UN UOMO
di Oriana
Fallaci
BUR Rizzoli
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“Un uomo” è
la storia della vita di Alekos Panagulis, eroe della Resistenza greca.
Il 13 agosto 1968 Panagulis collocò delle bombe sotto ad un
ponticello sul quale sarebbe dovuta passare l’auto del militare a capo del
regime, Georgios Papadopulos.
L’attentato fallì, Alekos fu catturato, interrogato e condannato
a morte. La pena fu poi commutata in prigionia a vita.
Fu
segregato in una cella dall’aspetto di una tomba e per cinque anni egli subì
atroci torture, torture che la Fallaci descrive minuziosamente nel libro.
Nel 1973, grazie ad una amnistia, Panagulis venne graziato.
Inviata in
Grecia da “L’Espresso” per un’intervista, Oriana
Fallaci conobbe Alekos il 23 agosto, proprio lo stesso giorno della sua
liberazione.
I due si innamorarono
immediatamente dando così inizio a una tormentata
relazione sentimentale che durerà fino alla morte di Panagulis.
Non senza
difficoltà Alekos ottenne il permesso di lasciare la Grecia per recarsi in esilio volontario.
Dopo la fine della dittatura rientrò in patria e, eletto in
Parlamento, si adoperò in ogni modo per dimostrare che il potere era ancora in
mano a quegli stessi uomini che appartenevano alla deposta Giunta.
Costantemente
sorvegliato, utilizzando ogni tipo di sotterfugio e spesso a rischio della sua
stessa vita, Panagulis riuscì a mettere
le mani sui documenti compromettenti dell’Esa.
Fu proprio per impedirgli di rendere pubblici tali documenti
che, il primo maggio 1976 all’una e
58 del mattino, Alekos Panagulis venne
assassinato inscenando un incidente automobilistico. Il colpevole se la
cavò in appello con una multa di cinquemila dracme per omissione di soccorso.
“Un uomo” è
il libro di denuncia che Panagulis avrebbe scritto se non fosse stato
assassinato.
Oriana
Fallaci, quella compagna che egli definì “una
buona compagna. L’unica compagna possibile” accolse la sua eredità, come lei stessa
dichiarò, più per un dovere morale che per un dovere sentimentale.
Lo scopo del libro era accusare quel Potere che aveva ucciso
l’uomo che amava, potere che proprio nel libro viene denunciato e condannato.
“Un uomo” di Oriana Fallaci è un racconto di
avventure drammatiche che, sebbene scritto sotto forma di romanzo, narra fatti
realmente accaduti e ogni elemento è esposto con una ricchezza di particolari
precisa e minuziosa.
Alekos Panagulis era un uomo solo, un po’ folle e ossessionato
dalle proprie idee.
Un uomo, se vogliamo, anche egoista ed egocentrico, spesso
troppo schiavo della superstizione.
Ma egli credeva nella lotta per la libertà ed era, sopra ogni
cosa, un uomo assetato di giustizia.
Come egli
stesso ripeteva la tragedia era nata in Grecia e si “basa su tre elementi: l’amore, il dolore e la morte”. Tre elementi
che tormentarono Panagulis per tutta la vita facendone proprio un eroe tragico.
Il romanzo
è però anche il racconto della storia
d’amore tra la scrittrice e giornalista italiana e l'eroe .
Un amore totalizzante, passionale e tormentato che Oriana
Fallaci descrive in modo attento e preciso, riuscendo a trasmettere al lettore
tutta l’intensità e il dolore insiti in questo sentimento che la legava a
Panagulis.
Lei che non
si era ma riconosciuta in una Penolope che attende il ritorno dell’eroe, ma era lei stessa abituata a essere Ulisse e come tale a comportarsi, improvvisamente
si era ritrovata per quest’uomo a tradire la sua stessa natura.
Nel libro
leggiamo “Ti amavo a tal punto di non
poter sopportare l’idea di ferirti pur essendo ferita, di tradirti pur essendo
tradita, e amandoti amavo i tuoi difetti, le tue colpe, i tuoi errori, le tue
bugie, le tue bruttezze, le tue miserie, le tue volgarità, le tue
contraddizioni, il tuo corpo con le spalle troppo tonde, le sue braccia troppo
corte, le sue mani troppo tozze, le sue unghie strappate”.
L’amore
della Fallaci per Panagulis era un amore “più
forte del desiderio, più cieco della gelosia: a tal punto implacabile, a tal
punto inguaribile” da non poter più nemmeno concepire la vita senza di lui.
Era il loro
“un amore del genere più pericoloso che
esista: l’amore che mischia le scelte ideali, gli impegni morali, con
l’attrazione e coi sentimenti”.
Domenico
Procacci nella prefazione al romanzo scrive “in
fondo ce lo meritiamo tutti di avere qualcuno che amiamo così tanto da non
preoccuparci mai che il nostro sia un amore ricambiato, qualcuno che ci possa
fare accelerare il cuore e fermare il respiro chiamandoci magari da lontano, e
dicendo – Sono io, sono me”.
Se ero
rimasta piacevolmente colpita dalle parole di Procacci, dopo la lettura del
romanzo la mia sicurezza in merito è vacillata non poco.
Non
dovrebbe essere l’amore qualcosa che ci fa stare bene? Come può definirsi amore
qualcosa che snatura noi stessi? Che ci fa soffrire? Si può davvero augurare a
qualcuno di provare un sentimento del genere che annichilisce e stordisce, che
diviene “una fatica agonizzante”?
Eppure
anche una donna come la Fallaci, una donna forte e indipendente, non è riuscita
a sottrarsi a questo amore malato, un amore che lei stessa ha definito “più di una malattia, un cancro”, “un problema insolubile” a cui neppure la
fuga avrebbe potuto porre rimedio.
La
relazione tra la Fallaci e Panagulis durò solo tre anni, ma viene naturale
interrogarsi su cosa sarebbe accaduto se Alekos fosse sopravvissuto.
Forse come
lui stesso disse alla sua compagna poco prima di essere assassinato, la morte è
un’alleata dell’amore perché in verità “nessun
amore al mondo resiste se non interviene la morte. Se vivessi a lungo,
finiresti col detestarmi. Poiché morirò presto, invece, mi amerai per sempre”.