Sono nato a Napoli il 24 maggio 1900, dall’unione del più grande attore-autore-regista e capo-comico napoletano di quell’epoca, Eduardo Scarpetta con Luisa De Filippo, nubile. Ma ci volle del tempo per capire le circostanze della mia nascita perchè a quei tempi i bambini non avevano la sveltezza e la strafottenza di quelli d’oggi e quando a undici anni seppi che ero “figlio di padre ignoto” per me fu un grosso choc. La curiosità morbosa della gente intomo a me non mi aiutò certo a raggiungere un equilibrio emotivo e mentale. Così, se da una parte ero orgoglioso di mio padre, della cui Compagnia ero entrato a far parte, sia pure saltuariamente, come comparsa e poi come attore, fin dall’età di quattro anni quando debuttai nei panni d’un giapponesino nella parodia dell’operetta Geisha, d’altra parte la fitta rete di pettegolezzi chiacchiere e malignità mi opprimeva dolorosamente. Mi sentivo respinto, oppure tollerato e messo in ridicolo solo perchè “diverso”. Da molto tempo, ormai, ho capito che il talento si fa strada comunque e niente lo può fermare, ma è anche vero che esso cresce e si sviluppa più rigoglioso quando la persona che lo possiede viene considerata “diversa” dalla società. Infatti, la persona finisce per desiderare di esserlo davvero, diverso, e le sue forze si moltiplicano, il suo pensiero è in continua ebollizione, il fisico non conosce più stanchezza pur di raggiungere la meta che s’è prefissa. Tutto questo però allora non lo sapevo e la mia “diversità” mi pesava a tal punto che finii per lasciare la casa materna e la scuola e me ne andai in giro per il mondo da solo, con pochissimi soldi in tasca ma col fermo proposito di trovare la mia strada. Dovrei dire: di trovare la mia strada nella strada che avevo già scelto da sempre, il teatro, che è stato ed è tutto per me.
(Da “Eduardo De Filippo. Vita e opere”. Arnoldo Mondadori Editore, 1986)
Eduardo De Filippo è conosciuto da
tutti come autore di teatro oltre che come regista ed attore, ma pochi sanno però
che il grande Eduardo fu anche autore di poesie.
All’inizio
si trattava di semplici componimenti giovanili, ma nel corso degli anni questa
sua attività divenne complementare alla sua produzione teatrale.
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LE POESIE
di Eduardo De
Filippo
EINAUDI
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Come
lo stesso De Filippo ha più volte raccontato succedeva spesso che durante la scrittura di una commedia la sua
ispirazione subisse degli arresti, delle pause e allora per non
interrompere il lavoro, dal momento che la voglia di riprenderlo sarebbe stata
certamente assente, Eduardo lo accantonava per un momento e, con un foglio
bianco dinnanzi a lui, iniziava a
buttare giù dei versi che avessero attinenza con i personaggi della commedia a
cui stava lavorando.
Nascono
così poesie come “Tre ppiccerille” legati alla celebre “Filumena Marturano” o “Donn’Amalia”
e “L’enemì” legate a “Napoli Milionaria”.
Il
linguaggio di De Filippo non è il
linguaggio plebeo che possiamo ritrovare ad esempio in Raffaele Viviani il quale aveva esperienza diretta di un mondo
fatto di lavandaie, scugnizzi, domestiche, acquaioli, artigiani...
La lingua di De Filippo è quella della borghesia
nel primo novecento e il linguaggio del popolo che lui utilizza nasce dalla sua
acuta capacità di osservare quelle categorie di persone che egli non frequenta
abitualmente.
Nelle
poesie di Eduardo De Filippo troverete tutta quell’ironia che spesso fa sorridere, ma allo stesso tempo fa riflettere,
quella sua sottile comicità nella descrizione di personaggi e situazioni
che sono sì divertenti, ma spesso anche terribilmente amare.
De
Filippo ci racconta la sua Napoli con un paternalismo bonario, ci racconta una Napoli fatta di macchiette e di
personaggi che vivono ‘into vascio (nel
basso, abitazione poverissima sulla strada), che si ingegna per tirare a
campare, che campa ‘a bona ‘e Dio.
Nella
produzione teatrale di Eduardo così come nelle poesie c’è tutta la filosofia di un popolo, quello
napoletano, per cui la famiglia e i figli vengono prima di tutto “E figlie so' figlie e so' tutt'eguale!" (da "Filumena Marturano"), un popolo abituato a dimenticare i torti subiti “chi avuto-avuto” tipico del famoso detto “chi ha avuto ha avuto,
chi ha dato ha dato”.
Non
posso dirvi che le poesie di Eduardo siano facilissime da leggere perchè il
napoletano è piuttosto ostico per chi è completamente digiuno di questo
dialetto, ma le note a piè di pagina facilitano molto chi decida di cimentarsi in
questa avventura letteraria.
Da
parte mia posso dirvi che lo sforzo sarà ben ripagato perché non solo sono poesie molto interessanti ma
sono anche un pezzo di storia del nostro paese.
Mi
piacerebbe chiudere questo post con ‘E
pparole (tratta dal volume “Le poesie” edito da Einaudi). La scelta di questi versi è stata
totalmente casuale perché tutte sono poesie bellissime che meriterebbero di essere lette.
‘E pparole
e che festa addiventa nu foglietto,
nu piezzo ’e carta -
nu’ importa si è stracciato
e pò azzeccato -
e si è tutto ngialluto
p’ ’a vecchiaia,
che fa?
che te ne mporta?
Addeventa na festa
si ’e pparole
ca porta scritte
sò state scigliute
a ssicond’ ’o culore d’ ’e pparole.
Tu liegge
e vide ’o blù
vide ’o cceleste
vide ’o russagno
’o vverde
’o ppavunazzo,
te vene sotto all’uocchie ll’amaranto
si chillo c’ha scigliuto
canusceva
’a faccia
’a voce
e ll’uocchie ’e nu tramonto.
Chillo ca sceglie,
si nun sceglie buono,
se mmescano ’e culore d’ ’e pparole.
E che succede?
Na mmescanfresca
’e migliar’ ’e parole,
tutte eguale
e d’ ’o stesso culore:
grigio scuro.
Nun siente ’o mare,
e ’o mare parla,
dice.
Nun parla ’o cielo,
e ’o cielo è pparlatore.
’A funtana nun mena.
’O viento more.
Si sbatte nu balcone,
nun ’o siente.
’O friddo se cunfonne c’ ’o calore
e ’a gente parla cumme fosse muta.
E chisto è ’o punto:
manco nu pittore
po’ scegliere ’o culore d’ ’e pparole.
(1971)