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sabato 11 febbraio 2023

“La gemma del cardinale de’ Medici” di Patrizia Debicke van der Noot

La storia narrata in questo romanzo si inserisce cronologicamente tra “L’eredità medicea” e “L’oro dei Medici”, i due romanzi di Patrizia Debicke van der Noot di cui vi ho precedentemente parlato.

Come nel volume "L'oro dei Medici" il protagonista è Don Giovanni de’ Medici, il fratellastro del granduca Ferdinando I. In questo romanzo Ferdinando indossa ancora la porpora cardinalizia in quanto la storia prende avvio subito dopo la dipartita del fratello, il granduca Francesco.

La morte del granduca Francesco de’ Medici e della sua seconda moglie, la bella e discussa veneziana Bianca Cappello, avvenuta a distanza di un brevissimo lasso di tempo, ha fatto sospettare fin da subito che non si fosse trattato di morti dovute a cause naturali, ma piuttosto ad un duplice omicidio.

Se i contemporanei accusarono il successore Ferdinando di essere il mandante del delitto e ancora oggi gli storici si dividono su cosa sia veramente accaduto, l’autrice del romanzo fa ricadere la colpa sul più piccolo dei figli di Cosimo I ed Eleonora di Toledo ovvero il violento e rancoroso Pietro de’ Medici, colui che si era macchiato anche dell’assassinio della moglie Leonora.

Un'ipotesi diversa ed intrigante che fa da sfondo ad un’interessante trama che si tinge ulteriormente di giallo quando sulla scena fa il proprio ingresso una setta, la setta degli eletti, al cui vertice si trova un personaggio misterioso e potente, chiamato da suoi uomini Illuminato.

Gli adepti della setta sono infiltrati tra i monaci agostiniani e sembrano avere anche il sostegno del re di Spagna, Filippo II. Il loro scopo immediato sembra quello di ottenere il dominio del Granducato di Toscana, eliminando i Medici. Pietro de’ Medici, accecato dal livore e dall’invidia, sostiene la causa senza rendersi neppure conto di quanto lui sia in realtà solo una sacrificabile pedina in un gioco molto più grande di lui.

In questo romanzo la parte di racconto dedicata all’azione si bilancia equamente con quanto concerne lo sviluppo della trama romance. Il ritmo del racconto è forse meno incalzante rispetto a quello degli altri due volumi dedicati dall’autrice alla dinastia Medici, ma è scorrevole e soprattutto non privo di colpi di scena.

Per quanto concerne i personaggi, alcuni sono di pura invenzione mentre altri, seppur realmente esistiti, sono molto rimaneggiati ovviamente per dare la giusta coloritura alla trama.

Un esempio ne sono la storia romanzata della madre di Don Giovanni, argomento già affrontato parlando del volume “L’oro dei Medici”, e la storia d’amore tra la bella Clelia Farnese, figlia del Cardinale Alessandro Farnese, e Ferdinando.

Nel romanzo si dice che Clelia fosse la madre di un figlio bastardo di Ferdinando I, poiché nato dopo la morte del primo marito della donna. In verità, il bambino nacque quando il marchese Cesarini era ancora in vita. Sarebbe invece verosimile, anche se non vi è alcuna certezza, che Clelia fosse stata realmente l’amante di Ferdinando. Tale ipotesi sarebbe avvalorata dall'esistenza di alcuni dipinti nei quali la donna ritratta potrebbe essere identificata proprio con Clelia Farnese, dipinti che, potrebbero essere stati con molta probabilità commissionati a Jacopo Zucchi proprio dal Medici.

Nell'insieme il romanzo presenta una trama ben congeniata, scorrevole e intrigante. Don Giovanni si conferma protagonista carismatico sebbene la sua figura raggiungerà la consacrazione nel libro “L’oro dei Medici”, in questo romanzo infatti deve spartirsi la scena con un quasi altrettanto affascinate Ferdinando.

I romanzi sono tutti autoconclusivi e possono essere quindi letti in ordine sparso.  In questo volume però ci sono diversi personaggi quali quello di Clelia Farnese, del Cardinale Alessandro Farnese, del Duca di Mantova Vincenzo Gonzaga che fanno senza dubbio scattare nel lettore la voglia di approfondire le loro vicende storiche.





mercoledì 18 gennaio 2023

“L’oro dei Medici” di Patrizia Debicke van der Noot

Protagonista del romanzo è l’affascinante Don Giovanni de’ Medici. L’ultimo figlio maschio di Cosimo I, nato dalla relazione con Eleonora degli Albizzi, era stato legittimato dal padre suscitando il risentimento del rancoroso e violento Pietro de' Medici, il più piccolo dei figli avuti dalla prima moglie Eleonora di Toledo.

La storia si svolge a cavallo tra il 1597 e il 1598. Abile, intelligente e seducente Don Giovanni de’ Medici è il comandante in capo dell’artiglieria e governatore del porto di Livorno nonché comandante in capo della flotta granducale. 

Don Giovanni gode del favore e della stima del fratello Ferdinando I de' Medici. Il Granduca e la moglie Cristina di Lorena, infatti, ripongono massima fiducia nel suo operato. 

Grazie alle leggi livornine emanate da Ferdinando I, Livorno è un porto florido e lo sviluppo economico della città si ripercuote positivamente sulle finanze dell’intero Granducato. Molti sono i governi che, per dare respiro alle loro casse vuote, ricorrono ai Medici per ottenere prestiti.

Rendendosi conto di non poter ottenere alcun aiuto finanziario da parte del Granducato, qualcuno si vede costretto a giocarsi il tutto per tutto ricorrendo al ricatto e all’estorsione pur di salvarsi dalla bancarotta. Non sarà facile scoprire chi tra coloro che sono vicini alla Corte sta tramando nell'ombra con il nemico.

Non tutti i protagonisti di questo romanzo sono davvero esistiti, ma si integrano perfettamente con i personaggi storici reali.

Per rispetto della verità storica, sarebbe stato però apprezzato l’inserimento di un’appendice che evidenziasse chiaramente quali siano gli elementi di pura invenzione.

Alcuni personaggi, tra cui Juan Batista de Granara y Aragon, il fratellastro di Don Giovanni, sono senza dubbio opera di fantasia. Molto rimaneggiata risulta anche la storia della madre di Don Giovanni, Eleonora degli Albizzi, che nella realtà venne costretta a un matrimonio riparatore e in seguito, ripudiata dal marito per tradimento, costretta a entrare in convento.

Al di là della fervida fantasia dell’autrice che è decisamente un punto di forza del romanzo, la trama poggia anche su solide basi storiche. Abbiamo già detto delle leggi livornine, ma ci sono molti altri punti di contatto con la storia. Ad esempio, senza voler anticipare nulla per non rovinare la suspense, è argomento centrale della narrazione la rappresentazione teatrale della Dafne di Jacopo Peri su libretto di Ottavio Rinuccini che venne realmente composta in quegli anni e in seguito rappresentata a Palazzo Pitti.

Tanti sono i dettagli e gli elementi atti a rendere realistica la trama. Un esempio ne è la minuziosa descrizione di alcuni gioielli che possiamo ancora oggi ammirare nel Tesoro dei Granduchi.

“L'oro dei Medici“ è un giallo storico ben congeniato e dalla trama avvincente, capace di catturare l’attenzione del lettore fin dalle prime pagine grazie alla presenza di personaggi seducenti e a una ambientazione molto interessante.

Assolutamente confermata la buona impressione avuta leggendo “L’eredità medicea”.


 


venerdì 13 gennaio 2023

“Il quinto sigillo” di Davide Cossu

Ci sono tempi e luoghi nella storia in cui sembrano essersi ritrovati tutti insieme, quasi per magia, artisti e uomini di eccezionale valore. Nessuno di questi luoghi, però, può essere paragonato a quella che fu la Firenze del Quattrocento.

Il libro di Davide Cossu ci conduce nella Città del Giglio ai tempi di Cosimo il Vecchio quando la cupola del Duomo lasciava ancora intravedere il cielo e in città era in corso il Concilio indetto per riunire, dopo quattro secoli di scisma, la Chiesa latina e la Chiesa greca. Il Concilio a causa della peste aveva, infatti, lasciato Ferrara e si era trasferito a Firenze. 

Il romanzo si apre con l’omicidio di un giovane greco, Teodoro Niceta, segretario del metropolita Bessarione. Cosimo de’ Medici e il cardinale Albergati, con il beneplacito di papa Eugenio IV, incaricano di occuparsi del caso due curiali: Leon Battista Alberti, abbreviatore della cancelleria apostolica, e Tommaso Parentucelli, segretario personale e bibliotecario del cardinale Albergati.

Il catalogo dei possibili mandanti è vastissimo. Sono parecchi, infatti, a desiderare il fallimento del Concilio, tra questi persino Demetrio Paleologo, il fratello dell’imperatore. Tra i maggiori sospettati non mancano neppure gli Albizzi che non hanno mai smesso di tramare nell’ombra per disarcionare il Medici e poter così fare ritorno a Firenze. Tutto si complica ulteriormente quando tra le possibili cause sembra non potersi escludere neppure la pista del delitto passionale.

La logica deduttiva tipica del giallo e il ritmo serrato del thriller si fondono alla perfezione in questo romanzo. Sulla scena, oltre ai protagonisti, sfila una pletora di personaggi che partecipano all’azione e contribuiscono a rendere il racconto estremamente intenso. Brunelleschi, Beato Angelico, un giovanissimo Benozzo Gozzoli sono solo alcuni dei nomi che animano le pagine di questo intrigante romanzo storico.

Filosofia e dottrina, ma anche diplomazia e abilità politica sono le protagoniste al pari degli altri personaggi del libro di Davide Cossu dove non mancano chiari e specifici riferimenti ai testi che caratterizzarono gli studi umanistici dell’epoca.

L’affresco del periodo è talmente puntuale e dettagliato da non tralasciare neppure alcune curiosità, o forse leggende, che si rifanno proprio all’epoca del Concilio. Sembrerebbe infatti che il Vin Santo e l’arista vengano chiamati così a seguito di due esternazioni fatte dal metropolita Bessarione che, durante un banchetto, avrebbe paragonato la dolcezza del vino bevuto a quella del vino di Xantos e definito l’arrosto di maiale ἄριστος ovvero il migliore che avesse mai mangiato.

Non nascondo che alcuni passaggi del romanzo possano apparire un po’ ardui proprio per la disciplina trattata, ma nell’insieme la narrazione risulta scorrevole. Davvero apprezzabili sono gli scambi di battute e lazzi tra i vari personaggi che contribuiscono a rendere oltremodo vivide le scene e coinvolgente il racconto.

“Il quinto sigillo” è il romanzo d’esordio di Davide Cossu e per usare un termine cinematografico credo si possa proprio dire "Buona la prima!"




 

domenica 1 gennaio 2023

“Ritratto di un matrimonio” di Maggie O’Farrell

La storia non può essere riscritta, ciò che è accaduto non può mutare, ma la letteratura può ridisegnare il passato, addirittura modificarne il finale.

La storia di Lucrezia de’ Medici, la minore delle figlie di Cosimo I ed Eleonora di Toledo, andata in sposa ad Alfonso II d’Este è una di quelle storie poco conosciute che, forse proprio per questo motivo, più di altre si prestano ad essere reinterpretate dalla letteratura. 

Maggie O’Farrell ci racconta la storia di una donna del Rinascimento la cui esistenza è avvolta nel mistero. Lucrezia morì di tisi a neppure un anno dal suo ingresso a Ferrara come duchessa consorte. Sulla sua morte circolarono all’epoca molte voci di un possibile avvelenamento. Proprio da queste dicerie l’autrice trae spunto per il suo romanzo.

Corre l’anno 1561, Lucrezia è stata condotta dal marito nella fortezza vicino a Bondeno. La giovane sa con certezza che il marito ha intenzione di assassinarla. Non si spiegherebbe diversamente la scelta di portarla lì, senza la compagnia delle sue cameriere, scortati solo da alcune guardie.

In un rincorrersi di continui flashback, Maggie O’Farrell tratteggia la figura di Lucrezia a partire dal suo concepimento avvenuto in una delle stanze di Palazzo Vecchio, la Sala delle Carte geografiche.

Lucrè, come veniva chiamata dai familiari, era una bambina particolare, una ribelle fin dalla nascita. Intelligente e appassionata, minuta per la sua età, veniva trascurata da tutti i famigliari, ignorata e sbeffeggiata dai fratelli, spesso derisa dalle sorelle maggiori Isabella e Maria.

Insofferente al cerimoniale spagnolo che vigeva alla corte fiorentina, lo sarà altrettanto nei confronti di quello della corte ferrarese. La giovane Medici mal sopportava dover posare per farsi ritrarre, ma amava in modo viscerale dipingere. La pittura e il disegno le donavano quella pace e quell’equilibrio interiore di cui aveva bisogno; attraverso l’arte riusciva ad esorcizzare le sue paure e a ritrovare se stessa.

Per un perverso gioco del destino Lucrezia dovette prendere il posto della sorella. Doveva essere, infatti, la primogenita di Cosimo ed Eleonora a diventare un giorno duchessa consorte a fianco del futuro Alfonso II d’Este. Purtroppo, però, Maria sì ammalò gravemente e morì durante il fidanzamento. Lucrezia dovette accettare il suo destino e piegarsi alla fredda ragion di stato.

Quando neppure sedicenne venne consegnata al marito, per un momento volle credere che il suo matrimonio potesse rivelarsi un’unione felice come quella dei suoi genitori. Ben presto, però, dovette ricredersi poiché Alfonso era un uomo spietato che governava con il pungo di ferro. Lei, figlia della fecondissima Eleonora di Toledo, non era altro che un mero strumento per dare un erede al ducato, nulla di più.

Il ritmo del romanzo è piuttosto lento e una sensazione di angoscia pervade tutta la narrazione. L'atmosfera è pervasa fin dalla prima pagina da un senso di incombente ed ineluttabile tragedia. Le figure che ruotano attorno a Lucrezia sono caratterizzate nei minimi dettagli e si stagliano vivide nel racconto delle corti rinascimentali descritte magistralmente dalla penna di Maggie O’Farrell. In particolare, il personaggio della sorella di Alfonso Nunciata, che sembra quasi uscita da un quadro di Botero, riesce a suscitare un sentimento di antipatia tale nel lettore che sarebbe difficile da raggiungere se l’autrice non fosse tanto capace a delineare la psicologia dei personaggi.

Moltissime sono le licenze storiche che Maggie O’Farrell si è concessa per scrivere il suo romanzo, ma come è giusto che sia, sebbene piuttosto spesso questo non accada, il lettore troverà al termine della lettura una valida nota dell’autrice in cui viene fatta chiarezza su tutte le modifiche fatte in favore della coerenza narrativa.

In fin dei conti un romanzo storico è un’opera di fantasia ed è giusto che la creatività del suo autore venga lasciata libera di correre senza freni né intralci. 




lunedì 14 novembre 2022

“L’eredità medicea” di Patrizia Debicke van der Noot

Nella notte tra il 5 e il 6 gennaio del 1537 il Duca di Firenze Alessandro de’ Medici viene assassinato dal cugino Lorenzino de’ Medici che da quel momento diventa per tutti Lorenzaccio.

Con la morte del Duca Alessandro, ultimo discendente diretto del ramo di Cafaggiolo della famiglia Medici, il vuoto di potere che viene a crearsi nella Città del Giglio è oltremodo pericoloso. 

Firenze fa gola a molti, non solo all’imperatore Carlo V, ed è quindi di vitale importanza nominare in fretta un successore.

Mettendo a tacere coloro che auspicherebbero un ritorno alla repubblica, con l’appoggio di Alessandro Vitelli, comandante dell’esercito imperiale, e con quello del primo ministro, il cardinale Innocenzo Cybo, la scelta ricade sul diciasettenne Cosimo de’ Medici.

Il giovane, figlio di Giovanni delle Bande Nere e di Maria Salviati, che riunisce in sé i due rami della famiglia Medici, quello Popolano per parte di padre e quello di Cafaggiolo per parte di madre, grazie al basso profilo che ha sempre mantenuto sembra proprio il candidato ideale. Cosimo ha sempre mostrato più interesse per la caccia che per la politica e, almeno sulla carta, questo fa di lui una pedina facile da manipolare.

Cosimo però è figlio di suo padre e, anche grazie all’istruzione fattagli impartire nel corso degli anni dalla madre, si rivela tutt’altro che docile. Fin da subito scalpita per imporsi e affermare il ruolo che gli spetta.

Molti tramano nell’ombra e Ombra è proprio il nome con cui si fa chiamare colui che con ogni mezzo cerca di assassinare il nuovo Duca. Tra congiure ed eserciti che si radunano per spodestarlo, non sarà facile per Cosimo de’ Medici riuscire a distinguere quali siano i veri amici di cui potersi fidare e quali invece si fingano tali solo per poterlo eliminare.

“L’eredità medicea” è un libro carico di suspense in cui, sebbene si possa intuire chi si celi dietro la maschera indossata dall’Ombra, il colpo di scena rimane sempre dietro l’angolo. Non esiste una netta distinzione tra bene e male; anche il personaggio più positivo, in verità, nasconde nel suo animo più profondo delle zone d’ombra.

Cosimo de’ Medici e Alessandro Vitelli sono entrambi protagonisti. Cosimo è coraggioso e intelligente, ma anche testardo, ombroso e troppo impulsivo. Vitelli però lo conosce da sempre, sa come prenderlo e grazie ai suoi sottili insegnamenti riuscirà a farne un uomo di comando capace e scaltro.  

I personaggi sono tutti ben caratterizzati. L’autrice ne dà una dettagliata descrizione sia psicologica che fisica. I due fratelli Vitelli, nipoti del comandante dell’esercito imperiale, la vedova di Alessandro de’ Medici, la giovane Margarita d’Austria, Angela, la moglie di Alessandro Vitelli, il luogotenente Montauto sono solo alcune delle numerose figure che animano questo romanzo.

Ci sono poi i personaggi più oscuri, Paolo III e il figlio Pier Luigi Farnese, che non possono non richiamare alla mente altre due celebri figure ovvero quella di Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borgia, e quella di suo figlio Cesare detto il Valentino.

Pier Luigi Farnese è un soldato, un mercenario, audace e risoluto, ma anche un uomo privo di scrupoli e immorale, capace di efferatezze inaudite. Il papa, suo padre, però stravede per questo suo figlio sempre vestito di nero come nera è la sua anima.

Il libro di Patrizia Debicke van der Noot è un romanzo dal ritmo incalzante e avvincente. Un thriller storico convincente e intrigante come i suoi personaggi.




mercoledì 9 novembre 2022

“I gioielli dei Medici dal vero e in ritratto” a cura di Maria Sframeli

Dal 12 settembre 2003 al 2 febbraio 2004 si tenne al Museo degli Argenti (Palazzo Pitti, Firenze) una mostra dedicata alla gioielleria medicea dal XVI e XVIII secolo. Curatrice della mostra, allestita da Mauro Linari, fu Maria Sframeli che ne curò anche il catalogo.

I gioielli sono il genere artistico che più difficilmente si è conservato nel corso dei secoli. Questo perché le pietre venivano spesso rimosse e i materiali preziosi fusi per essere trasformati seguendo la moda del momento o, talvolta, più semplicemente per fare cassa.

Oggi, l’unico modo di ricostruire l’iconografia dei gioielli perduti è quello di affidarci alla pittura e ai documenti d’archivio.

Le prime notizie sull’interesse dei Medici per i gioielli risalgono ai tempi di Giovanni di Bicci. Il primo della famiglia che iniziò a collezione gioielli, però, fu Cosimo de’ Medici. Al suo tempo risalgono infatti le prime commissioni ad artisti quali il Ghiberti per la realizzazione di montature per cammei antichi e oggetti preziosi. Questa passione per la gioielleria si intensificò poi con Piero de’ Medici e con il figlio di questi Lorenzo il Magnifico.

Nel Quattrocento il collezionismo di preziosi, seguendo un antico retaggio mercantesco e medievale, oltre che un desiderio da soddisfare per il proprio piacere personale, era ancora considerato soprattutto un sicuro investimento di capitali. In quell’epoca non vi era ostentazione dei gioielli, prova ne sono gli affreschi dove i personaggi della famiglia non indossano nessuna gemma importante anche laddove siano abbigliati con eleganza.

Era consuetudine, inoltre, nelle cerimonie nuziali fare dono di gioielli alla sposa da parte di amici e parenti ovviamente a seconda della condizione sociale ed economica di appartenenza.

Purtroppo, nessun gioiello mediceo quattrocentesco è giunto a noi.

Il matrimonio di Cosimo I con Eleonora di Toledo segnò un punto di svolta anche per i preziosi che divennero i protagonisti principali per la promozione di quell’immagine pubblica voluta dallo stesso Cosimo per il proprio governo.

Nel 1545 fece il suo ingresso a Firenze Benvenuto Cellini. Impegnato con il suo Perseo, che venne poi collocato nella Loggia dei Lanzi, il Cellini dovette dedicare però parte del suo tempo anche alle continue richieste di Eleonora di Toledo con la quale non ebbe un rapporto sereno. Si dice infatti che lei fosse alquanto esigente e capricciosa. Non meno pretenziosa e appassionata di gioielli fu la seconda moglie del granduca Cosimo Camilla Martelli.

Le donne della famiglia potevano usufruire solo temporaneamente dei gioielli di cui entravano in possesso poiché questi erano di fatto proprietà della corona e come tali venivano trasmessi solo per linea maschile.

Oltre a quello di Benvenuto Cellini altri sono i nomi ricordati in quel periodo e tra questi vi è anche quello di Hans Domes famoso per aver realizzato la corona granducale di Cosimo I. Francesco I, il suo successore, invece, ne commissionò una nuova ancora più suntuosa all’orefice Bylivert.

Tra i gioielli più preziosi della corte medicea si ricorda il famoso diamante di colore paglierino detto "il Fiorentino” acquistato da Ferdinando I e oggi andato perduto. Ricordato ancora negli elenchi del 1741, ne possiamo ammirare solo l’immagine in un dipinto di Maria Maddalena d’Austria dove l’acconciatura è completata da un pennino decorato proprio con il famoso diamante.

Altro straordinario gioiello fu il cosiddetto “Collare di Ferdinando” dove sembra fossero profusi ben cinquemila brillanti. Anch’esso fece la fine di molti gioielli fusi e smontati per seguire le mode del momento. In questo caso fu Cosimo III che lo fece smontare in occasione del matrimonio del Gran Principe Ferdinando con Violante di Baviera.  Parte dei gioielli destinati alla sposa derivavano proprio dal famoso collare.

Il catalogo ci porta ad esplorare la Corte medicea e il mondo delle varie istituzioni dell’epoca; molto interessanti sono i paragrafi dedicati al Toson d’oro e all’Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano, quest’ultimo istituito da Cosimo I de’ Medici.

La lettura si rivela una vera passeggiata nella storia della gioielleria. Non solo orecchini e pendenti, tanto amati dalle donne della dinastia medicea, ma anche preziosi che adornavano le varie acconciature (grillande, pennini, sopracciuffi), cinture e paste odorifere da inserire all’interno dei gioielli stessi.

Scorrono dinnanzi a noi le immagini dei diversi personaggi con le loro storie, come quelle di alcune donne di casa Medici che andarono in sposa nelle varie Corti lontane dal Granducato portando con sé l’eleganza dell’arte e dell’oreficeria fiorentina.

E si arriva così all’ultima donna della dinastia, Anna Maria Luisa l’Elettrice Palatina di cui tante volte abbiamo parlato. Lei nutrì una vera passione per quelle che venivano chiamate galanterie gioiellate. Purtroppo, questo patrimonio non fu facile da mettere in salvo e pochissimo è giunto sino ai giorni nostri.

Questo libro offre spunti di lettura diversi sia dei protagonisti che dell’arte e della moda del loro tempo. Dopo la lettura di questo volume, ad esempio, lo sguardo che si rivolgerà ad un dipinto non sarà più lo stesso perché quella pittura assumerà ai nostri occhi moltissime sfumature diverse facendoci porre anche inaspettati interrogativi.



 

lunedì 31 ottobre 2022

“Poesie di Don Francesco dei Medici a Mad. Bianca Cappello” tratte da un Codice della Torre al Gallo dal Conte Paolo Galletti

Il volume si apre con il racconto della storia di Bianca Cappello, la bellissima veneziana che all’età di appena sedici anni fuggì insieme al suo innamorato Piero Buonaventuri (o Pietro Bonaventuri).

Correva l’anno 1563, i due giovani si rifugiarono a Firenze nella casa paterna di lui dove convolarono a nozze. 

Lo scandalo suscitato dalla loro fuga fu grande e fin da subito giunsero terribili notizie da Venezia dove i potenti parenti di Bianca istigarono la Serenissima ad emettere terribili bandi nei confronti dei fuggitivi. I Medici, però, vennero in loro soccorso e la coppia poté rimanere a Firenze.

In verità, a dispetto dell’aiuto mediceo, il finale non fu il classico ...e vissero felici e contenti o, almeno, non vissero felici e contenti insieme a lungo nonostante la nascita di una figlia, Pellegrina.                                                                  

Bianca divenne dapprima amante di Francesco de’ Medici e poi, rimasti vedovi entrambi, lo sposò diventando così granduchessa di Toscana; il Buonaventuri, invece, ottenne l’incarico di Guardarobiere del Principe, quasi una sorta di risarcimento per l’infedeltà della moglie.

Il Buonaventuri, da parte sua, non si fece mancare numerose avventure, spesso anche con donne di alto lignaggio, e proprio una di queste scappatelle potrebbe essere stata la causa della sua morte. Diciamo potrebbe perché, se è certo che perì di morte violenta, per quanto riguarda movente e mandante tutto resta ancora avvolto nel mistero.

Così come ancora un caso irrisolto resta quello della morte di Francesco e Bianca avvenuta a poche ore di distanza nella villa di Poggio a Caiano. L’indiziato numero uno fu spesso visto nel successore di Francesco I, il di lui fratello Ferdinando I, ma non vi sono prove tranne l’odio che questi nutriva per Bianca tanto da farne oggetto di una vera e propria damnatio memoriae.

Il libro, contrariamente a quanto sembrerebbe suggerire il titolo, non riporta per intero le poesie che Francesco scrisse per Bianca Cappello.

Il volume si propone piuttosto come uno studio del codice Mediceo-Cappelliano ovvero un Codice della Torre al Gallo che il Conte Paolo Galletti esamina con l’intento principale di provare la paternità dell’opera.

Confutando possibili altre attribuzioni, e lasciando solo un timido spiraglio per un’attribuzione a Torquato Tasso che scrisse poesie in onore di Bianca Cappello, l’autore analizza alcuni versi cercando di identificarne anche il periodo in cui questi furono scritti.

Dalle letture delle poesie sembrerebbe abbastanza certo che Bianca Cappello non avesse ceduto subito alle lusinghe d’amore del Principe così come sembrerebbe evidente che la gelosia fosse sentimento comune ad entrambi. Da un lato leggiamo di un risentimento da parte di Bianca quando obbligato dalla Ragion di Stato il Medici è costretto a sposare la rigida Giovanna d’Austria, dall’altro del tormento e dei dubbi che assalgono il Principe poiché a Bianca non mancano di certo corteggiatori ed estimatori.

Il libro è poi corredato di diverse appendici nelle quale vengono approfonditi gli argomenti accennanti nelle pagine dedicate al commento dei madrigali.

Tra questi vanno ricordati anche alcuni componimenti che il Principe dedicò ai fratelli Giovanni e Garzia morti anch’essi in circostanze misteriose allorquando Francesco si trovava alla corte di Madrid.

Le malelingue riportarono allora un racconto che voleva la morte di Giovanni avvenuta per mano del fratello, forse per un incidente di caccia, e la morte di Garzia per mano del padre, il Granduca di Toscana Cosimo I, accecato dal dolore per la perdita del figlio prediletto Giovanni.

Un po’ forzatamente l’autore del volume tende a voler vedere nei versi di Francesco de’ Medici quasi una conferma di tale apparente calunnia.

Nel libro, poi, non mancano alcune imprecisioni come laddove si attribuisce la morte di Isabella de’ Medici al marito Paolo Orsini e al padre Cosimo I. in verità, se Isabella davvero fu assassinata dal marito, ciò avvenne con la complicità del fratello Francesco I e non del padre che non solo all’epoca era già passato a miglior vita, ma che nutrì sempre una particolare predilezione per quella figlia dall’intelligenza tanto vivace.

Nell’insieme si tratta di una lettura molto particolare, suggestiva e piacevole che non manca di indicare nuovi spunti di lettura e di interpretazione sia sulla storia tra Bianca e Francesco sia sulle vicende dell’epoca in cui essi vissero.

Il libro edito a Firenze nel 1894 è reperibile sul mercato secondario.





domenica 23 ottobre 2022

“Gli agrumi dei Medici” di Francesco Pavesi

La coltivazione degli agrumi per scopo farmaceutico era presente a Firenze fin dal Medioevo. Questo loro specifico utilizzo, alternato ad altri usi, proseguì anche nel Quattrocento all’epoca di Cosimo il Vecchio, Piero il Gottoso e Lorenzo il Magnifico.

Coltivazioni di agrumi erano quindi presenti già nelle ville appartenute agli esponenti del ramo mediceo di Cafaggiolo. Un esempio su tutti è Villa Medici a Fiesole dove Giovanni de’ Medici, figlio di Cosimo il Vecchio, fece mettere a dimora numerosi esemplari di agrumi acquistati a Napoli appositamente allo scopo. 

È però nel Cinquecento con Cosimo I che la produzione di agrumi venne intensificata trasformandosi in un vero e proprio collezionismo. La novità assoluta fu rappresentata dalla coltivazione degli agrumi in vaso. Non ci sono di fatto notizie che tale sistema fosse stato usato nei secoli precedenti.

Queste collezioni furono poi arricchite nel corso dei secoli dai granduchi successivi e dai loro famigliari fino alla fine della dinastia.

In particolare, l’apice venne raggiunto con Cosimo III de’ Medici che, oltre ad incrementare la collezione, si adoperò affinché ne rimasse traccia commissionando a pittori come il Bimbi, specializzato in nature morte, il compito di immortalare sulla tela i diversi esemplari con particolare riguardo a quelli più bizzarri.

Ho usato volutamente il termine bizzarro perché la Bizzarria è uno dei tantissimi esemplari che vengono analizzati nel volume. Si tratta di una chimera in cui la parte esterna è rappresentata dall’arancio amaro mentre l’interno è un cedrato.

Capisco che queste parole potrebbero spaventare un potenziale lettore non addetto ai lavori, quale io stessa sono, ma in verità il libro di Francesco Pavesi oltre ad essere corredato di molte immagini esemplificative che accompagnano il lettore nei passaggi più ardui, risulta anche un volume molto ben organizzato.

Non mancano di essere indagati i più svariati usi che vennero fatti degli agrumi nel corso dei secoli: da quello farmaceutico. al quale si è già accennato. a quello ornamentale, grazie alla loro fioritura che in alcuni casi avviene anche fino a quattro all’anno, a quello alimentare, con la produzione di sorbetti, sciroppi, canditi ecc., a quello cosmetico con profumi, acque profumate e creme di bellezza fino ad utilizzi più comuni come i sacchettini per profumare la biancheria.

Risulta davvero strano come la famiglia Medici, nonostante l’ottima idea di potenziare la coltivazione di agrumi, non ne seppe, o non ne volle, sfruttare il potenziale economico che ne sarebbe derivato da un commercio anche in considerazione della favorevole posizione climatica delle coste del Granducato che ne avrebbero facilitato lo sviluppo.

I Medici si limitarono, invece, a coltivarli per proprio uso e consumo oltre che per uno scopo propagandistico della dinastia come nel caso di Cosimo I che giocò molto sul mito del giardino delle Esperidi e sul ritorno di una nuova Età dell’oro con un chiaro riferimento al proprio governo.

Furono inoltre spesso utilizzati come un dono prezioso da inviare a regnanti e personalità importanti dell’epoca. A questo scopo furono particolarmente utili le ricerche sulle ibridazioni per favorire la nascita di frutti dalle forme sempre più particolari e ricercate.

La storia degli esponenti della dinastia e della loro passione per gli agrumi, lo studio e la classificazione dei diversi esemplari di piante e l’architettura dei giardini delle ville medicee si fondono perfettamente in questo volume regalando al lettore un nuovo e inaspettato tassello della storia medicea.

La dinastia Medici, famosa per il suo mecenatismo in campo artistico, letterario e musicale, è da sempre conosciuta anche per i suoi molteplici interessi legati al collezionismo. Con il libro di Francesco Pavesi, però, scopriamo una loro passione inaspettata: la “citromania”.

Questa mania si impossessò di molti esponenti della famiglia Medici e nel libro si ricordano anche quei personaggi che sono forse sconosciuti ai più come Don Antonio, figlio naturale di Francesco I e Bianca Cappello, o i principi Giovan Carlo e Leopoldo, fratelli di Ferdinando II de’ Medici.

Pochi luoghi, tra ville e giardini, possono vantare ancora una collezione originaria, quali siano ve lo lascio scoprire leggendo il libro. Se però tra i vari intenti dell’autore c’era quello di spingere il lettore a visitare i luoghi in cui queste collezioni furono messe a dimora, direi che lo scopo è stato pienamente raggiunto. Dopo questa lettura nessun giardino, villa o palazzo mediceo potrà essere più guardato con gli stessi occhi.

 


mercoledì 19 ottobre 2022

“Scoperte e ritorni” a cura di Cristina Acidini e Sandro Bellesi

Il libro è una miscellanea di brevi saggi su argomenti diversi che hanno come denominatore comune la figura di Alberto Bruschi alla cui memoria il volume è dedicato.

Invero, non si tratta di scritti celebrativi né tanto meno di meri racconti aneddotici bensì, piuttosto, di contributi offerti da studiosi, antiquari e storici dell’arte che ebbero con Alberto Bruschi rapporti di amicizia, di lavoro e di confronto sulle più svariate tematiche. 

In questi saggi la figura di Bruschi appare spesso sullo sfondo come un cammeo o talvolta si manifesta nelle vesti di un deus ex machina che, grazie alle sue molteplici capacità, fornisce interessanti soluzioni e un valido supporto.

Alberto Bruschi fu, come si comprende già leggendo il significativo profilo biografico all’inizio del volume, un uomo colto, brillante e appassionato. I suoi interessi spaziarono dall’arte antica a quella moderna, dalla storia all’archeologia.

Uomo dalla personalità estremamente versatile, difficile, se non impossibile darne un’univoca definizione. Fu antiquario, storico, romanziere, saggista, archeologo, collezionista, letterato, promotore di iniziative culturali.

Non fu mai avaro delle proprie competenze. Mai lesinò il proprio sostegno a coloro che si rivolsero a lui per un consiglio o un aiuto.

Di questa sua disponibilità al servizio dell’arte e della conoscenza il libro riporta infiniti esempi. A voler citarne uno in particolare si potrebbe ricordare quella volta in cui non riuscì ad intercettare prima dell’amico Giuseppe De Juliis un ritratto di Gian Gastone de’ Medici in un catalogo di vendita, eppure, nonostante la delusione cocente che dovette provare in quel momento, non ci pensò un attimo a fornire all’amico tutto il supporto necessario.  

Nel volume si spazia dalla pittura lucchese alla porcellana di Doccia sino ai disegni di Lorenzo Gelati. Ognuno, leggendo questo libro, potrà scoprire quella particolarità di Alberto Bruschi a lui più affine, più vicina al suo modo di sentire. 

Ho conosciuto la figura di Alberto Bruschi grazie ai suoi libri dalla prosa raffinata, elegante, intrisa di ironia, ma sempre misurata. Una prosa che è ricerca di bellezza, dove ogni parola e ogni virgola sono studiate, riviste, pensate e soppesate, ma la perfezione raggiunta non è mai artifizio quanto piuttosto poesia in prosa.

Alberto Bruschi fu un appassionato di storia medicea, in particolare modo di quella degli ultimi Medici; a lui si deve infatti la valorizzazione della figura di Anna Maria Luisa Elettrice Palatina. Da ricordare inoltre il suo impegno per riabilitare la figura dell’ultimo Granduca Medici a cui fu particolarmente affezionato.

Proprio la passione che egli ebbe per la storia e gli esponenti della dinastia medicea lo spinsero a dedicare la propria vita alla ricerca di ogni sorta di cimelio, dipinto e oggetto che li riguardasse o fosse loro appartenuto. Molti sono i saggi di questo volume la cui lettura mi ha oltremodo appassionato, ma quelli che più mi hanno coinvolta riguardano senza dubbio questa ricerca che a volte assume quasi l’aspetto di una caccia al tesoro.

L’estate scorsa ho avuto la fortuna di poter vedere da vicino alcune di questi reperti ed opere d’arte grazie all’amicizia di Candida Bruschi che non ringrazierò mai abbastanza per avermi aperto le porte della sua casa per rendermi partecipe di tanta bellezza e conoscenza. Leggere di quelle opere oggi mi ha fatto rivivere tutte le emozioni provate allora. Emozioni che si riaffacciano ogni qualvolta riprendo in mano gli scritti del suo babbo per rileggere quelle parole che solo lui sapeva, con tanta grazia, dedicare a un principe tanto illuminato e colto quanto sfortunato e triste quale fu Gian Gastone de’ Medici.

Numerosi sono gli scritti di cui vorrei parlarvi tra cui quello dedicato alla casa-torre ovvero la Torre Lanfredini in Oltrarno che, come scrive Elena Capretti, Alberto Bruschi elesse a suo “studio, rifugio, giaciglio e pensatoio”, ma un solo post non basterebbe.

Almeno un breve accenno è però doveroso farlo al saggio di Cristina Acidini sull’apertura di un museo dedicato a Caterina de’ Medici nella Villa medicea di Cafaggiolo. Il museo, per l'allestimento del quale Cristina Acidini si era confrontata proprio con Alberto Bruschi, che all’epoca stava collaborando all'apertura del nascente Museo de Medici a Firenze, per ora, complici anche le procedure progettuali e la pandemia, è rimasto purtroppo solo un proposito di costruendo museo che si spera un giorno possa davvero vedere la luce.

Credo sinceramente che Alberto Bruschi, per quanto io possa averlo conosciuto solo attraverso i suoi scritti e i racconti della sua famiglia, sarebbe stato davvero lieto di questo volume pensato e scritto in sua memoria. Trovo infatti che i saggi qui raccolti, senza alcuna piaggeria, incarnino perfettamente quello spirito eclettico, quella sete di conoscenza e quella raffinata sensibilità artistica che contraddistinsero colui a cui sono dedicati.

Vi saluto con alcune parole che Alberto Bruschi dedicò proprio a Gian Gastone de’ Medici, quel granduca che tanto amò, ma al quale con la sua penna leggera non fece mai sconti:

Nel rosolio che beveva in quantità durante questi intrattenimenti, cercava di affogare infiniti ricordi non facili da rimuovere. Le sue baldorie sono la manifestazione dell’inesprimibile tristezza dell’allegria. Egli è tutto e il contrario di tutto, il suo caleidoscopico comportamento sembra un cumulo di ossimori.


 


lunedì 12 settembre 2022

“Cosimo de’ Medici” di Lorenzo Tanzini

Lorenzo de’ Medici è senza dubbio la figura ricordata come la più rappresentativa del Quattrocento. Invero, un altro esponente della famiglia fu altrettanto significativo del Magnifico: Cosimo de’ Medici.

Cosimo Pater Patriae non fu solo colui che portò il Banco Medici alla sua massima espansione con la creazione di filiali in tutta Europa, ma fu colui che diede anche un notevole impulso all'architettura.

Non è mai corretto fare confronti fra le varie figure storiche, ma è fuor di dubbio che Lorenzo non fu altrettanto abile del nonno quando si trattava di affari. Al suo tempo non solo il Banco avviò una spirale negativa, ma addirittura ci fu chi dubitò della sua onestà ritenendo che egli si fosse appropriato di denaro pubblico per finanziare i propri interessi.

Nonostante il grande contributo che, come mecenate, dimostrò verso artisti e letterati, Lorenzo de’ Medici non contribuì quanto Cosimo allo sviluppo dell’architettura. La sola commissione attribuita al Magnifico fu, infatti, la villa di Poggio a Caiano che tra l’altro fu portata a termine dal figlio Giovanni, il futuro Leone X.

Si stima che dal 1434 fino al 1471 vennero spesi da Cosimo ben 664mila fiorini in costruzioni, elemosine e contributi per il benessere e le necessità della comunità cittadina.

Marsilio Ficino scrisse di Cosimo “egli era tanto acuto nel disputare quanto prudente e forte nel governare”.

Le basi per il governo mediceo furono indubbiamente gettate da Cosimo il Vecchio sia politicamente che economicamente. Di vitale importanza fu la sua lungimiranza nel voler stringere una stretta alleanza con Milano. L’alleanza con gli Sforza fu importante per Firenze, ma ancora di più lo fu come protezione e salvezza del regime mediceo.

Cosimo ebbe solo un unico grande rammarico, quello di non essere riuscito ad estendere il dominio di Firenze su terre più vaste e nella fattispecie di non essere mai riuscito, nonostante i tentativi più volte fatti, a conquistare la città di Lucca.

Le due epoche in cui vissero Cosimo e Lorenzo furono molto diverse sia per i movimenti sullo scacchiere politico italiano sia per la politica fiorentina. Al tempo di Cosimo era impensabile poter divenire signori assoluti di Firenze come di fatto lo divenne poi il Magnifico.

Cosimo Pater Patriae fu non solo un ottimo banchiere, ma anche un ottimo statista che dimostrò di saper guidare con giudizio i suoi interlocutori e orientarne le scelte ora con il denaro ora con un gioco di scambio politico.

La sua più grande dote fu forse proprio quella di sapere guidare senza comandare, giocando sempre sull’ambiguità degli eventi per condurli all’esito a lui più favorevole.

Caratterizzato da una personalità poliedrica, Cosimo si adoperò spesso per la promozione di imprese assistenziali e religiose.

Il libro di Tanzini affronta i tanti suoi aspetti: quello del banchiere, dello statista, del cittadino, del politico, del capofamiglia, del collezionista, del mecenate e dell’uomo di cultura. Un saggio molto ben documentato, puntuale e dettagliato. Un ottimo testo per approfondire la conoscenza di questa affascinante figura storica. 

 

 

domenica 11 settembre 2022

“La vita quotidiana nella Roma pontificia ai tempi dei Borgia e dei Medici” di Jacques Heers

Due date importanti segnano i limiti cronologici del periodo preso in esame da Jacques Heers in questo suo saggio del 1986 riproposto dal Corriere della Sera nella collana “Biblioteca della storia. Vite quotidiane”.

Nel 1420 Martino V, riconosciuto come unico sovrano pontefice, rientra a Roma. Con la sua elezione avvenuta il giorno 11 novembre del 1417 al Concilio di Costanza si risolve lo scisma d’Occidente. La sede del papato lascia Avignone per fare ritorno nell’Urbe. 

Roma tra la fine del Quattrocento e l’inizio del secolo successivo è una città piena di contraddizioni.

È contrassegnata da intrighi, violenze, guerre intestine, nepotismo e libertinaggio, ma in mezzo a tante ombre fioriscono anche quelle arti e quella letteratura che ne fanno un centro culturale di primo piano.

Roma in breve tempo grazie alla sua fervida vita intellettuale e all’amore per il bello iniziò infatti a rivaleggiare con i centri più importanti quali la Firenze di Lorenzo il Magnifico.

Il limite cronologico di questo periodo di risveglio e di trasformazione dell’Urbe viene identificato da Heers con il sacco di Roma avvenuto nel 1527 e compiuto dalle truppe imperiali di Carlo V composte principalmente da lanzichenecchi tedeschi. Sul soglio di Pietro sedeva Clemente VII, al secolo Giulio de’ Medici. Tale evento non causò un declino insanabile, ma rappresentò con la sua brutalità un forte punto di rottura.

Il libro di Jacques Heers è un saggio ben articolato che analizza la Roma pontificia del XV secolo e gli inizi del XVI secolo nel suo insieme. Non si sofferma banalmente sugli aspetti materiali e comuni dello stile di vita come, ad esempio, sugli alimenti o sui tessuti e non si focalizza neppure, come si potrebbe desumere dal titolo, sulla storia dei pontefici come singole figure storiche.

Osservando l’evoluzione degli eventi nel loro complesso, Heers preferisce indagare il motivo di certe dinamiche all’interno dello scacchiere politico e religioso dell’Urbe.

I pontefici erano a tuti gli effetti dei veri capi di Stato e come tali avevano una loro corte. Il loro però era uno Stato cosmopolita la cui azione si sviluppava ben oltre i paesi vicini estendendosi anche verso l’Oriente e ad un certo punto della storia anche verso le Americhe. Il loro potere era a tempo determinato, era un potere non trasmissibile in quanto eletti da un conclave di principi della Chiesa che, a loro volta, potevano vantare una loro propria corte personale. Talvolta ci furono comunque due papi appartenenti alla stessa famiglia nel giro di pochi anni, ad esempio, Borgia e Medici giusto per ricordare le due famiglie indicate nel titolo del libro.

Heers esamina ogni aspetto del periodo dettagliatamente: dalla politica estera a quella interna, dalle dinamiche dettate dalle alleanze delle varie famiglie nobili alle cerimonie religiose, ai conclavi, al mecenatismo.

La lettura non risulta sempre scorrevole perché le informazioni trasmesse sono davvero numerose e articolate. Tanti gli argomenti trattati, impossibile quindi anche solo fare un breve accenno di tutti quanti.

Un saggio interessante, preciso e approfondito che riesce a rendere perfettamente l’idea di quella che doveva essere la vita a corte in quella Roma tanto controversa eppur tanto ricca di fascino e colta quale fu la Città Eterna ai tempi dei Borgia, dei Medici, dei Della Rovere e dei Piccolomini.



 

 

mercoledì 31 agosto 2022

“Nel segno di Cosimo” a cura di Marzia Cantini

Il volume è una raccolta di saggi scaturiti dagli interventi dei relatori che parteciparono alla giornata di studi “Nel segno di Cosimo” organizzata dal Lions Club Firenze il 6 giugno del 2019 in occasione del cinquecentenario della nascita del primo granduca di Toscana.

Cosimo I de’ Medici e Lorenzo il Magnifico furono le figure più rappresentative della dinastia. Fu Cosimo però il vero statista di casa Medici.

Salì al potere a seguito dell’omicidio del duca Alessandro de’ Medici quando non aveva ancora compiuto 18 anni. Figlio di Maria Salviati, nipote per parte di madre di Lorenzo il Magnifico, e di Giovanni dalle Bande Nere il celebre condottiero figlio di Giovanni de’ Medici e Caterina Sforza.

Il primo saggio è del professore Giovanni Cipriani ed è dedicato all’incoronazione di Cosimo come primo granduca di Toscana avvenuta nel 1570. Cosimo ricevette l’ambita corona dalle mani di Pio V a Roma. Nel saggio, oltre al cerimoniale dell’incoronazione, viene dato ampio spazio anche alla descrizione della corona. Nella bolla papale, infatti, furono date precise istruzioni su come questa avrebbe dovuto essere realizzata.

Si passa poi al saggio del professore Leonardo Rombai dove vengono evidenziate le scelte di carattere economico effettuate da Cosimo I de’ Medici nonché la sua saggia e attenta politica urbanistica e territorialistica, la sua opera fortificatoria e lo sviluppo dell’industria estrattiva-mineraria.

Con il suo intervento il professore Emanuele Masiello procede ad indagare quanto accadeva contestualmente in Europa e come la politica architettonica e urbana del granduca Cosimo si inserisse nel contesto delle contemporanee sovranità europee in particolare di quelle francese, spagnola e imperiale.

Il volume prosegue poi con i saggi di Eugenia Valacchi e di Jennifer Celani. Il primo riferisce degli esiti della Controriforma sul territorio e in particolare degli adeguamenti liturgici di alcune chiese richiesti da Cosimo secondo gli orientamenti espressi dal Concilio di Trento conclusosi nel 1563. Il secondo saggio ci racconta brevemente del caso del complesso di San Giovannino detto degli Scolopi.

A seguire il saggio di Francesco Martelli relativo alle carte di Cosimo I nei fondi Medici dell’Archivio di Stato di Firenze ed in particolare alla storia di un piccolo nucleo di carte che egli teneva sempre con sé denominato “Archivio segreto”.

All’intervento di Francesca Funis sulla trasformazione di Firenze da città di provincia a capitale di uno stato territoriale, fa seguito il saggio di Carlotta Paltrinieri sull’istituzione dell’Accademia delle Arti del Disegno a seguito dell’istituzionalizzazione della Compagnia di San Luca o Compagnia de’ Pittori, attiva dal 1339. Viene fatto un breve accenno anche all’istituzionalizzazione di un’altra accademia quella degli Umidi che nel 1541, per volere di Cosimo,  mutò il nome in Accademia Fiorentina.

Stefano Calonaci si dedica all’analisi della poderosa attività legislativa e normativa svolta da Cosimo I. Il granduca si interessò dei più svariati aspetti del vivere civile e per raggiungere i suoi obiettivi si circondò fin da subito di un entourage di uomini fidati a cui affidare le diverse magistrature.

L’ultimo intervento è quello di Lorenzo Allori che introduce il Medici Archive Project, un istituto di ricerca nell’ambito della digital history. Uno strumento valido per gli studiosi che possono trovare in rete preziose informazioni digitalizzate. Per chi volesse consultare il BIA ovvero il portale web in lingua inglese dedicato alla fruizione del fondo archivistico il link è il seguente http://bia.medici.org 

Cosimo I de’ Medici fu un uomo senza dubbio ambizioso, più burocrate che guerriero ma, come scrive Masiello, per quanto sia passato alla storia come un uomo dispotico, vendicativo e accentratore del potere, non si può non riconoscere che egli abbia anche dimostrato di essere stato un capo saggio e lungimirante.

Questo “viaggio intorno all’uomo che divenne primo Granduca di Toscana” mette in evidenza proprio questo suo aspetto meno conosciuto e trascurato dalla storiografia fino ai giorni nostri. È una figura diversa quella che emerge dalle pagine di questo libro.

Cosimo fu un uomo eclettico e dai molteplici interessi oltre che un capo abile nella politica internazionale. Un uomo visionario che proprio grazie alla sua curiosità, alla sua intraprendenza e alla sua saggezza seppe trasformare il Ducato di Firenze nel Granducato di Toscana.