sabato 6 giugno 2020

Villa Medici (Accademia di Francia) - Roma

Situata nel cuore di Roma, sulla collina del Pincio, Villa Medici deve il suo nome al Cardinale Ferdinando de’ Medici (1549 - 1609) che la acquistò nel 1576 e ne affidò i lavori di ristrutturazione e completamento probabilmente a Bartolomeo Ammannati (1511- 1592).

In totale contrasto con il disadorno aspetto esterno, Villa Medici, presenta una facciata interna decoratissima, completamente rivestita da antichi marmi alcuni dei quali provenienti dall’Ara Pacis.


Seguendo la moda del suo tempo Ferdinando de’ Medici amava collezionare capolavori dell’arte romana e infatti utilizzò parte di esso per fare decorare non solo la facciata della villa, ma anche lo splendido giardino che si estende ancora oggi per più di sette ettari e dal quale si può godere di una splendida vista della Città Eterna.


Quando nel 1587 il cardinale divenne Granduca di Toscana, a seguito della morte del fratello Francesco I, portò con sé a Firenze buona parte della sua collezione, altre opere invece arrivarono successivamente nel capoluogo toscano per desiderio degli eredi di Ferdinando I che nel tempo si disinteressarono sempre più della villa sul Pincio.



I leoni che fiancheggiano la scalea della loggia di Villa Medici sono copie del leone originale antico e di quello di Flaminio Vacca (1538-1605) che oggi possiamo ammirare ai fianchi della gradinata di ingresso della Loggia dei Lanzi.
Entrambe le sculture di Villa Medici furono infatti sostituite per volere di Ferdinando I quando decise di trasferire ed esporre gli originali a Firenze.



Copia del gruppo dei Niobidi. Le statue originali furono trasportate nel 1770 a Firenze dove nel 1780 trovarono collocazione in una sala a loro dedicata nella Galleria degli Uffizi.



Quella che troviamo qui a Villa Medici è una copia dell’obelisco il cui originale oggi si può ammirare nei Giardini di Boboli a Firenze dove fu fatto trasferire e collocare dal Granduca Pietro Leopoldo di Lorena nel 1788.



Padiglione di Ferdinando de’ Medici decorato da Jacopo Zucchi (1541-1590)



Scorcio della gipsoteca di Villa Medici che ospita tra gli altri anche alcuni pregevoli calchi dei rilievi della Colonna Traiana 



 Particolari del giardino, la loggia di Venere



Allegoria delle Muse, Jacopo Zucchi (1584-85 circa) soffitto a cassettoni nella Stanza delle Muse


Villa Medici nel 1804 fu acquistata dalla Repubblica Francese e da allora è sede dell’Accademia di Francia.
La prestigiosa istituzione oltre ad offrire residenza agli artisti, si fa anche promotrice di numerosi eventi culturali quali concerti, convegni e mostre.


Le visite possono essere effettuate solo con la guida e sono previsti diversi percorsi.

Ho visitato Villa Medici a luglio dello scorso anno scegliendo il percorso dedicato ai giardini e agli appartamenti; la guida era molto preparata, il numero di partecipanti molto contenuto ed erano anche previste delle soste per poter fare foto senza così dover perdere neppure un attimo di spiegazione.
Mi sono letteralmente innamorata di questo luogo magico nel centro di Roma, un'oasi di pace a due passi da Piazza di Spagna e da Scalinata Trinità dei Monti, una vera sorpresa.

Qui il link dove trovare tutte le informazioni per poter organizzare la visita.




Veniamo infine al libro da abbinare, direi “I Medici” di G.F. Young". Una pubblicazione non recentissima, senza dubbio filomedicea, ma che resta comunque per me il volume più esaustivo che abbia letto sulla dinastia fiorentina sia per quanto riguarda gli esponenti del ramo primogenito della famiglia sia per quello secondogenito, o cadetto che dir si voglia, che si estinse nel 1743 con la morte di Anna Maria Ludovica, “Ultima della stirpe reale dei Medici”, come si legge sulla sua tomba.






martedì 2 giugno 2020

Appunti di viaggio


Questi mesi di lockdown sono stati duri per tutti, sono stati mesi in cui ci siamo interrogati spesso su quali fossero le cose di cui maggiormente sentivamo la mancanza: gli amici, gli aperitivi, il teatro, il cinema, un giro in centro, la lista potrebbe essere davvero infinita.

Ho sentito la mancanza degli amici, ma sono stata anche contenta di aver avuto la possibilità di riallacciare i rapporti con tante persone che avevo conosciuto grazie al blog e con le quali, a causa della mancanza di tempo, avevo inevitabilmente perso i contatti.

Mi è mancato il teatro, il mio abbonamento è stato congelato e la stagione si è conclusa in anticipo.
Ho visto cancellare le date dei concerti estivi per i quali avevo tanto faticato a prendere i biglietti.
Non sono riuscita a vedere la mostra “Canova. Eterna bellezza” a Roma, qui però la colpa è stata anche mia perché avevo atteso proprio gli ultimi giorni per visitarla.
Per quanto riguarda la mostra alle Scuderie del Quirinale dedicata a Raffaello invece dovrei riuscire a recuperare, io ce la sto mettendo tutta, ho già acquistato nuovamente i biglietti facendo valere il mio voucher.

Ho avuto l’immensa fortuna di poter trascorrere questi mesi in famiglia per cui non sono state le persone a mancarmi, non ho avvertito la solitudine come purtroppo è accaduto a molti.

Nonostante sia sempre stata un’accanita lettrice i primi giorni mi sono bloccata, invece di approfittare di tanto tempo libero a mia disposizione da dedicare alla lettura, non riuscivo proprio a concentrarmi.
Confrontandomi con altri lettori compulsivi, mi sono poi resa conto che questo non era accaduto solo a me, davvero una strana reazione.

La cosa di cui più di tutte ho avvertito la mancanza è stata quella di non poter trascorrere anche una sola giornata in una città d’arte; non l’avrei mai detto ma più di tutto mi è mancata Firenze.

Ci sentiamo ripetere continuamente che quest’anno dovremmo trascorrere le nostre vacanze in Italia; social, stampa e televisione ci ripetono quanto sia bello il nostro Paese ricordandoci che proprio l’Italia è da sempre la meta più ambita dal turismo internazionale.

Raramente ho scelto l’estero per le mie vacanze, sono innamorata di questo Paese, delle sue bellezze artistiche e naturali, per cui tutto questo tam tam mediatico un po’ mi sorprende, ma mi fa anche piacere.

Spesso ho pensato che potesse essere interessante ampliare il blog aggiungendo alla sezione dedicata alle letture un’altra sezione dedicata a quelli che potrei definire appunti di viaggio.

Mi piacerebbe in questa sezione parlarvi dei luoghi, dei musei, delle mostre che ho visitato e che spero, come tutti voi, tornerò di nuovo a visitare presto, ma anche di luoghi della mia città e della mia regione.
Vorrei postare più che altro delle foto e lasciare il più possibile che a parlare fossero le immagini.

Laddove possibile mi piacerebbe anche potervi consigliare qualche lettura legata al luogo proposto.

Per ora ho iniziato con il restyling della pagina e poi vedremo cosa accadrà strada facendo.
Se avete suggerimenti o richieste particolari lo sapete siete sempre i benvenuti.

Per ora vi saluto e, per ben iniziare, lo faccio postandovi alcune foto delle colline del Chianti, una zona della Toscana a me particolarmente cara.











sabato 30 maggio 2020

“Canone inverso” di Paolo Maurensig

CANONE INVERSO
di
Paolo Maurensig
MONDADORI

Filo conduttore della storia è un antico violino del Seicento opera del famoso liutaio Jakob Stainer.

La particolarità di questo strumento è una testina antropomorfa intagliata sul cavigliere al posto della chiocciola tradizionale.

Il violino viene acquistato ad un’asta di strumenti musicali di Christie’s da un ricco e distinto signore.
Il giorno successivo all'acquisto lo strumento viene consegnato al nuovo proprietario nell'hotel dove questi è alloggiato e dove qualche ora dopo si presenta un uomo che dice di essere uno scrittore intenzionato ad acquistare il violino.

La motivazione addotta come giustificazione per una tale insolita richiesta è che lo strumento sarebbe stato per lui l’unica prova della veridicità di una storia singolare raccontatagli l’anno prima da un uomo conosciuto per caso.

Lo scrittore inizia il suo racconto.
Una sera in un’osteria viennese aveva assistito alla performance di un artista di strada dal talento straordinario, questi, che si sarebbe poi presentato con il nome di Jenő Varga, quel giorno aveva eseguito su sua richiesta un pezzo difficilissimo per qualunque violinista,  la Ciaccona di J.S. Bach, e lo aveva eseguito in modo oltremodo impeccabile.

Il giorno successivo all'incontro, lo scrittore che si trovava a Vienna per le celebrazioni del trecentesimo anno della nascita di Bach, aveva deciso che doveva assolutamente saperne di più su quello strano personaggio e così si era messo alla ricerca dell’uomo che ovviamente, solo per puro caso, era stato in grado di ritrovare.

Il violinista iniziò su richiesta dello scrittore a raccontare la sua storia.

Jenő Varga era originario di Nagyret, un paese dell’Ungheria al confine con l’Austria e la Slovenia.
Figlio naturale, viveva solo con la madre; del padre non  conosceva neppure il nome anche se in età adulta avrebbe avuto poi modo di farsi un’idea della sua identità.
L’unico ricordo che gli rimaneva di quel genitore mai conosciuto era un violino.
La madre di Jenő era una bella donna e quando lui era ancora piccolo si era sposata con il suo datore di lavoro, un uomo piuttosto ordinario, ma di buon cuore.
L’uomo si era preso cura del bambino come se fosse stato suo figlio, ma Jenő  non riusciva a vedere in lui il padre che non aveva mai conosciuto.
Jenő sentiva di non avere nulla in comune con quell'uomo rozzo, mentre la musica faceva parte di lui ed il suono del violino lo faceva entrare in contatto con il suo vero padre ovunque egli fosse.
Aveva iniziato dapprima a studiare come autodidatta, la musica sgorgava da lui come per magia, poi gli era stato permesso di prendere lezioni.
Jenő Varga era un talento non comune e presto aveva vinto una borsa di studio che lo aveva portato a studiare nella più prestigiosa scuola di musica.
Il Collegium Musicum, contrariamente a quanto ci si potesse aspettare, era un ambiente malsano dove insegnanti gretti e meschini mettevano a dura prova la resistenza psicologica dei loro allievi.
Tra quelle mura fredde ogni rapporto umano era bandito e la competizione regnava sovrana, ma nonostante questo un giorno in quel terribile  luogo Jenő aveva fatto la conoscenza di Kuno Blau, il suo primo ed unico amico.

Kuno e Jenő erano entrambi violisti eccellenti, ma mentre il primo era un barone, un aristocratico, l’altro era semplicemente un figlio del popolo.

Una volta diplomati, Kuno invita l’amico a passare qualche tempo nel suo castello, ansioso di presentargli la sua blasonata famiglia.
Jenő decide di accettare, ma ben presto si accorgerà che Kuno è una persona molto diversa da quella conosciuta in collegio .

La famiglia Blau nasconde molti segreti, molti dei quali inconfessabili riguardano proprio la vita di Jenő.

Nonostante “Canone inverso” sia un romanzo molto breve, sono solo 150 pagine, la storia è molto intensa e la narrazione piuttosto complicata, abbiamo infatti tre diversi narratori: l’acquirente del violino, lo scrittore e l’artista di strada.

“Canone inverso “ è una storia avvincente e appassionante che si svolge nella metà degli anni ’80 ma che grazie a continui flashback ci riporta continuamente indietro negli anni ’30.

Jenő Varga è il virtuoso che vive per la sua arte, insegue il suo sogno senza curarsi della sofferenza che provoca nelle persone a lui vicine, la madre ed il patrigno in primis.
La musica è la sua passione, ma questa passione lo consuma tanto da costringerlo addirittura a dover abbandonare il suo strumento per qualche tempo onde evitare di mettere irrimediabilmente a  repentaglio la sua salute fisica e mentale.

L’amore per Sophia e l’amore per la musica sono per certi versi due facce della stessa medaglia.
Per Jenő  Sophie Hirschbaum è la personificazione della musica stessa, si innamora di lei da bambino ancora prima di vederla, si innamora di lei semplicemente ascoltandola suonare attraverso le assi del pavimento e da quel momento ne fa la sua musa.

Jenő Varga prova invidia nei confronti di Kuno, vorrebbe potersi vantare come l’amico dei propri antenati, ma a lui tutto questo è precluso; allo stesso tempo però Kuno mostra insofferenza nei confronti dell’amico perché in cuor suo non può che riconoscerne la superiorità, sa che la sua tecnica mai potrà competere con il talento innato di Jenő. 

La trama del romanzo è indubbiamente coinvolgente ed intensa anche se il triplice piano narrativo non facilita sempre la fluidità del racconto e crea qualche problema di comprensione soprattutto nel finale laddove uno straordinario quanto inaspettato colpo di scena attende il lettore.

L’autore dimostra una capacità eccezionale nel saper indagare e descrivere la complessità dell’animo umano nelle sue molteplici sfaccettature.

Avventura, introspezione psicologica, mistero, passione sono solo alcuni degli  ingredienti di questo romanzo che sa toccare le corde del cuore.

Da questo romanzo è stato liberamente tratto nel 2000 un film pluripremiato intitolato “Canone inverso. Making Love” per la regia di Ricky Tognazzi.
Un film bellissimo, assolutamente da vedere, anche se la trama, soprattutto per quanto riguarda la storia d’amore, si discosta tantissimo da quella del romanzo.

Ho apprezzato in egual misura il libro ed il film, ognuno di loro a suo modo riesce a coinvolgere ed emozionare il lettore e lo spettatore come solo le grandi storie hanno la capacità di fare.

Tra i vari premi ricevuti dal film assolutamente da ricordare l'assegnazione del David di Donatello per la straordinaria colonna sonora di Ennio Morricone.





martedì 26 maggio 2020

“Raffaello. Il giovane favoloso” di Costantino D’Orazio


RAFFAELLO.
IL GIOVANE FAVOLOSO
di
Costantino D’Orazio
SKIRA
Michelangelo era refrattario ad ogni lusinga e riteneva che a parlare dovesse essere esclusivamente il suo lavoro, Raffaello ebbe della sua professione un’idea completamente diversa, egli fu l’unico artista del suo tempo a fare un uso politico della sua arte.

Capì che l’arte poteva essere un’arma più efficace della spada, se maneggiata con intelligenza; bravissimo nel saper dosare le parole, fu sempre molto attento a non esprimere mai giudizi troppo netti che avrebbero potuto, in un secondo tempo, essere usati come armi contro di lui.

Raffaello seppe impersonare il cortigiano perfetto, egli più di ogni altro mise in atto gli insegnamenti dell’amico Baldassar Castiglione, umanista, letterato e diplomatico, autore del celebre Il Cortegiano.

L’Urbinate non solo fu il miglior interprete di quella attitudine della sprezzatura che tanto il Castiglione predicò nei suoi scritti, ossia quella naturalezza di atteggiamento, quella moderazione dei toni, quel non essere mai troppo affettati né troppo drammatici nei modi, ma Raffaello apprese alla perfezione sopratutto la lezione più importante del Castiglione ossia quella di metter ogni diligenza per assomigliarsi al maestro ed il veder diversi omini di tal professione, e, governandosi con quel bon giudicio che sempre gli ha da esser guida, andar scegliendo or da un or da un altro varie cose.

Acuto osservatore, Raffaello Sanzio studiò i più grandi maestri del suo tempo da Perugino a Pinturicchio, da Leonardo Da Vinci a Michelangelo, colui che passò alla storia come il  suo antagonista per eccellenza, riuscendo ad assorbire le qualità e le capacità di ognuno di loro per poi tracciare una strada nuova.
Imparò a fondere tutti i loro linguaggi per crearne uno tutto suo e, di fatto, con il suo talento eccezionale influenzò il progresso dell’arte per almeno tre secoli.

A differenza di Michelangelo che ha lasciato centinaia di lettere, di Leonardo Da Vinci di cui oggi possiamo leggere i numerosissimi appunti, Raffaello ha lasciato pochissimi scritti di suo pugno e a noi non resta quindi che affidarci all'analisi dei suoi dipinti per poter cercare di conoscere la sua vita e per tentare di comprendere quei rapporti che determinarono la sua carriera.

È questa la grande sfida che Costantino D’Orazio coglie e lo fa con questo libro, a metà strada tra il memoir e il saggio, scegliendo di ci presentarci una galleria di personaggi ritratti da Raffaello.
Sono proprio loro in prima persona a parlarci della loro storia e di quella dell’Urbinate.

Attraverso le loro parole, alcune frutto della fantasia dell’autore, altre ricavate da versi ed epistole di chi fu vicino all'artista, Costantino D’Orazio ci regala un ritratto davvero particolare di Raffaello.

Dotato di una sensibilità fuori dal comune, l’Urbinate, possedeva una capacità straordinaria nel saper scavare dentro l’anima delle persone, così da riuscire a cogliere ogni desiderio, timore, sentimento di colui che stava ritraendo.

Possedeva il dono di saper irretire i giovani con la sua pittura e divenne un modello per le generazioni future.
Al contrario degli altri artisti non fu mai geloso della sua arte. Sceglieva con molta cura i suoi allievi ed istruiva i suoi collaboratori affinché fossero perfettamente in grado di riprodurre il suo stile, ma era sempre lui a ritoccare sul finale ogni dipinto.
In questo modo la sua bottega poteva essere in grado di soddisfare le numerose richieste che le giungevano da ogni parte.

Di bell'aspetto, allegro, di buone maniere e ambizioso, era noto anche per le sue scorribande amorose.

A Raffaello, primo nella storia, fu affidato un compito molto particolare, tanto che si potrebbe dire che fu proprio lui a ricoprire il ruolo di sovrintendente dei beni culturali ante litteram.
Leone X infatti lo incaricò di un incredibile compito: censire tutte le antichità presenti a Roma.
Raffaello prese molto a cuore questo incarico; egli sentiva che in quei mattoni, in quelle architetture crollate c’era la fonte più preziosa della nostra cultura, tanto che decise di scrivere una lettera a Leone X per chiedere di rendere illegale il furto di reperti ed il riutilizzo degli stessi come materiale da costruzione.

Il libro di Costantino D’Orazio è un libro affascinante che sa conquistare il lettore fornendogli un’insolita chiave di lettura per interpretare alcuni dei più grandi capolavori di quell'artista dal quale, mentre era in vita, la Natura temette di esser vinta e, quando morì, temette di morire anch'essa.




lunedì 18 maggio 2020

“La via d’uscita è dentro” di Marina Panatero e Tea Pecunia


LA VIA D’USCITA È DENTRO
di
Marina Panatero e Tea Pacunia
LONGANESI
Nella vita di ciascuno di noi avvengono cambiamenti continui, alcuni di essi sono impercettibili e lenti, altri invece più visibili e sensibili, ma quello che è certo è che la vita non si ferma mai.
Questa pandemia ci ha solo sbattuto in faccia questa verità e lo ha fatto nel modo più brutale possibile, privandoci della nostra libertà e della nostra sicurezza.
Da un giorno all'altro abbiamo dovuto prendere coscienza del fatto che noi non possiamo controllare il futuro perché il futuro è imperscrutabile.
Abbiamo visto crollare le nostre certezze, certezze che in realtà non sono mai state tali, perché l’unica cosa certa è il presente.

Marina Panatero e Tea Pecunia cercano in questo loro libro di darci qualche utile consiglio per affrontare al meglio questo “tempo sospeso” che, nostro malgrado, ci siamo trovati a dover gestire.
Un “tempo sospeso” che ha generato in noi ansia perché ci siamo ritrovati catapultati in una realtà completamente aliena.

Per alleviare il nostro senso di impotenza e di rabbia, per arginare il senso di panico crescente, il suggerimento delle autrici del libro è quello di provare a dedicare almeno dieci minuti della nostra giornata alla meditazione.
Ad alcuni potrebbe sembrare forse una soluzione semplicistica e banale, altri addirittura potrebbero sorriderne, ma perché non provare?
Nella vita è importante aprire le porte alle possibilità e, se la meditazione potesse davvero farci ritrovare il nostro equilibrio, perché rinunciare a priori?

L’importante, ci avvertono le autrici del libro, è non scoraggiarsi alle prime difficoltà, non arrabbiarsi se ai primi tentativi i nostri pensieri cercheranno di prendere direzioni diverse, capita anche ai più esperti e innervosirsi non farebbe che procuraci un senso di frustrazione che, invece di aiutarci, ci farebbe solo stare peggio.
Inoltre, mai sentirsi in difetto se per un giorno non praticheremo i nostri esercizi quotidiani, pazienza, cerchiamo di evitare dannosi ed inutili sensi di colpa.

Meditare non coincide assolutamente con l’assenza di pensiero, i pensieri fanno parte di noi, noi siamo pensiero, ne formuliamo un numero esorbitante senza neppure rendercene conto.
Quello che dobbiamo sapere è però che non esiste un pensiero “neutro”, ogni pensiero è accompagnato da un “sentire” che diviene sostanza e quella sostanza diviene “sentire fisico”.
Rimuginare sulle cose non fa che arrecare danni non solo alla nostra mente, ma anche al nostro fisico.

Le situazioni esterne non possono essere cambiate, ma si può cambiare il nostro modo di percepirle.
Per prima cosa le autrici ci suggeriscono di smettere di raccontarcela, è importante essere onesti con noi stessi: questo è il primo passo per poter mettere in pratica il “lasciare andare”.

Meditazione vuol dire addestrare la mente a vivere il qui e ora, perché solo vivendo il presente è possibile liberarsi del rancore e della rabbia che ancora suscitano in noi i ricordi negativi degli di eventi passati.

Tre sono i passaggi fondamentali: accettazione, lasciare andare e ringraziamento.

Accettare non vuol dire subire passivamente, ma prendere atto che quanto accade, esiste e accade indipendentemente dalla nostra volontà.
Accettarlo ci aiuta ad alleggerire il carico emotivo che ci portiamo addosso.

Lasciare andare è il passo successivo all’accettazione, non è un passo semplice da compiere, ma è fondamentale, per la nostra salute psico-fisica, prendere coscienza di non poter controllare gli eventi.

Infine imparare a ringraziare ossia essere grati della vita e alla vita.
Si può essere grati per qualunque cosa, per una camminata sulla spiaggia, per un caffè con gli amici, per tantissime piccole cose che sembrano scontate, ma in realtà non lo sono affatto e oggi più che mai ce ne siamo dovuti rendere conto in maniera piuttosto brusca.

È scientificamente dimostrato che la meditazione faccia bene alla salute, non solo allunga la vita, ma ne migliora notevolmente la qualità.

Ha infatti numerosi effetti benefici sul nostro organismo e sulla nostra mente, ad esempio, ha la capacità di ridurre fortemente lo stress; se siete curiosi, all'interno del libro troverete un elenco ben dettagliato. 

La seconda parte del volume è invece dedicata agli esercizi di meditazione veri e propri, semplici esercizi per principianti e non solo, con i quali iniziare a mettere in pratica i consigli di Marina e Tea.

La meditazione può essere di diversi tipi, ad esempio può essere formale, ossia quella classica che tutti immaginiamo, quella che si pratica nella posizione del fiore di loto, oppure informale, per informale si intende quel tipo di meditazione che si compie durante il giorno, ad esempio, quando ci si focalizza sui profumi che ci circondano, sul gusto del cibo e sulle nostre sensazioni.

Ho usato volutamente il termine focalizzare perché la meditazione è focalizzazione, mai concentrazione.
La concentrazione implica uno sforzo, la meditazione deve invece fluire liberamente e pertanto non può mai essere costrizione.

Meditare significa infatti indirizzare dolcemente l’attenzione dove vogliamo noi, riportando delicatamente i nostri pensieri a ciò che stiamo focalizzando quando ce ne allontaniamo.
La meditazione è lo strumento che abbiamo per domare la nostra mente ribelle in maniera graduale e consapevole. 

“La via d’uscita è dentro” è un libro che può servire come spunto per coloro che già praticano la meditazione oppure essere un’utile guida per i neofiti che vogliono provare a riprendere in mano le redini della propria vita accedendo alle risorse interiori che ciascuno di noi possiede.


Per altri post dedicati ai libri di Marina Panatero e Tea Pecunia potete cliccare qui

domenica 17 maggio 2020

“Un viaggio italiano” di Philipp Blom


UN VIAGGIO ITALIANO
di Philipp Blom
MARSILIO

Questa è la storia di un’ossessione. Una caccia all'uomo, un viaggio alla scoperta di un mondo dal quale ci separano trecento anni. Un’indagine sulle orme di una persona la cui vita e la cui morte, spazzate via dalla risacca degli eventi, non sembrano avere lasciato alcuna traccia. Nessuna fonte, nessun autore hanno serbato il benché minimo ricordo della sua esistenza: rimane solo lo strumento che le sue mani hanno creato, e che ora vibra nelle mie.

Inizia così “Un viaggio italiano. Storia di una passione nell'Europa del Settecento”, un  libro a metà tra il romanzo e l’indagine storica.

Philipp Blom, storico e scrittore, fin da ragazzo aveva sognato una carriera da musicista, ma aveva dovuto arrendersi dinnanzi all'evidente mancanza di talento; non sempre infatti la pazienza e la determinazione sono sufficienti per realizzare i propri sogni.
La passione per il violino però non l’ha mai abbandonato e, tranne per un breve periodo della sua vita, non ha mai smesso di suonarlo.
Grazie alla musica egli ha sempre trovato conforto nei momenti di crisi e rifugio nei tempi difficili.

Un giorno, quasi per caso, il nostro io narrante entra in possesso di un antico violino del Settecento, un violino fatto probabilmente in Italia, ma da un liutaio tedesco. 

Nasce così in lui l’ossessione di scoprire di più su colui che diede vita a questo strumento.
Inizia da qui un lungo viaggio nel tempo fatto di innumerevoli incontri con esperti disposti ad esaminare il violino, di indagini storiche d’archivio complesse ed affascinanti, ma anche estenuanti, e di numerose perizie al fine di ottenere una datazione certa grazie all'indagine dendrocronologica.   

Sulla base delle fonti storiche Philipp Blom ricostruisce una storia alquanto verosimile della vita dello sconosciuto liutaio.

Forse all'inizio del 1700 un giovane lasciò Füssen alla volta dell’Italia, giunse  a Venezia, dove divenne apprendista nella bottega di qualche famoso artigiano, magari addirittura di Goffriller.
Forse il nostro giovane rimase a lavorare nella bottega del suo maestro e non ebbe mai il coraggio o la possibilità economica di mettersi in proprio o, magari, aprì egli stesso una sua bottega, o forse lasciò Venezia per un’altra città.
Le possibilità sono infinite, ma di tutto ciò non ci è dato sapere nulla, perché questo

 è il triste destino degli ultimi superstiti: non hanno più nessuno con cui parlare.

Attraverso le pagine di questo splendido libro Philipp Blom ci riporta indietro in un’epoca di artigiani girovaghi, aristocratici e musicisti di corte; un’epoca in cui l’Italia era un paese ancora diviso, governato da potenze straniere e funestato da guerre.
Eppure, nonostante il periodo così travagliato, l’Italia era anche un paese in grado di esprimere il meglio nelle arti e nelle scienze dando i natali a personaggi quali Antonio Vivaldi e Giacomo Casanova, solo per citare alcuni dei personaggi che incontriamo proprio nel libro di Blom.

Philipp Blom ci racconta della nascita della liuteria a Füssen e del suo declino, delle botteghe italiane ed in particolare delle differenze che intercorrevano tra quelle cremonesi e quelle veneziane, della vita degli apprendisti e del loro operato all'interno di quelle stesse botteghe, dei violini, di quelli costruiti da liutai famosi quali Stradivari, Guarneri del Gesù, Testore, e di quelli nati dalle mani di artigiani meno conosciuti dai più, come Goffriller, Stainer, Kaiser.

Il libro di Philipp Bloom è un libro che dischiude al lettore le porte di un mondo appassionante e sconosciuto come quello della compravendita degli strumenti d’epoca e di un mondo altrettanto affascinante come quello dei laboratori dove persone dalla capacità straordinarie riparano inestimabili capolavori della liuteria.

Philpp Blom attraverso le pagine del suo libro ci regala un originale affresco dell’Europa ed in particolare dell’Italia dell’età dei lumi e, grazie alle sue descrizioni di paesaggi urbani e culturali insoliti, ci sembra di poter scrutare il tutto da un punto di osservazione privilegiato, quasi che noi stessi ci trovassimo dentro una di quelle meravigliose vedute di Canaletto e da lì potessimo gettare uno sguardo sulla seducente vita della Venezia del Settecento.







lunedì 11 maggio 2020

“A scuola non si respira più” di Margherita Politi


 A SCUOLA NON SI RESPIRA PIU’
di Margherita Politi
Liberodiscrivere

Trovare una recensione di un saggio sulla scuola di oggi potrebbe sembrare piuttosto inconsueto per i lettori del mio blog.
In realtà l’anomalia è solamente apparente in quanto la lettura è uno degli alleati più validi che noi possediamo per poter contrastare l’analfabetismo funzionale.
E di cosa si occupa il mio blog se non di trasmettere la passione per la lettura? di aiutare i lettori a riscoprire i classici? di fare conoscere le nuove uscite in libreria?
Qualcuno di voi magari nel frattempo si starà chiedendo cosa si intenda per “analfabetismo funzionale”; vi chiedo ancora un attimo di pazienza.

Prima di tutto, vorrei fare una premessa; non sono un’addetta ai lavori, pertanto ho una conoscenza del mondo della scuola piuttosto frammentaria e lacunosa.

Ho frequentato il liceo classico e mi sono laureata in lettere classiche con un indirizzo archeologico.
Non avevo mai pensato di voler fare l’insegnante, il mio interesse era tutto proiettato verso la conservazione dei beni culturali, corso che purtroppo all’epoca non era ancora stato attivato presso l’università della mia città.

Ho insegnato però in una scuola privata italiano per stranieri per alcuni anni e ricordo quel periodo come l’esperienza più appagante della mia carriera lavorativa, carriera che purtroppo è stata poi forzosamente orientata verso altri lidi più remunerativi, ma decisamente anche molto meno soddisfacenti dal punto di vista umano.

Quello che conosco della scuola di oggi l’ho appreso dalle chiacchierate con le mie amiche che fanno le insegnati, nella mia stessa città o in altre parti d’Italia, una di loro addirittura ha all’attivo un’esperienza maturata in una difficile realtà di un paese all’interno dell’entroterra siciliano.
Sono insegnanti di scuola primaria, secondaria di primo e di secondo grado, ma i loro racconti si assomigliano tutti, le problematiche riscontrate sono sempre le stesse.

Altre fonti dirette da cui posso attingere le mie conoscenze sono quelle delle colleghe, dei vicini di casa e delle amiche che hanno dei figli in età scolare e mi raccontano questa realtà vista dall’altra parte.

Mi manca purtroppo una conoscenza diretta di ciò che pensano i bambini e i ragazzi di questo loro mondo, insomma di coloro che sono poi i veri diretti beneficiari, o almeno dovrebbero esserlo, di questa scuola moderna.

Come potrete immaginare quindi mi sono potuta fare idee piuttosto chiare sull’argomento, ma per non incorrere nell’errore di risultare troppo tranchant preferisco astenermi dall’esprimere in questa sede opinioni e giudizi personali su un argomento tanto delicato che, per quanto mi appassioni, resta pur sempre qualcosa di cui io ho una conoscenza incompleta.

Ma veniamo al nostro libro, “A scuola non si respira più” è un titolo piuttosto forte se si pensa che proprio la scuola dovrebbe essere la casa della cultura, quella cultura che da sempre è intesa come qualcosa che rende libero l’essere umano donando lui la capacità di ragionare e di poter esprimere un pensiero critico.

Perché quindi le nostre scuole sono diventati ambienti claustrofobici?

La professoressa Margherita Politi, grazie ad una lunga e comprovata esperienza, attraverso le pagine del suo dettagliato saggio si prefigge di analizzare questo sistema scuola, un sistema ormai prossimo all’implosione.
Allo stesso tempo cerca di suggerire valide e fattive soluzioni al fine di potersi riappropriare di una scuola dove alunni ed insegnanti possano tornare a respirare.

Gli insegnanti come del resto i loro ragazzi sono infatti sempre più in sofferenza, entrambi necessitano di essere ascoltati, di essere compresi e di essere motivati.

Se i ragazzi difettano di attenzione non riusciranno mai a recepire gli insegnamenti perché senza attenzione non esiste discernimento, ma questo non fa che acuire la frustrazione degli insegnanti per i quali diviene sempre più difficile trovare un canale di comunicazioni con i propri studenti.
 
I problemi della scuola di oggi sono, se ci soffermiamo un attimo, quelli di tutte le altre istituzioni italiane: nel nostro Paese abbiamo troppe regole e queste non vengono rispettate, la burocrazia è eccessiva e soffoca ogni iniziativa, troppo spesso anche laddove ci dovrebbe essere la garanzia di personale qualificato assunto tramite regolare concorso, si è invece trovata una scappatoia a discapito della competenza.

Alcune delle problematiche riscontrate oggi tra i banchi di scuola sono conosciute da anni e mi riferisco in particolare al bullismo e all’ansia.
Rispetto al passato queste difficoltà, proprio perché oggi enfatizzate dall’uso dei social, hanno raggiunto però livelli di criticità allarmanti, facendo registrare anche un pericoloso aumento di aggressività e mancanza di rispetto nei confronti degli insegnanti.

Legate a questo uso smodato di device come cellulari e tablet, si sono riscontrate a carico dei ragazzi altre due grandi problematiche ovvero il cosiddetto Social jet lag e l’analfabetismo funzionale.

Il primo è legato alla carenza di sonno dovuta all’uso smodato di cellulari e della messaggistica che toglie ore di riposo ai ragazzi, ci si addormenta infatti più tardi la sera per poter rispondere all’ultimo whatsapp del compagno, e alla cattiva qualità del sonno stesso causata dalla nocività della luce prodotta da tali device.

L’analfabetismo funzionale è una problematica legata all’incapacità di comprendere, valutare ed usare testi scritti.
Per fare un banale esempio, siamo di fronte ad un analfabeta funzionale quando la persona non è in grado di saper distinguere tra ciò che viene riportato come notizia certa e ciò che invece deve intendersi come una semplice opinione.
In un mondo popolato da fake news, va da sè quanto questo possa essere pericoloso.

Margherita Politi passa poi ad analizzare anche tutte quelle problematiche legate all’integrazione ed all’inclusione scolastica, non si deve però commettere l’errore di credere che esse siano riferite solo all’introduzione in classe di alunni stranieri o di allievi diversamente abili.
Nella scuola moderna esiste tutta una nuova serie di problematiche legate ad alunni che necessitano di aiuti particolari quali BES, DSA, alunni con deficit da disturbo dell’attenzione e dell’iperattività e così via.
Nuove patologie, oggi certificate, ma che fino a pochi anni fa non erano riconosciute.

Come avrete compreso il volume di Margherita Politi è un libro esaustivo e molto ben articolato, un saggio in cui si cerca di analizzare tutto il sistema dell’istruzione scolastica in ogni suo aspetto nella maniera più dettagliata possibile.

Ho cercato di presentarvelo mantenendomi super partes per non influenzare il vostro giudizio e ho utilizzano volutamente un linguaggio il più possibile privo di tecnicismi. 

“A scuola non si respira più” è un libro di denuncia, ma anche un libro che cerca di offrire valide ed efficaci soluzioni; un libro molto critico nei confronti delle istituzioni e della politica, ma anche fautore di una critica costruttiva.

Un volume che può risultare utile a coloro che lavorano nel mondo della scuola e per i quali, seppur senza dubbio già a conoscenza delle diverse problematiche, può divenire un valida guida ed un compendio da cui trarre preziosi suggerimenti e spunti; ma anche per i genitori che, attraverso questo saggio, potrebbero prendere finalmente coscienza di quel mondo nel quale i loro figli trascorrono tanta parte del loro tempo.