sabato 31 agosto 2024

“I Leoni di Sicilia” di Stefania Auci

Nel 1799 Paolo e Ignazio Florio lasciano Bagnara Calabra per trasferirsi a Palemo. I fratelli Florio sono ambiziosi e gran lavoratori, hanno tutta l’intenzione di farsi strada, ma i nobili palermitani sono aggrappati ai loro privilegi e, seppur pesantemente indebitati, guardano dall’alto chi si ammazza di fatica per ritagliarsi il proprio posto in società.

I Florio sono gente tenace e nel giro di due generazioni la bottega di spezie con la quale hanno cominciato è solo l’infinitesima parte dei loro giro d’affari. In meno di un secolo sono riusciti a costruire quella che oggi verrebbe definita una vera e propria holding. I loro interessi economici si sono diversificati: hanno acquistato case e terreni, sono proprietari di una compagnia di navigazione, gestiscono diverse tonnare, sono produttori di marsala.

Nonostante il successo economico e politico raggiunto, molti a Palermo li definiscono ancora facchini, la nobiltà gli è ancora preclusa, il sangue fa la differenza. Con la terza generazione si avverte che il vento sta cambiando, ma questa sarà materia per il secondo volume della saga, “L’inverno dei  Leoni”.

Sullo sfondo della storia italiana dai moti del 1818 fino all’unità d’Italia la storia dei Florio imprenditori si intreccia con quella delle loro vicende personali. Una saga famigliare seducente e intrigante come i suoi protagonisti. Una storia che, sia per scrittura che per tematiche, ricorda i grandi testi della letteratura, primo tra tutti Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.

Molti sono gli spunti di riflessione che nascono durante la lettura del romanzo: alcuni di carattere più generale e legate alla società dell’epoca, come il ruolo della donna oppure la collusione tra politica e imprenditoria, altri di carattere umano come i rapporti tra genitori e figli oppure gli amori segreti e le complicate relazioni sentimentali. 

I protagonisti del romanzo, specialmente quelli maschili, non riescono mai ad avere rapporti sereni con gli altri famigliari. L’impero che riescono a costruire è qualcosa di immenso, ma la smodata ambizione e l’impegno profuso assorbono ogni loro energia. Qualunque cosa deve essere sacrificata sull’altare di Casa Florio.

Una trama interessante e una scrittura scorrevole caratterizzano questo romanzo. Alcune parole in dialetto talvolta potrebbero risultare un po’ ostiche, ma le ho trovate decisamente utili affinché il lettore riesca a calarsi ancora più profondamente nell’atmosfera del racconto che risulta sempre molto intenso e coinvolgente.

Ognuno all’interno del libro proverà simpatia per alcuni personaggi piuttosto che per altri. I miei personaggi preferiti sono stati Ignazio, il primo, quello arrivato a Palermo con il fratello Paolo, e Giulia Portalupi. Alcuni personaggi invece incontreranno le simpatie del lettore all’inizio per perderla magari nel corso della narrazione.  A me è accaduto con Giuseppina, la moglie di Paolo Florio.

Sono curiosa di leggere il secondo volume della saga e di vedere la serie TV omonima tratta da questo primo libro con Vincenzo Florio interpretato da Michele Riondino e Miriam Leone nei panni di Giulia Portalupi.





domenica 25 agosto 2024

“Figlia della palude” di Priska Nicoly

Aprile 1782 Caroline del Sud. La milizia lealista dei Bloody Scout giunge a Little Eden, la proprietà dei Langstone, e appicca il fuoco distruggendo ogni cosa. La figlia di Solomon Langston, Laudicea (Dicey), viene fatta prigioniera dal famigerato capo dei Bloody Scout, Bloody Bill.

Alcuni uomini della milizia credono che la ragazza sia una strega e lei non fa nulla per non alimentare tale sospetto, nonostante questo possa mettere seriamente a repentaglio la sua vita. Bloody Bill, però, sembra intenzionato a salvarla ad ogni costo dai suoi soldati perché Dicey sa dove si trova l’accampamento del fratello, il capitano James Langston. Una motivazione che col tempo sembra sempre più una mera scusa per coprire la vera ragione. 

Il romanzo cerca di rimanere il più fedele possibile alla realtà dell’ambientazione storica. I protagonisti del romanzo Bloody Bill (William/Liam Cunningham) e Dicey (Laudicea Langstom) sono due personaggi realmente esistiti. Proprio dalle loro storie l’autrice ha tratto ispirazione per creare la trama di questo libro nato dalla sua fantasia.

Il racconto stenta un po’ a decollare, il ritmo iniziale è piuttosto lento e la parte legata ai riti e alle pratiche hoodoo, filo conduttore dell’intero romanzo, non è sempre di facile e immediata comprensione. Una volta entrati, poi, nel cuore della storia il ritmo si fa decisamente più rapido e incalzante.

Lui, il bello e dannato, ma che in verità non è poi così dannato; lei, giovane e innocente, ma che rivela fin da subito di possedere un carattere combattivo e ribelle; non ci si aspetterebbe nulla di diverso dai protagonisti di un romance, però Priska Nicoly è stata molto brava a renderli oltremodo carismatici e affascinanti. Unica pecca, non perché voglia essere puritana, ci stanno le pagine dedicate al sesso, però, le ho trovate talvolta non necessarie all’economia del romanzo, anzi alle volte sembrano entrare un po’ a gamba tesa nel racconto a discapito dello stesso.

Molto buona la trama del racconto, impeccabile la soluzione degli enigmi, a cui il lettore tenta di trovare una spiegazione fin dalle prime pagine,  e ottimo il colpo di scena finale in buon parte per niente scontato.

Assolutamente da fare una menzione alla stupenda veste grafica del libro.

Una lettura consigliata a chiunque ami il romance storico che porti con sé qualcosa di magico e misterioso.



venerdì 16 agosto 2024

“Le otto montagne” di Paolo Cognetti

Il romanzo racconta la storia di Pietro, un ragazzino di città, e del suo legame con Bruno, un figlio della montagna. Un’amicizia fatta di partenze e di ritorni, di separazioni e di riavvicinamenti, ma allo stesso tempo un legame solido che durerà tutta una vita.

I genitori di Pietro erano emigrati in città all’età di circa trent’anni subito dopo essersi sposati. Avevano lasciato il Veneto e le loro amate Dolomiti per trasferirsi a Milano. Due caratteri differenti, i loro: ansioso e ombroso lui, aperta e socievole leiAvevano trovato un loro equilibrio alla base del quale c’era la montagna. Avevano, però, modi diversi di viverla questa montagna: per lui significava raggiungere la vetta, laddove non si poteva più andare oltre; la quota prediletta di lei, invece, era quella dei 1500 metri, dove i caprioli si nascondono tra abeti e larici e dove fiorisce il rododendro.

“Le otto montagne” è un romanzo di formazione. Nel Piero e nel Bruno adulti  il lettore scorgerà molti tratti comuni ai loro genitori, ma la loro crescita porterà con sé anche singolarità di un carattere tutto loro. La quota prediletta di Bruno non sarà né la vetta, né il bosco, bensì quella che si trova nel mezzo dove ci sono la prateria alpina, i torrenti, le torbiere, l’erba d’alta quota e le bestie al pascolo. Proprio quel paesaggio che, quando era ragazzino, faceva da cornice alle sue estati spensierate in compagnia dell’amico di sempre, più prezioso di un fratello, così diverso da lui ma a lui complementare.

Avevo sentito parlare molto di questo romanzo e della sua successiva trasposizione cinematografica (2022). Proprio per questo motivo, ho preferito attendere un po' di tempo prima di affrontarne la lettura.

“Le otto montagne” è un libro intenso e toccante che analizza e osserva i tanti aspetti della vita, anche quelli più duri come la montagna d’invero, quando i turisti tornano nelle loro case di città e lassù, tra i monti, regnano il silenzio, la neve il ghiaccio, perché la montagna d’inverno non è fatta per gli uomini e deve essere lasciata in pace.

La montagna si presta ad essere una perfetta metafora della vita perché non è solo nevi e dirupi, creste, torrenti, laghi, pascoli. La montagna è un modo di vivere la vita. Un passo davanti all’altro, silenzio tempo e misura.

Un racconto emozionante dove il tempo è dettato dalle stagioni, dove si parla una lingua antica, un microcosmo dove una società primitiva è ancora detentrice di quei valori del passato che stanno via via scomparendo come le sue genti, come i ghiacciai sulle montagne.



mercoledì 14 agosto 2024

“Il conte Attilio” di Claudio Paglieri

Attilio Arrigoni è un valoroso capitano di ventura che, insieme al suo fedele amico il tenente Massimiliano Bonati, combatte nelle Fiandre sotto il comando del generale Ambrogio Spinola Doria.

Innamorato da sempre dell’unica donna che non potrà mai essere sua, quando riceve da lei una lettera in cui invoca il suo aiuto, Attilio, ottenuta licenza dallo Spinola, non esita a precipitarsi in suo soccorso. Affronterà un viaggio periglioso e ricco di insidie pur di arrivare in tempo a Milano per salvarla dal convento a cui il fratello l’ha destinata costringendola a prendere i voti.

Il conte Attilio è una vecchia conoscenza manzoniana. Nei Promessi Sposi egli scommetteva con il cugino Don Rodrigo se questi sarebbe riuscito o meno a sedurre Lucia, prendendo parte anche al piano per il rapimento della giovane.

Il conte Attilio dei Promessi Sposi era un nobile frivolo, un dongiovanni impenitente che viveva di rendita. Ben diverso il personaggio di Claudio Paglieri che nel suo romanzo vuole riscattarne la figura, prendendo spunto anche da una vecchia faida realmente esistita tra la famiglia Manzoni e quella degli Arrigoni.

“Il conte Attilio” è buon romanzo di cappa e spada che non manca di omaggiare i classici dello stesso genere attraverso numerosi richiami e riferimenti così come fa ovviamente nei confronti dei Promessi Sposi, di cui il romanzo si può ritenere un prequel o uno spin-off, se vogliamo usare la terminologia moderna delle serie televisive.

Invero, tanti sono i riferimenti alla letteratura, troviamo richiami a Dante, Machiavelli, Tasso, solo per citarne alcuni, ma molti sono pure i richiami alla pittura di cui la protagonista femminile Lucrezia è appassionata, dilettandosi essa stessa in quest’arte con pregevoli risultati.

Il conte Attilio è un protagonista affascinante, intelligente e arguto, un guascone dall’animo nobile, un seduttore impenitente, ma leale con gli amici e la famiglia. Impossibile non prenderlo in simpatia fin dalle prime pagine.

Attilio è molto impulsivo e, a bilanciare questa suo carattere precipitoso e focoso, troviamo l’amico Bonati altrettanto coraggioso, ma dall’animo più riflessivo e dai costumi più morigerati.

Da genovese, ho apprezzato parecchio le schermaglie verbali tra miei concittadini e i milanesi così come le descrizioni della Genova seicentesca e del suo entroterra. Mi hanno incuriosito alcuni personaggi in particolare della famiglia Balbi e la storia del capitano Ambrogio Spinola Doria la cui figura credo non mancherò di indagare successivamente.

Il romanzo è scritto molto bene, la storia è scorrevole e si legge con piacere. Non mancano colpi di scena e si percepisce chiaramente che l’autore si è molto documentato per rendere i personaggi e l’ambientazione quanto più verosimili possibile.

Unica nota stonata, a mio avviso, il finale che non è riuscito a coinvolgermi emotivamente come il resto del romanzo. Un epilogo alquanto scontato e annunciato che forse non sarebbe potuto essere diverso, ma che faceva comunque sperare nel sopraggiungere di un qualche colpo di scena a scompigliare le carte, tanto più trattandosi a tutti gli effetti di una storia di fantasia.

Le ultime battute lasciano uno spiraglio aperto per una possibile nuova avventura del conte Attilio ma, per quanto abbia apprezzato la lettura del romanzo, non riesco a intravederne la potenzialità per lo sviluppo di un secondo episodio.



 

domenica 11 agosto 2024

“La vita a mano libera” di Alessandra Tempesta

Angelica ha 30 anni appena compiuti e la consapevolezza di non poter più procrastinare oltre le proprie scelte.

Angelica può contare sull’appoggio dei suoi genitori, dell’amica Clizia e del collega Max che segretamente è innamorato di lei, ma l’ansia sembra comunque non volerle dare tregua. Angelica ama il proprio lavoro, ha fatto tanti sacrifici per aprire la sua libreria, ma nulla sembra allontanare da lei gli attacchi di panico che la colgono all’improvviso sempre più spesso. È stanca del suo essere sempre controllata, di guardare la sua vita scorrerle davanti agli occhi senza prendervi mai davvero parte. 

Le troppe notti insonni, i tanti pensieri smarriti, i numerosi rimorsi per opportunità non colte la portano alla scelta non facile di lasciare il confortevole nido famigliare e andare a vivere da sola.

Il piano narrativo si sdoppia quando Angelica un giorno trova, in modo del tutto fortuito, sotto una mattonella del magazzino della libreria la foto di una donna e una chiave. La chiave apre un armadietto a muro che custodisce un vecchio diario, datato 1970-71, che racconta la triste vicenda di Bianca, una giovane donna figlia di contadini.

Ci sono libri che parlano al cuore e “La vita a mano libera” è decisamente uno di questi. Ogni lettrice, troverà nelle pagine i propri sogni, desideri e speranze perché le protagoniste nate dalla penna di Alessandra Tempesta sono oltremodo realistiche. Ogni pagina porta con sé parole che spingono ad analizzare la propria vita, a rimettere in discussione le proprie scelte, a chiedersi quali siano davvero le nostre priorità, a capire se la persona che siamo oggi corrisponde a quella che avremmo desiderato essere.

“La vita a mano libera” è un racconto di dolore e sofferenza, di paure inconfessate, di sogni dimenticati e di compromessi, ma è anche un racconto di rinascita che dona speranza. Una storia che pone l’accento sull’importanza di credere in se stessi, sul valore dell’amicizia e dell’amore; un invito a non aver paura di vivere i propri sentimenti e di aprirsi all’altro.

È vero, talvolta la vita offre all’improvviso ciò che si è inseguito per anni e, anziché tuffarcisi e prenderlo a piene mani, si resta fermi, immobili, ipnotizzati a guardarlo mentre il tempo lo trascina via. E così si cercano altre chimere, altri aneliti, per dare un senso ai propri giorni.



lunedì 5 agosto 2024

“Il nido segreto” di Martina Tozzi

Mary e Fanny erano figlie della famosa Mary Wollstonecraft, una delle più importanti filosofe femministe della sua epoca. Mentre Mary era anche figlia di William Godwin, stimato e apprezzato filoso e scrittore britannico, Fanny, invece, era frutto di una relazione precedente della donna.

Fanny, che era stata adottata da Godwin, aveva solo tre anni quando la madre morì di parto dando alla luce la sua secondogenita Mary. 

Le bambine crebbero in un ambiente culturalmente molto stimolante. Il padre amava, infatti, circondarsi di filosofi, scienziati, letterati e non solo lasciava che le figlie prendessero parte a quegli incontri, ma ne incoraggiava proprio la partecipazione.

Quando William Godwin decise di risposarsi, lo fece con una donna che aveva già due figli coetanei delle sue bambine: Jane e Charles. Tra i ragazzi si stabilì fin da subito una bella intesa, ma non altrettanto sereno fu il rapporto della nuova signora Godwin con le figlie del marito in particolare con la giovane Mary.

Al centro del romanzo troviamo la storia delle tre ragazze Godwin Mary, Fanny e Jane e del poeta Percy Bysshe Shelley, la cui conoscenza cambiò per sempre le loro vite.

Un romanzo avvincente quello di Martina Tozzi come affascinanti e seducenti sono i personaggi che l’autrice descrive in modo talmente vivido e dettagliato che al lettore sembra quasi di farne la conoscenza di persona.

Tanti e suggestivi i riferimenti alle opere letterarie dei protagonisti che non possono non invogliare a leggere, o rileggere, le opere di Percy Bysshe Shelley, di Mary Shelley e di Lord Byron.

Un solo appunto, giusto per essere pignola: in un dialogo viene nominato lo Stregatto. Si tratta di una licenza letteraria in quanto il libro di Lewis Carroll è successivo alla morte dei protagonisti del romanzo di Martina Tozzi.

Le tre sorelle hanno un carattere diversissimo tra loro eppure tutte riescono ad entrare nel cuore del lettore: la dolce e insicura Fanny, l’esuberante e  intelligente Mary, la capricciosa e testarda Jane, che deciderà di farsi poi chiamare Claire.

Tutte e tre le donne, a modo loro, sono affascinate e innamorate di Shelley, un idealista dall’animo vivace e curioso, un ragazzo esuberante che rivelava di possedere ancora un lato infantile mai sopito.

Tanti i personaggi a fare da sfondo alla vicenda come l’affascinante Lord Byron e ovviamente il padre delle ragazze William Godwin.

Sia Byron che Godwin sono l’immagine del’ipocrisia. Il primo, l’uomo delle grandi passioni e dalle molte relazione con donne diversissime per estrazione sociali, non si fa scrupolo di rinchiudere la figlia, ancora bambina, in un convento perché diventi una giovane virtuosa. Il secondo, che tanto era animato dall’amore per Mary Wollstonecraft e tanto sosteneva di ammirare tutto ciò che il suo pensiero femminista rappresentava, non si fa scrupolo di allontanare la figlia prediletta Mary perché fuggita con un uomo sposato.

Shelley contrae debiti, è vero, ma è un poeta idealista e sognatore che non comprende il valore del denaro arrivando addirittura a regalare ai poveri quel poco che ha; Godwin, invece, non mostra la minima remora a sfruttare lo stesso Shelley, pur sapendolo in difficoltà economiche, pensando che tutto gli sia dovuto.

“Il nido segreto” è un romanzo estremamente scorrevole. Il racconto è appassionante e la descrizione dei personaggi non è mai banale.

Martina Tozzi è riuscita a riportare sulle pagine uno vero spaccato di vita dell’epoca e a far rivivere sulla carta dei personaggi dal fascino indimenticabile.

Impossibile rimanere indifferenti di fronte all’amore di Percy e Mary e al suo rafforzarsi nel corso degli anni dopo le tante difficoltà e tragedie affrontate dalla coppia.

Ogni personaggio di questo libro evolve nel corso del tempo acquistando spessore; Jane/Claire, Mary, Percy, Fanny, ognuno di loro reagisce alle avversità che la vita gli mette innanzi in modo differente, qualcuno ne esce più forte qualcuno soccombe, ma nessuno di loro resta lo stesso che abbiamo conosciuto all’inizio della storia,

Se amate il romanticismo inglese “Il nido segreto” è un romanzo che vi conquisterà fin dalle prime pagine.

 

 

giovedì 1 agosto 2024

“Un principe di Toscana in Inghilterra e in Irlanda nel 1669” a cura di Anna Maria Crinò

Si tratta del testo originale completo della relazione ufficiale del viaggio che Cosimo III de’ Medici compi nel 1669 in Inghilterra e in Irlanda.

Il testo è presente in due bei codici cartacei manoscritti illustrati da numerosi acquarelli conservati presso la Biblioteca Mediceo Laurenziana. Di questa relazione ufficiale esiste anche un secondo esemplare, senza pretese estetiche, ma più corretto come testo conservato presso la Biblioteca Centrale di Firenze. Anna Maria Crinò ha preferito quindi riprodurre questo secondo esemplare che contiene anche un’appendice sullo stato generale dell’Inghilterra dell’epoca.

Il testo è preceduto da un’interessante introduzione della curatrice in cui vengono evidenziati sia i criteri da lei usati per la riproduzione del testo sia una sintesi ragionata su quello che attende il lettore di questa “Relazione ufficiale del viaggio di Cosimo de’ Medici tratta dal Giornale di L. Magalotti”.

Non si tratta di quella che si potrebbe definire una lettura scorrevole, ma si tratta di un testo molto interessante sia per le descrizioni dei luoghi sia per il racconto dell’accoglienza riservata a Cosimo dal Re d’Inghilterra, dalla famiglia reale e dalle più importanti famiglie del regno.

Tanti i particolari curiosi narrati come le pagine dedicate alle sette religiose, al governo, alla personalità degli inglesi, alla storia recente del Paese o le pagine dedicate alla navigazione.

Cosimo visitò Londra negli anni subito successivi a quelli dell’incendio (1666) in cui gran parte della città antica andò distrutta; di particolare interesse sono alcuni dettagli raccontati di prima mano su come si presentasse all’epoca Londra e in particolare è suggestiva la descrizione dei resti della Cattedrale di Saint Paul che sarà ricostruita solo negli anni avvenire.

Il testo venne attributo negli corso degli anni ora al Marchese Filippo Corsini ora al conte Lorenzo Magalotti, l’attribuzione più probabile è quella del Magalotti.

Anche sulla datazione ci sono diverse ipotesi, la più accreditata è però quella che ritiene il testo definitivo redatto nel 1689, ben vent’anni dopo il viaggio compiuto da Cosimo.

Da sottolineare una particolarità del volume edito nel 1968 da Edizioni di Storia e Letteratura: si tratta di un libro intonso ovvero un volume che per scelta editoriale presenta i fogli non rifilati così da dover essere separati con il tagliacarte. Un tocco nostalgico che ho apprezzato molto.