LE DUE VIE DEL DESTINO
di Eric Lomax
VALLARDI
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“Le
due vie del destino” (titolo originale
“The railway man”) è un romanzo autobiografico.
Fin da
piccolo Eric Lomax ebbe una grande passione per le ferrovie e le locomotive.
Lasciò la scuola molto giovane perché non
particolarmente motivato dalle materie che venivano insegnate ritenute troppo
lontane dai suoi veri interessi.
Entrò all’età di sedici anni, dopo regolare concorso,
a lavorare in posta partendo dalla gavetta.
Con lo
scoppio della seconda Guerra Mondiale venne arruolato nei Corpi Reali dei
Trasmettitori e, dopo diverse
assegnazioni, venne inviato in missione in India e da qui in Malesia.
Il romanzo è
il racconto dei suoi anni di prigionia in mano ai giapponesi.
Per un triste scherzo del destino, lui così
appassionato di treni, venne proprio impiegato dai suoi carcerieri nella costruzione della ferrovia della morte tra
Birmania e Siam insieme a migliaia di altri prigionieri.
Avevano
intenzione di costruire una linea ferroviaria attraverso le aguzze catene
montuose tra Birmania e Thailandia, un percorso così terribile che gli
ingegneri coloniali britannici l’avevano rifiutato perché troppo pericoloso.
Quando i giapponesi scoprirono che Lomax e i suoi compagni erano riusciti a
costruirsi una radio, seppur rudimentale, con la quale erano però in grado di
ascoltare le trasmissioni delle forze alleate e della BBC, la loro
situazione peggiorò.
In particolare la situazione di Eric Lomax si aggravò terribilmente
nel momento in cui il Kempeitai, la
famigerata polizia segreta giapponese, quella che potrebbe essere definita la Gestapo nipponica, scoprì che egli aveva disegnato una mappa del
tracciato della ferrovia.
Le torture fisiche e psicologiche subite dai
prigionieri furono terribili e quando Lomax riuscì a tornare in patria al
termine del conflitto, non solo trovò un mondo completamente diverso e a lui
estraneo, ma dovette combattere contro difficoltà e disagi per cercare
riprendere in mano, almeno parzialmente, la propria vita.
Fu solo
grazie all’amore di una donna straordinaria, la sua seconda moglie, incontrata guarda caso proprio in una stazione, una
donna canadese di 17 anni più giovane di lui e all’aiuto fornitogli dalla Fondazione Medica per la Cura delle Vittime della
Tortura, che Eric Lomax riuscì ad affrontare il suo passato e trovare
persino il coraggio di incontrare personalmente il nemico, nella figura di Nagase Takashi, l’interprete che aveva preso parte alle torture inflittegli durante gli
interrogatori del Kempeitai.
“Le due vie del destino” racconta una storia complessa, emozionante e inquietante; una storia terribilmente
vera in tutta la sua tragicità e la sua crudeltà; racconta di come un uomo
semplice e tranquillo sia stato costretto con ogni mezzo a trovare in se stesso
una forza incredibile ed un coraggio straordinario per cercare di sopravvivere
all’orrore nel quale la vita lo aveva scaraventato.
A tutti noi è capitato di leggere romanzi ambientati
durante il secondo conflitto mondiale o vedere film sull’argomento, potrei ad
esempio citare il famoso film del 1957 diretto da David Lean intitolato “Il
ponte sul fiume Kwai”, ma si rimane sempre nella finzione storica, spesso
falsata e che ci fornisce una versione edulcorata dei fatti.
E’ ben
diverso leggere le parole scritte da chi certe esperienze le ha vissute sulla
propria pelle; ha dovuto convivere con la paura, la tensione, le torture; è
stato costretto a subire una violenza psicologica spesso peggiore anche di
quella fisica.
Ho scritto
dell’insicurezza che divora la mente di un prigioniero e riempie i giorni di
angosciosa tensione – l’unica cosa sicura era che ci trovavamo sull’orlo del
precipizio.
E’ quasi impossibile riuscire a concepire che uomini
come Lomax siano riusciti ad uscire vivi da un’esperienza di reclusione così
estrema e devastante.
(…) avere
qualche brandello di informazione serviva a tenerci su di morale e a farci
sentire in contatto col mondo che avevamo perduto. Per noi prigionieri la radio
aveva un’importanza difficile da immaginare, donava letteralmente senso e
normalità alle nostre vite; ci sembrava, ora, di avere una ragione per vivere.
E’
spaventoso leggere di come questi prigionieri siano stati spogliati di ogni
cosa, sfruttati e umiliati, ma soprattutto di come siano stati privati della
loro dignità di esseri umani.
Anche leggere
era una parte importante di quella normalità, un modo per conservare la
dignità.
Tutti i torturatori furono condannati, solo uno di
questi si salvò. Lomax lo cercò per tutta la vita, pur non avendo alcun nome,
ma solo una voce.
La vendetta fu
l’obiettivo a cui si aggrappò per trovare la forza di andare avanti.
Alla fine scoprì
però che il suo carnefice, colui sul quale aveva concentrato tutto il suo odio,
era stato egli stesso una vittima di quell’assurda guerra.
Nagase aveva vissuto anch’egli una vita fatta di incubi,
schiacciato dal peso di ciò a cui era stato costretto ad assistere quando era
un interprete del Kempeitai.
Lomax ebbe bisogno di vedere il dolore di Nagase per
riuscire a convivere con il proprio e a superarlo.
Nagase a sua volta, nonostante avesse passato il resto
della sua vita cercando di rimediare agli errori commessi, dedicandosi al
ricordo di quanti erano morti per la costruzione della ferrovia, ebbe bisogno
del perdono di Lomax per riuscire ad accettare almeno in parte le proprie colpe
e cercare di convivere con esse.
Bellissime
le ultime pagine del libro, davvero intense e cariche di tensione emotiva.
Nei prossimi giorni uscirà al cinema il film tratto
dal romanzo; a Colin Firth è stato affidato il ruolo di Eric Lomax (Jeremy Irvine interpreterà Lomax
da giovane) mentre nel ruolo della seconda moglie di Lomax, Patricia, vedremo Nicole Kidman.
Sono piuttosto curiosa di scoprire come sarà questo adattamento
cinematografico.
Indubbiamente Colin Firth, da ottimo attore qual è, sarà senza
dubbio un interprete perfetto, sono solo un po’ scettica sul taglio che
potrebbe essere stato dato alla storia perché, da quel poco che
ho intravisto del trailer, ho avuto l’impressione che siano state
apportate modifiche non proprio apprezzabili al testo originale.
Comunque sia, che decidiate di andare o no a vedere il
film, il mio consiglio è quello di leggere assolutamente il libro perché “Le due vie del
destino” è davvero una testimonianza unica e splendidamente scritta; un romanzo
toccante e coinvolgente.
ciao molto interessante, non ho letto ne il libro enon ho visto il film, ma dalla tua recensione ho voglia di leggere il libro...
RispondiEliminaMi sono unita al tuo blog l'ho trovato molto interessante...
Questo libro è stato per me una piacevole sorpresa.
EliminaGrazie e benvenuta :)