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lunedì 11 gennaio 2021

“I lupi di Roma” di Andrea Frediani – Review Party

Anno 1277, dopo un lungo conclave Niccolò III, al secolo Giovanni Gaetano Orsini, ascende al soglio pontificio

Dopo la morte di Giovanni XXI, a seguito della quale la sede è rimasta vacante per ben sei mesi, ora gli Orsini possono finalmente portare a termine i loro piani grazie all’elezione del nuovo papa.

Progetti, quelli della famiglia Orsini, il cui scopo non è solo quello apertamente dichiarato, ovvero arginare la dominazione straniera ed in particolar modo il potere del re francese Carlo d’Angiò, re di Napoli nonché senatore di Roma e podestà di Firenze, ma anche quello ben più ambizioso di rafforzare il potere della propria famiglia.

I lupi di Roma, come vengono definiti gli Orsini, fanno presto incetta di cariche pubbliche e, prendendo possesso di buona parte dei territori circostanti, divengono di fatto i nuovi signori di Roma.

Le faide tra le famiglie romane però non accennano a placarsi e così, se da una parte l’alleanza Orsini – Colonna – Malabranca, frutto della sapiente politica matrimoniale condotta nel corso degli anni, è sempre più solida, dall’altra parte la sete di rivalsa e di vendetta delle famiglie nemiche, capitanata da quella degli Annibaldi, si fa sempre più feroce e  spietata.

Mentre Niccolò III insieme all’ambiguo cugino, il cardinale Matteo Rubeo, danno sfogo alle loro più sfrenate ambizioni, Perna Orsini innamorata del giovane Annibaldo Annibaldi vede sempre più lontana la possibilità di coronare il suo sogno d’amore.

Stessa sorte sembra toccare anche all’altra coppia di amanti, quella formata da Orso Orsini, il podestà di Viterbo, e la bella Beatrice, la figlia del conte di Guastapane Porcari.  

Un evento inaspettato, una morte prematura, sconvolgerà però tutti i disegni così meticolosamente pianificati dall’ambizioso Matteo Rubeo; i lupi di Roma, esposti alla vendetta dei nemici quanto mai prima era accaduto loro, si ritroveranno quindi a dover difendere con i denti quanto conquistato fino a quel momento.

Riusciranno gli Orsini a riconquistare la loro posizione e magari nel contempo pentirsi di quei metodi così poco ortodossi da loro praticati per raggiungere il successo ad ogni costo?

Il romanzo di Andrea Frediani è un buon compromesso tra verità storica e finzione letteraria. I protagonisti sono per la maggior parte personaggi reali che interagiscono tra loro in modo alquanto verosimile anche laddove, per l’economia della trama, è stato necessario da parte dell’autore apportare modifiche sovrapponendo talvolta alcuni eventi.

Sapevo poco delle vicende della famiglia Orsini e questo libro si è rivelato un ottimo punto di partenza per fare la loro conoscenza e per stuzzicare la voglia di approfondirne la storia.

La trama del romanzo è ben bilanciata: ai fatti storici salienti, battaglie sul campo e scontri politici, si alternano le vicende amorose di Perna e Annibaldo e quelle di Orso e Beatrice.

L’amore di Perna Orsini e Annibaldo Annibaldi è la classica storia d’amore contrastato che prima tra tutte richiama la celebre storia di Romeo e Giulietta, due famiglie nemiche e due giovani che sognano attraverso la loro unione di poter porre le fondamenta per quella pace tanto sospirata.

La storia di Orso e Beatrice invece è una storia dove l’amore deve fare i conti con il dovere e l’onore. Orso, per quanto innamorato di Beatrice, non ha la forza di sottrarsi ai doveri verso la propria famiglia e anche quando capisce che per i parenti egli è solo uno strumento, la tessera di un mosaico, non riesce comunque a sottrarsi a quanto impostogli dagli altri Orsini.

Beatrice è comunque molto diversa da Perna, La figlia del conte Guastapane Porcari è una donna tenace e risoluta, non è facile per lei concedere una seconda possibilità e, proprio perché le è costato tanto cercare di giustificare l’amato Orso, il vedersi rifiutare da lui una seconda volta per assecondare le imposizioni della famiglia, farà scattare in lei un desiderio di rivalsa e di vendetta che sfocerà alla fine nell’autolesionismo.

Su tutti i personaggi, sul violento Riccardello Annibaldi, sull’arrogante Cencio, sull’ambizioso e ambiguo cardinale Matteo Rubeo, svetta la figura carismatica di Margherita Colonna, colei che ha saputo tenere testa alla famiglia e, seguendo la propria strada, elevarsi al di sopra delle meschine lotte di potere per dedicare la propria vita al prossimo.

“I lupi di Roma è un romanzo scorrevole che, grazie ad una trama avvincente e a un racconto serrato degli avvenimenti, riesce a mantenere sempre alta l’attenzione del lettore favorendo lo sviluppo di un legame empatico tra questi e alcuni suoi protagonisti.

Nel corso del suo papato Niccolò III favorì in ogni modo i propri parenti e nipoti assegnando loro cariche e proprietà, tanto che leggendo queste pagine non si può non richiamare alla mente un altro papa che salì al soglio pontificio due secoli più tardi e il cui nepotismo e accumulo di ricchezze fanno ancora oggi discutere e indignare. Il suo nome? Alessandro VI, ovviamente, al secolo Rodrigo Borgia.

In quanto a dissolutezza, baldanza, arroganza alcuni personaggi di I lupi di Roma non hanno davvero nulla da invidiare né al papa Borgia né al suo temutissimo figlio Cesare, il duca Valentino.

Se il più grande sogno di Cesare Borgia, condottiero spregiudicato e politico ambizioso, fu quello di unire l’Italia con lui come unico principe a dominarla; gli Orsini duecento anni prima furono senza dubbio la famiglia che più di tutte provò a costruire un regno e una dinastia autoctoni.

Il libro di Andrea Frediani è il racconto della feroce lotta che una delle dinastie più ambiziose di Roma, gli Orsini appunto, condusse per il proprio prestigio e non solo.


 



 

 

 

 

 

lunedì 23 novembre 2020

“Rinascimento Babilonia” di Luca Scarlini

Il Rinascimento italiano è senza dubbio un periodo molto controverso. Teatro di devastanti guerre e tradimenti, di corruzione e  congiure dalla ferocia inaudita, eppure, nessuna altra epoca fu in grado, al pari del Rinascimento, di produrre altrettanti capolavori di così rara bellezza, basti pensare a un Botticelli, un Raffaello, un  Michelangelo, un Leonardo Da Vinci senza voler fare torto a tutti gli altri numerosi artisti che contribuirono alla magnificenza di questo periodo storico.

Il Rinascimento fu l’epoca che vide, quali attori principali, quelle famiglie che furono in grado, se non di cambiare totalmente il corso della storia, almeno di influenzarlo grandemente; Medici, Sforza, Borgia, Este, Gonzaga sono solo alcuni dei nomi delle dinastie più famose che operarono in quel panorama politico in cui l’Italia era ostaggio di potenze straniere in continuo movimento per la sua conquista.

Fu il periodo dove a principi illuminati quali Lorenzo de’ Medici si alternarono figure passate alla storia come la personificazione di tutti i vizi capitali quali Papa Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borgia, e figure in odore di santità come il discusso predicatore e riformatore domenicano Girolamo Savonarola.

Il Rinascimento fu un’epoca che sfugge ad ogni possibile classificazione, la devozione al culto mariano così come le armeggerie furono solo due aspetti di un periodo che consacrò invece una parte di sé alla dea Voluptas e al potere di Cupido.

Proprio all’indagine di questo particolare aspetto è dedicato il saggio di Luca Scarlini “Rinascimento Babilonia. Una storia erotica dell’arte italiana”, un  saggio che sconfina nell'inizio dell’epoca barocca quando, a seguito delle trasformazioni dovute alla Controriforma, solo Venezia resistette mantenendo la palma di metropoli libertina d’Occidente.

Scarlini ci racconta episodi poco conosciuti e aneddoti curiosi, ci riporta brani e stralci di lettere che difficilmente potremmo incontrare in un’antologia del liceo, ci presenta una galleria di personaggi straordinari e bizzarri (ermafroditi, cortigiani e prostitute) che furono comunque parte integrante di quel mondo e del tessuto socio-culturale di importanti città quali Roma, Firenze, Milano, Napoli, Siena e Venezia.

Il Rinascimento più di ogni epoca ebbe il vizio o la virtù di mettere ogni cosa in piazza, permettendo così che giungessero fino a noi numerosi epistolari che ancor oggi ci forniscono interessanti dettagli sulla vita privata dei protagonisti del tempo e, perché no, anche sulle loro passioni più intime.

Alcuni episodi sono da tempo già universalmente noti come il legame di Leonardo da Vinci con Salaì o come l’amore senza freni di un artista quale Raffaello per il gentil sesso, altre vicende invece sono a noi meno conosciute come il motivo per cui Giovanni Antonio Bazzi  detto il Sodoma si sia guadagnato tale soprannome; se poi il nome di Imperia, la cortigiana più potente di Roma, era un nome noto ai più, pochi hanno invece sentito parlare di altri personaggi come ad esempio Zufolina o le “Aretine”.

Luca Scarlini ci restituisce attraverso le pagine del suo libro l’aspetto più licenzioso del Rinascimento, un aspetto che l’ipocrisia storica, in particolar modo quella ottocentesca, ha cercato di nascondere, ma che resta in ogni caso una delle più salienti peculiarità che caratterizzarono l’epoca.    

Dello stesso autore avevo letto già il romanzo/saggio “L’ultima regina di Firenze. I Medici: atto finale” dedicato al crepuscolo della più famosa dinastia fiorentina e anche in quell’occasione, come in questa, ero rimasta in prima battuta piuttosto spiazzata dal modo di affrontare certi argomenti da parte dell’autore, ma superata la confusione iniziale, devo ammettere che, anche questa volta, lo stile provocatorio e a tratti dissacrante di Luca Scarlini si è rivelato come sempre il più coerente ed efficace per trattare convenientemente l’argomento. 

“Rinascimento Babilonia” è un viaggio a ritroso nel tempo, in un’epoca che fece delle passioni estreme uno dei suoi temi principali e Luca Scarlini ci conduce lungo questo percorso attraverso la storia dell’arte e della letteratura scandagliandone gli aspetti più licenziosi e nascosti.

Un Rinascimento, quello raccontato da Scarlini in queste pagine, per certi versi inaspettato e anche un po’ irriverente, senza dubbio meno patinato e dorato di quanto siamo abituati a raffiguracelo, ma non per questo meno vero e affascinante.

 




giovedì 20 agosto 2020

“Genius familiaris, Genius loci, Eggregori e Forme Pensiero” di Alessandro Orlandi

Il libro, dedicato al culto degli antenati nel mondo antico e alla trasmissione iniziatica, è suddiviso in due parti.

Nella prima parte Alessandro Orlandi si propone di illustrare al lettore quali siano le analogie esistenti tra il Genius Loci, il culto degli antenati nell’antica Roma, le Forme-Pensiero e gli Eggregori.

Nella seconda parte invece l’autore analizza il ruolo della tradizione nel mondo antico ed esamina quanto venisse trasmesso attraverso l’iniziazione. 

Si chiede inoltre se si possa parlare ancora oggi di tradizione e iniziazione e, in caso affermativo, quale sia l’aspetto da esse assunto nel mondo moderno.

Senza entrare nel merito specifico della materia esposta, poiché ritengo che la lettura di queste pagine sia un percorso ricco e interessante che ogni lettore debba affrontare assolutamente senza interferenze di sorta e libero da ogni tipo di sollecitazione esterna, mi concedo di darvi solo alcune informazioni propedeutiche agli argomenti trattati.

Cosa si intende per Genius familiaris, Genius loci, eggregori, forme-pensiero?

Per prima cosa dobbiamo ricordare che, secondo la visione cristiana, l’uomo ha tre componenti fondamentali: corpo - spirito - anima, ma gli antichi avevano una ben diversa concezione, per gli Egizi ad esempio le componenti del corpo umano erano addirittura nove.

Secondo i Greci alla nascita ogni uomo veniva affidato dalle tre Moire o Parche (Cloto, colei che filava il destino degli uomini, Lachesi, colei che distribuiva le sorti e Atropo, colei che recideva il filo al momento della morte) ad un daimon che non lo avrebbe mai abbandonato per tutto il corso della sua vita.

Il daimon era anche fonte di ispirazione delle creazioni e delle intuizioni per poeti, indovini, scienziati e artisti.

Seppur con alcune differenze, il daimon era quanto di più simile al Genius latino; proprio nel mondo romano, infatti, il demone individuale veniva spesso chiamato Genio.

A grandi linee si potrebbe dire che mentre il Genius loci esprimeva il carattere e la natura profonda dei luoghi, il Genius familiaris (o Genio della stirpe) era connesso alla casa, alla natura della famiglia e agli spiriti degli antenati.

Nelle case dell’antica Roma di solito c’era poi un luogo dedicato al culto dei diversi dèi domestici: Lari, Penati, Genius Familiaris e dèi Mani.

I Penati erano di solito dèi del pantheon greco o romano, i Lari erano gli spiriti degli antenati virtuosi e che si erano distinti in vita e infine gli dèi Mani erano gli spiriti di tutti gli antenati defunti.

Le forme-pensiero sono entità emanate all’esterno dall’uomo alimentate dai suoi pensieri, dalle sue paure, dalle sue speranze e dalle sue energie; quando queste forme-pensiero scaturiscono dall’attività immaginativa di un gruppo che condivide un intento comune vengono definite eggregori.  

Abbiamo detto che nella seconda parte del libro si parla di tradizione e iniziazione. Che cosa si intende con tali termini?

Per tradizione (in greco paràdosis – trasmissione; in latino tradere – trasmettere) si intende la trasmissione non solo di contenuti e insegnamenti, ma anche dell’energia che il maestro trasmette al discepolo, energia che permette al discepolo di ampliare la propria percezione del mondo.

L’iniziazione nasce e si propaga attraverso il passaggio e lo scambio di energie che avviene attraverso uno specifico rituale.

Nell’antichità nelle iniziazioni ai culti misterici gli iniziati erano tenuti al segreto e pertanto poco o nulla è trapelato e giunto fino a noi sui riti che venivano celebrati.

Ogni cultura nel corso dei secoli ha sviluppato le proprie tradizioni spirituali e ancora oggi esistono organizzazioni iniziatiche, la Massoneria e il Neotemplarismo ad esempio sono alcune di esse.

Nella seconda parte del libro si indaga sul cambiamento verificatori nel corso dei secoli nelle tradizioni iniziatiche che col tempo, perdendo di vista il loro scopo primario, ossia quello di cercare di armonizzare il microcosmo (Uomo) con il macrocosmo (Universo), si sono indirizzate invece verso il raggiungimento di un sempre maggiore potere personale, polarizzando così l’attenzione dell’iniziato verso il mondo esterno invece che verso la propria interiorità.

Possiamo ancora parlare di realtà della Tradizione e dell’Iniziazione nel XXI secolo?

Su questo e su altri numerosi interrogativi relativi alla spiritualità nel mondo antico e in quello moderno Alessandro Orlandi cerca di gettare luce attraverso le pagine di questo saggio che, partendo dall’analisi dei culti iniziatici, quali ad esempio i Misteri Eleusini, quelli di Cibele, di Dionisio, passando poi per la sacralità attribuita alla commedia e alla tragedia dagli antichi greci, esaminando l’importanza della tradizione alchemica, arriva infine, senza tralasciare quelle tendenze legate allo spiritismo, all’occultismo, alla veggenza, al mesmerismo, ad analizzare la più moderna spiritualità, la cosiddetta “New Age” che, senza riferirsi ad una particolare tradizione, mescola vari elementi.

Quello di Alessandro Orlandi è un saggio breve, sono appena un centinaio di pagine, ma davvero molto articolato e approfondito.

Da sottolineare inoltre la grande capacità dello scrittore di saper esporre un argomento tanto complesso in modo semplice e chiaro così che possa essere accessibile anche ai neofiti della materia.   

Dello stesso autore vi ricordo “Dionisio nei frammenti dello specchio”.




martedì 18 agosto 2020

“La passione del Re Sole” di Gerty Colin

Corre l’anno 1656, la  Fronda è solo  uno sbiadito ricordo e il cardinale Mazzarino gode ormai del pieno appoggio della Regina Anna, del giovane Re Luigi XIV e di tutta la Francia.

In questo clima di distensione il primo ministro ha fatto giungere sul suolo francese molti membri della sua famiglia e tra questi ci sono le bellissime nipoti Mancini e le loro cugine Martinozzi.

Le mazarinettes, come sono soprannominate le giovani, sono destinate ad essere delle graziose ed utili pedine nell’abile gioco della politica matrimoniale che lo zio ama condurre per il bene della Francia, ma soprattutto per la propria gloria.

Maria è la terza delle cinque sorelle Mancini, ha appena 17 anni, è forse meno bella della sorella Olimpia e senza dubbio la piccola Ortensia, una volta cresciuta, le surclasserà entrambe, ma Maria, seppur ancora acerba nell’aspetto, è una ragazza intelligente, colta e vivace.

Mentre la sorella maggiore Laura è già stata maritata e Olimpia gode dei favori del re, Maria è condannata a condurre una vita ritirata nei suoi appartamenti in quanto destinata dalla madre al convento.

La madre però muore all’improvviso e Maria trova inaspettatamente un prezioso alleato nello zio che, in disaccordo con i desideri della defunta sorella, decide di dare alla giovane un’opportunità assecondandola nel suo sogno di conquistare il cuore del re, chissà forse addirittura vagheggiando per lui stesso la fama di poter essere un giorno zio del Delfino di Francia.

La passione tra l’intrepida Maria e il riservato Luigi XIV scoppia inevitabilmente, il loro è un amore che nulla ha a che fare con i giochi della politica e la ragion di stato, il loro è un amore fatto di amicizia e complicità, ma Luigi non è solo Luigi egli è anche e soprattutto il Re di Francia e il suo destino deve compiersi.

Luigi sacrificherà il suo amore giovanile per divenire quel grande sovrano che noi oggi conosciamo come il Re Sole, colui che costruì splendidi palazzi, vinse guerre e collezionò numerose amanti.

Maria sposerà il connestabile Lorenzo Colonna e si trasferirà a Roma dove, con grande scandalo della nobiltà romana non avvezza a certi costumi, aprirà le porte del suo palazzo nel quale si potrà respirare aria di Francia sul suolo romano e dove gli ospiti francesi saranno sempre i benvenuti.

Potrà però Maria essere felice accanto a Lorenzo? Riuscirà a dimenticare quel suo primo giovanile amore o quella fiamma continuerà a bruciare? Il re di Francia riuscirà davvero a cancellare il ricordo di quella giovane che gli aveva illustrato con tanto entusiasmo quali fossero oneri e onori di un grande sovrano? Maria riuscirà a tornare a Parigi dal “suo” Luigi o non lo rivedrà mai più?

Incontrai per la prima volta il personaggio di Maria Mancini Colonna durante una visita guidata proprio a Palazzo Colonna a Roma, una dimora meravigliosa, e rimasi affascinata dalla sua storia ripromettendomi in futuro di cercare qualche romanzo che parlasse di lei.

Il libro di Gerty Colin è un romanzo ben scritto e dettagliato; la scrittrice descrive minuziosamente la galleria dei numerosi personaggi, nomi noti della storia di Francia, e quella Corte dissoluta, maldicente, corrotta e meschina nella quale tali personaggi facevano bella mostra di sé imparando fin da subito l’arte della dissimulazione per non soccombere sotto i colpi delle calunnie.

Un luogo dove non ci si poteva fidare neppure dei fratelli e delle sorelle anzi talvolta era proprio da quelli più che dagli altri che ci si doveva guardare le spalle.

A fare da contraltare troviamo una Roma dove il vizio dilaga in egual misura che alla Corte francese, dove non esiste alcun rispetto per l’abito talare neppure da parte di chi lo indossa e dove procurarsi un veleno è più facile che comprare delle caramelle.

La caratterizzazione dei personaggi è ben articolata e il quadro che ne viene fuori è affascinante seppur popolato da figure per la maggior parte abbiette, subdole e lascive: Ortensia vivace e corrotta, Olimpia acida e vendicativa, Lorenzo traditore e violento... difficile salvarne qualcuno.

Maria è l’unica in tutta questo carrozzone di degenerate sanguisughe che resta fedele a se stessa e alla sua idea di amore puro.

Per lei, sempre devota al ricordo del suo primo amore, è impossibile comprendere il comportamento delle sorelle che con tanta facilità si lasciano corrompere dalla lussuria, è impossibile perdonare i tradimenti di Lorenzo così come le è oltremodo gravoso riuscire ad accettare il tradimento di coloro che credeva amici sinceri.

Luigi è il Re Sole, a lui tutto è concesso, ha sacrificato l’amore di Maria per il bene della Francia, ma resta il dubbio che l’abbia fatto perché troppo debole per opporsi al volere congiunto della madre e del suo primo ministro che desideravano sul trono al suo fianco l’infanta di Spagna Maria Teresa d’Austria.

Mentre Maria conserva la sua ingenuità quasi fino alla fine dei suoi giorni, il Grande Re è cambiato, forse a farlo mutare è stato il dolore per la perdita della sua più cara e tenera amica, forse le cattive compagnie, forse il potere, qualunque cosa sia stato però di quel giovane timido, insicuro e gentile, seppur altezzoso, nulla sembra essere rimasto, al suo posto c’è solo un sovrano presuntuoso e arrogante.

“La passione del Re Sole” è un libro coinvolgente e la figura di Maria riesce a creare un forte rapporto empatico con il lettore fin dalle prime pagine.

Il romanzo di Gerty Colin mi ha stupito notevolmente, mi attendevo, narrando la storia di una grande passione nata nella fastosa e modaiola Corte di Francia, un romanzo allegro e  vivace, invece “La passione del Re Sole” si è rivelato essere anche un romanzo malinconico, nostalgico e riflessivo come la sua protagonista Maria Mancini Colonna, colei che avrebbe potuto essere regina di Francia, ma per la quale il destino ha disposto poi diversamente.

Per tutta la lettura del romanzo ho sofferto con la protagonista per le sue pene d’amore, ho sperato che qualcosa potesse cambiare, ma una volta terminata la lettura mi sono ritrovata a chiedermi se Maria sarebbe stata davvero felice al fianco del suo amato Luigi. Davvero il Re Sole sarebbe stato diverso se avesse avuto il coraggio di seguire il proprio cuore invece di inchinarsi alla ragion di stato e ai desideri materni e del cardinale?

Purtroppo, non avrò mai la mia risposta, mi resta solo l’eco di una struggente storia d’amore che si fa strada fino a noi attraverso le nebbie del passato e per la quale mi tornano alla mente alcuni versi di Dante Gabriel Rossetti (A Superscription, sonetto 97 di The house of Life):

Guardami in volto, il mio nome è Sarebbe-potuto-essere;

e sono anche chiamato: Mai-più, Troppo-tardi, Addio.

 

 

sabato 6 giugno 2020

Villa Medici (Accademia di Francia) - Roma

Situata nel cuore di Roma, sulla collina del Pincio, Villa Medici deve il suo nome al Cardinale Ferdinando de’ Medici (1549 - 1609) che la acquistò nel 1576 e ne affidò i lavori di ristrutturazione e completamento probabilmente a Bartolomeo Ammannati (1511- 1592).

In totale contrasto con il disadorno aspetto esterno, Villa Medici, presenta una facciata interna decoratissima, completamente rivestita da antichi marmi alcuni dei quali provenienti dall’Ara Pacis.


Seguendo la moda del suo tempo Ferdinando de’ Medici amava collezionare capolavori dell’arte romana e infatti utilizzò parte di esso per fare decorare non solo la facciata della villa, ma anche lo splendido giardino che si estende ancora oggi per più di sette ettari e dal quale si può godere di una splendida vista della Città Eterna.


Quando nel 1587 il cardinale divenne Granduca di Toscana, a seguito della morte del fratello Francesco I, portò con sé a Firenze buona parte della sua collezione, altre opere invece arrivarono successivamente nel capoluogo toscano per desiderio degli eredi di Ferdinando I che nel tempo si disinteressarono sempre più della villa sul Pincio.



I leoni che fiancheggiano la scalea della loggia di Villa Medici sono copie del leone originale antico e di quello di Flaminio Vacca (1538-1605) che oggi possiamo ammirare ai fianchi della gradinata di ingresso della Loggia dei Lanzi.
Entrambe le sculture di Villa Medici furono infatti sostituite per volere di Ferdinando I quando decise di trasferire ed esporre gli originali a Firenze.



Copia del gruppo dei Niobidi. Le statue originali furono trasportate nel 1770 a Firenze dove nel 1780 trovarono collocazione in una sala a loro dedicata nella Galleria degli Uffizi.



Quella che troviamo qui a Villa Medici è una copia dell’obelisco il cui originale oggi si può ammirare nei Giardini di Boboli a Firenze dove fu fatto trasferire e collocare dal Granduca Pietro Leopoldo di Lorena nel 1788.



Padiglione di Ferdinando de’ Medici decorato da Jacopo Zucchi (1541-1590)



Scorcio della gipsoteca di Villa Medici che ospita tra gli altri anche alcuni pregevoli calchi dei rilievi della Colonna Traiana 



 Particolari del giardino, la loggia di Venere



Allegoria delle Muse, Jacopo Zucchi (1584-85 circa) soffitto a cassettoni nella Stanza delle Muse


Villa Medici nel 1804 fu acquistata dalla Repubblica Francese e da allora è sede dell’Accademia di Francia.
La prestigiosa istituzione oltre ad offrire residenza agli artisti, si fa anche promotrice di numerosi eventi culturali quali concerti, convegni e mostre.


Le visite possono essere effettuate solo con la guida e sono previsti diversi percorsi.

Ho visitato Villa Medici a luglio dello scorso anno scegliendo il percorso dedicato ai giardini e agli appartamenti; la guida era molto preparata, il numero di partecipanti molto contenuto ed erano anche previste delle soste per poter fare foto senza così dover perdere neppure un attimo di spiegazione.
Mi sono letteralmente innamorata di questo luogo magico nel centro di Roma, un'oasi di pace a due passi da Piazza di Spagna e da Scalinata Trinità dei Monti, una vera sorpresa.

Qui il link dove trovare tutte le informazioni per poter organizzare la visita.




Veniamo infine al libro da abbinare, direi “I Medici” di G.F. Young". Una pubblicazione non recentissima, senza dubbio filomedicea, ma che resta comunque per me il volume più esaustivo che abbia letto sulla dinastia fiorentina sia per quanto riguarda gli esponenti del ramo primogenito della famiglia sia per quello secondogenito, o cadetto che dir si voglia, che si estinse nel 1743 con la morte di Anna Maria Ludovica, “Ultima della stirpe reale dei Medici”, come si legge sulla sua tomba.