Il passato: fardello o risorsa? Questo interrogativo
attraversa tutto il romanzo, insinuandosi nelle riflessioni della protagonista
e nelle dinamiche della trama. Indubbiamente, il passato è essenziale per
comprendere se stessi e le proprie origini. Eppure, può trasformarsi in un peso
soffocante, un bagaglio ingombrante da sotterrare per vivere più serenamente,
concentrandosi esclusivamente sul futuro. Non di rado viene percepito come un
masso legato alla caviglia, un vincolo che ostacola il percorso verso la
realizzazione personale e l'apertura a nuove prospettive.
Alma, protagonista del romanzo di Federica Manzon, incarna
perfettamente questa lotta interiore. Decisa a lasciarsi alle spalle il suo passato,
si trasferisce a Roma per ricominciare a vivere. Tuttavia, i ricordi si
rivelano tenaci, inseguendola nonostante i suoi tentativi di rimuoverli.
Inevitabilmente, giunge il momento in cui Alma è costretta a confrontarsi con
quell'eredità che tanto aveva cercato di ignorare. La chiamata arriva sotto
forma dell'eredità paterna: Alma deve tornare nella sua città natale, Trieste.
Trieste è per Alma il crocevia delle sue radici, un intrico di culture e lingue diverse. Da un lato, la tradizione del nonno, legata all’Impero Austro-Ungarico e al mondo accademico e borghese. Dall’altro, il retaggio paterno, permeato della cultura slava e di un universo estraneo, eppure famigliare al tempo stesso, il "di là".
In questo ritorno, Alma si scontra con la complessità del proprio
passato e delle proprie origini. La sua infanzia era stata segnata da un mosaico di
passioni per la letteratura, il teatro e la poesia, retaggi di un’Europa
antica, intrecciati al comunismo slavo e ai paesaggi del Carso, dove la
famiglia si era trasferita dopo la rottura con i nonni materni.
Il difficile rapporto di Alma con il padre, una figura
enigmatica
divisa tra l’Italia e l’ex Jugoslavia di Tito, rappresenta un nodo irrisolto; il padre è al contempo un personaggio distante e affascinante.
L’assenza di radici solide, frutto della scelta consapevole
dei genitori per garantire ad Alma la libertà di plasmare il proprio futuro
senza vincoli, si rivela una libertà ambivalente. Crescendo senza punti
di riferimento chiari, Alma si rifugia nell'evitare legami profondi e
nell'esperienza di relazioni fugaci.
Non
meno complesso è il legame con la madre, che canalizza tutto il suo
amore verso il marito, lasciando Alma ai margini e contribuendo al suo senso di
alienazione.
Il
romanzo di Federica Manzon si distingue per una narrazione stratificata,
densa di introspezione psicologica e riflessioni sulla storia. Contrappone
figure opposte, come il nonno e il padre di Alma, mentre la protagonista emerge
come un simbolo delle tensioni e degli ideali delle loro culture.
Un
altro personaggio che arricchisce la narrazione è Vili, giovane figlio di
intellettuali belgradesi, in fuga dalle persecuzioni di Tito. Anche lui vive lo
sradicamento, lontano dalle sue origini, condividendo con Alma il tormento
di una ricerca identitaria. Due anime affini, accomunate dalla difficoltà di
trovare un equilibrio personale e di coppia.
La
prosa di Federica Manzon sfida il lettore, procedendo con lentezza iniziale e
conquistandolo a poco a poco. L’autrice non offre riferimenti geografici
espliciti, affidando al lettore il compito di collegare luoghi e contesti
storici, come l’ex Jugoslavia di Tito e le guerre che ne seguirono. Il
romanzo indaga le sfumature della storia, dove bene e male si intrecciano, dove
i fatti sono sempre sporchi e opachi, dove spesso i crimini restano impuniti
e le ferite dell’anima si trasformano in cicatrici profonde.
"Alma" un libro che stimola riflessioni profonde, proponendo una visione sfaccettata e
complessa delle eredità culturali e delle scelte personali.