Il volume si apre con una lunga
ed esaustiva introduzione a cura di
Marina Panatero e Tea Pecunia in cui si dà immediatamente notizia delle
note biografiche di Yagyu Munemori nato nel 1571 nel villaggio di Yagyu-mura.
Egli fu maestro di spada del
primo shogun Ieyasu Tokugawa e in seguito di suo figlio Hidetada, secondo
shogun, e di suo nipote Iemitsu, terzo shogun.
Negli anni divenne anche un
importante consigliere di corte. Tra i vari interessi che il maestro di spada
coltivò ci fu quello per il buddhismo zen forse perché stimolato dal suo caro
amico, il monaco Takuan Soho.
L’introduzione però non si limita
solo alle notizie biografiche dell’autore dell’Heiho
kadensho (La spada che dona la vita), uno dei più importanti trattati sulle
arti marziali della tradizione giapponese, ma prosegue descrivendo quel
mondo e raccontando il periodo in cui Yagyu Munemori visse e trasmise i suoi
insegnamenti.
Apprendiamo attraverso queste
pagine la storia del Giappone e dei Samurai; veniamo introdotti al concetto di zen che, come abbiamo già ripetuto in
occasione di altre letture, non può essere definito né una religione né una
filosofia, ma meditazione.
Non manca neppure un’interessante storia della spada
giapponese dalle origini fino ai giorni nostri. Le spade attuali, o comunque
quelle realizzate dopo il 1953 con i metodi tradizionali, sono note con il nome
di shinsakuto (spade recenti o
contemporanee).
Si passa poi al libro di Munemori vero e proprio che è diviso in tre
sezioni: “Il ponte della scarpa”, “La spada che dà la morte” e “La spada che
dona la vita”.
La prima sezione è quella più legata
alla pratica della spada così come l’appendice che si trova al termine del
libro ossia “Il catalogo illustrato delle arti marziali della Shinkage-ryu”.
Le altre due sezioni invece, sebbene legate all’insegnamento dell’arte
della spada o meglio dell’arte della “non spada”, sono più discorsive e offrono
insegnamenti utili nella vita di tutti i giorni non solo in un combattimento.
L’arte marziale è prima di tutto
osservazione. L’osservazione in tempo di
pace è utilissima a comprendere quando stia per sopraggiungere il caos e
intervenire prima che sia troppo tardi. Stupisce quanto tutto ciò sia ancora straordinariamente
attuale. Inoltre, leggendo queste pagine, non ho potuto fare a meno di notare diversi
punti di contatto tra il pensiero di Munemori e anche di Musashi con quello di Niccolò
Machiavelli vissuto in Occidente poco tempo prima.
Analogie si riscontrano laddove
si parla dell’importanza di imparare a leggere
le situazioni per prevenire il peggio perché la battaglia si vince prima di
combatterla; della necessità di
mantenersi imperturbabili perché “la
spada che manca il bersaglio è una spada morta”, oppure della necessità di
annientare un uomo malvagio se questo fa soffrire diecimila persone. In questo
caso infatti la spada che dona la morte ad un uomo è la stessa che dona la vita
agli altri diecimila.
Ci sono molte risposte che non vi
aspettereste di trovare in questo libro. Per esempio, vi siete mai chiesti
perché proprio quando fate più attenzione nel fare una cosa, ecco, proprio allora
è più facile che commettiate un errore? Questo accade perché prima di iniziare,
vi siete fissati nel farla in un certo modo e tale comportamento vi porterà a
non ottenere il risultato sperato. Per riuscire la mente non deve essere mai
occupata dal pensiero di fare bene qualcosa.
Fondamentale è eliminare le malattie
della mente, quello che nel buddhismo viene definito attaccamento. La
mente deve rimanere vuota. Dobbiamo
dimenticare le fissazioni che sono dannose e imparare a lasciare andare. Se
ci fissiamo su qualcosa perdiamo la percezione di quello che ci circonda.
Perdere lucidità in un combattimento favorisce il nostro avversario mentre nella
vita di tutti i giorni comporta la perdita di occasioni importanti perché non riusciamo a vederle.
“La spada che dona la vita” è un
libro che, sebbene scritto secoli fa, sa parlare e offrire un valido aiuto
anche a noi che viviamo nel XXI secolo poiché oggi come allora non essere colpiti è già una vittoria.