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domenica 23 ottobre 2022

“Gli agrumi dei Medici” di Francesco Pavesi

La coltivazione degli agrumi per scopo farmaceutico era presente a Firenze fin dal Medioevo. Questo loro specifico utilizzo, alternato ad altri usi, proseguì anche nel Quattrocento all’epoca di Cosimo il Vecchio, Piero il Gottoso e Lorenzo il Magnifico.

Coltivazioni di agrumi erano quindi presenti già nelle ville appartenute agli esponenti del ramo mediceo di Cafaggiolo. Un esempio su tutti è Villa Medici a Fiesole dove Giovanni de’ Medici, figlio di Cosimo il Vecchio, fece mettere a dimora numerosi esemplari di agrumi acquistati a Napoli appositamente allo scopo. 

È però nel Cinquecento con Cosimo I che la produzione di agrumi venne intensificata trasformandosi in un vero e proprio collezionismo. La novità assoluta fu rappresentata dalla coltivazione degli agrumi in vaso. Non ci sono di fatto notizie che tale sistema fosse stato usato nei secoli precedenti.

Queste collezioni furono poi arricchite nel corso dei secoli dai granduchi successivi e dai loro famigliari fino alla fine della dinastia.

In particolare, l’apice venne raggiunto con Cosimo III de’ Medici che, oltre ad incrementare la collezione, si adoperò affinché ne rimasse traccia commissionando a pittori come il Bimbi, specializzato in nature morte, il compito di immortalare sulla tela i diversi esemplari con particolare riguardo a quelli più bizzarri.

Ho usato volutamente il termine bizzarro perché la Bizzarria è uno dei tantissimi esemplari che vengono analizzati nel volume. Si tratta di una chimera in cui la parte esterna è rappresentata dall’arancio amaro mentre l’interno è un cedrato.

Capisco che queste parole potrebbero spaventare un potenziale lettore non addetto ai lavori, quale io stessa sono, ma in verità il libro di Francesco Pavesi oltre ad essere corredato di molte immagini esemplificative che accompagnano il lettore nei passaggi più ardui, risulta anche un volume molto ben organizzato.

Non mancano di essere indagati i più svariati usi che vennero fatti degli agrumi nel corso dei secoli: da quello farmaceutico. al quale si è già accennato. a quello ornamentale, grazie alla loro fioritura che in alcuni casi avviene anche fino a quattro all’anno, a quello alimentare, con la produzione di sorbetti, sciroppi, canditi ecc., a quello cosmetico con profumi, acque profumate e creme di bellezza fino ad utilizzi più comuni come i sacchettini per profumare la biancheria.

Risulta davvero strano come la famiglia Medici, nonostante l’ottima idea di potenziare la coltivazione di agrumi, non ne seppe, o non ne volle, sfruttare il potenziale economico che ne sarebbe derivato da un commercio anche in considerazione della favorevole posizione climatica delle coste del Granducato che ne avrebbero facilitato lo sviluppo.

I Medici si limitarono, invece, a coltivarli per proprio uso e consumo oltre che per uno scopo propagandistico della dinastia come nel caso di Cosimo I che giocò molto sul mito del giardino delle Esperidi e sul ritorno di una nuova Età dell’oro con un chiaro riferimento al proprio governo.

Furono inoltre spesso utilizzati come un dono prezioso da inviare a regnanti e personalità importanti dell’epoca. A questo scopo furono particolarmente utili le ricerche sulle ibridazioni per favorire la nascita di frutti dalle forme sempre più particolari e ricercate.

La storia degli esponenti della dinastia e della loro passione per gli agrumi, lo studio e la classificazione dei diversi esemplari di piante e l’architettura dei giardini delle ville medicee si fondono perfettamente in questo volume regalando al lettore un nuovo e inaspettato tassello della storia medicea.

La dinastia Medici, famosa per il suo mecenatismo in campo artistico, letterario e musicale, è da sempre conosciuta anche per i suoi molteplici interessi legati al collezionismo. Con il libro di Francesco Pavesi, però, scopriamo una loro passione inaspettata: la “citromania”.

Questa mania si impossessò di molti esponenti della famiglia Medici e nel libro si ricordano anche quei personaggi che sono forse sconosciuti ai più come Don Antonio, figlio naturale di Francesco I e Bianca Cappello, o i principi Giovan Carlo e Leopoldo, fratelli di Ferdinando II de’ Medici.

Pochi luoghi, tra ville e giardini, possono vantare ancora una collezione originaria, quali siano ve lo lascio scoprire leggendo il libro. Se però tra i vari intenti dell’autore c’era quello di spingere il lettore a visitare i luoghi in cui queste collezioni furono messe a dimora, direi che lo scopo è stato pienamente raggiunto. Dopo questa lettura nessun giardino, villa o palazzo mediceo potrà essere più guardato con gli stessi occhi.

 


mercoledì 19 ottobre 2022

“Scoperte e ritorni” a cura di Cristina Acidini e Sandro Bellesi

Il libro è una miscellanea di brevi saggi su argomenti diversi che hanno come denominatore comune la figura di Alberto Bruschi alla cui memoria il volume è dedicato.

Invero, non si tratta di scritti celebrativi né tanto meno di meri racconti aneddotici bensì, piuttosto, di contributi offerti da studiosi, antiquari e storici dell’arte che ebbero con Alberto Bruschi rapporti di amicizia, di lavoro e di confronto sulle più svariate tematiche. 

In questi saggi la figura di Bruschi appare spesso sullo sfondo come un cammeo o talvolta si manifesta nelle vesti di un deus ex machina che, grazie alle sue molteplici capacità, fornisce interessanti soluzioni e un valido supporto.

Alberto Bruschi fu, come si comprende già leggendo il significativo profilo biografico all’inizio del volume, un uomo colto, brillante e appassionato. I suoi interessi spaziarono dall’arte antica a quella moderna, dalla storia all’archeologia.

Uomo dalla personalità estremamente versatile, difficile, se non impossibile darne un’univoca definizione. Fu antiquario, storico, romanziere, saggista, archeologo, collezionista, letterato, promotore di iniziative culturali.

Non fu mai avaro delle proprie competenze. Mai lesinò il proprio sostegno a coloro che si rivolsero a lui per un consiglio o un aiuto.

Di questa sua disponibilità al servizio dell’arte e della conoscenza il libro riporta infiniti esempi. A voler citarne uno in particolare si potrebbe ricordare quella volta in cui non riuscì ad intercettare prima dell’amico Giuseppe De Juliis un ritratto di Gian Gastone de’ Medici in un catalogo di vendita, eppure, nonostante la delusione cocente che dovette provare in quel momento, non ci pensò un attimo a fornire all’amico tutto il supporto necessario.  

Nel volume si spazia dalla pittura lucchese alla porcellana di Doccia sino ai disegni di Lorenzo Gelati. Ognuno, leggendo questo libro, potrà scoprire quella particolarità di Alberto Bruschi a lui più affine, più vicina al suo modo di sentire. 

Ho conosciuto la figura di Alberto Bruschi grazie ai suoi libri dalla prosa raffinata, elegante, intrisa di ironia, ma sempre misurata. Una prosa che è ricerca di bellezza, dove ogni parola e ogni virgola sono studiate, riviste, pensate e soppesate, ma la perfezione raggiunta non è mai artifizio quanto piuttosto poesia in prosa.

Alberto Bruschi fu un appassionato di storia medicea, in particolare modo di quella degli ultimi Medici; a lui si deve infatti la valorizzazione della figura di Anna Maria Luisa Elettrice Palatina. Da ricordare inoltre il suo impegno per riabilitare la figura dell’ultimo Granduca Medici a cui fu particolarmente affezionato.

Proprio la passione che egli ebbe per la storia e gli esponenti della dinastia medicea lo spinsero a dedicare la propria vita alla ricerca di ogni sorta di cimelio, dipinto e oggetto che li riguardasse o fosse loro appartenuto. Molti sono i saggi di questo volume la cui lettura mi ha oltremodo appassionato, ma quelli che più mi hanno coinvolta riguardano senza dubbio questa ricerca che a volte assume quasi l’aspetto di una caccia al tesoro.

L’estate scorsa ho avuto la fortuna di poter vedere da vicino alcune di questi reperti ed opere d’arte grazie all’amicizia di Candida Bruschi che non ringrazierò mai abbastanza per avermi aperto le porte della sua casa per rendermi partecipe di tanta bellezza e conoscenza. Leggere di quelle opere oggi mi ha fatto rivivere tutte le emozioni provate allora. Emozioni che si riaffacciano ogni qualvolta riprendo in mano gli scritti del suo babbo per rileggere quelle parole che solo lui sapeva, con tanta grazia, dedicare a un principe tanto illuminato e colto quanto sfortunato e triste quale fu Gian Gastone de’ Medici.

Numerosi sono gli scritti di cui vorrei parlarvi tra cui quello dedicato alla casa-torre ovvero la Torre Lanfredini in Oltrarno che, come scrive Elena Capretti, Alberto Bruschi elesse a suo “studio, rifugio, giaciglio e pensatoio”, ma un solo post non basterebbe.

Almeno un breve accenno è però doveroso farlo al saggio di Cristina Acidini sull’apertura di un museo dedicato a Caterina de’ Medici nella Villa medicea di Cafaggiolo. Il museo, per l'allestimento del quale Cristina Acidini si era confrontata proprio con Alberto Bruschi, che all’epoca stava collaborando all'apertura del nascente Museo de Medici a Firenze, per ora, complici anche le procedure progettuali e la pandemia, è rimasto purtroppo solo un proposito di costruendo museo che si spera un giorno possa davvero vedere la luce.

Credo sinceramente che Alberto Bruschi, per quanto io possa averlo conosciuto solo attraverso i suoi scritti e i racconti della sua famiglia, sarebbe stato davvero lieto di questo volume pensato e scritto in sua memoria. Trovo infatti che i saggi qui raccolti, senza alcuna piaggeria, incarnino perfettamente quello spirito eclettico, quella sete di conoscenza e quella raffinata sensibilità artistica che contraddistinsero colui a cui sono dedicati.

Vi saluto con alcune parole che Alberto Bruschi dedicò proprio a Gian Gastone de’ Medici, quel granduca che tanto amò, ma al quale con la sua penna leggera non fece mai sconti:

Nel rosolio che beveva in quantità durante questi intrattenimenti, cercava di affogare infiniti ricordi non facili da rimuovere. Le sue baldorie sono la manifestazione dell’inesprimibile tristezza dell’allegria. Egli è tutto e il contrario di tutto, il suo caleidoscopico comportamento sembra un cumulo di ossimori.


 


mercoledì 31 agosto 2022

“Nel segno di Cosimo” a cura di Marzia Cantini

Il volume è una raccolta di saggi scaturiti dagli interventi dei relatori che parteciparono alla giornata di studi “Nel segno di Cosimo” organizzata dal Lions Club Firenze il 6 giugno del 2019 in occasione del cinquecentenario della nascita del primo granduca di Toscana.

Cosimo I de’ Medici e Lorenzo il Magnifico furono le figure più rappresentative della dinastia. Fu Cosimo però il vero statista di casa Medici.

Salì al potere a seguito dell’omicidio del duca Alessandro de’ Medici quando non aveva ancora compiuto 18 anni. Figlio di Maria Salviati, nipote per parte di madre di Lorenzo il Magnifico, e di Giovanni dalle Bande Nere il celebre condottiero figlio di Giovanni de’ Medici e Caterina Sforza.

Il primo saggio è del professore Giovanni Cipriani ed è dedicato all’incoronazione di Cosimo come primo granduca di Toscana avvenuta nel 1570. Cosimo ricevette l’ambita corona dalle mani di Pio V a Roma. Nel saggio, oltre al cerimoniale dell’incoronazione, viene dato ampio spazio anche alla descrizione della corona. Nella bolla papale, infatti, furono date precise istruzioni su come questa avrebbe dovuto essere realizzata.

Si passa poi al saggio del professore Leonardo Rombai dove vengono evidenziate le scelte di carattere economico effettuate da Cosimo I de’ Medici nonché la sua saggia e attenta politica urbanistica e territorialistica, la sua opera fortificatoria e lo sviluppo dell’industria estrattiva-mineraria.

Con il suo intervento il professore Emanuele Masiello procede ad indagare quanto accadeva contestualmente in Europa e come la politica architettonica e urbana del granduca Cosimo si inserisse nel contesto delle contemporanee sovranità europee in particolare di quelle francese, spagnola e imperiale.

Il volume prosegue poi con i saggi di Eugenia Valacchi e di Jennifer Celani. Il primo riferisce degli esiti della Controriforma sul territorio e in particolare degli adeguamenti liturgici di alcune chiese richiesti da Cosimo secondo gli orientamenti espressi dal Concilio di Trento conclusosi nel 1563. Il secondo saggio ci racconta brevemente del caso del complesso di San Giovannino detto degli Scolopi.

A seguire il saggio di Francesco Martelli relativo alle carte di Cosimo I nei fondi Medici dell’Archivio di Stato di Firenze ed in particolare alla storia di un piccolo nucleo di carte che egli teneva sempre con sé denominato “Archivio segreto”.

All’intervento di Francesca Funis sulla trasformazione di Firenze da città di provincia a capitale di uno stato territoriale, fa seguito il saggio di Carlotta Paltrinieri sull’istituzione dell’Accademia delle Arti del Disegno a seguito dell’istituzionalizzazione della Compagnia di San Luca o Compagnia de’ Pittori, attiva dal 1339. Viene fatto un breve accenno anche all’istituzionalizzazione di un’altra accademia quella degli Umidi che nel 1541, per volere di Cosimo,  mutò il nome in Accademia Fiorentina.

Stefano Calonaci si dedica all’analisi della poderosa attività legislativa e normativa svolta da Cosimo I. Il granduca si interessò dei più svariati aspetti del vivere civile e per raggiungere i suoi obiettivi si circondò fin da subito di un entourage di uomini fidati a cui affidare le diverse magistrature.

L’ultimo intervento è quello di Lorenzo Allori che introduce il Medici Archive Project, un istituto di ricerca nell’ambito della digital history. Uno strumento valido per gli studiosi che possono trovare in rete preziose informazioni digitalizzate. Per chi volesse consultare il BIA ovvero il portale web in lingua inglese dedicato alla fruizione del fondo archivistico il link è il seguente http://bia.medici.org 

Cosimo I de’ Medici fu un uomo senza dubbio ambizioso, più burocrate che guerriero ma, come scrive Masiello, per quanto sia passato alla storia come un uomo dispotico, vendicativo e accentratore del potere, non si può non riconoscere che egli abbia anche dimostrato di essere stato un capo saggio e lungimirante.

Questo “viaggio intorno all’uomo che divenne primo Granduca di Toscana” mette in evidenza proprio questo suo aspetto meno conosciuto e trascurato dalla storiografia fino ai giorni nostri. È una figura diversa quella che emerge dalle pagine di questo libro.

Cosimo fu un uomo eclettico e dai molteplici interessi oltre che un capo abile nella politica internazionale. Un uomo visionario che proprio grazie alla sua curiosità, alla sua intraprendenza e alla sua saggezza seppe trasformare il Ducato di Firenze nel Granducato di Toscana.


mercoledì 20 luglio 2022

“Sotto il sole della Toscana” di Frances Mayes

Frances Mayes racconta in prima persona la storia dell’acquisto della sua casa nei pressi di Cortona avvenuto nel 1990. In quegli anni era piuttosto inusuale acquistare una casa in un paese straniero a ben 12.000 km di distanza dalla propria residenza. Oggi può sembrare una cosa banale, ma all’epoca la maggior parte degli amici della Mayes e del suo compagno Ed pensarono che fossero completamente impazziti. Gettare via i risparmi di una vita in un’impresa che sembrava quasi impossibile, un capriccio, eppure…  

La vera protagonista è Bramasole. Pagina dopo pagina, quella casa abbandonata da trent’anni in cima alla collina, riprende vita insieme al terreno circostante con i suoi ulivi, gli alberi da frutto e i terrazzamenti.

Tanti i problemi con cui confrontarsi dopo aver acquistato la proprietà: dagli scontri con la farraginosa burocrazia italiana per la concessione dei permessi alla difficile ricerca dell’impresa più valida a cui affidare i lavori di ristrutturazione.

Tante le piccole e grandi scoperte: da quelle più piacevoli, come il ritrovamento di un vecchio lavandino, a quelle più angoscianti come un pozzo improvvisamente asciutto.

Innumerevoli gli incontri fatti nel corso degli anni: conoscenze occasionali, ma anche tante amicizie che col tempo hanno avuto modo di consolidarsi dando luogo ad una fitta rete di rapporti con le persone del luogo e non solo.

Il romanzo non ha una trama vera e propria. Il racconto consiste piuttosto nell’evocazione di ricordi e sensazioni.

Profumi, colori e sapori quasi si sprigionano dalle pagine immergendo il lettore in quella meravigliosa terra che è la Toscana. Una terra moderna ed antica allo stesso tempo perché, come scrive l’autrice, “i toscani vivono nel tempo attuale, solo che hanno avuto il buon senso di portarsi dietro il proprio passato”.

Con l’acquisto di Bramasole la Mayes decise di tenere un diario in cui riportare dettagliatamente ogni cosa: aneddoti, stato di avanzamento dei lavori di ristrutturazione, scoperte, ricette, impressioni ecc.

Uno zibaldone scritto sulle pagine bianche di un quaderno con la copertina di carta fiorentina chiuso con dei nastri azzurri.

A questo quaderno di appunti negli anni ne seguirono molti altri, ma è dalle pagine di questo primo diario che nacque l’idea di pubblicare il libro, quasi una sorta di  bilancio dell’esperienza vissuta fino a quel momento.

Un bilancio totalmente positivo perché, nonostante la complessa burocrazia italiana, i politici pazzi, gli scorpioni, la negligenza della manodopera e tanti altri elementi destabilizzanti, nulla avrebbe potuto mai screditare agli occhi dell’autrice quei valori ancestrali di cui questa terra è ancora oggi fortemente permeata.  

“Sotto il sole della Toscana” nel 2003 diventa anche un film con Diane Lane nella parte della protagonista. Si tratta di una commedia leggera e divertente.

Dopo aver visto il film diverse volte e complici i miei continui viaggi in Toscana, era forte la curiosità di leggere anche il libro.

In verità, libro e film non hanno molto in comune. Il film ha una trama molto più romanzata e ci sono personaggi di pure invenzione come ad esempio l’amante della protagonista, figura alquanto discutibile, interpretato da Raoul Bova.

Possiamo dire che libro e film sono due facce della stessa medaglia, due differenti modi di raccontare la medesima storia e trasmettere l’amore per questa bellissima terra. Entrambi molto piacevoli nella loro diversità.




 

 

 

 

giovedì 14 luglio 2022

“Il principe in fuga e la principessa straniera” di Leonardo Spinelli

La vocazione allo spettacolo da parte della famiglia Medici è oggi largamente riconosciuta grazie a quanto emerso dai carteggi e dagli studi dei documenti d’archivio nel corso degli anni.

La spettacolarità era senza dubbio uno strumento di svago, ma nascondeva anche un secondo aspetto più velato e, forse, anche molto più importante. Arte e spettacolo, infatti, avevano lo scopo di consolidare l’immagine della famiglia Medici e legittimarne il potere. 

Nel Cinquecento, proprio a Firenze, sorse per volere di Francesco I negli Uffizi il primo teatro stabile e nel secolo successivo, sempre a Firenze, nacque un nuovo genere teatrale ovvero l’opera in musica.

L’interesse per la spettacolarità non scemò neppure nei periodi più difficili del granducato e molto attivi furono su questo fronte i fratelli di Ferdinando II: Giovan Carlo, Mattias e Leopoldo. Il testimone passò poi al gran principe Ferdinando, figlio di Cosimo III.

Il libro è incentrato proprio sulle vicende biografiche e sulla committenza del gran principe di Toscana e della moglie Violante Beatrice di Baviera.

Il loro fu tutt’altro che un matrimonio ben riuscito. Violante svolgeva con grande scrupolosità i suoi compiti di moglie e futura granduchessa, si dice fosse anche molto innamorata del marito, ma Ferdinando non provò mai alcun trasporto per quella consorte che gli era stata imposta dalla ragion di Stato. Il gran principe non solo non fece nessuno sforzo per cercare di tenere nascosi i propri tradimenti, ma neppure si sentì mai minimamente in colpa per le proprie mancanze verso la moglie.

La freddezza del marito e la sterilità del matrimonio non resero la vita facile a Violante che, nonostante venisse spesso messa in ridicolo dai comportamenti del marito, si impegnò fino alla fine dei suoi giorni per il bene della famiglia Medici senza mai però dimenticare la propria casa d’origine.

Molto diverso fu invece il rapporto tra Ferdinando e Violante sul piano della spettacolarità. Entrambi appassionati di teatro e musica, si esibirono talvolta essi stessi in prima persona come artisti e come compositori.

Sul piano della spettacolarità trovarono quindi quell’intesa perfetta che, nei ventiquattro anni che trascorsero insieme, gli mancò come coppia: lui stimato come collezionista e mecenate, lei perfettamente calata nel ruolo di addetta alle pubbliche relazioni, per darne una definizione moderna.

Ferdinando si occupava di tutto ciò che riguardava la mercatura teatrale mentre a Violante spettava il compito di scrivere lettere di raccomandazione a favore degli artisti inviati fuori dalla corte granducale. Poter vantare la stima della gran principessa era molto importante soprattutto per l’immagine delle cantanti che dovevano affrancarsi dall’opinione pubblica che le considerava poco più che delle cortigiane.

Violante Beatrice di Baviera seppe intrattenere rapporti non solo con gli attori, i cantanti, i musicisti, i librettisti (dopo la morte di Ferdinando fu lei ad occuparsi anche della parte artistica), ma soprattutto fu molto apprezzata per la sua capacità di sapersi rapportare anche con gli esponenti del clero e della nobiltà.

Lo stesso cognato Gian Gastone, che non amava particolarmente la spettacolarità, partecipò ad alcuni eventi organizzati da lei.

Dopo la morte di Ferdinando, con il ritorno dell’Elettrice Palatina a Firenze, Violante venne allontanata dai ruoli di maggior visibilità, salvo tornare in prima linea dopo la morte di Cosimo III e l’ascesa al trono granducale di Gian Gastone. Il settimo granduca, infatti, sembrava nutrire un affetto sincero per la cognata, mentre i suoi rapporti con la sorella erano piuttosto tesi.

Il saggio di Leonardo Spinelli prende in esame ogni aspetto della spettacolarità (teatri, cantanti, librettisti, opere, ecc.) senza tralasciare di indagare i rapporti interpersonali dei protagonisti con la corte e con i famigliari né di evidenziare le motivazioni di alcune scelte fatte dai protagonisti stessi.

Un esempio ne è la spiegazione del perché Ferdinando avesse optato per la privatizzazione del teatro di Livorno e la costruzione del teatro privato nella villa di Pratolino a discapito di un teatro come quello della Pergola.

Decisamente un valido saggio non solo per l’esaustiva parte riservata alla mercatura teatrale, agli spettacoli, ai personaggi e ai confronti della spettacolarità nelle varie corti dell’epoca, ma soprattutto perché ha il grande merito di farci scoprire tante sfaccettature del carattere di Violante Beatrice di Baviera che, complice una storiografia che l’ha il più delle volte liquidata in poche righe, erano a noi completamente sconosciute.

Si scopre così la figura di una donna certamente devota, tanto da essere stata insignita anche della Rosa d’Oro, ma mai dogmatica. Una donna che sacrificò ogni cosa, passioni e orgoglio compresi, alla ragion di Stato, ma che nonostante questo seppe rimanere ferma nei propri propositi e, mantenendo saldi i propri ideali e restando fedele a se stessa, seppe conquistarsi l’affetto e la stima di molti.




lunedì 6 giugno 2022

“I Medici” di Franco Cardini

Primo volume che il Corriere della Sera dedica alle Grandi dinastie della storia, “I Medici” di Franco Cardini riassume in modo chiaro ed essenziale le vicende più significative della famiglia che per quasi quattro secoli governò Firenze e la Toscana.

Cardini identifica in ricchezza, credito e nome i tre elementi distintivi fondamentali grazie ai quali questa famiglia, originaria del Mugello, riuscì ad affermarsi come una delle dinastie più importanti della storia.

Ogni personaggio della famiglia senza dubbio fu dotato di sue peculiari qualità e caratteristiche che favorirono l’ascesa politica del casato, ma la cosa che più servì allo scopo fu la forte coesione dei vari esponenti e l’unità di intenti che li accumunò.

La bibliografia della quale si avvale Cardini è di fatto quella più conosciuta e di cui spesso abbiamo parlato anche nei precedenti post. Troviamo ad esempio “La congiura” scritta dallo stesso Cardini insieme a Barbare Frale, “Gli ultimi Medici” di Acton, “I Medici” di Young, “Lorenzo de’ Medici” di Giulio Busi e molti altri che non vi sto ad elencare.

Ne nasce un buon compendio, di facile consultazione e di pronto uso per un veloce ripasso oppure per un primo approccio alla storia medicea secondo l’intento divulgativo del piano editoriale dell’opera di cui questo breve saggio (140 pagine) è appunto il volume di esordio.

Non mancano alcuni refusi come nel caso di Lucrezia Tornabuoni indicata ad un certo punto erroneamente come moglie di Lorenzo de’ Medici anziché madre o qualche piccola imprecisione, ma nell’insieme si tratta di un valido volumetto in grado di offrire un quadro semplice e chiaro della dinastia medicea a chi per la prima volta intenda avvicinarsi ad essa.

Trattandosi di un libro pensato per un vasto pubblico viene ovviamente dato più spazio al ramo più famoso della famiglia ossia a quello dei Medici di Cafaggiolo, mentre per quanto riguarda il ramo granducale vengono soprattutto presi in esame la figura e il ruolo svolto da Cosimo I.

Questo non significa che vengano trascurati però gli importanti elementi che contraddistinsero il ramo granducale, tra cui i vari riferimenti alle accademie, agli studi scientifici, all’importanza del ruolo svolto da Anna Maria Luisa de’ Medici così come non vengono tralasciati i racconti di interessanti aneddoti e di alcune tra le più famose dicerie sulla famiglia.  

Cardini punta molto all’analisi del periodo storico segnato dalla dinastia Medici piuttosto che al racconto della vita dei singoli esponenti come sono soliti fare i saggi dedicati alla casata. Un taglio particolare quindi quello scelto dallo storico per questo libro la cui lettura forse talvolta risulta non troppo snella  per coloro che non sono proprio addentro alla materia, ma che senza dubbio riesce a ricreare un affresco dell’epoca molto dettagliato e completo.

 

 

 

venerdì 29 aprile 2022

“Gli ultimi Medici” di Harold Acton

Il libro di Harold Acton, pubblicato per la prima volta nel 1932, fu oggetto di revisione da parte dell’autore alla fine degli anni Cinquanta in occasione di una nuova edizione dell’opera, Acton però preferì non apportare modifiche per non stravolgere l’unità della narrazione originaria.

Oggetto delle ricerche di Harold Acton sono gli ultimi anni della dinastia medicea, argomento ancora poco noto al suo tempo quando la letteratura aveva invece già molta familiarità con la storia del ramo primigenio della famiglia.

Il volume ripercorre la storia a partire da Ferdinando II fino al VII Granduca di Toscana Giovanni Gastone (conosciuto come Gian Gastone), o meglio fino alla morte dell’ultima rappresentante della stirpe Anna Maria Luisa de’ Medici Elettrice Palatina.

E’ uno splendido affresco quello che emerge dalle pagine di questo libro popolato da  granduchi, principesse e sovrani. Il racconto scorre in modo fluido come in un romanzo: arte, musica, scienza, ma anche feste, intrattenimenti e tanti piacevoli pettegolezzi, tanta ironia ma nessuna volgarità

Nel volume la dettagliata introspezione psicologica dei protagonisti affianca il racconto di un periodo storico caratterizzato da costanti ingerenze da parte delle potenze straniere sul territorio italiano nel continuo tentativo di spartirselo.

Qualcuno mi aveva sconsigliato di leggere questo testo perché datato. Che dire? Sono contenta di aver seguito il mio istinto perché “Gli ultimi Medici” non si è rivelato solo una piacevolissima lettura, ma anche un saggio illuminato, perspicace e imparziale molto più di tanti libri di recente pubblicazione.

Harold Acton non nega i difetti che contraddistinsero gli ultimi Granduchi che potevano essere tra le tante caratteristiche l’indolenza di Ferdinando II piuttosto che la bigotteria di Cosimo III o la rilassatezza di Gian Gastone, ma guarda anche ai loro pregi e riconosce i loro meriti come, cosa da non sottovalutare assolutamente, la capacità di essere riusciti, in un periodo in cui i conflitti sembravano non cessare mai, a tenere lontano la guerra dal Granducato di Toscana, l’ultima in cui fu coinvolto infatti fu quella di Castro.

Tanti i documenti citati: dagli epistolari familiari, alle lettere dei ministri, ai resoconti di visitatori e ambasciatori stranieri, ma anche tante fonti d’archivio e manoscritti dell’epoca. Tra le lettere riportate c’è anche in versione integrale la famosa minuta in cui Marguerite Louise d'Orléans esprimeva a Cosimo III il suo più vivo desiderio di vederlo morto impiccato e non si può non sorridere leggendo il passaggio in cui gli scriveva perché voi siete un fior di ruta. Dio non vi vuole e il Diavolo vi rifiuta.

“Gli ultimi Medici” è un libro davvero unico di cui non si possono non apprezzare lo stile, la scelta narrativa, ma soprattutto la sensibilità dell’autore nel saper cogliere lo spirito e la personalità degli ultimi esponenti della dinastia riconoscendo ad ognuno di essi la dignità e il rispetto che meritano.

Nella descrizione di Gian Gastone ci sono molti punti di contatto con gli scritti di Alberto Bruschi, non vi è ovviamente la stessa liricità né il medesimo pathos, ma senza dubbio la stessa delicatezza e la stessa onestà intellettuale nel rendere giustizia all’immagine di questo ultimo Granduca Medici che nonostante la depressione e le sbornie, fece quanto in suo potere per il bene di Firenze guidato da un notevole buon senso, una viva intolleranza verso gli abusi ecclesiastici e la viva simpatia per gli uomini di cultura.

Molti i punti di contatto anche con il romanzo di Anna Banti “La camicia bruciata”, non solo nelle descrizioni di Marguerite Louise e di Violante di Baviera, ma anche in quella del Gran Principe Ferdinando dotato di quell’impulsività che caratterizza il temperamento artistico, ma anche del pessimismo che è proprio degli edonisti.

Devo ammettere che se la Banti con il suo romanzo mi ha fatto ricredere sulla principessa Violante, Acton è riuscito a farmi mutare opinione almeno in parte sul Gran Principe Ferdinando.

Per assurdo forse la figura con la quale Harold Acton è stato più severo, pur riconoscendogli ogni merito, è stata quella di Anna Maria Luisa che finché visse volle mantenere ancora le splendide illusioni e convenzioni.

Alla luce dei nuovi studi si riscontrano nel libro alcune imprecisioni, per esempio, contrariamente a quanto scritto nel manoscritto Moreniano, Giuliano Dami, il famigerato aiutante di Camera, conobbe Gian Gastone dopo il matrimonio e lo seguì a Reichstadt solo dopo il soggiorno di quest’ultimo a Firenze. Piccole inesattezze a parte, “Gli ultimi Medici” è un libro assolutamente da leggere.

Una lettura affascinante e coinvolgente che mi ha fatto comprendere ancora meglio il perché mi sia tanto appassionata alla storia di questi ultimi e tanto discussi esponenti della dinastia.

 

 

domenica 17 aprile 2022

“Le dimore dei Medici in Toscana” di Laura Alidori

Il libro di Laura Alidori prende spunto dalla serie di medaglie dedicate alle dimore medicee da Cesare Alidori per raccontarci la loro storia.

Il numismatico, amante dell’arte arte e grande appassionato della famiglia Medici, creò questa serie di ventisette medaglie proprio con l’intento di ricostruire la fisionomia delle loro proprietà in Toscana così come dovevano apparire ai loro occhi.

Ogni medaglia riporta una data che si rifà alla data di acquisto oppure alla data in cui furono eseguiti degli importanti interventi di restauro che più ne caratterizzarono la fisionomia.

Alidori ci ha restituito quindi, attraverso un’accurata ricerca storica, l’immagine originale di quelle dimore così come noi oggi possiamo solo immaginarle essendo state profondamente modificate nel corso dei secoli.

Il libro è suddiviso in 26 capitoli, ognuno dedicato ad una dimora, ed è corredato da una piantina, da tre tavole riportanti tutta la serie completa delle medaglie e da una breve bibliografia.

Ogni capitolo presenta all’inizio la medaglia relativa all’edificio a cui è dedicato e si chiude con una fotografia dello stesso allo stato attuale.

Il racconto della storia delle dimore non può ovviamente prescindere dal racconto della storia della famiglia Medici e da quella di Firenze stessaIl percorso si snoda tra palazzi di città e ville di campagna

Le ville avevano funzioni diverse: dallo svago, alla villeggiatura, alla caccia oppure erano vere e proprie aziende agricole, ma non solo. La Villa di Seravezza, per esempio, in provincia di Lucca fu fatta costruire da Cosimo I per trascorrervi un lieto soggiorno estivo, ma anche per poter seguire personalmente i lavori di estrazione di marmo “mistio” di cui erano state riattivate a quel tempo le miniere.

Vasto spazio è dato alle dimore presenti a Firenze: da Palazzo Medici in Via Larga, nato dal desiderio di Cosimo il Vecchio, a Palazzo Vecchio che con Cosimo I divenne dimora della famiglia prima che questa si trasferisse a Palazzo Pitti e, proprio parlando di Palazzo Pitti, non poteva mancare una breve descrizione anche dei Giardini di Boboli. Sempre a Firenze viene incluso tra le dimore medicee anche il Forte Belvedere dove veniva custodito il tesoro dei Medici e dove la famiglia poteva rifugiarsi in caso di pestilenze o sollevazioni popolari.

Il racconto spazia dalle ville di campagna tanto care a Cosimo il Vecchio e a Lorenzo de’ Medici fino ad arrivare a quelle più amate dagli ultimi esponenti della famiglia.

Possiamo per esempio ricordare la Villa di Pratolino acquistata da Francesco I che ne fece una splendida dimora per lui e la sua seconda moglie, la veneziana Bianca Cappello, e che fu in seguito molto amata anche dal Gran Principe Ferdinando, primogenito di Cosimo III, che la elesse a sua dimora preferita facendovi costruire anche un teatro.

Ferdinando de’ Medici fu forse l’esponente della famiglia che più amò dedicarsi all’acquisto e alla ristrutturazione di ville, celebri sono la Villa di Artimino, detta anche la “Ferdinanda” e la Villa dell’Ambrogiana, villa che fu molto amata anche dal Granduca Cosimo III, nonostante le tante problematiche che la caratterizzarono fin dall’inizio, sia per la scelta del sito ventoso su cui si scelse di edificarla sia per la vicinanza dei fiumi Arno e Pesa che, con le loro continue inondazioni, ne indebolivano costantemente le strutture.

Tanti gli aneddoti legati a tutte queste dimore: dall’uccisione di Isabella de’ Medici avvenuta per mano del marito nella Villa di Cerreto Guidi, alle morti di Francesco I e Bianca Cappello avvenute nella Villa di Poggio a Caiano e delle quali il primo sospettato fu il fratello di lui, il futuro Ferdinando I. La villa di Poggio a Caiano era stata acquistata da Lorenzo de’ Medici che ne aveva affidato i lavori di ristrutturazione a Giuliano da Sangallo; alla morte del Magnifico fu il figlio Leone X, al secolo Giovanni de’ Medici, che si occupò di portare avanti i lavori non ancora terminati.

Ci sarebbe da dire tantissimo su queste dimore, ma ovviamente non posso parlarvi di tutte in un solo post. Molte di loro sono oggi proprietà privata o sede di istituzioni come nel caso della Villa di Castello, oggi sede della prestigiosa Accademia della Crusca, alcune sono state trasformate in abitazioni, ma ce ne sono altre ancora visitabili.

Ecco, il limite di questo volume è che essendo una pubblicazione del 1995 per quanto riguarda le possibili aperture al pubblico e la proprietà non può essere ovviamente aggiornato. Un esempio può essere quello della Villa dell’Ambrogiana che, all’epoca della pubblicazione, era l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario e tale restò fino al 2017, sebbene negli ultimi tempi fosse possibile visitarne alcune parti su appuntamento accompagnati da una guida. Oggi per la Villa dell’Ambrogiana si parla di un suo possibile inserimento nel progetto “Uffizi diffusi” che si spera possa restituirgli almeno in parte lo splendore di un tempo.

A chi volesse prendere spunto per la visita di qualche villa in particolare consiglio quindi di consultare i relativi siti online per non incorrere in spiacevoli sorprese.

Nell’insieme ho trovato il libro molto scorrevole, ben scritto, ben documentato e puntuale a parte forse qualche piccolo refuso.

Che dire? Non vedo l’ora di andare a visitare quelle dimore che ancora mi mancano.

 

 


domenica 20 marzo 2022

“I giardini di Boboli” di Mariella Zoppi

I giardini di Boboli, dichiarati dall’UNESCO sito patrimonio dell’Umanità nel 2013, sono con i loro 45 ettari di estensione il più significativo dei giardini medicei.

Come recita il sottotitolo i giardini di Boboli sono una passeggiata nella storia, una storia che, iniziata nel 1549 con l’acquisto dei terreni da parte di Eleonora di Toledo, giunge fino ai giorni nostri.

I giardini di Boboli sono molto di più del monumentale giardino di Palazzo Pitti, sono di fatto un museo a cielo aperto che racchiude opere che vanno dall’epoca romana fino al XX secolo con il Tindaro screpolato di Igor Mitoraj, prima scultura novecentesca qui accolta per sottolineare la continuità della cultura, dell’arte e della bellezza ospitate in questo luogo nel corso di tanti secoli.

Il libro di Mariella Zoppi si apre con l’interrogativo ancora aperto su quale sia l’origine del termine “Boboli” che potrebbe risalire ad alcuni nomi di famiglie del luogo oppure da Bobilo un dignitario germanico che qui dimorava. Altra ipotesi è una derivazione da bubilia cioè la stalla bovina per la macellazione degli animali.

Cione di Bonacorso Pitti acquistò nel 1341 un primo nucleo di terreni e nel 1418 Luca Pitti iniziò a costruirvi il proprio palazzo che doveva rivaleggiare per magnificenza con quello dei Medici di via Larga, oggi Palazzo Medici Riccardi. Il declino della famiglia Pitti portò la proprietà all’abbandono fino a quando Eleonora di Toledo, sposa di Cosimo I de' Medici, volle acquistare il palazzo e il terreno circostante per far si che i propri figli potessero crescere in un ambiente più salubre di quello offerto da Palazzo Vecchio. Inoltre, fattore non secondario, da donna abile e accorta qual era, aveva compreso l’esigenza di dover dotare il Granducato di Toscana di una sede di rappresentanza degna del nuovo status raggiunto dalla famiglia.

Ogni Granduca operò delle trasformazioni e contribuì a suo modo a rendere questi giardini il luogo unico e magnifico giunto sino a noi. Mariella Zoppi descrive la passeggiata attraverso i giardini seguendo due itinerari: quello che definisce l’asse antico, che fa riferimento al primo impianto del giardino mediceo quello del cosiddetto anfiteatro, e un secondo percorso che si rifà all’ampliamento seicentesco con il Viottolone e la Vasca dell’Isola.

È presente anche un capitolo, opera di Paola Maresca, dedicato alla simbologia e alle tante allegorie alchemiche che caratterizzano i giardini in ogni loro elemento. 

In verità, come scrive Paola Maresca, nonostante il giardino abbia subito vari rimaneggiamenti nel corso dei secoli e abbia subito l’influenza delle varie correnti artistiche in particolare quelle del Rinascimento e del Manierismo, ha sempre mantenuto costante il concetto di giardino come iter iniziatico. Alchimia e scienza, del resto, sono sempre state molto importanti per la maggior parte degli esponenti della famiglia Medici.

La seconda parte del libro è dedicata alle biografie dei personaggi che hanno fatto la storia dei giardini di Boboli. Si tratta di brevi schede precise e accurate suddivise in tre parti: Granduchesse e Granduchi della famiglia Medici, i Lorena e infine le due figure femminili che occuparono la scena durante l’intermezzo napoleonico Maria Luisa di Borbone ed Elisa Bonaparte Baciocchi.

“I giardini di Boboli” è un libro di appena 130 pagine, ben articolato e corredato da un’ampia documentazione fotografica. Un giusto compromesso per chi voglia un volume che sia una valida via di mezzo tra la semplice guida turistica e il ponderoso saggio storico-artistico. Da leggere prima della visita e da portare con sé.




sabato 26 febbraio 2022

“Le magnifiche dei Medici” di Daniela Cavini

Dodici brevi ritratti dedicati alle donne dei Medici, figure femminili sconosciute alla maggior parte delle persone a meno che non siano storici o cultori della Toscana medicea come scrive Paolo Ermini nella presentazione del libro.

Se tutti più o meno conoscono, anche solo i nomi, degli esponenti maschili della dinastia, pochi sono informati o si soffermano sull’importanza che ebbero alcune donne di questa illustre famiglia.

Daniela Cavini (autrice di “Storia di un’altra Firenze”), attraverso questi dodici camei prova a fare luce su queste figure femminili che furono a loro modo protagoniste della storia sebbene spesso dimenticate o peggio ancora talvolta vilipese.

Il primo ritratto che incontriamo è quello della madre di Lorenzo il Magnifico Lucrezia Tornabuoni, moglie di Piero il gottoso, colei che il suocero Cosimo il Vecchio definì l’unico uomo della famiglia. Dapprima sostegno per il marito spesso malato e poi per il figlio al quale di fatto consegnò praticamente intatto il patrimonio familiare, patrimonio che Lorenzo non fu altrettanto bravo a gestire.

Fu proprio la mente acuta di Lucrezia a ritenere che fosse giunto il momento adatto per fare il salto di qualità procurando al figlio una moglie di nobile stirpe e la scelta ricadde su Clarice Orsini.

Clarice Orsini fu la prima straniera ad entrare nella famiglia Medici e come tutte le straniere non fu mai accettata dal popolo. Non fu un matrimonio d’amore, Clarice onorò il suo compito e diede al magnifico nove figli, ma non si adatto mai ai costumi fiorentini e si scontrò spesso con il marito per l’educazione da impartire alla prole. Fu lei ad individuare nella cugina Alfonsina Orsini la moglie più adatta al primogenito Piero, detto in seguito Piero il fatuo.

Alfonsina Orsini è forse una delle meno conosciute di queste figure femminili. Quando nel 1494 i Medici furono nuovamente cacciati da Firenze a seguito dell’arrivo dei francesi lei restò da sola per un anno nel palazzo di via Larga a presidiare i beni di famiglia prima di risolversi a riunirsi al marito. Dopo la morte di questi poté dare sfogo a quella che la storia definì ambizione smisurata, ma che se fosse appartenuta ad un uomo probabilmente sarebbe passata per astuzia e intraprendenza. Sta di fatto che riuscì ad accasare i figli in modo molto conveniente: la figlia Clarice sposò infatti il banchiere Filippo Strozzi e il figlio Lorenzo, per il quale la madre era riuscita ad ottenere dal cognato papa Leone X il Ducato di Urbino, sposò la nipote del re di Francia Madeleine de la Tour d’Auvergne, Purtroppo Lorenzo e la moglie morirono entrambi a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro, dopo solo un anno di matrimonio quando la figlia Caterina aveva solo qualche giorno di vita.

Oltre alle pagine dedicate a Caterina de’ Medici e a Maria de’ Medici le due regine di Francia, la prima passata alla storia come la regina nera, l’avvelenatrice e la discepola di Machiavelli e la seconda come la mercantessa di Firenze superficiale, superba e dallo scarso senso politico, troviamo le pagine dedicate a Caterina Sforza ricordata dalla storia anche come la Tigre di Forlì.

Caterina Sforza fu la madre di Giovanni dalle Bande Nere che sposò la nipote di Lorenzo il Magnifico, Maria Salviati, figura femminile della quale si parla pochissimo, ma che fu fondamentale per la formazione e l’educazione del figlio Cosimo, destinato a divenire il primo Granduca di Toscana.

Cosimo sposò Eleonora di Toledo, sovrana superba e di una bellezza marmorea, come la definisce Daniela Cavini; il loro fu un matrimonio politico basato su forti interessi economici, ma che si rivelò, stranamente per l’epoca, anche un matrimonio d’amore.

Altre pagine sono dedicate a Isabella de’ Medici, la figlia prediletta di Cosimo I, donna colta e libera che trovò la morte molto probabilmente per mano del marito Paolo Giordano Orsini con la complicità del fratello di lei Francesco I, e a Cristina di Lorena, nipote di Caterina de’ Medici andata in sposa a Ferdinando I succeduto al fratello Francesco dopo la morte di questi sopraggiunta quasi contemporaneamente a quella della sua seconda moglie, la famosa Bianca Cappello, a cui non poteva ovviamente mancare in questo libro un capitolo a lei dedicato.

Infine, l’ultimo ritratto non poteva essere che riservato a lei, ad Anna Maria Luisa de’ Medici, l’Elettrice Palatina, ultima della sua stirpe colei a cui spettò il gravoso e ingrato compito di consegnare il Granducato nelle mani degli Asburgo-Lorena non senza avergli fatto sottoscrivere prima quel famoso Patto di Famiglia grazie al quale Firenze possiede ancora oggi il suo immenso patrimonio artistico che ne fa una delle città d’arte più belle del mondo.

Non possiamo dire che le donne dei Medici rivestirono sempre un ruolo passivo perché furono mogli e madri di uno spessore straordinario. A mio avviso, i Medici per primi compresero il valore e l’importanza delle figure femminili nello scacchiere politico e sociale tanto che spesso attribuirono alle loro donne, diremmo oggi, un ruolo mediatico di rilievo. Le donne Medici si distinsero alcune anche per bellezza, ma soprattutto per la loro componente intellettuale e la loro eleganza. È vero che oggi solo gli appassionati della famiglia Medici e gli storici ne ricordano i nomi e l’importanza, ma se guardiamo al passato non fu sempre così o almeno non per tutte le figure femminili della famiglia.

Il libro di Daniela Cavini è un validissimo compendio per colmare le lacune del lettore sul ruolo della donna in seno alla famiglia Medici e per spingerlo ad approfondire la storia di quelle figure femminili che più l’hanno colpito e incuriosito.

“Le magnifiche dei Medici” è un breve saggio puntuale, ben documentato e dalla veste grafica preziosa ed accattivante.





venerdì 25 febbraio 2022

“Le righe nere della vendetta” di Tiziana Silvestrin

Mantova, 8 luglio 1585. Il capitano di giustizia Biagio dell’Orso viene svegliato in piena notte dal bargello Gio Morisco.

Oreste Vannocci, prefetto delle fabbriche, è stato trovato morto all’interno della sua abitazione. Il suo corpo, raggomitolato in posizione fetale, giace su un pavimento cosparso di macchie di colore quasi fosse la tavolozza di un pittore.

Il capitano intuisce che la morte dell’architetto toscano non è dovuta a cause naturali. Il Vannocci è stato avvelenato, ma prima di morire è riuscito a lasciare un indizio. Biagio dell’Orso trova, infatti, la pianta di un edificio, probabilmente una chiesa, sulla quale l’architetto già in preda alle convulsioni ha tracciato con le dita delle righe nere.

A confermare la tesi dell’avvelenamento ipotizzata dal capitano di giustizia ci sono le conoscenze dello speziale Hyppolito, ma su suggerimento dell’amico nonché consigliere ducale Marcello Donati è meglio che la notizia non venga divulgata. È chiaro fin da subito infatti che a voler morto il Vannocci, il quale all’apparenza non aveva alcun nemico, deve esser stato qualcuno molto vicino alla Corte.

Vincenzo Gonzaga, figlio del duca di Mantova Guglielmo Gonzaga, ha sposato Eleonora de’ Medici, figlia del granduca di Toscana Francesco I e della sua prima moglie Giovanna d’Austria.

Il movente affonda le proprie radici molti anni indietro quando il grande condottiero Giovanni delle Bande Nere era ancora in vita. Chi sarà quindi il mandante dell’omicidio? Un Gonzaga o un Medici?

Nel frattempo, l’inquisitore Giulio Doffi, ossessionato dalla caccia alle streghe, ha preso di mira Lucilla la nipote dello speziale complicando così ulteriormente la ricerca della verità al capitano di giustizia.

Biagio dall’Orso detesta le ingiustizie, è un tipo che va per le spicce e che non le manda a dire a nessuno, ma per fortuna a salvarlo da se stesso c’è l’amico Donati che, molto più riflessivo e timoroso, fa di tutto per smorzare la sua irruenza.

La vicenda si volge a Mantova, ma dell’Orso viene inviato anche a Venezia per accompagnare una delegazione giapponese e poi a Firenze per fare da scorta a Vincenzo ed Eleonora.

Le pagine dedicate al viaggio a Firenze sono particolarmente suggestive; non incontriamo Francesco I e Bianca Cappello, ma il racconto ci conduce nello studiolo del granduca a Palazzo Vecchio, al Casino di San Marco, a Palazzo Pitti e persino nella bellissima villa medicea di Pratolino.

La scrittura della Silvestrin è asciutta e scorrevole; il racconto è magistralmente condotto su più piani narrativi e la storia scorre via veloce. Un giallo storico davvero ben scritto, piacevole e storicamente ben documentato.

In questo romanzo dove non mancano colpi di scena, misteri e complicati intrecci dinastici non solo i protagonisti, ma tutti i personaggi sono minuziosamente caratterizzati.

Sono rimasta colpita dalla storia e soprattutto dalla capacità dell’autrice di rievocare le atmosfere dell’epoca con tanta apparente semplicità, quando è indubbio vi sia alla base un gran lavoro di ricerca storica.

Sono inoltre rimasta affascinata, credo come ogni lettore, dalla figura di Biagio dell’Orso: bello, intraprendente, coraggioso, leale, dotato di grandi capacità deduttive e intollerante verso le prepotenze nei confronti dei più deboli.

Il libro è il secondo volume di una saga dedicata ai Gonzaga, ma ogni libro della serie è autoconclusivo e si può davvero leggere tranquillamente come un romanzo a sé.

Sono partita da questo secondo libro perché tra i protagonisti della storia ci sono anche esponenti della famiglia Medici, ma questa saga mi ha davvero convinta e il proposito è quello di leggere quanto prima anche gli altri volumi della serie.

Vi indico di seguito l’elenco completo delle pubblicazioni:

- I leoni d‘Europa

- Le righe nere della vendetta

- Un sicario alla corte dei Gonzaga

- Il sigillo di Enrico IV

- La profezia dei Gonzaga

Un’anticipazione: presto in uscita il sesto volume…