Roma
1830. Valerio è un giovane garzone di caffè. Da mesi è segretamente innamorato
di una ragazza che, ogni giovedì, si reca nel locale dove lavora in
compagnia di un anziano signore che lui immagina essere il padre.
Berenice è una nobile e
Valerio sa bene che, per quanto lei possa mostrarsi gentile nei suoi confronti,
non potrà mai ricambiare i suoi sentimenti. Nonostante sia perfettamente cosciente di non avere alcuna speranza, Valerio
non riesce però neppure a sopportare l‘idea che quell’uomo potrebbe forse essere
il suo fidanzato.
Un
giorno, girovagando per le strade di Roma, Valerio si imbatte in
uno strano negozio dove si vendono pozioni magiche. Ingenuamente, soggiogato dall’idea
di poter volgere le cose a proprio favore, acquista un elisir d’amore con
l’intento di farlo bere a Berenice.
Nulla
però andrà come si era immaginato, tuttavia, in qualche modo, quell’elisir riuscirà
ugualmente a fare avvicinare i due giovani. Del resto, si sa, l’amore trova
sempre la via.
L’ambientazione
della storia è perfetta e tanti sono gli aneddoti curiosi che fanno da
sfondo alla narrazione. La dettagliata descrizione dei luoghi conduce per
mano il lettore attraverso le strade e i segreti di Roma facendolo
sentire parte del racconto. La scrittura è scorrevole e piacevole.
Berenice è bella, ricca, intelligente. Lei sa di
appartenere alla nobiltà più esclusiva di Roma, conosce il suo ambiente, ma i
pregiudizi non fanno parte del suo modo di essere. Non sa cosa sia l’alterigia propria
degli esponenti della sua classe sociale.
Valerio è consapevole di non meritare l’amore di Berenice e
che è sbagliato anche solo pensare a lei, ma è un sognatore. È dolce,
protettivo, assetato di conoscenza ma soprattutto è disposto a sacrificare
tutto in nome della donna amata, anche se stesso.
Valerio
e Berenice, due giovani tanto diversi sebbene anche molto simili; entrambi
ingenui, spontanei e generosi.
L’elisir
d’amore è a tutti gli effetti una fiaba dove le vicende dei personaggi realmente
esistiti menzionati sono pura invenzione, senza alcuna pretesa di verità
storica come evidenziato anche nelle note al termine del romanzo.
Evidente
è l’omaggio dell’autrice, nel titolo e nella trama, all’omonima opera lirica di
Gaetano Donizetti.
Una
pausa di pura evasione che tutti dovremmo imparare a concederci ogni tanto
perché è piacevole in fondo lasciarsi trasportare qualche volta in un mondo
fantastico, chiudendo un occhio dinnanzi a qualche incongruenza della trama, come
fanno i bambini quando si legge loro una fiaba.
In
fin dei conti pure noi adulti abbiamo bisogno di credere ogni tanto nelle
favole abbandonandoci ad una storia da leggere con la
poesia del cuore e non con lo spirito acuto e indagatore del giallista che
alberga in noi.
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