi non erano assolutamente tali. La madre, in particolare, Caterina Ambrogi portava un cognome piuttosto importante. Gli Ambrogi, per quanto popolani, erano dei possidenti terrieri. Vero è che della famiglia si contavano più rami, ma Caterina pur non appartenendo al ramo più facoltoso non poteva comunque essere annoverata come una miserabile stracciona.

Morto il padre di Giuliano, ad occuparsi della famiglia fu uno zio paterno che, visto il numero delle bocche da sfamare, non poteva essere neppure lui particolarmente povero.

Giuliano fin dalla giovane età dimostrò di avere un carattere vivace e ribelle che mal sottostava ai soprusi e all’autorità.

La sua carriera partì dal gradino più basso, iniziò addirittura come votapozzi, ebbene sì, fu proprio uno di quei ragazzini che si occupavano di svuotare i pozzi neri, solo il boia e il becchino potevano essere annoverati come mestieri peggiori.

L’importante per Giuliano fu l'arrivo a Firenze perché lì, grazie al suo aspetto e alla sua scaltrezza, ebbe comunque la possibilità di cogliere la giusta occasione per migliore pian piano la propria condizione.

Infatti, dopo diversi lavori, prese servizio come lacchè presso il Marchese Ferdinando di Roberto Capponi. 

Giuliano smise quindi per sempre i vestiti cenciosi per indossare una scintillante livrea di velluto rosso dai galloni dorati, la livrea “all’Ussara”.

Durante una visita del Capponi a Palazzo Pitti, Giuliano fu probabilmente notato da Gian Gastone e da lì il passo fu breve, il giovane cambiò padrone sebbene ben presto fu lui stesso a diventare il padrone del suo signore. Non mi dilungherò su questa storia che ormai tutti conosciamo benissimo.

Contrariamente a quanto riportato nel manoscritto Gian Gastone conobbe Giuliano dopo il matrimonio e lo portò poi con sé a Reichstadt dopo un suo soggiorno a Firenze.

Alberto Bruschi si interroga su quali fossero i reali sentimenti che legarono Giuliano Dami a Gian Gastone de’ Medici, forse all’inizio Giuliano provò anche affetto per il suo signore, impossibile avere una risposta certa, ma senza dubbio guardando ai suoi testamenti e al codicillo al secondo testamento quello che emerge è la figura di un uomo avaro e meschino che neppure in quel momento, pensando alla propria morte, ebbe un pensiero per onorare la memoria di chi per lui aveva fatto e sacrificato tanto.

Il libro racconta non solo le malversazioni del Dami alla Corte medicea, ma anche tutte le furfanterie e le appropriazioni indebite di cui si macchiò, di come fosse entrato in possesso del suo prestigioso palazzo in via Maggio, delle ville e dei terreni nonché di quelle sue operazioni che oggi non esiteremmo a definire di alta finanza.

Il libro indaga ogni aspetto della vita di Giuliano Dami: il matrimonio con Maria Vittoria Selcini, probabilmente contratto per cercare di mascherare la natura dei suoi rapporti con Gian Gastone, sospetti impossibili ovviamente da allontanare; le sue committenze artistiche, i suoi rapporti a Corte e i rapporti con gli altri esponenti della famiglia granducale, i rapporti con i propri famigliari e quelle donazioni fatte in particolare modo al Monastero delle Mantellate, le cui suore da lui beneficiate lo ricordarono sempre come il nostro Giulianino.

Il racconto non tralascia di delineare un ampio affresco della Corte e della Firenze dell’epoca.

Il libro non si interrompe con la morte di Gian Gastone, ma guarda anche alla vita di Dami dopo la dipartita del suo benefattore, colui che anche sul letto di morte nonostante tutto chiese ancora pietà per l’amico alla sorella Anna Maria Luisa.

Gli ultimi anni di Dami furono anni in cui si dovette principalmente preoccupare di non perdere la vita e le sostanze accumulate nel corso di tanti anni di prevaricazioni. Il delitto di sodomia, infatti, non venne cancellato con l’avvento dei Lorena e la pena prevista per una tale reato rimase la condanna a morte, senza contare che era sufficiente solo una denuncia perché, anche dopo la morte, a colui che fosse stato giudicato colpevole sarebbero stati alienati tutti i beni cosicché questi sarebbero stati incamerati dallo Sato a discapito degli eredi.

Il libro di Alberto Bruschi è un’opera davvero importante ed esaustiva, corredata di un’appendice molto ricca di documentazione fotografica e documentazione d’archivio.

Una prosa forbita ed elegante, fluida e scorrevole, fanno di questo libro una lettura oltremodo piacevole nonostante l’argomento sia piuttosto specifico ed esclusivo.

Non è mai facile parlare di un libro che ci ha coinvolto particolarmente, si ha sempre paura di non riuscire a dire tutto oppure farlo in modo sbagliato; sensazione ancora più strana se poi certe emozioni ci sono state suscitate non da un romanzo, ma piuttosto da un saggio.

L’immagine mefistofelica di Giuliano Dami non ne esce molto diversa da quella descritta dal manoscritto; le fonti fredde degli archivi confermano in buona parte l’anima meschina ed egoista dell’aiutante di camera di Gian Gastone de’ Medici e anzi, se possibile, la rendono ancora più enigmatica.

Colui che sarebbe potuto divenire il più importante ministro della Corte medicea, il rappresentante di un Granduca colto, raffinato, sensibile e illuminato, dal quale avrebbe potuto attingere quella cultura e quell’educazione che per nascita gli erano mancate, preferì invece servirsene per i propri scopi miserabili e gretti, passando alla storia come un uomo abbietto che non conobbe mai il significato delle parole carità e onore, un uomo che condannò all’eterno biasimo se stesso e colui la cui più grande colpa fu quella di averlo, nella sua immensa solitudine, accolto come un sincero amico a cui affidarsi.




domenica 12 settembre 2021

L’Albergaccio (Casa di Machiavelli)

Quest’estate sono riuscita a realizzare un sogno: visitare l’Albergaccio! Sì, lo so che Niccolò Machiavelli è un personaggio che ai più non è molto simpatico, ma io sin da ragazzina ho sempre nutrito per lui una vera passione.

Ringrazio soprattutto Villa Machiavelli che, nonostante fossero occupatissimi nell’allestimento per un matrimonio, mi hanno permesso lo stesso di visitare la casa museo di cui loro sono custodi e proprietari.






Non ci provo neppure a descrivervi l’emozione di poter camminare per quelle stanze e visitare lo studio dove venne scritta la sua opera più famosa: Il Principe. 







Da Sant’Andrea in Percussina si scorge in lontananza Firenze con la sua meravigliosa cupola. Chissà cosa avrà provato Niccolò ogni volta che guardava in quella direzione, lui esiliato in campagna, lontano dalla sua amata attività politica… Sto diventando troppo sentimentale, vero?



Al rientro dei Medici a Firenze nel 1512, Niccolò Machiavelli dopo essere stato incarcerato e torturato, perché accusato di aver preso parte alla congiura antimedicea, venne esiliato a San Casciano Val di Pesa. San’Andrea in Percussina dove si trova l’Albergaccio, è appunto una frazione di San Casciano.


Di come trascorresse i suoi giorni è rimasta traccia soprattutto in una lettera che Machiavelli scrisse all’amico Vettori, datata 10 dicembre 1513, nella quale egli racconta di come passasse il tempo del giorno ad occuparsi dei suoi poderi, a giocare a tric-trac all’osteria e di come alla sera invece “rivestito condecentemente” entrasse “nelle antique corti degli antiqui uomini” per discorrere e ragionar con loro.





La famiglia Machiavelli era suddivisa in più rami. Il ramo in cui nacque Niccolò si estinse nel XVII secolo e i suoi successori furono i Conti Serristori di Firenze che detennero il possesso di queste terre fino al passaggio all’attuale proprietà che ha provveduto a restaurare Casa Machiavelli in modo accurato facendone un museo molto suggestivo.




Un consiglio: fate una sosta e fermatevi a mangiare a Villa Machiavelli non ve ne pentirete! La coppa Machiavelli, una variante di tiramisù con cantucci e vin santo, è qualcosa di divino…





giovedì 9 settembre 2021

Villa medicea di Poggio a Caiano

Ho deciso di inaugurare la serie di post dedicati ai miei giorni in Toscana partendo dalla prima tappa: Villa Medici di Poggio a Caiano.



La villa fu commissionata da Lorenzo il Magnifico a Giuliano da Sangallo negli anni Ottanta del XIV secolo. Con la morte di Lorenzo e con la cacciata dei Medici da Firenze i lavori vennero interrotti per poi essere ripresi in seguito grazie all’intervento del figlio del Magnifico, papa Leone X.  



Grazie ad un modello conservato in una delle sale della villa è possibile capire quale fosse l’aspetto originario prima che venissero erette nei primi anni dell’Ottocento le scale a tenaglia così come appaiono oggi.




Al piano inferiore troviamo il teatro privato tanto caro alla sposa di Cosimo III, Marguerite Louise d’Orleans, che ne commissionò la realizzazione; molto apprezzato anche dal figlio il Gran Principe Ferdinando appassionato di musica (si può ammirare anche un piccolo organo).






Al piano superiore invece tutta l’attenzione è catturata dal salone di Leone X. Gli affreschi cinquecenteschi sono opera di Andrea del Sarto, Franciabigio e Pontormo. Il ciclo di affreschi fu poi portato a termine da Alessandro Allori.








Tante le leggende legate a questa villa. Qui trovarono la morte Francesco I e la moglie Bianca Cappello si dice per mano del fratello di lui Ferdinando I.







I Lorena non furono particolarmente legati a questa proprietà così come alle altre ville in generale. La villa di Poggio a Caiano tornò ai fasti di un tempo grazie a Elisa Baciocchi, sorella di Napoleone e granduchessa di Toscana, e successivamente con Vittorio Emanuele II che qui condusse la “bella Rosina”, prima amante e in seguito sua moglie morganatica.