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giovedì 22 giugno 2023

“Il fermaglio di perla” di Antonio Forcellino

Terzo volume della serie “Il secolo dei giganti”, il romanzo racconta gli eventi accaduti a partire da qualche anno dopo l’elezione al soglio pontificio di Leone X fino alla morte di papa Paolo III. Anni di guerre e violenze che raggiunsero l’acme più cruenta con il sacco di Roma.

Il 6 maggio 1527 le truppe imperiali di Carlo V, composte principalmente dai famigerati Lanzichenecchi, portarono guerra e distruzione nella Città Eterna sotto il pontificato di Clemente VII.

Come per i due precedenti volumi, il succedersi degli eventi è scandito dalla cronologia dei papi. Ogni papa ebbe aspirazioni e personalità molto diverse ma tutti, nessuno escluso, antepose sempre gli interessi della propria famiglia al bene della Chiesa.

Non ci si allontana quindi molto dalla verità affermando che la vera e unica protagonista di questo romanzo sia in fin dei conti l’ambizione.

Ambizione che, in queste pagine, viene declinata in ogni sua forma sia che si tratti di sete di potere sia che si tratti di voler lasciare dopo di sé il segno come miglior pittore e scultore del tempo e oltre.

Gli artisti di spicco del romanzo sono Raffaello e Michelangelo, ma in questo volume fa il suo ingresso sulla scena anche un nuovo protagonista, Tiziano Vecellio, che in quanto ad avidità ed ambizione, come si è soliti dire, se la gioca alla pari con il più anziano Michelangelo.

Raffaello impersonò l’armonia, la gioia di vivere e la convivialità. Come tutti anche lui fu chiamato a combattere l’impossibile guerra della politica ma lo fece sempre con una tale grazia, da rendersi gradito a chiunque gli stesse accanto. Alla sua morte furono in molti a pensare che insieme a lui se ne stava andando anche la grazia di Roma. Invero, dopo la sua morte avvenuta all’età di 33 anni un Venerdì Santo, stesso giorno della sua nascita, di lì a qualche anno Roma si sarebbe trovata al centro di una terribile spirale di violenza e devastazione.

Molto diverso da Raffaello fu Michelangelo. Artista ombroso e geloso della sua arte tanto da volerla celare ai colleghi per timore che qualcuno potesse carpire i suoi segreti. Eppure, Michelangelo, divino artista, fu pure capace di grandi slanci e di grandi passioni. Sebbene sempre in fuga da sé e dal dover scegliere, non si tirò mai indietro dinnanzi alle cose in cui credeva davvero che si trattasse di sostenere la Repubblica fiorentina o di dare il suo appoggio agli Spirituali, un gruppo il cui intento era quello di riformare il clero e per questo vennero perseguitati come eretici.

Codesto volume più dei precedenti si addentra in una dettagliata analisi politica dell’epoca oltre che nel racconto della storia dell’arte e dei suoi protagonisti.

Tantissimi i personaggi, figure di spicco e figure minori, che insieme si muovono sulla scena dando vita ad una narrazione ricca di colpi di scena, frutto di una continua alternanza di alleanze e tradimenti.

Personaggi terribili come Pier Luigi Farnese, figlio di Paolo III, al secolo Alessandro Farnese, elemento più scellerato e disumano di Cesare Borgia, si aggirano tra le pagine di questo romanzo, dove incontriamo anche tante positive figure femminili, come quelle di Vittoria Colonna, Isabella d’Este, Giulia Gonzaga, donne coraggiose che osarono sfidare gli uomini con la loro intelligenza. Infine, non si può non ricordare Roxane, schiava e regina, che detenne a lungo  il potere nell’Impero Ottomano poiché a lei sola apparteneva il cuore di Solimano.

Tante verità storiche che si legano splendidamente all’interno di una trama romanzata ordita alla perfezione, capace di regalare al lettore un racconto avvincente e affascinante di quello che giustamente l’autore definisce Il secolo dei giganti.





giovedì 15 giugno 2023

“Il colosso di marmo” di Antonio Forcellino

Il secondo volume della serie “Il secolo dei Giganti” dedicata da Antonio Forcellino alla storia del Cinquecento vede come protagonista principale il genio di Michelangelo.

L'artista, dopo il successo ottenuto a Roma con la sua Pietà, fa ritorno a Firenze dove ad accoglierlo trova Machiavelli che gli commissiona il David.

Savonarola è stato condannato come eretico e a Firenze è stata nuovamente instaurata la Repubblica. La situazione politica dell’Italia è alquanto confusa. Ludovico il Moro vorrebbe rientrare a Milano, Venezia è tenuta sotto scacco da Bajazet mentre Francia, Spagna e Impero si contendono il territorio italiano. In tutto questo caos il Valentino, lo scellerato figlio di Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borgia, è più che mai deciso a crearsi un suo principato.

Firenze è fragile e fa gola a molti, teme l’ingordigia di Cesare Borgia e l’interesse delle altre potenze per le sue terre. L’immagine del David che sconfigge il gigante Golia diventa così il simbolo con cui dimostrare ai nemici il proprio valore e la propria forza.

In verità, sebbene i primi tre volumi della serie vengano intitolati dall’autore ciascuno ad uno dei tre grandi del Rinascimento (Leonardo, Michelangelo, Raffaello), tutti e tre gli artisti sono co-protagonisti di questo secondo libro.

Il rispetto e l’ammirazione di Raffaello verso Leonardo, la simpatia di questi per il giovane urbinate, l’animo tormentato e il carattere scontroso di Michelangelo emergono prepotentemente dalle pagine di questo romanzo.

L’autore dipinge in queste pagine un affresco quanto mai vivido e affascinante del periodo in cui furono protagonisti artisti di tale fama, ingegno e talento.

Come per il primo volume, anche in questo secondo libro viene posto l’accento sui vari pontificati per dare ordine agli eventi che si susseguirono nel corso della storia. Scelta quanto mai indovinata poiché coloro che sedettero sul soglio di Pietro furono tra i principali attori della storia del Rinascimento nonché ago della bilancia di quella politica internazionale fatta di continue alleanze e tradimenti.

Alessandro VI (Rodrigo Borgia), Giulio II (Giuliano della Rovere) e Leone X (Giovanni de’ Medici), tre papi molto diversi e dalla personalità complessa che segnarono profondamente la storia di Roma, della Chiesa e dell’Italia rinascimentale.

Dalle pagine di Antonio Forcellino emerge la figura affascinate di Giulio II che invoglia il lettore ad approfondire la storia di questo papa guerriero, fiero e volitivo, che venne immortalato da Raffaello in quell’atteggiamento remissivo e dolce che poco, in verità, lo caratterizzò nel corso della sua vita. Raffaello aveva però compreso quanto l’arte potesse essere un’arma più potente della spada per veicolare un messaggio. Quale modo migliore, quindi, per umanizzare un pontefice energico come un condottiero e scaltro come un diplomatico se non rappresentandolo in atteggiamento malinconico­?

Tantissime sono le figure che popolano queste pagine e tra loro anche molte donne dal temperamento straordinario come Vittoria Colonna, Giulia Farnese, Isabella d’Este e Lucrezia Borgia.

Questo secondo volume si conferma essere un racconto avvincente e avventuroso di una delle epoche più affascinanti della storia.

Originariamente la serie dedicata al Cinquecento italiano doveva essere una trilogia, ma alla fine i volumi sono diventati cinque. L’ultimo volume è uscito proprio in questi giorni.

 



mercoledì 7 giugno 2023

“Oscura e celeste” di Marco Malvaldi

Potrei dire di aver scelto questo libro perché attratta dall’affascinante figura di Galileo Galilei oppure, più semplicemente, perché non sono solita rinunciare a leggere un romanzo ambientato a Firenze, tanto più se tra i personaggi appare un esponente della famiglia Medici, ma la verità è che quello che mi ha spinto ad acquistare questo libro è stata la bellezza della copertina.

Non è una cosa così singolare, a tutti noi capita talvolta di scegliere un libro per la sua copertina, però mi ha fatto sorridere che l’autore giochi con l’idea che qualcosa di simile potesse essere accaduta anche ad Urbano VIII con “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo” di Galileo Galilei.

La storia è ambientata nel 1631. A Firenze la peste imperversa e il Granduca Ferdinando II cerca di difendersi come meglio può dalle assillanti richieste, dai continui suggerimenti e dai numerosi rimedi di cui gli esponenti del clero sembrano essere terribilmente provvisti.

Galileo è prossimo a dare alle stampe la sua opera che, sotto forma di dialogo e scritta in volgare, renderebbe accessibile a tutti la teoria per cui è il Sole ad essere al centro dell’universo e non la Terra. Lo scienziato si è da poco trasferito a Villa il Gioiello vicino al convento di San Matteo ad Arcetri, poco distante da Firenze.

Nel convento si trovano le sue due figlie: Suor Maria Celeste, al secolo Virginia, e Suor Arcangela, al secolo Livia. Suor Maria Celeste, la maggiore, è molto legata al padre ed è a lei che Galileo affida i suoi scritti per essere trascritti in bella copia poiché altrimenti risulterebbero incomprensibili a tutti anche al tipografo.

In convento accade una terribile disgrazia e Galileo Galilei si ritroverà coinvolto in prima persona, suo malgrado, in una propria e vera corsa contro il tempo per cercare di risolvere il mistero.

Il romanzo è preceduto, come si trattasse di un testo teatrale, da alcune pagine in cui vengono presentati i protagonisti della storia. I personaggi, quasi tutti realmente esistiti, sono descritti minuziosamente e appaiono talmente ben caratterizzati che al lettore sembra davvero di conoscerli tutti di persona.

Il Granduca Ferdinando II de' Medici è una figura intrigante. È abilissimo a gestire i problemi scaricando quelli più scottanti sui suoi sottoposti così da potersi prendere il giusto tempo per esaminare le situazioni. Una volta presa, però, la sua decisione sarà legge e non dovrà essere messa in discussione da nessuno. Nell’insieme un sovrano illuminato, vicino ai suoi sudditi, che non manca di visitare gli infermi nei lazzaretti e confortare i parenti dei defunti.

Galileo Galilei è un uomo di scienza, ma anche un personaggio che ama la buona tavola e il vino. Talvolta sembra perdersi nel suo mondo inseguendo qualcosa di indefinito, ma improvvisamente ritorna in sé con la giusta illuminazione. Molto legato alle figlie, non è privo di dubbi e rimorsi per aver scelto per loro la via del convento. Bisogna dire però, a sua discolpa, che nel Seicento, per delle fanciulle senza dote, il convento era l’unico luogo sicuro dove vivere e soprattutto dove poter studiare.

Suor Maria Celeste e Suor Arcangela non potrebbero avere caratteri più diversi; tanto dolce, remissiva e posata Virginia, quanto focosa e intemperante Livia. Inutile dire che inevitabilmente Suor Arcangela, nonostante i suoi modi bruschi e poco ortodossi, o forse proprio per questi, riuscirà ad entrare nelle simpatie del lettore quanto se non più della sorella stessa.

Il racconto all’inizio è forse un po’ lento. Le teorie e gli stralci dei documenti riportati necessitano infatti un po’ di impegno da parte del lettore, ma sono passi imprescindibili per calarsi nel giusto clima narrativo. Superate le prime pagine il racconto prende ritmo e ci si trova piacevolmente coinvolti dal dipanarsi degli eventi. Impossibile non sviluppare empatia nei confronti di molti dei personaggi della storia.

Ironico e divertente Marco Malvaldi sa davvero come catturare l’attenzione del lettore e tenerlo incollato alle pagine.

È vero che un libro non deve mai essere giudicato dalla copertina, ma in questo specifico caso, la copertina è decisamente all’altezza del libro. Divertente, spiritoso e illuminate.




mercoledì 24 maggio 2023

“Giovan Battista Fagiuoli” di Rossella Foggi

Il volumetto venne pubblicato nel 1993 in occasione della scoperta avvenuta l’anno precedente da parte di Alberto Bruschi, editore della Collana Loggia Rucellai di cui anche libro fa parte, di un ritratto di Giovan Battista Fagiuoli eseguito da Pier Dandini.

Al saggio di Rossella Foggi in cui viene raccontata la vita e descritta la personalità del Fagiuoli, segue una breve analisi di Sandro Bellesi del dipinto ritrovato. In queste pagine Bellesi riporta anche un estratto dell’opera del Fagiuoli, un capitolo che questi volle dedicare al Dandini proprio come ringraziamento del ritratto.

Antonio Paolucci definisce Giovan Battista Fagiuoli eccentrico bardo degli ultimi Medici. Definizione calzante, sebbene molte delle facezie che la tradizione popolare fiorentina gli ha attribuito nel corso dei secoli siano in verità sono solo false credenze.

Il poeta e commediografo fiorentino fu testimone di quell’epoca che vide per sempre calare il sipario sulla dinastia medicea. Si spense infatti l’anno prima di Anna Maria Luisa de’ Medici e i suoi funerali vennero celebrati in San Lorenzo.

Nato il giorno di San Giovanni Battista del 1660, il Fagiuoli dovette lasciare presto il collegio dei Gesuiti, dove aveva intrapreso gli studi, poiché il padre morì all’età di soli 43 anni. Appena tredicenne, per mantenere la madre, dovette accettare un impiego presso un dottore in legge, ma fin da subito fu chiaro come il lavoro d’ufficio non fosse la sua vera inclinazione. Egli riuscì fin da subito a ritagliarsi un suo spazio dedicandosi alla recitazione, passione quella per il palcoscenico che lo accompagnò per tutta la sua esistenza. Suo malgrado, per far quadrare il bilancio famigliare, dovette però sempre destreggiarsi tra l’impiego presso l’Arcivescovado e la vocazione di letterato.

I suoi scritti non furono mai troppo pungenti o violenti; poeta satirico, raramente ironico e in nessun modo cattivo, questo suo aspetto fu dovuto indubbiamente al suo carattere, ma in parte anche alle sue ispirazioni ad entrare nell’ambiente di Corte.

Scelse la strada più lunga per raggiungere i suoi scopi, ovvero la sua arte, poiché da uomo orgoglioso, mai avrebbe venduto la sua dignità in cambio di un posto da cortigiano.  Purtroppo, anche i suoi amici il Redi e il Magliabechi, rispettivamente il medico e il bibliotecario di Corte, non riuscirono a intercedere in suo favore come avrebbe desiderato.

Dovette allontanarsi da Firenze per lavoro, trascorse un periodo a Livorno e persino un anno a Varsavia. Poi, finalmente, un giorno venne accolto da Francesco Maria de’ Medici, fratello del Granduca Cosimo III, e iniziò a frequentare le feste e gli eventi mondani nella Villa di Lappeggi tanto cara al cardinale. Sfortunatamente, quando questo morì, dal momento che il Fagiuoli non era mai stato stipendiato come cortigiano, si ritrovò nuovamente a dover contare solo sul reddito ricavato da un piccolo podere di proprietà e dallo stipendio ricevuto come attuario. Solo l’Elettrice Palatina, all’epoca ancora a Düsseldorf, cerco di intercedere presso il padre Cosimo III in suo favore e sempre lei lo sostenne anche quando salì al trono il fratello Gian Gastone, non particolarmente interessato all’opera del Fagiuoli.

Giovan Battista Fagiuoili ebbe una vita non facile, sempre a corto di denari sin da bambino si ritrovò a dover far fronte anche ad una famiglia molto numerosa. La moglie gli diede ben dieci figli ma solo quattro di questi, quattro figlie tutte monacate, gli sopravvissero. Il Fagiuoli in verità sopravvisse pure alla moglie sebbene molto più giovane di lui e a tutti i suoi nipoti.

Una figura affascinante incontrata spesso nelle mie letture sugli ultimi Medici che sono contenta di aver potuto approfondire grazie a questo interessante saggio.

Giovan Battista Fagiuoli fu uomo del suo tempo e rileggere le sue opere (rime, composizioni, commedie) e i suoi diari che si compongono di ben 30 volumi, di cui i primi tre redatti in bella copia, che vanno dal 1672, anno della morte del padre, fino a due giorni prima della sua morte, avvenuta il 12 luglio 1742, è fondamentale per comprendere l’epoca di cui lui fu testimone.

Rossella Foggi con questo suo saggio e Alberto Bruschi con questa collana hanno dimostrato di aver compreso quanto sia importante andare alla riscoperta di quei personaggi che solo all’apparenza possono essere considerati marginali a quella che viene considerata la storia con la “S” maiuscola.




domenica 7 maggio 2023

“Lorenzo il Magnifico in salute in malattia” di Emiliano Panconesi e Lorenzo Marri Malacrida

Questo piccolo volume, terza uscita della Collana Loggia Rucellai, si pone come obiettivo si analizzare la figura di Lorenzo il Magnifico da un punto di vista diverso da quello consueto.

Oggetto di questo breve saggio non è quindi il Lorenzo statista, letterato, politico e mecenate, tutte sue caratteristiche che qui vengono ricordate solo a scopo biografico.

L’argomento centrale di questo saggio è invece quello della malattia del Magnifico e del rapporto che questi ebbe con la medicina. Gli autori indagano quindi quali furono le sue caratteristiche fisiche e psichiche.

Lorenzo de’ Medici mori all’età di 43 anni. Il 1492 fu davvero un anno particolare perché non solo se ne andava colui che allora era l’ago della bilancia della politica italiana ed europea, ma anche un grande pittore a lui contemporaneo quale fu Piero della Francesca, uno dei tanti artisti che Lorenzo de’ Medici ebbe la fortuna di poter incontrare nel corso della sua vita.  Ad ottobre di quello stesso anno Cristoforo Colombo sbarcava sulle coste del nuovo continente e da quel momento in poi si sarebbe entrati ufficialmente nell’Era Moderna.

Nel Quattrocento non esisteva una marcata differenza tra le discipline come la conosciamo noi oggi. All’epoca del Magnifico tra il sapere medico-fisico e la cultura letteraria e filosofica vi era uno stretto legame. Studiando la biblioteca di Pier Leoni (o Pierleone) da Spoleto medico di Lorenzo si può facilmente comprendere quanto fossero intrecciate tra loro discipline quali la filosofia, la medicina, la matematica ma anche l’astrologia. La cultura rinascimentale in generale e quella del Rinascimento fiorentino in particolare erano davvero complesse.

Interessante è l’approfondimento dedicato all’accezione del termine saturnino in cui si spiega come durante il Rinascimento melanconico e saturnino perdettero via via sempre più la connotazione patologica o negativa che essi mantenevano ancora in epoca medievale.

Tutti i Medici, da Cosimo Pater Patriae fino ad arrivare a Cosimo III e al figlio di questi il Gran Principe Ferdinando, furono affetti dalla gotta. Il padre di Lorenzo de’ Medici fu definito addirittura “Il Gottoso” e neppure Lorenzo trovò scampo dalla nemica di famiglia. 

Di Lorenzo si sa che già all’età di diciotto anni fu afflitto da un eczema di notevole aggressività al quale poi seguirono manifestazioni di iperuricemia.

Difficile, nonostante gli studi effettuati sui resti del Magnifico, in particolare da Genna e Pierraccini nel 1945, riuscire a individuare le vere cause che portarono Lorenzo alla morte. La gotta può degenerare in forme di reumatismo cronico e interessare non solo le articolazioni ma anche altri organi quali occhi, cuori, nervi, stomaco e reni.

Dagli scritti del Poliziano sappiamo che Lorenzo soffri negli ultimi giorni di fortissimi dolori presumibilmente di stomaco. Questi dolori gli autori del saggio non escludono potessero essere imputati oltre alla gotta anche a qualche ulcera gastrica o duodenale. Alcuni avvenimenti della vita di Lorenzo quali la perdita del fratello Giuliano nella Congiura dei Pazzi, il Sacco di Volterra e la decisione di concedere la mano della giovane figlia prediletta Maddalena al dissoluto Franceschetto Cybo figlio di Papa Innocenzo VIII per opportunismo dinastico e politico contribuirono probabilmente a minare ulteriormente la già malferma salute del Magnifico.

Un saggio interessante che, sebbene forse un po' datato in quanto edito nell’anno 1992, prova a risolvere importanti interrogativi utilizzando una chiave di lettura davvero insolita e particolare.

 


lunedì 10 aprile 2023

“Cosimo III de’ Medici” di Alberto Bruschi

Cosimo III de’ Medici, Pellegrino tra trono e altare, come recita il sottotitolo scelto dall’autore, visse la sua vita con lo sguardo più rivolto verso la beatitudine celeste che verso le miserie umane e terrene. Il suo lungo regno che si snodò sotto ben dieci pontificati, da Urbano I fino a Innocenzo XIII, fu caratterizzato dai suoi eccessi religiosi e moralistici.

Nonostante l’educazione umanistica impartitagli da insigni e autorevoli precettori, dimostrò assai scarse risorse intellettuali. La stessa sua committenza artistica fu quasi sempre rivolta verso il culto. Non esitò a dilapidare il patrimonio del Granducato per costruire chiese e conventi, così come non esitò ad alienare parte delle collezioni medicee per arricchire gli apparati liturgici delle chiese. Ossessionato dalle reliquie, di cui cercava in ogni modo di fare incetta, non si risparmiò mai dal mettere in campo ogni risorsa per la moralizzazione dei costumi, arrivando anche a bruciare parecchi libri perché considerati pericolosi per la fede. Insomma, arrivò a comportarsi persino peggio del Savonarola e dei suoi Piagnoni.

Non stupisce quindi che quando, alla veneranda età di 81 anni e dopo ben 53 anni di regno, Cosimo III lasciò la vita terrena, i fiorentini videro la sua morte come una liberazione tanto a lungo attesa. Nessuno, se non qualche ipocrita, poté rimpiangere la dipartita di un sovrano che non dimostrò mai alcun amore per quei suoi sudditi che nel corso degli anni aveva ripetutamente tassato e spremuto fino all’ultima goccia a favore del clero.

La figura di Cosimo III fu vista come una macchietta dai suoi contemporanei persino in Vaticano nonostante egli profondesse tanto denaro a favore della religione. Il suo matrimonio disastroso con la cugina del Re Sole, Marguerite Louise d’Orleans che abbandonò il tetto coniugale per far ritorno in Francia, ma che pur lontana non  perdette mai occasione per rendergli la vita amara, e l’anaffettività dimostrata nei confronti dei figli maschi, il Gran Principe Ferdinando e Gian Gastone, non fanno che avvalorare l’immagine di un sovrano che altro non fu che la parodia della grandezza dei suoi predecessori.

Impietoso è il giudizio di Alberto Bruschi per questo sesto Granduca di Toscana, la cui ottusa bigotteria fu pari solo alla sua superbia, tanto da escludere quasi con certezza che nessuna futura scoperta potrà mai salvarlo dal giudizio negativo con cui la storia lo ha accompagnato fino ai giorni nostri.

Nei testi dedicati agli ultimi esponenti della dinastia Alberto Bruschi è sempre stato molto imparziale; non ha mai fatto loro nessuno sconto, però, è sempre riuscito a cogliere quell’elemento delle loro vicende che, senza voler giustificare nessuno, poteva essere quanto meno un’attenuante per gli errori commessi. Attenuanti che Bruschi non negò neppure ad Anna Maria Francesca di Sassonia-Lauenburg, moglie di Gian Gastone, la fiorentina mancata, nel libro a lei dedicato.

Per Cosimo III, invece, Alberto Bruschi sembra non riuscire neppure a trovare delle attenuanti e, anche impegnandosi a ricercare qualche elemento che possa riscattarne almeno in parte l'operato, poco o nulla emerge se non l’aver riportato a Firenze il corpo di Giovanni dalle Bande Nere che dal 1526, anno della sua morte, riposava a Mantova.

Di questo libro che Alberto Bruschi ha dedicato a Cosimo III de’ Medici sono state stampate nel 2018 invero (parola tanto amata dall’autore) solo poche copie.

Alberto Bruschi fu molte cose nel corso della sua vita: antiquario, ricercatore, archeologo, medievalista, studioso di araldica, difficile se non impossibile stilare un elenco completo visti i suoi molteplici interessi, ma non è per nulla singolare che in questo specifico caso egli, che fa riferimento a stesso utilizzando il plurale maiestatis, si definisca un cantastorie.

Ebbene sì, questo volume non è solo il racconto di Cosimo III de’ Medici, ma è l’affresco dell’epoca in cui egli visse. È una summa di aneddoti non solo contemporanei al sesto Granduca di Toscana, ma anche il racconto di eventi occorsi in epoche precedenti così come di eventi che avranno luogo negli anni successivi.

Non è facilissimo seguire il filo della narrazione poiché, a differenza degli altri scritti di Bruschi, qui il racconto segue un percorso funambolesco; un percorso, se vogliamo difficile, che mette a dura prova il lettore, ma allo stesso tempo lo rende anche molto attento e partecipe.

Si avverte in questo scritto quasi un’urgenza da parte dell’autore di voler trasmettere tutti quegli elementi riemersi dal passato, quasi una sorta di testamento perché nulla di quello da lui raccolto nel corso di tanti anni di ricerca possa andare perduto. In queste 450 pagine, infatti, tantissimi sono gli spunti che meriterebbero un ulteriore approfondimento; sarebbe davvero impossibile incamerare tutto ciò che è qui riportato nel corso di una sola lettura.

Il libro, come tutti gli scritti di Alberto Bruschi, presenta una scrittura elegante e raffinata. È sempre un piacere per il lettore incontrare quelle belle parole, tante ahimè ormai desuete, che sono state non solo dimenticate, ma nel caso in cui qualcuno per errore si azzardasse a pronunciare, verrebbe apostrofato malamente in virtù del fatto che è oggi imperativo usare tanti begli anglicismi imposti da questa nostra società globale.

Non manca neppure la solita ironia fiorentina del Bruschi a me tanto cara, ma si percepisce in questo suo scritto una sorta di impercettibile cambiamento nel suo sentire, quasi che egli avesse avuto qualche avvisaglia che il suo tempo stesse per giungere alla fine. Eppure, Alberto Bruschi mancherà tre anni dopo la pubblicazione di questo volume.

C’è un’altra particolarità che distingue questo libro dai precedenti dedicati dall’autore agli ultimi Medici o comunque ai personaggi a loro vicini. Qui, più che nei precedenti libri, emerge molto più forte lo sguardo del Bruschi rivolto al mondo contemporaneo. C’è il suo pensiero sulla politica europea e nazionale, sulla Chiesa e sull’Oriente. In questo volume, più che nei precedenti, Bruschi prende una posizione netta e ne esce prepotentemente la figura di un uomo che non ha più nessuna remora, se mai davvero l'abbia avuta, ad apparire non politicamente corretto, Un uomo forse anche po’ amareggiato da ciò che lo circonda, senza dubbio ormai disilluso.

Nelle ultime pagine, in quelle poche righe dedicate all’amato Gian Gastone de’ Medici, però, ogni disinganno e amarezza cedono il passo alla consueta sensibilità e a quel sentimento di pietas che Alberto Bruschi nutrì sempre verso quell’ultimo Granduca Medici che si ritrovò sul trono senza mai averlo desiderato e che “(…) permise tutto a tutti. Solo a se stesso mai permise di credersi qualcuno più importante di qualsiasi altro uomo”.

 

 


giovedì 23 marzo 2023

“Il cavallo di bronzo” di Antonio Forcellino

Primo libro della saga dedicata da Antonio Forcellino ai grandi protagonisti dell’arte rinascimentale, “Il cavallo di bronzo” è incentrato sulla figura di Leonardo Da Vinci.

Il ritmo del racconto è scandito dall’avvicendarsi sul soglio pontificio dei diversi papi, da Niccolò V (6 marzo 1447 – 24 marzo 1455) ad Alessandro VI Borgia (11 agosto 1492 – 18 agosto 1503). 

Il romanzo è anche il racconto delle grandi famiglie baronali romane, Colonna e Orsini in primis, che di fatto tenevano sotto scacco lo Stato Pontificio con i loro eserciti e il loro peso politico. Chi voleva governare il mondo doveva governare Roma, così l'autore ci racconta dell’ascesa di Alessandro Borgia e della sua scellerata prole, nonchè dei falliti tentativi di Giuliano Della Rovere di sedere sul soglio di Pietro, ascesa in verità solo rimandata.

Ci narra della Milano degli Sforza e di Ludovico il Moro, ma soprattutto Forcellino ci regala un meraviglioso quadro della Firenze medicea.

Sotto lo sguardo vigile di Cosimo il Vecchio, Piero de’ Medici e Lorenzo il Magnifico l’arte fioriva rigogliosa sulle sponde dell’Arno e loro, i veri padroni di Firenze, furono bravissimi, come scrive l’autore stesso, ad abbagliare il popolo con la loro sobrietà e i principi con il lusso.

È davvero affascinante il modo in cui l’autore è riuscito a raccontare ogni singolo avvenimento, seguendo la verità storica, ma senza appesantire il ritmo del racconto. La narrazione rimane oltremodo fluida e piacevole. I molteplici dettagli del complicato quadro politico, così come quelli delle peculiarità degli artisti e delle loro opere, non spezzano minimamente la narrazione ma anzi la compenetrano in maniera eccellente.

I numerosi personaggi sono descritti con magistrale precisione a partite ovviamente dalla figura di Leonardo, il cui rapporto con il mondo, essendo egli di indole piuttosto taciturna, passava più attraverso i suoi disegni che attraverso le sue parole. Di Leonardo non viene indagata solo la psicologia, ma vengono esaminate minuziosamente anche le sue opere, dando ampio spazio alla sua tecnica pittorica, alle sue invenzioni e ai suoi studi nell’ambito della ricerca naturalistica.

Con sapienti pennellate Antonio Forcellino dipinge uno splendido affresco dell’epoca rinascimentale dove ogni singolo personaggio sa come affascinare e intrigare il lettore per rendersi interessante ai suoi occhi. Invero, mi sono ritrovata a desiderare di approfondire la storia di figure che fino ad oggi avevano suscitato solo parzialmente il mio interesse, una su tutte quella del futuro Giulio II.

Il racconto, con la sua prosa lineare e pulita, cattura l’attenzione del lettore fin dalle prime pagine. 

Oltre a Michelangelo, che sarà figura di spicco del secondo volume, ma che occupa già parte della trama di questo libro, fa il suo ingresso sulla scena anche un giovanissimo Raffaello Sanzio. 

Agli artisti e alle botteghe è dato ampio spazio nel romanzo così come ai diversi mecenati che si avvalsero dell’opera di pittori, scultori, letterati spesso per consolidare la propria posizione sociale e politica.

Non si può, poi, non accennare a tutte quelle indimenticabili figure femminili che furono protagoniste di quest’epoca straordinaria e, solo per citarne alcune, possiamo ricordare Lucrezia Borgia, Giulia Farnese e Cecilia Gallerani.

“Il secolo dei giganti” è indubbiamente una saga affascinante e coinvolgente in grado di appassionare anche il lettore più esigente.





domenica 12 marzo 2023

Strumenti musicali. Guida alle collezioni medicee e lorenesi

Il museo degli strumenti musicali della Galleria dell'Accademia di Firenze venne inaugurato nel 2001. La collezione del Conservatorio Luigi Cherubini consisteva in più di 40 strumenti, appartenenti alle collezioni medicee e lorenesi, databili tra il diciassettesimo e il diciannovesimo secolo.

Questo piccolo catalogo bilingue (italiano-inglese) si apre con un’introduzione in cui viene brevemente presentato il museo, seguita da una serie di schede dedicate agli strumenti e ai quadri esposti. I soggetti rappresentati sono nature morte nelle quali figurano degli strumenti  e personaggi legati sempre all'ambiente musicale.

Il più grande collezionista di strumenti fu senza dubbio il Gran Principe Ferdinando che si dilettava egli stesso come musicista. Sotto il regno di Cosimo III de’ Medici la collezione raggiunse il suo massimo splendore e a questo periodo risale la maggior parte dei dipinti esposti. Fu il Gran Principe Ferdinando, tra le altre cose anche grande collezionista d’arte, a commissionare quei ritratti di musici conosciuti come i musici del gran principe.

In uno di questi dipinti, opera di Anton Domenico Gabbiani (1632-1726), si riconosce proprio Ferdinando de’ Medici. Non altrettanto facile è invece riuscire a identificare i singoli personaggi, per i quali spesso ci si può solo limitare a fare ipotesi plausibili qualora ci siano motivazioni convincenti in tal senso. Risulta chiara, comunque, una certa complicità tra il Gran Principe e i suoi musici, una familiarità spesso deprecata da Cosimo III come si evince nella sua corrispondenza col figlio nella quale lo invitava a trattare con essi da par suo.

Tra le particolarità del catalogo figurano strumenti come la famosa viola tenore di Antonio Stradivari, considerata lo strumento più celebre della collezione. Questa viola ci è giunta nella forma e nella struttura originali, aspetto che la rende un oggetto oltremodo prezioso. Leggendo il libro si comprende che gli strumenti giunti ai giorni nostri sono in realtà solo una minima parte dell’intera collezione medicea, sia perché i Lorena li misero all'asta per monetizzare, sia perché nel corso degli anni vennero periodicamente aggiornati per renderli in linea con le mode musical dei tempi, sia perché spesso venivano prestati ai musici senza che poi questi li restituissero, vuoi ormai perché inutilizzabili o, magari più semplicemente, perché andati perduti.

Curioso è leggere in cosa consistessero questi ammodernamenti degli strumenti compiuti appunto per renderli più adatti all’esecuzione della musica del momento; alcuni di essi, ad esempio, sono stati ridimensionati nella cassa, in altri è stata modificata l’inclinazione del manico, in altri sono state fatte modifiche per aumentare il numero delle corde.

È quindi impossibile oggi poter ricreare quel suono originario delle musiche così come queste venivano eseguite al tempo della loro composizione. Per ovviare in parte a questa problematica, e al fatto che spesso lo stato di conservazione degli strumenti non permetterebbe neppure di eseguire idonei restauri, si è cercato oggi di ricostruire copie il più possibile conformi agli originali.

Il Gran Principe Ferdinando raccolse intorno a sé non solo musici e costruttori di strumenti di ambiente fiorentino, ma invitò alla sua corte anche molti artigiani e musicisti provenienti da tutta Italia. Proprio a Firenze il patavino Bartolomeo Cristofori ideò il famoso fortepiano, principale antenato del più moderno pianoforte. Nelle collezioni esposte nella Galleria dell’Accademia tra gli strumenti costruiti appunto dal Cristofori si può ammirare il più antico pianoforte verticale conosciuto oltre ad una bellissima spinetta ovale.

La prima edizione di questo catalogo è datata 2001, ma è stato ristampato più volte nel corso degli anni fino almeno al 2021, anno della ristampa in mio possesso.

Come viene specificato nel libro stesso, risulta un po’ strano pensare di vedere esposti questi strumenti come se si trattasse di arte visiva piuttosto che di strumenti nati per essere ascoltati. È indubbio, comunque, che alcuni di essi siano di per sé delle vere opere d’arte se si guarda ad esempio agli intarsi di madreperla presenti su alcuni o a strumenti quali il salterio di Cosimo III.

Attraverso le pagine del libro e le schede dedicate ai vari strumenti si ripercorre la storia della musica dalla corte medicea alla corte lorenese. 

Con la morte del Gran Principe Ferdinando finiva anche l’età della grande musica eseguita nelle ville di proprietà, la più celebre delle quali per gli allestimenti degli spettacoli che vi venivano eseguiti era senza dubbio quella di Pratolino.

Con l’avvento dei Lorena la musica mutò completamente. Essi erano soliti dare feste a Palazzo Pitti dove veniva invitata addirittura tutta la popolazione ed ovviamente la musica da ballo era quella che andava per la maggiore.

Coloro che visitarono Firenze all'epoca della corte lorenese non mancarono di rimarcare la scarsa vivacità della vita musicale della città oltre alla difficoltà di accesso alle raccolte e alle biblioteche.

 



venerdì 10 marzo 2023

“Sacro romano impero. La principessa di Charolles” di Marina Colacchi Simone

Dopo “Florentine. La pupilladel Magnifico”, vincitore di ben sette premi letterari, Marina Colacchi Simone torna a confrontarsi con il romanzo storico e lo fa riprendendo la storia laddove l’aveva lasciata.

La narrazione si apre con le terribili scene del sacco di Roma (6 maggio 1527) perpetrato dai lanzichenecchi, arruolati tra le file dell’esercito imperiale. Attraverso la tecnica del flashback, la protagonista del romanzo, la principessa di Charolles, si lascia andare ai ricordi dando avvio al racconto degli avvenimenti accaduti negli anni precedenti.

Le prime pagine sono dedicate alla presentazione dei principali personaggi, un’esigenza imprescindibile prima di addentrarsi nel vivo della narrazione, essendo questi davvero numerosi.

La storia di questo periodo è piuttosto complessa. Dopo la morte di Lorenzo il Magnifico, ago della bilancia della politica italiana, le grandi potenze europee possono ormai liberamente affacciarsi sul suolo italico. I grandi protagonisti sono Francesco I di Valois in Francia, Enrico VIII Tudor in Inghilterra e Carlo di Gand, protagonista del romanzo.

Il diciasettenne Carlo siederà sul trono di Spagna, sebbene solo formalmente dovrà all’inizio condividerlo con la madre Giovanna la Pazza, e diverrà imperatore del Sacro Romano Impero.

Le prime pagine del romanzo non sono scorrevolissime, ma l’autrice doveva fare necessariamente chiarezza sul complesso scacchiere politico dell’epoca prima di addentrarsi nello svolgimento della trama.  I personaggi reali e di invenzione si integrano tra di loro alla perfezione, tanto verosimili sono quelli nati dalla penna dell’autrice. Ogni dubbio sulla reale esistenza dei protagonisti viene comunque fugato perché Marina Colacchi Simone, sempre attenta ai dettagli, non ha mancato di inserire un elenco dei personaggi di fantasia al termine del volume.

Il libro può essere considerato anche un romanzo di formazione perché il giovanissimo Carlo, nel corso della storia, deve imparare a destreggiarsi sia sul piano umano che politico nel difficile gioco della vita. Fin da subito deve comprendere e accettare la dura legge della ragion di stato, rinunciare alla donna amata e confrontarsi con la figura di una madre ingombrante, imporre la sua ferrea volontà alle sorelle e a chi gli sta accanto, spesso costretto a ferire le persone più care in nome di un bene maggiore, quello della Spagna e dell’Impero.

Protagonista femminile del romanzo è la bella e intelligente Hippolyte de Charolles, amore giovanile di Carlo che non lascerà mai veramente il suo fianco; il loro legame si trasformerà da giovanile sentimento d’amore in un’imperitura amicizia. Ippolita, come verrà chiamata dopo il matrimonio con Francesco Montefiori, resterà infatti vicino a Carlo per tutta la vita in qualità di amica e consigliera.

Proprio la figura di Francesco Montefiori è l’anello di congiunzione con il romanzo precedente di Marina Colacchi Simone in quanto l’affascinante fiorentino altri non è il primogenito della pupilla del Magnifico, Vanna de’ Bardi.

Ci sono poi i protagonisti storici a legare questo romanzo al precedente ossia Leone X, figlio di Lorenzo de’ Medici, e Clemente VII, figlio di Giuliano de’ Medici, fratello del Magnifico.

I personaggi di questo romanzo sono numerosissimi e tutti raccontati in maniera magistrale dall’autrice. Dopo le prime pagine, la narrazione decolla e, nonostante le quasi cinquecento pagine, il libro si legge tutto d’un fiato pur sapendo che alla fine sarà difficile lasciare andare quei protagonisti che, con le loro storie, ci hanno tanto emotivamente coinvolti.

Non era facile condurre il lettore a districarsi in una storia ambientata in uno scenario storico tanto complesso, ma Marina Colacchi Simone è riuscita benissimo nell’intento. Oserei dire che, non me ne voglia l’autrice che so quando sia legata alla figura del Magnifico, ho trovato questo secondo romanzo molto più maturo, più incisivo e più fluido, sia a livello stilistico sia a livello di trama, rispetto al precedente.

Nel districarsi tra le varie vicende storiche, alcune appena accennate come la storia di Giovanni dalle Bande Nere e il divorzio di Enrico VIII, altre affrontate più dettagliatamente come la questione luterana, Marina Colacchi Simone ha reso omaggio a grandi artisti del mondo della pittura come Brueghel e Bosh, ad autori classici quali Dumas e persino, con mia somma gioia, a maestri orafi fiorentini contemporanei quali Paolo Penko.

Come per il precedente romanzo non mancano coinvolgenti coup de théâtre che rendono il racconto ancora più appassionante. Il ritmo della narrazione è incalzante, tipico della più moderna letteratura, sebbene la trama mantenga sempre quell’impalmabile allure tipica della letteratura sette-ottocentesca a me tanto cara.

Il romanzo è autoconclusivo ma, dopo averlo letto, credo che chiunque resterà in trepidante attesa di poter leggere al più presto il prossimo capitolo.






sabato 11 febbraio 2023

“La gemma del cardinale de’ Medici” di Patrizia Debicke van der Noot

La storia narrata in questo romanzo si inserisce cronologicamente tra “L’eredità medicea” e “L’oro dei Medici”, i due romanzi di Patrizia Debicke van der Noot di cui vi ho precedentemente parlato.

Come nel volume "L'oro dei Medici" il protagonista è Don Giovanni de’ Medici, il fratellastro del granduca Ferdinando I. In questo romanzo Ferdinando indossa ancora la porpora cardinalizia in quanto la storia prende avvio subito dopo la dipartita del fratello, il granduca Francesco.

La morte del granduca Francesco de’ Medici e della sua seconda moglie, la bella e discussa veneziana Bianca Cappello, avvenuta a distanza di un brevissimo lasso di tempo, ha fatto sospettare fin da subito che non si fosse trattato di morti dovute a cause naturali, ma piuttosto ad un duplice omicidio.

Se i contemporanei accusarono il successore Ferdinando di essere il mandante del delitto e ancora oggi gli storici si dividono su cosa sia veramente accaduto, l’autrice del romanzo fa ricadere la colpa sul più piccolo dei figli di Cosimo I ed Eleonora di Toledo ovvero il violento e rancoroso Pietro de’ Medici, colui che si era macchiato anche dell’assassinio della moglie Leonora.

Un'ipotesi diversa ed intrigante che fa da sfondo ad un’interessante trama che si tinge ulteriormente di giallo quando sulla scena fa il proprio ingresso una setta, la setta degli eletti, al cui vertice si trova un personaggio misterioso e potente, chiamato da suoi uomini Illuminato.

Gli adepti della setta sono infiltrati tra i monaci agostiniani e sembrano avere anche il sostegno del re di Spagna, Filippo II. Il loro scopo immediato sembra quello di ottenere il dominio del Granducato di Toscana, eliminando i Medici. Pietro de’ Medici, accecato dal livore e dall’invidia, sostiene la causa senza rendersi neppure conto di quanto lui sia in realtà solo una sacrificabile pedina in un gioco molto più grande di lui.

In questo romanzo la parte di racconto dedicata all’azione si bilancia equamente con quanto concerne lo sviluppo della trama romance. Il ritmo del racconto è forse meno incalzante rispetto a quello degli altri due volumi dedicati dall’autrice alla dinastia Medici, ma è scorrevole e soprattutto non privo di colpi di scena.

Per quanto concerne i personaggi, alcuni sono di pura invenzione mentre altri, seppur realmente esistiti, sono molto rimaneggiati ovviamente per dare la giusta coloritura alla trama.

Un esempio ne sono la storia romanzata della madre di Don Giovanni, argomento già affrontato parlando del volume “L’oro dei Medici”, e la storia d’amore tra la bella Clelia Farnese, figlia del Cardinale Alessandro Farnese, e Ferdinando.

Nel romanzo si dice che Clelia fosse la madre di un figlio bastardo di Ferdinando I, poiché nato dopo la morte del primo marito della donna. In verità, il bambino nacque quando il marchese Cesarini era ancora in vita. Sarebbe invece verosimile, anche se non vi è alcuna certezza, che Clelia fosse stata realmente l’amante di Ferdinando. Tale ipotesi sarebbe avvalorata dall'esistenza di alcuni dipinti nei quali la donna ritratta potrebbe essere identificata proprio con Clelia Farnese, dipinti che, potrebbero essere stati con molta probabilità commissionati a Jacopo Zucchi proprio dal Medici.

Nell'insieme il romanzo presenta una trama ben congeniata, scorrevole e intrigante. Don Giovanni si conferma protagonista carismatico sebbene la sua figura raggiungerà la consacrazione nel libro “L’oro dei Medici”, in questo romanzo infatti deve spartirsi la scena con un quasi altrettanto affascinate Ferdinando.

I romanzi sono tutti autoconclusivi e possono essere quindi letti in ordine sparso.  In questo volume però ci sono diversi personaggi quali quello di Clelia Farnese, del Cardinale Alessandro Farnese, del Duca di Mantova Vincenzo Gonzaga che fanno senza dubbio scattare nel lettore la voglia di approfondire le loro vicende storiche.





mercoledì 18 gennaio 2023

“L’oro dei Medici” di Patrizia Debicke van der Noot

Protagonista del romanzo è l’affascinante Don Giovanni de’ Medici. L’ultimo figlio maschio di Cosimo I, nato dalla relazione con Eleonora degli Albizzi, era stato legittimato dal padre suscitando il risentimento del rancoroso e violento Pietro de' Medici, il più piccolo dei figli avuti dalla prima moglie Eleonora di Toledo.

La storia si svolge a cavallo tra il 1597 e il 1598. Abile, intelligente e seducente Don Giovanni de’ Medici è il comandante in capo dell’artiglieria e governatore del porto di Livorno nonché comandante in capo della flotta granducale. 

Don Giovanni gode del favore e della stima del fratello Ferdinando I de' Medici. Il Granduca e la moglie Cristina di Lorena, infatti, ripongono massima fiducia nel suo operato. 

Grazie alle leggi livornine emanate da Ferdinando I, Livorno è un porto florido e lo sviluppo economico della città si ripercuote positivamente sulle finanze dell’intero Granducato. Molti sono i governi che, per dare respiro alle loro casse vuote, ricorrono ai Medici per ottenere prestiti.

Rendendosi conto di non poter ottenere alcun aiuto finanziario da parte del Granducato, qualcuno si vede costretto a giocarsi il tutto per tutto ricorrendo al ricatto e all’estorsione pur di salvarsi dalla bancarotta. Non sarà facile scoprire chi tra coloro che sono vicini alla Corte sta tramando nell'ombra con il nemico.

Non tutti i protagonisti di questo romanzo sono davvero esistiti, ma si integrano perfettamente con i personaggi storici reali.

Per rispetto della verità storica, sarebbe stato però apprezzato l’inserimento di un’appendice che evidenziasse chiaramente quali siano gli elementi di pura invenzione.

Alcuni personaggi, tra cui Juan Batista de Granara y Aragon, il fratellastro di Don Giovanni, sono senza dubbio opera di fantasia. Molto rimaneggiata risulta anche la storia della madre di Don Giovanni, Eleonora degli Albizzi, che nella realtà venne costretta a un matrimonio riparatore e in seguito, ripudiata dal marito per tradimento, costretta a entrare in convento.

Al di là della fervida fantasia dell’autrice che è decisamente un punto di forza del romanzo, la trama poggia anche su solide basi storiche. Abbiamo già detto delle leggi livornine, ma ci sono molti altri punti di contatto con la storia. Ad esempio, senza voler anticipare nulla per non rovinare la suspense, è argomento centrale della narrazione la rappresentazione teatrale della Dafne di Jacopo Peri su libretto di Ottavio Rinuccini che venne realmente composta in quegli anni e in seguito rappresentata a Palazzo Pitti.

Tanti sono i dettagli e gli elementi atti a rendere realistica la trama. Un esempio ne è la minuziosa descrizione di alcuni gioielli che possiamo ancora oggi ammirare nel Tesoro dei Granduchi.

“L'oro dei Medici“ è un giallo storico ben congeniato e dalla trama avvincente, capace di catturare l’attenzione del lettore fin dalle prime pagine grazie alla presenza di personaggi seducenti e a una ambientazione molto interessante.

Assolutamente confermata la buona impressione avuta leggendo “L’eredità medicea”.


 


venerdì 13 gennaio 2023

“Il quinto sigillo” di Davide Cossu

Ci sono tempi e luoghi nella storia in cui sembrano essersi ritrovati tutti insieme, quasi per magia, artisti e uomini di eccezionale valore. Nessuno di questi luoghi, però, può essere paragonato a quella che fu la Firenze del Quattrocento.

Il libro di Davide Cossu ci conduce nella Città del Giglio ai tempi di Cosimo il Vecchio quando la cupola del Duomo lasciava ancora intravedere il cielo e in città era in corso il Concilio indetto per riunire, dopo quattro secoli di scisma, la Chiesa latina e la Chiesa greca. Il Concilio a causa della peste aveva, infatti, lasciato Ferrara e si era trasferito a Firenze. 

Il romanzo si apre con l’omicidio di un giovane greco, Teodoro Niceta, segretario del metropolita Bessarione. Cosimo de’ Medici e il cardinale Albergati, con il beneplacito di papa Eugenio IV, incaricano di occuparsi del caso due curiali: Leon Battista Alberti, abbreviatore della cancelleria apostolica, e Tommaso Parentucelli, segretario personale e bibliotecario del cardinale Albergati.

Il catalogo dei possibili mandanti è vastissimo. Sono parecchi, infatti, a desiderare il fallimento del Concilio, tra questi persino Demetrio Paleologo, il fratello dell’imperatore. Tra i maggiori sospettati non mancano neppure gli Albizzi che non hanno mai smesso di tramare nell’ombra per disarcionare il Medici e poter così fare ritorno a Firenze. Tutto si complica ulteriormente quando tra le possibili cause sembra non potersi escludere neppure la pista del delitto passionale.

La logica deduttiva tipica del giallo e il ritmo serrato del thriller si fondono alla perfezione in questo romanzo. Sulla scena, oltre ai protagonisti, sfila una pletora di personaggi che partecipano all’azione e contribuiscono a rendere il racconto estremamente intenso. Brunelleschi, Beato Angelico, un giovanissimo Benozzo Gozzoli sono solo alcuni dei nomi che animano le pagine di questo intrigante romanzo storico.

Filosofia e dottrina, ma anche diplomazia e abilità politica sono le protagoniste al pari degli altri personaggi del libro di Davide Cossu dove non mancano chiari e specifici riferimenti ai testi che caratterizzarono gli studi umanistici dell’epoca.

L’affresco del periodo è talmente puntuale e dettagliato da non tralasciare neppure alcune curiosità, o forse leggende, che si rifanno proprio all’epoca del Concilio. Sembrerebbe infatti che il Vin Santo e l’arista vengano chiamati così a seguito di due esternazioni fatte dal metropolita Bessarione che, durante un banchetto, avrebbe paragonato la dolcezza del vino bevuto a quella del vino di Xantos e definito l’arrosto di maiale ἄριστος ovvero il migliore che avesse mai mangiato.

Non nascondo che alcuni passaggi del romanzo possano apparire un po’ ardui proprio per la disciplina trattata, ma nell’insieme la narrazione risulta scorrevole. Davvero apprezzabili sono gli scambi di battute e lazzi tra i vari personaggi che contribuiscono a rendere oltremodo vivide le scene e coinvolgente il racconto.

“Il quinto sigillo” è il romanzo d’esordio di Davide Cossu e per usare un termine cinematografico credo si possa proprio dire "Buona la prima!"