domenica 20 aprile 2025

“Alma” di Federica Manzon

Il passato: fardello o risorsa? Questo interrogativo attraversa tutto il romanzo, insinuandosi nelle riflessioni della protagonista e nelle dinamiche della trama. Indubbiamente, il passato è essenziale per comprendere se stessi e le proprie origini. Eppure, può trasformarsi in un peso soffocante, un bagaglio ingombrante da sotterrare per vivere più serenamente, concentrandosi esclusivamente sul futuro. Non di rado viene percepito come un masso legato alla caviglia, un vincolo che ostacola il percorso verso la realizzazione personale e l'apertura a nuove prospettive.

Alma, protagonista del romanzo di Federica Manzon, incarna perfettamente questa lotta interiore. Decisa a lasciarsi alle spalle il suo passato, si trasferisce a Roma per ricominciare a vivere. Tuttavia, i ricordi si rivelano tenaci, inseguendola nonostante i suoi tentativi di rimuoverli. Inevitabilmente, giunge il momento in cui Alma è costretta a confrontarsi con quell'eredità che tanto aveva cercato di ignorare. La chiamata arriva sotto forma dell'eredità paterna: Alma deve tornare nella sua città natale, Trieste.

Trieste è per Alma il crocevia delle sue radici, un intrico di culture e lingue diverse. Da un lato, la tradizione del nonno, legata all’Impero Austro-Ungarico e al mondo accademico e borghese. Dall’altro, il retaggio paterno, permeato della cultura slava e di un universo estraneo, eppure famigliare al tempo stesso, il "di là". 

In questo ritorno, Alma si scontra con la complessità del proprio passato e delle proprie origini. La sua infanzia era stata segnata da un mosaico di passioni per la letteratura, il teatro e la poesia, retaggi di un’Europa antica, intrecciati al comunismo slavo e ai paesaggi del Carso, dove la famiglia si era trasferita dopo la rottura con i nonni materni.

Il difficile rapporto di Alma con il padre, una figura enigmatica divisa tra l’Italia e l’ex Jugoslavia di Tito, rappresenta un nodo irrisolto; il padre è al contempo un personaggio distante e affascinante.

L’assenza di radici solide, frutto della scelta consapevole dei genitori per garantire ad Alma la libertà di plasmare il proprio futuro senza vincoli, si rivela una libertà ambivalente. Crescendo senza punti di riferimento chiari, Alma si rifugia nell'evitare legami profondi e nell'esperienza di relazioni fugaci.

Non meno complesso è il legame con la madre, che canalizza tutto il suo amore verso il marito, lasciando Alma ai margini e contribuendo al suo senso di alienazione.

Il romanzo di Federica Manzon si distingue per una narrazione stratificata, densa di introspezione psicologica e riflessioni sulla storia. Contrappone figure opposte, come il nonno e il padre di Alma, mentre la protagonista emerge come un simbolo delle tensioni e degli ideali delle loro culture.

Un altro personaggio che arricchisce la narrazione è Vili, giovane figlio di intellettuali belgradesi, in fuga dalle persecuzioni di Tito. Anche lui vive lo sradicamento, lontano dalle sue origini, condividendo con Alma il tormento di una ricerca identitaria. Due anime affini, accomunate dalla difficoltà di trovare un equilibrio personale e di coppia.

La prosa di Federica Manzon sfida il lettore, procedendo con lentezza iniziale e conquistandolo a poco a poco. L’autrice non offre riferimenti geografici espliciti, affidando al lettore il compito di collegare luoghi e contesti storici, come l’ex Jugoslavia di Tito e le guerre che ne seguirono. Il romanzo indaga le sfumature della storia, dove bene e male si intrecciano, dove i fatti sono sempre sporchi e opachi, dove spesso i crimini restano impuniti e le ferite dell’anima si trasformano in cicatrici profonde.

"Alma" un libro che stimola riflessioni profonde, proponendo una visione sfaccettata e complessa delle eredità culturali e delle scelte personali.

 

 


domenica 13 aprile 2025

“Il nonno racconta Firenze” di Luciano e Ricciardo Artusi

Si afferma che ignorare il passato precluda la comprensione del presente e condanni all'ignoranza sul futuro, per quanto esso rimanga insondabile.

Partendo da questa riflessione, Luciano e Ricciardo Artusi dedicano il loro libro alle nuove generazioni, con l'obiettivo di stimolarne la curiosità verso il passato e di incoraggiarle a esplorare l'immenso patrimonio artistico, storico e culturale lasciato dagli antichi fiorentini.

Il racconto inizia dalle ere geologiche più antiche, quando l'area destinata a ospitare Firenze era sommersa da un vastissimo lago, che si estendeva fino a Pistoia. Da questo scenario primordiale, il viaggio si snoda attraverso le epoche, raccontando la Firenze romana, medievale e rinascimentale, con i suoi straordinari contributi artistici e culturali. Particolare enfasi è posta sull'influenza delle dinastie medicea e lorenese, che hanno plasmato la città e l'hanno resa un faro di arte e civiltà. Il percorso culmina con gli anni in cui Firenze fu scelta come "Capitale" del neonato Regno d’Italia, un periodo cruciale che si estese dal 1865 al 1871.

Il libro segue un rigoroso ordine cronologico, arricchito da una miriade di aneddoti, modi di dire, vicende storiche, curiosità e personaggi che tornano in vita attraverso le sue pagine. È un viaggio affascinante e dettagliato, lungo ben 483 pagine, che attraversa i secoli, permettendo al lettore di immergersi completamente nella storia di Firenze.

Camminando per le strade di questa città unica, ci si imbatte in numerosi segni tangibili del suo passato glorioso: targhe commemorative, tabernacoli, pietre, simboli, tutti testimonianze silenziose di ciò che è stato.

Il libro di Luciano e Ricciardo Artusi si rivela una vera e propria mappa di questi segni, un invito a interpretarli e decifrarli, per riscoprire il significato nascosto dietro ogni dettaglio.

Il volume è organizzato in brevi capitoli, strutturati come delle schede tematiche. Ogni capitolo esplora uno specifico argomento che, grazie a riferimenti incrociati, si intreccia con gli altri, garantendo al lettore un racconto coerente e uniforme. Questa struttura rende il libro un’esperienza coinvolgente e istruttiva, ideale per chi desidera approfondire le molteplici sfaccettature della storia fiorentina.

Un'opera che affascina e incanta, proprio come la sua protagonista: Firenze.


 


giovedì 27 marzo 2025

“Per ornamento dello Stato, per utilità del Pubblico e per attirare la curiosità dei Forestieri” a cura di Samuele Lastrucci

Dal 2001, ogni 18 febbraio, Firenze celebra il giorno dedicato alla memoria di Anna Maria Luisa de’ Medici, ricorrenza che segna l'anniversario della morte dell'Elettrice Palatina, ultima discendente del ramo granducale dei Medici. Questo tributo sottolinea il suo straordinario apporto alla tutela del patrimonio culturale della città e della Toscana.

Grazie alla sua visione e determinazione, Firenze e l'intera regione hanno potuto preservare una concentrazione ineguagliabile di opere d'arte e documenti d'archivio.

Diversamente da ciò che accadde in altri Stati italiani, dove collezioni come quelle Farnese del Ducato di Parma e Piacenza furono trasferite a Napoli o quelle del Ducato di Urbino finirono in Toscana come eredità di Vittoria della Rovere, Anna Maria Luisa de’ Medici riuscì a proteggere le collezioni medicee da una simile dispersione.

Con la Convenzione sottoscritta il 31 ottobre 1737 insieme a Francesco Stefano di Lorena, l'Elettrice stabilì il vincolo delle collezioni alla città di Firenze e alla Toscana, un atto di coraggio straordinario per il suo tempo.

Il volume offre le copie anastatiche del celebre "Patto di Famiglia" in francese e in italiano, insieme a documenti correlati, come la ratifica di Francesco Stefano di Lorena, le lettere e l'Inventario delle gioie di Casa Medici. Questi preziosi materiali, conservati nell'Archivio di Stato di Firenze (fondo Trattati internazionali al n. 56), permettono di approfondire il contesto storico dell'accordo.

Le intenzioni di Anna Maria Luisa non si limitavano a tutelare le sole opere d'arte: ella desiderava infatti salvaguardare argenti, mobili, reliquie e altri beni preziosi delle guardarobe, ville e palazzi di città e campagna. Tuttavia, il testo definitivo della Convenzione escluse questi oggetti, considerandoli d'uso quotidiano, il che ne consentì purtroppo la dispersione.

Un'importante sezione del volume, curata da Samuele Lastrucci, approfondisce la complessa situazione politica europea ai tempi di Cosimo III e di Gian Gastone, facendo chiarezza anche sulla natura degli Stati medicei, natura che in verità appariva piuttosto confusa ieri come oggi.

Il volume, pubblicato dalla Regione Toscana, mira a coinvolgere cittadini e studiosi nella riscoperta della storia legata alla trasmissione del patrimonio mediceo. Attraverso le sue pagine, viene messo in evidenza il ruolo fondamentale svolto dall'Elettrice Palatina nel definire l'identità culturale di Firenze e della Toscana.

La sua lungimiranza non solo ha salvaguardato un patrimonio inestimabile, ma ha anche anticipato i tempi, gettando le basi per la nascita del turismo culturale come lo intendiamo oggi.





domenica 23 marzo 2025

“Il buio e le stelle” di Luigi De Pascalis

Luigi De Pascalis torna a narrare le vicende di Andrea Sarra, già protagonista de “La pazzia di Dio” (2010), in una nuova opera che espande e completa la storia precedente.

Nel romanzo originale, la narrazione prendeva avvio con la nascita del protagonista nel 1895, seguendo la sua crescita fino alla partenza per Zanzibar nei primi anni ’20 del Novecento. In questa nuova versione, intitolata “Il buio e le stelle,” “La pazzia di Dio” viene inglobato e integrato come parte di una narrazione più ampia che approfondisce ulteriormente il destino di Andrea.

Il romanzo si apre con l’introduzione del capostipite della famiglia Sarra, Sigismondo, il nonno di Andrea. Sigismondo è descritto come un uomo autoritario, consapevole del potere che gli derivava dalla sua posizione di proprietario terriero. Questo spaccato risale agli anni successivi all’Unità d’Italia, un periodo segnato anche dal fenomeno del brigantaggio, offrendo un affresco storico denso di dettagli.

Il vero fulcro dell’ampliamento della narrazione, tuttavia, è costituito dalla permanenza di Andrea a Zanzibar, un luogo che rappresenta tanto un rifugio quanto un teatro di conflitti personali e politici.

Ne “La pazzia di Dio,” il viaggio di Andrea lasciava il lettore col fiato sospeso e con molte domande sulla possibilità di trovare la libertà e la verità sulla figura paterna. Ne “Il buio e le stelle,” scopriamo un Andrea profondamente trasformato, segnato dagli orrori della guerra e sempre più ossessionato dal desiderio di comprendere il passato del padre. Nonostante il genitore sia deceduto, Andrea sembra ancora alla ricerca della sua approvazione, come quando da ragazzo scelse di partire per il fronte.

Il contrasto tra il mondo di Borgo San Rocco, immaginario paese abruzzese che fa da sfondo al primo romanzo, nonché alla prima parte di questa nuova edizione, e la realtà tumultuosa di Zanzibar è netto. Se da una parte Borgo San Rocco rappresenta un microcosmo di provincialismo e tradizioni radicate, dove reale e imponderabile riescono a coesistere; Zanzibar appare come un mondo affascinante ma pericoloso, popolato da avventurieri, schiavisti e politici corrotti. Eppure, nonostante l’immensa distanza dall’Italia, Andrea non sfugge al controllo del regime fascista, trovandosi a dover affrontare rappresentanti del partito anche lì, in quella che avrebbe dovuto essere per lui una terra di libertà.

La narrativa di De Pascalis tesse abilmente una trama in cui i fantasmi del passato si mescolano con la realtà cruda e complessa del presente, creando un racconto ricco di pathos e introspezione.

La scelta di completare e ampliare il romanzo iniziale si rivela non solo coerente, ma anche necessaria per fornire una conclusione più esaustiva alla storia di Andrea Sarra.



venerdì 21 marzo 2025

“Don Antonio de’ Medici e i suoi tempi” di Filippo Luti

Quando nel 1587 Francesco I de’ Medici e Bianca Cappello morirono in misteriose circostanze a poche ore di distanza l’uno dall’altro, il figlio Antonio aveva appena undici anni.

La tragica scomparsa dei granduchi portò molti a incolpare, oggi si ritiene ingiustamente, il futuro granduca Ferdinando I. Tuttavia, è certo che Ferdinando orchestrò un inganno a danno di Don Antonio.

Infatti, questi era nato fuori dal matrimonio, quando Francesco I era ancora sposato con Giovanna d’Austria. Dopo il matrimonio con Bianca, Francesco lo legittimò come suo erede. Ferdinando, però, insinuò dubbi sulla paternità di Francesco e persino sulla maternità di Bianca.

La figura di Don Antonio è senza dubbio una delle meno conosciute del panorama mediceo, ma in verità si tratta di un personaggio molto interessante e di notevole spessore.

Dimostrò sin da giovane straordinarie doti diplomatiche e militari, anche se fu costretto ad abbandonare quasi subito la carriera militare per motivi di salute. Uomo colto e affascinato dal sapere scientifico, ebbe contatti con personaggi illustri del tempo, tra cui Galileo Galilei. Appassionato di musica e spettacolo, fece costruire un teatro nel Casino di San Marco, eletto a sua dimora in città. Proprio qui fu messa in scena l’Euridice di Ottavio RInuccini, sotto la direzione di Giulio Caccini.

Don Antonio non fu appassionato solo di musica e teatro, di scienza e alchimia, di caccia, cavalli e armi, che fabbricava egli stesso, ma mostrò grandissimo interesse anche per l’arte e il collezionismo. Oltre a busti, statue e bassorilievi possedeva una meravigliosa quadreria. Alcuni artisti presenti nelle sue collezioni: Andrea del Sarto, Leonardo Da Vinci, Raffaello, Mantegna, Botticelli, Michelangelo, Pontormo e Giambologna.

Nonostante la frode che Ferdinando I attuò nei confronti del nipote, i loro rapporti furono molto stretti; il granduca di fatto si appoggiò moltissimo al nipote del quale riconosceva la vasta cultura e  le grandi doti diplomatiche.

Il rapporto con la corte si raffreddò sempre più dopo la morte di Ferdinando. Don Antonio aveva acconsentito alla richiesta dello zio di entrare nell’Ordine dei Cavalieri di Malta accettando di conseguenza il celibato, ma durante la sua vita ebbe due compagne che gli diedero quattro figli. Preoccupato per il futuro dei suoi eredi, Don Antonio avviò cause legali per garantirne il benessere, cause che si protrassero anche dopo la sua morte.

L’opera di Filippo Luti offre l’analisi più completa sulla vita di Don Antonio, superando in dettaglio quella di Pier Francesco Covoni (“Don Antonio de' Medici al casino di San Marco”) di fine Ottocento e il lavoro più recente di Paola Maresca (“Don Antonio de’ Medici. Un principe alchimista nella Firenze del '600, 2018).

Don Antonio de’ Medici e i suoi tempi” è un saggio molto ben articolato ed esaustivo, corredato di una vasta bibliografia, tantissime citazioni e ricco di richiami al cospicuo patrimonio epistolare.

Un vita, quella di Don Antonio, caratterizzata da intrighi, cultura e dedizione alla famiglia, che lo rendono una figura del suo tempo oltremodo affascinante.




lunedì 10 marzo 2025

“Natività. Madre e Figlio nell’arte” di Vittorio Sgarbi

Nel mondo pagano, gli dèi erano incarnazioni ideali della perfezione umana: più belli, più forti, più saggi, ma al contempo inaccessibili e distanti. Con la religione cristiana, questo paradigma viene capovolto. L'amore sostituisce la potenza divina: Dio si fa uomo per amore degli uomini. Il Figlio di Dio nasce da una donna, da una madre.

Nel suo saggio, Vittorio Sgarbi ci accompagna in un affascinante viaggio attraverso i secoli, rivelando come gli artisti abbiano rappresentato un tema che è, insieme, sacro e profondamente umano. L'arte diventa un riflesso intimo e universale della semplicità degli affetti, celebrando il legame primordiale e tenero tra madre e figlio.

Il percorso inizia con le Natività e le Annunciazioni bizantine, immerse in cieli dorati. Da Duccio, ultimo e più grande esponente dello stile bizantino, il viaggio prosegue toccando le opere di maestri immortali quali Giotto, Botticelli, Leonardo, Piero della Francesca, Raffaello, Michelangelo e Rubens. Il cammino sfocia nella pittura moderna dell'Ottocento e del Novecento rappresentata da Segantini, Previati e Gaudenzi.

Pagine di particolare rilievo sono dedicate all'analisi della Madonna del Parto di Piero della Francesca, all'Annunciazione di Lorenzo Lotto e al confronto tra il Bambino dipinto nel Tondo Doni e quello scolpito nella Madonna di Bruges, entrambi capolavori di Michelangelo.

Un dettaglio storico merita una doverosa correzione: Girolamo Savonarola non fu arso vivo, bensì impiccato prima di essere arso.

Il saggio prende in esame una miriade di artisti; tuttavia, i limiti di un volume non potevano includere ogni voce significativa. Una lacuna a mio avviso, ma solo per l’amore che porto a quest’opera, è l'assenza di un riferimento ad Andrea del Sarto e alla sua Madonna delle Arpie,

Sono particolarmente apprezzabili i richiami ai versi danteschi, che hanno ispirato molte opere d'arte. La cura grafica del volume e la straordinaria documentazione fotografica lo rendono un volume di grande pregio.

Questo saggio non è solo una lettura, ma un invito a visitare musei e chiese, a scoprire tesori nascosti. Un viaggio che accende la curiosità e il desiderio di immergersi nella bellezza senza tempo dell’arte.

 


 

sabato 8 marzo 2025

“La pazzia di Dio” di Luigi De Pascalis

Andrea Sarra nasce a Borgo San Rocco il 12 marzo 1895. È lui il protagonista e io narrante della vicenda che prende avvio proprio dal racconto dei suoi primi trent'anni di vita. Una narrazione che si intreccia con quella dei suoi familiari, dei compaesani e, in un gioco di sovrapposizioni, con le grandi vicende della Storia, quella con la "S" maiuscola.

Dal 1895 al 1925, Andrea attraversa il delicato passaggio dall'infanzia all'età adulta, crescendo e forgiandosi come uomo. Sullo sfondo troviamo un mondo sconvolto da eventi epocali: la Prima Guerra Mondiale, le ondate di emigrazione, l'epidemia di spagnola e l'avvento del fascismo.

La pazzia di Dio si presenta come un romanzo di formazione, ma è al contempo anche un racconto corale. Borgo San Rocco, il paese natale di Andrea, è frutto della fantasia dello scrittore, così come lo è la famiglia Sarra, protagonista della vicenda. Questo microcosmo immaginario diventa metafora e ritratto della realtà contadina, quella stessa realtà destinata a scomparire nel volgere di pochi decenni.

La narrazione si dipana attraverso diversi registri, riflettendo la varietà dei personaggi che animano le pagine del romanzo. Anche il ritmo del racconto muta costantemente: accelera o rallenta in sintonia con l'intensità degli eventi. Così, la scrittura passa dall’essere ironica e divertente all’uso di toni riflessivi e malinconici, seguendo il fluire imprevedibile delle circostanze.

Nella vita nulla resta invariato, tutto è cambiamento. I rapporti tra le persone si trasformano: ci si scopre spesso più vicini a coloro che si ritenevano tanto diversi e più distanti da chi invece si pensava essere tanto simile.

La pazzia di Dio è un'opera di legami familiari, di sogni spezzati, di speranze tradite e di rimpianti. Ma è anche un racconto intriso di voglia di riscatto e di speranza.

De Pascalis dipinge un mondo antico e ancestrale, intriso di riti, credenze e religiosità. Un mondo dove il rispetto e la dignità rappresentano valori assoluti, indipendentemente dal ceto sociale, e dove non sorprende neppure incontrare il fantasma di famiglia aggirarsi tra le mura di casa. È un mondo scandito dal ritmo ciclico delle stagioni, armonizzato con la terra.

Ma quel mondo antico, con le sue buone maniere e l’importanza dell'abito della festa, si sgretola sotto il peso del progresso e delle rivoluzioni sociali lasciando sempre più spazio alla forza e alla prepotenza del nuovo che avanza.

Quello dipinto da De Pascalis con tanta maestria è un mondo capace di imprimersi profondamente nel cuore e nella memoria del lettore, lasciando in lui una traccia indelebile.