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domenica 25 dicembre 2022

“Bella Poldark” di Winston Graham

Il libro si apre con una nota dell’autore che riassume in breve, a beneficio dei nuovi lettori, i fatti avvenuti in precedenza unitamente a qualche nota sui personaggi principali. Siamo, infatti, giunti al dodicesimo volume della saga dei Poldark, il volume conclusivo.

Cornovaglia, 1818. Dopo la morte di Jeremy Poldark, avvenuta nella battaglia di Waterloo, Ross e Demelza stanno ritrovando la serenità perduta. 

La figlia maggiore Clowance, dopo la morte del marito Stephen Carrington, ha scelto di restare a vivere a Penryn e di occuparsi in prima persona della piccola attività navale che questi aveva avviato.

A Nampara con i genitori vivono i due figli più piccoli: Henry che ha da poco compiuto sei anni e Isabella-Rose ormai sedicenne. La ragazza è ancora sentimentalmente legata a Christopher Havergal, il giovane ufficiale conosciuto quando era poco più che una bambina.

Isabelle-Rose ha un grande talento musicale e i genitori, superati i dubbi iniziali, acconsentiranno a lasciarla andare a Londra per perfezionare la sua arte.

In quest’ultimo romanzo, come per gli episodi precedenti, assistiamo all’ingresso sulla scena, di tanti nuovi personaggi. Tra questi in particolare facciamo la conoscenza di Philip Prideaux, un ex capitano congedato dall’esercito, e Maurice Valéry un affascinante produttore teatrale.

Tra i personaggi storici della saga, invece, un ruolo di primo piano è riservato a Valentine Warleggan. Nonostante la recente paternità, Valentine continua ad essere sempre lo stesso giovane arrogante ed insolente che abbiamo avuto occasione di conoscere precedentemente. Il suo comportamento da impenitente libertino sarà causa non solo della rottura definitiva del suo matrimonio con Selina, ma anche di molti altri avvenimenti piuttosto inquietanti.

I romanzi di Winston Graham non sono mai ripetitivi e anche questa volta il lettore non rimarrà deluso.

Di particolare fascino in questa occasione è l’introduzione da parte dell’autore dell’elemento noir, una storia che ricorda vagamente le atmosfere della vicenda di Jack lo squartatore. Per le strade della Cornovaglia si aggira infatti un pericoloso assassino che aggredisce e uccide giovani donne. Uno dei principali sospettati sarà proprio il già citato Valentine Warleggan, ma nulla è mai come sembra e niente può essere dato per scontato. Graham ci ha abituati a grandi colpi di scena fin dal primo volume.

“Bella Poldark” è un romanzo di commiato, la conclusione di una lunga e avvincete saga che ci ha tenuto compagnia per tanto tempo. Non poteva quindi mancare una resa dei conti, seppur simbolica, tra i due antagonisti di sempre: Ross Poldark e George Warleggan. I due si scontreranno ancora, ma ormai sessantenni, il loro sarà uno scontro molto diverso da quelli irruenti tipici della gioventù.

Negli anni i vari personaggi sono maturati e il loro cambiamento non è stato solo anagrafico, ma dovuto anche a quegli eventi della vita che li hanno segnati per sempre. Ogni esperienza ne ha modificato e formato il carattere. I personaggi di Winston Graham, con tutte le loro sfaccettature, sono sempre apparsi veri fin dal primo romanzo e questo ha contribuito fortemente a renderli tanto cari al lettore.

La saga dei Poldark è una delle saghe più affascinanti che abbia mai incontrato nella letteratura, sarà davvero difficile trovarne un’altra che possa eguagliarla.



 

giovedì 8 dicembre 2022

“Tutto in un minuto” di Nicolò Maniscalco e Diego Piccardo

Catherine Bechs vive in un villaggio di poche anime circondato da pascoli, lontano dal caos della città. Figlia unica, convive con una situazione famigliare piuttosto borderline. La ragazza è molto legata alla madre, sebbene il rapporto sia a tratti conflittuale al pari di quello di qualunque altro adolescente con i propri genitori. Il rapporto con il padre invece è praticamente inesistente. L’uomo, spesso via per lunghi viaggi di lavoro, preferisce una vita solitaria nella metropoli dove poter approfittare impunemente di qualunque opportunità questa gli possa offrire lontano dalla famiglia.

Tom, il ragazzino conosciuto sui banchi di scuola, figlio del veterinario del paese, trasferitosi con la famiglia nel villaggio dopo un grave lutto, è il migliore amico di Cathy. Tom è insostituibile, lui è il solo a cui Cathy sa di poter ricorrere per trovare conforto e sostegno qualunque cosa accada. 

Un giorno però i due amici faranno un incontro che cambierà la vita di Cathy per sempre. Billy, un cucciolo di Border Collie, irromperà sulla scena e nulla sarà più come prima.

Piccolo spoiler: perché “Tutto in un minuto” ? È il nome della scuola di agility dog dove Cathy e Billy muoveranno i loro primi passi in questo sport. Non vi svelerò nulla di più perché il loro percorso, i loro successi, le loro battute d’arresto dovranno essere scoperte e gustate dal lettore pagina dopo pagina.

Difficile definire il genere di questo romanzo. Sulle prime verrebbe da inserirlo nel filone Young Adults ma, man mano che si prosegue la lettura, ci si rende conto che sarebbe riduttivo, così come lo sarebbe inserirlo nel genere Romance o Chick Lit. La verità è che questo romanzo non si può incasellare, è una storia piacevole, leggera ed emotiva in grado di avvincere e convincere qualunque lettore senza distinzione di età o di sesso.

“Tutto in un minuto” è ambientato in un villaggio al confine tra la collina e la pianura, in un luogo non precisato del vasto mondo che lascia al lettore libero spazio alla fantasia. Vuoi per l’origine anglofona dei nomi dei personaggi, vuoi per l’aria che vi si respira, però, l’immaginazione ci conduce più facilmente verso gli Stati Uniti.  

Per certi versi questo romanzo ricorda molto le atmosfere di “L’uomo che sussurrava ai cavalli” di Nicholas Evans da cui era stato tratto anche un celebre film.

La storia di Cathy e di Billy, scritta a quattro mani da Nicolò Maniscalco e Diego Piccardo, si presterebbe altrettanto bene per una trasposizione cinematografica. Il libro si legge veramente tutto d’un fiato perché la scrittura è scorrevole, ma soprattutto perché segue proprio il ritmo della cinepresa. Leggendo, le immagini scorrono vivide davanti al lettore facendolo sentire parte della storia e creando un’empatia straordinaria tra lui e i protagonisti.

Le vicende e i colpi di scena, tanti e mai banali o scontati, si susseguono incalzando il lettore e invogliandolo a proseguire nell’avventura.

Tanti i punti di forza del romanzo, primo tra tutti, è un libro davvero ben scritto. L’italiano è fluente e gli autori sono stati bravi a non cedere alla tentazione di utilizzare tecnicismi, a loro ben noti, ma che avrebbero potuto scoraggiare il lettore digiuno di tutto ciò che riguarda l’agility dog. La loro scelta presenta questo sport senza forzare la mano al lettore inducendolo, invece, a voler approfondire l’argomento incuriosito dalla storia appena letta e dalla descrizione di un mondo sconosciuto ai più.

“Tutto in minuto” si presta ad una lettura a livelli diversi: da quello, se vogliamo più semplice, di trascorrere qualche ora in compagnia di una piacevole lettura, a quello di voler leggere un racconto incentrato sullo stretto rapporto che si instaura tra un umano e il suo amico a quattrozampe, al desiderio di trovare una storia il cui filo conduttore si snodi attraverso campi prova e campi di gara di uno sport a cui ad oggi, credo, siano stati dedicati davvero pochissimo romanzi.

Amore, amicizia, rancore, vendetta, colpi di scena, non manca proprio nulla in questo coinvolgente romanzo la cui trama è animata da tanti sorprendenti personaggi, di finzione ma allo stesso tempo così reali, che mette al centro l’indissolubile rapporto che si crea in un binomio umano-cane.

Chiunque dica “è solo un cane” non ha mai avuto la fortuna e il piacere di condividere una parte della propria esistenza con un amico a quattrozampe. Mi spiace per lui, non sa davvero cosa si stia perdendo.

Non vi nascondo che a volte durante la lettura sarà il caso che teniate un fazzoletto a portata di mano, ma sono solo attimi e poi non si piange mica solo per le cose tristi, no?

Visto che siamo sotto Natale, “Tutto in un minuto” potrebbe rivelarsi la strenna natalizia perfetta per amici e parenti che stavate cercando.




 

sabato 3 dicembre 2022

“Abbandonata” di Anny Romand

Anny non ha mai conosciuto il padre. Trentacinquenne, scapolo, benestante, l’uomo l’aveva rifiutata ancora prima che nascesse perché non si sentiva pronto a farsi carico di una famiglia. Sua madre, Rosy, l’aveva cresciuta da sola nonostante in un primo momento anche lei non ne volesse sapere di quel bambino in arrivo. Non avrebbe mai abortito, ma darlo in adozione, quello sì. Poi, però, qualcosa dentro di lei era cambiato ed Anny era cresciuta circondata dall’affetto della famiglia materna.

La storia di Anny bambina la troviamo in un altro romanzo della Romand. In “Mia nonna d’Armenia”, questo il titolo, oltre al racconto straziante del genocidio armeno e della fuga per mettersi in salvo della madre di Rosy, c’è anche il racconto del legame speciale che Anny aveva con la nonna materna. Rosy si infuriava sempre quando, tornando a casa, le trovava abbracciate e in lacrime per il racconto dei terribili ricordi rievocati dall’anziana. 

Rosy era stata forse una madre un po’ troppo dura, ma non aveva mai fatto mancare nulla alla figlia. Forse per questo, per voler proteggere la madre, Anny non aveva mai cercato quel genitore che l’aveva rifiutata. In verità, anche il solo desiderio di volerlo incontrare la faceva sentire in colpa, quasi peccasse di ingratitudine, nei confronti di Rosy.

Oggi però Anny ha quarant’anni, sua madre è morta ed è giunto il tempo per lei di fare i conti con il passato: incontrare quel padre che in tanti anni non l’ha mai cercata. Come verrà accolta?

Un padre presente può essere buono o cattivo. Un padre presente lo si può amare, detestare, compatire o qualsiasi altra cosa. Un padre assente, invece, crea un vuoto enorme, inaccettabile, impossibile da superare. Non si può mai davvero fare a meno delle proprie radici, non si può convivere serenamente con una mancanza del genere.

La quarta di copertina pone una domanda per nulla facile: daresti una seconda possibilità ad un padre che ti ha rifiutato? Ognuno reagisce in modo diverso dinnanzi ai casi della vita, ma soprattutto nessuno è davvero in grado di calarsi nei panni di qualcun altro, tanto più se quelle stesse esperienze non le ha mai vissute sulla propria pelle.

Credo che tutti noi abbiamo delle storie che meritino di essere raccontate, ma per farlo bisognerebbe trovare il coraggio e la pazienza di ascoltare di più coloro che ci sono vicino e cercare di sforzarsi di comprendere anche di più noi stessi.

La differenza tra le persone comuni e gli scrittori veri è proprio questa: uno scrittore sa ascoltarsi e sa ascoltare, sa comprendere cosa si nasconda tra le pieghe dell’esistenza, sa guardare oltre l’apparenza. Anny Romand è bravissima a cogliere l’essenza delle cose, a comprendere le situazioni e a descrivere i suoi personaggi di cui delinea alla perfezione, con brevi ed efficaci pennellate, carattere e psicologia.

Il ritmo serrato del racconto ci conduce in un vortice di sentimenti: rabbia, senso di impotenza, rimorso, tenerezza, gioia… Tutto è in continuo mutamento perché nulla resta uguale per sempre e le prospettive dalle quali si guardano le cose fanno sempre la differenza.

“Abbandonata” è un romanzo a tratti malinconico ma che non manca di ironia, proprio come la vita.




martedì 22 novembre 2022

“Tre insoliti delitti” di Matteo Strukul

Marco ha ventisette anni e studia all’Università di Marburg. Ha solo pochi giorni per consegnare un lavoro sulla figura di San Nicolò al suo esigente professore.

Fortunatamente la sua fidanzata Gundola viene in suo soccorso lasciandogli in biblioteca un libro che risolverà tutti i suoi problemi.

Il vecchio volume dalla copertina in cuoio riporta in lettere dorate il titolo “Le avventure di Kaspar Trevi, cavaliere”. Sebbene dubbioso, Marco inizia la lettura.

Il libro racconta la storia di Kaspar Trevi appartenente a quel ristretto gruppo di cavalieri dell’Ordine dei Templari esperti di demonologia.

Kaspar si trova a Bari pochi giorni prima che si festeggi il Natale e viene convocato inaspettatamente dal reggente Marcovaldo di Annweiler. Questi, nonostante si comporti come se fosse il sovrano del Regno di Sicilia, in verità, è solo il tutore del re infante Federico II di Hohenstaufen.

Marcovaldo di Annweiler chiede a Kaspar Trevi di ritrovare e riportare a Bari Filomena Monforte. La donna è accusata di stregoneria per aver indotto al suicidio Giuseppe Filangieri, un tempo consigliere della regina Costanza di Altavilla morta pochi mesi prima. L’uomo è stato trovato impiccato ai merli della torre del castello con il ventre squarciato.

Kaspar Trevi accetta l’incarico, ma fin da subito si rende conto che qualcosa non torna nelle accuse che vengono mosse a Filomena Monforte, un tempo dama della regina.

Inizia così una corsa contro il tempo alla ricerca della donna e della verità, un percorso irto di pericoli e insidie che porterà il cavaliere templare prima a Roma e poi a Venezia.

Stupisce sempre l’apparente semplicità con cui Matteo Strukul sembra riuscire a tessere nuove storie capaci di coinvolgere il lettore.

Il personaggio di Kaspar Trevi, l’irreprensibile e leale monaco guerriero, esperto di demonologia sebbene egli stesso scettico sull’esistenza delle streghe, ottima lama e abile politico e oratore, non può che entrare anch’egli fin da subito nel cuore del lettore.

Altra grande dote di Strukul è quella di saper descrivere ogni particolare ricreando perfettamente l’atmosfera dei luoghi in cui si muovono i personaggi senza permettere mai che questa sua minuziosa ricerca descrittiva comprometta la scorrevolezza del testo o diminuisca la suspense della narrazione.

“Tre insoliti delitti” è un racconto natalizio insolito. La vicenda prende avvio proprio nei giorni precedenti il Natale per vedere il suo epilogo in questo stesso giorno. Un racconto gotico, medievale e mistico che narra la leggenda di San Nicola o San Nicolò o Santa Claus  a seconda del luogo in cui ci troviamo. La storia inizia a Bari e finisce a Venezia, le due città dove sono custodite le ossa del Santo che si narra vennero trafugate da Myra da un marinaio.

Questo breve romanzo o, se preferite, lungo racconto è un viaggio nelle tradizioni popolari. Un’opera di fantasia indubbiamente ma che, come sempre quando si tratta di questo autore, si fonda su valide ricerche storiche.

La storia è autoconclusiva, ma potrebbe essere solo la prima di una serie di avventure di questo intrepido cavaliere.




 

lunedì 14 novembre 2022

“L’eredità medicea” di Patrizia Debicke van der Noot

Nella notte tra il 5 e il 6 gennaio del 1537 il Duca di Firenze Alessandro de’ Medici viene assassinato dal cugino Lorenzino de’ Medici che da quel momento diventa per tutti Lorenzaccio.

Con la morte del Duca Alessandro, ultimo discendente diretto del ramo di Cafaggiolo della famiglia Medici, il vuoto di potere che viene a crearsi nella Città del Giglio è oltremodo pericoloso. 

Firenze fa gola a molti, non solo all’imperatore Carlo V, ed è quindi di vitale importanza nominare in fretta un successore.

Mettendo a tacere coloro che auspicherebbero un ritorno alla repubblica, con l’appoggio di Alessandro Vitelli, comandante dell’esercito imperiale, e con quello del primo ministro, il cardinale Innocenzo Cybo, la scelta ricade sul diciasettenne Cosimo de’ Medici.

Il giovane, figlio di Giovanni delle Bande Nere e di Maria Salviati, che riunisce in sé i due rami della famiglia Medici, quello Popolano per parte di padre e quello di Cafaggiolo per parte di madre, grazie al basso profilo che ha sempre mantenuto sembra proprio il candidato ideale. Cosimo ha sempre mostrato più interesse per la caccia che per la politica e, almeno sulla carta, questo fa di lui una pedina facile da manipolare.

Cosimo però è figlio di suo padre e, anche grazie all’istruzione fattagli impartire nel corso degli anni dalla madre, si rivela tutt’altro che docile. Fin da subito scalpita per imporsi e affermare il ruolo che gli spetta.

Molti tramano nell’ombra e Ombra è proprio il nome con cui si fa chiamare colui che con ogni mezzo cerca di assassinare il nuovo Duca. Tra congiure ed eserciti che si radunano per spodestarlo, non sarà facile per Cosimo de’ Medici riuscire a distinguere quali siano i veri amici di cui potersi fidare e quali invece si fingano tali solo per poterlo eliminare.

“L’eredità medicea” è un libro carico di suspense in cui, sebbene si possa intuire chi si celi dietro la maschera indossata dall’Ombra, il colpo di scena rimane sempre dietro l’angolo. Non esiste una netta distinzione tra bene e male; anche il personaggio più positivo, in verità, nasconde nel suo animo più profondo delle zone d’ombra.

Cosimo de’ Medici e Alessandro Vitelli sono entrambi protagonisti. Cosimo è coraggioso e intelligente, ma anche testardo, ombroso e troppo impulsivo. Vitelli però lo conosce da sempre, sa come prenderlo e grazie ai suoi sottili insegnamenti riuscirà a farne un uomo di comando capace e scaltro.  

I personaggi sono tutti ben caratterizzati. L’autrice ne dà una dettagliata descrizione sia psicologica che fisica. I due fratelli Vitelli, nipoti del comandante dell’esercito imperiale, la vedova di Alessandro de’ Medici, la giovane Margarita d’Austria, Angela, la moglie di Alessandro Vitelli, il luogotenente Montauto sono solo alcune delle numerose figure che animano questo romanzo.

Ci sono poi i personaggi più oscuri, Paolo III e il figlio Pier Luigi Farnese, che non possono non richiamare alla mente altre due celebri figure ovvero quella di Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borgia, e quella di suo figlio Cesare detto il Valentino.

Pier Luigi Farnese è un soldato, un mercenario, audace e risoluto, ma anche un uomo privo di scrupoli e immorale, capace di efferatezze inaudite. Il papa, suo padre, però stravede per questo suo figlio sempre vestito di nero come nera è la sua anima.

Il libro di Patrizia Debicke van der Noot è un romanzo dal ritmo incalzante e avvincente. Un thriller storico convincente e intrigante come i suoi personaggi.




mercoledì 21 settembre 2022

“La congiura del doppio inganno” di Tiziana Silvestrin

Mantova, 1597. Il capitano di giustizia Biagio dell’Orso si reca da Vincenzo Gonzaga per rassegnare le proprie dimissioni.

La scelta di lasciare Mantova e trasferirsi a Venezia è stata presa a malincuore, ma la preoccupazione per l’incolumità della sua compagna alla fine ha prevalso su tutto. Dopo aver assicurato alla giustizia gli assassini di Alfonso Gonzaga, Biagio teme infatti che qualcuno dei loro complici possa volersi vendicare di lui colpendo la sua fidanzata. 

Il Duca chiede qualche giorno per trovare un valido sostituto, mentre Biagio indaga su un duplice omicidio. I corpi delle due donne uccise riportano i segni di un’aggressione brutale e ci sono pochissimi indizi.


A Mantova, nel frattempo, ha fatto ritorno il Crotta, l’ex podestà, un uomo violento che ha un conto in sospeso con Biagio dell’Orso e che diventa inevitabilmente il sospettato numero uno. Anni prima il capitano di giustizia era riuscito a farlo allontanare dalla città portando le prove della sua colpevolezza al Duca.


A Venezia il Signore della Notte al Criminal Antonio Mocenigo è invece alle prese con un assassino seriale che lascia accanto ad ogni cadavere una berretta gialla con la chiara intenzione di far ricadere la colpa dei delitti sugli ebrei della città. Inutile dirlo, l’esperienza di Biagio dell’Orso sarà fondamentale per le indagini nella città lagunare.


“La congiura del doppio inganno” è il sesto episodio della saga dei Gonzaga nata dalla penna di Tiziana Silvestrin. So che avevo detto che avrei seguito l’ordine cronologico nella lettura dei volumi ma, essendomi trovata tra le mani quest’ultima uscita e trattandosi di romanzi autoconclusivi, non sono riuscita a proprio ad aspettare.


Come i precedenti volumi anche questo nuovo episodio è avvincente ed affascinante come il suo protagonista, l’onesto e saldo Biagio dell’Orso.

La storia è coinvolgente e stupisce come ogni volta Tiziana Silvestrin riesca a tessere una trama più coinvolgente della precedente Il ritmo serrato e i personaggi magistralmente caratterizzati coinvolgono il lettore fin dalla prima pagina.


Le storie, sempre perfettamente inquadrate nel periodo storico in cui sono calate, regalano un vivido affresco dell’epoca preciso e autentico.


In questo ultimo romanzo facciamo la conoscenza degli Uscocchi, pericolosi pirati che imperversavano sulle coste adriatiche, e di una figura storica di particolare fascino, la dogaressa Morosina Morosini, moglie del doge Marino Grimani.


La Morosini fu una donna di primo piano nella Venezia dell’epoca. Venne insignita della Rosa d’Oro da papa Clemente VIII e si ricorda ancora oggi con meraviglia il fasto delle celebrazioni per la sua incoronazione avvenuta il 4 maggio 1597. Una femminista ante litteram che si adoperò per l’emancipazione delle donne. Fondò a sue spese una scuola di merlettaie dando nuovo impulso alla produzione del merletto che in seguito si spostò sull’isola di Burano.


Ogni storia della saga è suggestiva, ricca di fascino e fantasia, mai ripetitiva. Non è certo facile riuscire a mantenere la stessa intensità per tutti gli episodi di una saga, ma la Silvestrin ha dimostrato ancora una volta di saper tessere trame sempre diverse e avvincenti dosando sapientemente fantasia e fatti storici.


Gli ingredienti di questo successo sono amore, amicizia, suspense, onore, vendetta... Ingredienti che sarebbero perfetti per farne un’avvincente serie tv di successo. Si accettano suggerimenti per l’attore che vorreste vedere nel ruolo dell’affascinante Biagio dell’Orso.





domenica 4 settembre 2022

“L’affare Vivaldi” di Federico Maria Sardelli

Venezia, 27 maggio 1740. A casa Vivaldi Zanetta e Margarita sono di nuovo alle prese con il messo del tribunale. Il reverendo Don Antonio Vivaldi ha lasciato la Serenissima per cercare fortuna presso la corte dell’Imperatore abbandonando le sorelle all’ingrato compito di far fronte ai suoi numerosi debitori. La stella del Prete Rosso è ormai tramontata, nuovi autori e nuova musica lo hanno scalzato dalle altre vette raggiunte. Investimenti sbagliati e lavori sospesi lo hanno ridotto sul lastrico. Solo la scaltrezza e l’intraprendenza del fratello Francesco può giungere in soccorso delle due povere donne.

Occimiano nel Monferrato, autunno 1922. Nella villa portata in dote dalla moglie e nella quale si era rifugiato anni prima per lasciarsi alle spalle Genova e i dispiaceri famigliari, Don Marcello Durazzo sta per giungere al termine della sua vita terrena. La sua più grande preoccupazione è quella di trovare a chi affidare il suo tesoro: la sua biblioteca. 

Libri e manoscritti appartenuti un tempo alla biblioteca di famiglia che il padre volle dividere, compiendo una scelta scellerata, tra i suoi due figli. Don Marcello, nonostante la marchesa Francesca, sua moglie, molto più lungimirante di lui, lo abbia più volte sconsigliato in tal senso, decide comunque di affidare tutti i suoi preziosi volumi ai salesiani.

“L’affare Vivaldi” è la storia della riscoperta dei manoscritti di Antonio Vivaldi. Una storia che inizia a Venezia a metà del Settecento e termina nel 1938. Questo almeno per quanto riguarda la trama del libro perché la riscoperta dei manoscritti vivaldiani è tutt’oggi in corso e lo sa bene l’autore del romanzo che si occupa proprio del catalogo vivaldiano ormai da anni. Ogni anno spuntano nuove pagine, ma anche tante false attribuzioni spesso dovute a copisti senza scrupoli.

Sulla vita di Antonio Vivaldi ci sono ancora molte lacune. Sappiamo per certo che egli finì i suoi giorni in povertà e in solitudine. Ad un certo punto la sua musica passò di moda e le sue opere teatrali non incontrarono più il gusto del pubblico. Fu l’inizio di quell’oblio che durò quasi due secoli.

La storia narrata in “L’affare Vivaldi” può sembrare frutto di fantasia, ma in verità, come lo stesso Federico Maria Sardelli specifica nelle note al termine del volume, questo è uno di quei casi in cui la realtà supera di gran lunga l’immaginazione. All’inizio del libro troviamo un elenco dei principali personaggi. Questi sono quasi tutti personaggi reali tranne qualche raro caso in cui l’autore ha dovuto ricorrere alla fantasia per sopperire alle lacune documentali. Né è un esempio l’anarchico e tipografo Arnaldo Bruschi personaggio interamente nato dalla penna del maestro Sardelli.

I veri eroi di questa storia sono il compositore e musicologo Luigi Torri, direttore della Biblioteca Nazionale di Torino nonché soprintendente bibliografico per il Piemonte e la Liguria e il musicologo, direttore d’orchestra e compositore Alberto Gentili, professore di storia della musica all’Università degli Studi di Torino. Queste due figure con il loro impegno e la loro dedizione furono indispensabili per assicurare allo Stato l’acquisizione dei volumi vivaldiani delle collezioni Foà e Giordano.

Il racconto non segue una linearità temporale narrativa, ma ricorre a continui flashback che trovano tutti un loro epilogo nel capitolo conclusivo. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare la scelta dell’autore di fare ricorso a questi salti spazio-temporali non spezza assolutamente il ritmo del racconto che risulta invece coinvolgente e incalzante. I personaggi sono tutti ben delineati e caratterizzati. La narrazione, sempre scorrevole, non manca di una vena ironica. Essenziale, infatti, è riuscire a far sorridere il lettore e stemperare la tensione laddove si presentano eventi particolarmente irritanti o personaggi oltremodo indisponenti e superficiali. Un sarcasmo che fa sorridere, ma che allo stesso tempo sottolinea l’incapacità, la superficialità e gli errori commessi nel corso degli anni.

“L’affare Vivaldi” è il racconto di un’indagine che ha il sapore di un giallo, ma alla cui base c’è un gran lavoro di ricerca e consultazione documentaristica.


martedì 30 agosto 2022

“L’uomo di vetro” di Giuseppe Manfridi

Un uomo siede su un pontile con una vecchia Colt Navy, una modello antiquato di pistola ma perfettamente funzionante. Come ogni giorno egli introduce ripetutamente la canna della pistola in bocca. È il suo gioco d’azzardo con la morte. Il suo discorrere a fior di labbra egli lo definisce il suo esercizio spirituale.

Gianni Cravero, ex Primo Ministro della Repubblica Italiana, dopo un essere stato assolto, grazie alla testimonianza di un’amante, da un processo che lo vedeva accusato di collusione con la mafia, è di nuovo in pista. Certo, il suo matrimonio ne ha risentito parecchio, per non dire che è proprio divenuto un inferno, ma ci sono ottime possibilità di essere rieletto e questo è la cosa che più conta.

La storia di svolge nell’arco di una notte, dal tramonto all’alba, nella casa bunker del protagonista. Una residenza costruita appositamente per lui, una casa avveniristica, fredda e raggelante come i suoi abitanti. Pochi i personaggi sulla scena: i coniugi Cravero ovvero Gianni e la moglie Gaia, la loro figlia Martina, il factotum del politico Traglia e una coppia di amici.

Maurizio e sua moglie Federica sono stati invitati a trascorrere una notte nella casa presidenziale. Attesi per la cena, fin dal loro arrivo percepiscono una forte tensione nell’aria e non possono smettere di interrogarsi sul perché sia stato fatto loro questo invito. Gianni e Maurizio sono amici fin dai tempi della scuola, ma il Dominus non fa mai nulla senza uno scopo preciso. Insomma, se loro si trovano lì la ragione può essere una soltanto: lui vuole qualcosa da loro. La richiesta o meglio l’ordine mascherato da favore non tarda ad arrivare.

“L’uomo di vetro” è un romanzo particolare. L’incipit è forse un po’ lento e artificioso, ma con l’avanzare della lettura, addentrandosi nella storia, diventa chiara la sua funzione introduttiva. 

Un romanzo piscologico che analizza le relazioni sociali e le dinamiche della coppia. Al centro della storia ci sono i rapporti interpersonali che si manifestano nell’incontro-scontro tra uomo e donna, la sudditanza psicologica nei confronti dell’uomo di potere o nei confronti del compagno o della compagna e il conflitto genitori-figli. A fare da padroni del racconto sono i sentimenti che caratterizzano l’essere umano: amore, desiderio, amicizia, sete di potere, riconoscenza, disprezzo, rancore, gelosia e ingratitudine.

Non si può provare alcuna empatia per i personaggi neppure per quella figlia borderline che, sebbene per non per sua colpa, diviene inevitabilmente parte del perverso ingranaggio.

Il romanzo di Manfridi sviscera la psicologia dei suoi personaggi entrando nei più remoti recessi della loro mente. In un continuo susseguirsi di sotterfugi, di mezze verità e di frasi non dette, ogni miseria e debolezza umana viene portata in superficie a beneficio del lettore che rimane spiazzato da tanta meschinità, ma anche da tanta fragilità.

“L’uomo di vetro” è una storia che si presterebbe benissimo ad essere portata sul palcoscenico di un teatro. Un libro consigliato in particolar modo a chi ama i romanzi cerebrali.

 


lunedì 29 agosto 2022

“Domani e per sempre” di Ermal Meta

Kajan vive con il nonno Betin a Rragam, un piccolo villaggio sulle sponde del fiume Drin. Siamo nell’inverno del 1943, l’occupazione nazista è subentrata a quella fascista. L’Albania è un paese in guerra. I genitori di Kajan sono andati a combattere per la libertà.

La casa di Betim è lontana dalle altre case del villaggio. L’uomo spera così di riuscire a tenere lontana la guerra, ma la guerra non si arresta davanti a nulla e inevitabilmente un giorno bussa anche alla sua porta.

Cornelius è un disertore tedesco dal passato misterioso. Un nemico, ma anche un brav’uomo perché in guerra non esiste differenza tra vincitori e vinti, tutti sono allo stesso tempo vittime e carnefici, tutti perdono qualcosa.

Quel bambino di appena sette anni diventa per Cornelius un’ancora a cui aggrapparsi per cercare di superare gli orrori della guerra e tentare di ritrovare l’umanità perduta sui campi di battaglia. Tra i due si instaura fin da subito un rapporto fatto di amicizia e complicità. Kajan riceverà da Cornelius un dono prezioso che lo accompagnerà per tutta la vita, nei giorni felici e nei giorni bui: la musica.

Sullo sfondo della storia di Kajan, della sua evoluzione dall’infanzia fino all’età matura, c’è la storia dell’Europa del Novecento dalla Seconda guerra mondiale fino alla caduta del regime in Albania. Attraverso le pagine del romanzo ripercorriamo la storia della guerra fredda tra Paesi Occidentali e Paesi dell’Est, tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Un passato che sembra solo un lontano ricordo, ma che non lo è affatto soprattutto alla luce di quanto sta accadendo ai giorni nostri.

“Domani e per sempre” è un racconto di una potenza straordinaria. Un romanzo di formazione capace di commuovere ed emozionare il lettore, di coinvolgerlo e renderlo partecipe della storia in un modo unico. Impossibile non provare empatia nei confronti di Kajan nel corso di tutta la sua lunga e travagliata vita. Impossibile restare impassibili e indifferenti dinnanzi al comportamento della madre di Kajan o davanti alla cattiveria e alla ferocia di alcuni personaggi.

Sebbene Ermal Meta mi piaccia moltissimo come cantante, confesso che sono stata a lungo indecisa se leggere o meno il suo romanzo. Prima di tutto era una storia troppo distante dai miei generi letterari preferiti e poi, lo ammetto, ero anche un po’ prevenuta verso quello che avrebbe potuto rivelarsi il libro dell’ennesimo artista che si improvvisava scrittore.

Dopo le prime due pagine “Domani e per sempre” mi aveva già totalmente conquistata. Ho amato ogni singola pagina di questo romanzo.  Credo che sia uno dei romanzi più belli che abbia letto negli ultimi anni. Era da tempo che non mi capitava un libro che facesse sorgere in me, da una parte, la voglia di terminarlo al più presto per conoscerne l’epilogo, dall’altra, di voler trovare il coraggio di rallentarne la lettura per non dover affrontare quel senso di vuoto che inevitabilmente ti assale ogni qualvolta devi lasciar andare per sempre i personaggi che tanto hai amato.

Alcune considerazioni e parole mi hanno richiamato alla mente alcuni testi di Ermal Meta, ma volutamente preferisco non entrare nel merito dei richiami alla sua poetica perché questo post, come è giusto che sia, è dedicato solo al suo libro e non alla sua musica.

Ermal Meta ha dimostrato con questo romanzo di possedere davvero un grande talento come scrittore e, al di là che lo si possa amare o meno come cantante, autore e musicista, “Domani e per sempre” è davvero un esordio letterario straordinario. Un libro assolutamente da leggere.



venerdì 25 febbraio 2022

“Le righe nere della vendetta” di Tiziana Silvestrin

Mantova, 8 luglio 1585. Il capitano di giustizia Biagio dell’Orso viene svegliato in piena notte dal bargello Gio Morisco.

Oreste Vannocci, prefetto delle fabbriche, è stato trovato morto all’interno della sua abitazione. Il suo corpo, raggomitolato in posizione fetale, giace su un pavimento cosparso di macchie di colore quasi fosse la tavolozza di un pittore.

Il capitano intuisce che la morte dell’architetto toscano non è dovuta a cause naturali. Il Vannocci è stato avvelenato, ma prima di morire è riuscito a lasciare un indizio. Biagio dell’Orso trova, infatti, la pianta di un edificio, probabilmente una chiesa, sulla quale l’architetto già in preda alle convulsioni ha tracciato con le dita delle righe nere.

A confermare la tesi dell’avvelenamento ipotizzata dal capitano di giustizia ci sono le conoscenze dello speziale Hyppolito, ma su suggerimento dell’amico nonché consigliere ducale Marcello Donati è meglio che la notizia non venga divulgata. È chiaro fin da subito infatti che a voler morto il Vannocci, il quale all’apparenza non aveva alcun nemico, deve esser stato qualcuno molto vicino alla Corte.

Vincenzo Gonzaga, figlio del duca di Mantova Guglielmo Gonzaga, ha sposato Eleonora de’ Medici, figlia del granduca di Toscana Francesco I e della sua prima moglie Giovanna d’Austria.

Il movente affonda le proprie radici molti anni indietro quando il grande condottiero Giovanni delle Bande Nere era ancora in vita. Chi sarà quindi il mandante dell’omicidio? Un Gonzaga o un Medici?

Nel frattempo, l’inquisitore Giulio Doffi, ossessionato dalla caccia alle streghe, ha preso di mira Lucilla la nipote dello speziale complicando così ulteriormente la ricerca della verità al capitano di giustizia.

Biagio dall’Orso detesta le ingiustizie, è un tipo che va per le spicce e che non le manda a dire a nessuno, ma per fortuna a salvarlo da se stesso c’è l’amico Donati che, molto più riflessivo e timoroso, fa di tutto per smorzare la sua irruenza.

La vicenda si volge a Mantova, ma dell’Orso viene inviato anche a Venezia per accompagnare una delegazione giapponese e poi a Firenze per fare da scorta a Vincenzo ed Eleonora.

Le pagine dedicate al viaggio a Firenze sono particolarmente suggestive; non incontriamo Francesco I e Bianca Cappello, ma il racconto ci conduce nello studiolo del granduca a Palazzo Vecchio, al Casino di San Marco, a Palazzo Pitti e persino nella bellissima villa medicea di Pratolino.

La scrittura della Silvestrin è asciutta e scorrevole; il racconto è magistralmente condotto su più piani narrativi e la storia scorre via veloce. Un giallo storico davvero ben scritto, piacevole e storicamente ben documentato.

In questo romanzo dove non mancano colpi di scena, misteri e complicati intrecci dinastici non solo i protagonisti, ma tutti i personaggi sono minuziosamente caratterizzati.

Sono rimasta colpita dalla storia e soprattutto dalla capacità dell’autrice di rievocare le atmosfere dell’epoca con tanta apparente semplicità, quando è indubbio vi sia alla base un gran lavoro di ricerca storica.

Sono inoltre rimasta affascinata, credo come ogni lettore, dalla figura di Biagio dell’Orso: bello, intraprendente, coraggioso, leale, dotato di grandi capacità deduttive e intollerante verso le prepotenze nei confronti dei più deboli.

Il libro è il secondo volume di una saga dedicata ai Gonzaga, ma ogni libro della serie è autoconclusivo e si può davvero leggere tranquillamente come un romanzo a sé.

Sono partita da questo secondo libro perché tra i protagonisti della storia ci sono anche esponenti della famiglia Medici, ma questa saga mi ha davvero convinta e il proposito è quello di leggere quanto prima anche gli altri volumi della serie.

Vi indico di seguito l’elenco completo delle pubblicazioni:

- I leoni d‘Europa

- Le righe nere della vendetta

- Un sicario alla corte dei Gonzaga

- Il sigillo di Enrico IV

- La profezia dei Gonzaga

Un’anticipazione: presto in uscita il sesto volume…


sabato 4 dicembre 2021

“La camicia bruciata” di Anna Banti

Nel castello di Blois le giornate si susseguono tutte uguali, ma la giovane Marguerite Louise è più che mai decisa a conquistarsi il suo posto nel mondo. Lei, figlia di Gastone d’Orleans e della seconda moglie Margherita di Lorena, non può contare su un ricco appannaggio; pur essendo una principessa del sangue, infatti, i mezzi della famiglia non sono purtroppo all’altezza del suo lignaggio. Lei che un tempo si pensava potesse era destinata a salire addirittura sul trono di Francia accanto al cugino Luigi XIV è ora costretta ad accettare che questi le trovi un marito degno del nome che porta e dell’illustre parentela.

È la stessa Marguerite Louise, una piccola zanzara, che in cerca di un riscatto impone la sua presenza alla scrittrice pretendendo che venga raccontata la sua storia. 

I suoi comportamenti, i suoi desideri, le sue bizze ai giorni nostri non avrebbero nulla di scandaloso, ma all’epoca crearono non poco scompiglio e ben più di un incidente diplomatico.

Avrete già capito che il malcapitato che fu scelto per la bella e capricciosa francese fu il figlio di Ferdinando II Granduca di Toscana e di Vittoria della Rovere. Sfortunatamente per il povero Cosimo Marguerite accettò le nozze impaziente di potersi finalmente dedicare a tutti quei divertimenti che a Blois le erano preclusi ma, ahimè, mai matrimonio fu più malamente assortito.

“La camicia bruciata” è però la storia anche di un’altra infelice principessa giunta nel Granducato di Toscana, Violante di Baviera la moglie del Gran Principe Ferdinando.

Marguerite Louise e Violante furono due donne dai caratteri profondamente differenti, in comune solo il triste destino di essersi legate agli ultimi protagonisti della dinastia medicea.

La francese fu tanto ambiziosa, irriverente e irrequieta quanto la tedesca fu accondiscende, pacata e sempre attenta alle necessità altrui.

Cosimo III e il figlio Ferdinando furono due figure diametralmente opposte, nel libro Anna Banti fa dire a Marguerite Louise del marito che fu un inetto, ipocrita e sempre pronto a scaricare i propri torti sugli altri.

Di sicuro Cosimo III, cresciuto da una madre iperprotettiva e devota fino al parossismo quale fu Vittoria della Rovere, non poteva essere l’uomo adatto ad una donna dal temperamento forte e bizzoso come quello di Marguerite Louise. Le ambizioni deluse non poterono che acuire l’inevitabile strappo che si produsse tra Cosimo e la moglie la quale, avendo come metro di paragone lo splendore della Corte del Re Sole, non poteva che detestare quella granducale che le appariva ogni giorno sempre più gretta, bigotta e claustrofobica.

Il Gran Principe Ferdinando molto aveva in comune con la madre, come l’essere alla continua ricerca di piaceri e svaghi, ma Violante considerava la sua una spensieratezza troppo ostentata per essere genuina.

Violante di Baviera era profondamente innamorata del marito ed era disposta a perdonagli ogni cosa. Era una donna mite e sensibile, l’unica che cercò persino di avvicinare il cognato Gian Gastone, dipinto dalla Banti come l’emarginato della famiglia, proprio lui che per beffa del destino siederà sul trono granducale come ultimo della sua stirpe.

Gian Gastone sembrava aver ereditato dalla madre il profondo desiderio di essere amato, come Marguerite Louise però non riuscì mai ad essere compreso e accettato, cosa che segnerà inevitabilmente la sua vita. Abbandonato dalla madre all’età di otto anni, lasciato ai margini dal resto della famiglia, al contrario di Marguerite Louise che cercava sempre in ogni modo, da zanzare qual era, di imporsi anche se con modi molto discutibili, Gian Gastone preferì sempre defilarsi dalla scena e dedicarsi ai suoi studi circondato dalle gabbie dei suoi amati uccelli esotici.

Violante, quella ragazza che aveva la facoltà di percepire immagini di persone assenti, una specie di maledizione che aveva dovuto assolutamente mascherare per non essere accusata di stregoneria, rimasta vedova riuscì a dedicarsi finalmente a se stessa e, come Governatrice di Siena, amata dai senesi per la sua buona amministrazione, trovò proprio in quella città il modo di rendere un po’ di giustizia al nome tanto vituperato della suocera grazie al ritrovamento di alcuni documenti lasciati lì dal fratello dallo zio di suo marito, Mattias de’ Medici.   

Il libro di Anna Banti è un romanzo estremamente piacevole e ben orchestrato. L’autrice ci restituisce lo spirito della corte granducale del tempo rendendo vivi davanti ai nostri occhi i suoi personaggi. Il taglio della narrazione è ironico, ma mai irriverente; il racconto disincantato, ma mai grottesco.

La storia è pensata e studiata nei minimi particolari e il realistico affresco dell’epoca che emerge dalle pagine del romanzo è l’evidente frutto di un vasto lavoro di ricerca e consultazione di fonti storiche.

Non ho mai amato particolarmente il personaggio Marguerite Louise e nonostante tutto neppure leggendo il libro della Banti la sposa di Cosimo III, pur con tutte le attenuanti del caso, è salita molto nel mio indice di gradimento. Ammetto invece di aver provato molta simpatia, sebbene mai lo avrei creduto possibile, per Violante di Baviera. Simpatia dovuta al suo interesse nei confronti del cognato Gian Gastone che si conferma ancora una volta uno dei miei personaggi preferiti, ma soprattutto per il suo modo di riuscire ad affrancarsi dal ruolo impostole dalla Corte dopo la morte dell’amato Ferdinando.

Il libro di Anna Banti è purtroppo fuori catalogo e l’unico modo per procurarvelo è come ho fatto io ricorrere al mercato dei libri usati, eppure meriterebbe davvero di essere ristampato.





sabato 27 novembre 2021

“Il cavaliere, la morte e il diavolo” di Luigi De Pascalis

Papa Leone X sul letto di morte consegna al suo buffone Fra’ Mariano Fetti un libro in tedesco intitolato Gespräch Büchlin opera di Ulrich von Hutten chiedendogli di tenerlo al sicuro, neppure suo cugino il cardinale Giulio Zanobi, futuro Clemente VII, dovrà esserne informato.

L’autore è uno dei più ferventi sostenitori delle tesi luterane e quel volumetto racchiude un segreto per il quale alcune persone sono morte e altre sarebbero disposte a morire. Seppur perplesso e spaventato Fra’ Mariano è costretto a farsi carico del pesante lascito e rendersi disponibile a consegnare il libro quando sarà il momento a colui che il Cielo gli indicherà come persona degna di fiducia.

Sonno passati quasi sei anni dalla morte di Leone X, dopo il breve papato di Adriano VI nel 1523 al soglio di Pietro è salito un altro Medici, Clemente VII. Nella notte tra il 5 e il 6 maggio 1527 i Lanzichenecchi di Carlo V irrompono in città dando inizio a quella triste e terribile pagina di storia che sarà ricordata come il Sacco di Roma.

Clemente VII si barrica con i suoi fedeli dentro Castel Sant’Angelo mentre la Città Eterna viene messa a ferro e fuoco dalle truppe imperiali senza controllo, tutto è devastazione e violenza. 

Il papa manda a chiamare Benvenuto Cellini per affidargli una pericolosa missione. Ad affiancare in questa missione il Cellini, musico per volere paterno, orafo e scultore per passione e bombardiere per necessità, troviamo un soldato spagnolo di nome José Garcìa. Insieme i due dovranno smascherare il mandante di una serie di assassinii conosciuto come il Bagatto.

Restare vivi in mezzo a quell’orrore fatto di violenza e devastazione non sarà facile tanto più che i pericoli sembrano giungere da ogni dove alimentati da strane vicende legate ad arcani segreti e antiche profezie. 

“Il cavaliere, la morte e il diavolo” è un avvincente noir dal ritmo molto serrato e dagli innumerevoli colpi di scena.

La narrazione è scorrevole e coinvolgente ma talmente densa di avvenimenti e misteri che al lettore non è concesso distrarsi neppure per qualche riga perché perdere il filo del racconto è davvero un attimo e si è costretti a tornare indietro per recuperare.

Benvenuto Cellini è un protagonista ricco di fascino, coraggioso e impavido, ma anche enigmatico e sfuggente laddove affiorano le sue insicurezze emotive e lo attanaglia il dubbio di non riuscire un giorno a realizzare quel suo grande sogno di diventare scultore.

Accanto a questa figura così carismatica una girandola di personaggi popola il grande affresco ricreato dalla penna di De Pascalis, un affresco vivido e realistico che coinvolge il lettore trascinandolo in prima linea a percorrere le strade di quella Roma dove follia e brutalità sembrano non avere mai fine.

Tutti i personaggi sono caratterizzati fin nei minimi dettagli ed emergono dalle pagine, vivi dinnanzi a nostri occhi, con tutte le loro sfaccettature in un mondo dove tutto è capovolto, dove la crudeltà umana sembra affiorare anche nelle persone più miti come nel caso di Rebecca, la figlia del medico ebreo Tobia.

Eppure, anche in un mondo dove la pietà e la compassione non sembrano poter più trovare rifugio all’improvviso anche nel più sordido luogo, tra le peggiori schiere, ci sono storie che lasciano aperto uno spiraglio di speranza come nel caso dell’amicizia di Barbara ed Entgen o in quello del rispetto dimostrato da Carl nei confronti di Faustina o ancora in quello dell’aiuto prestato da Mastro Latz il birraio al nemico di un tempo.

Due sono principalmente i punti di forza del romanzo: una trama ben costruita, emozionante, mai scontata e i numerosi personaggi, molti dei quali documentati da fonti certe e altri di pura fantasia, che insieme rappresentano il genere umano in ogni suo aspetto da quello più gentile a quello più spietato, da quello più grottesco a quello più armonioso.

La raffinata veste grafica è impreziosita da numerose illustrazioni relative alla città di Roma, a dipinti e a figure di personaggi tratte da fonti iconografiche del periodo a cui si riferiscono le vicende narrate nel romanzo.

Come scritto nella prefazione del libro la scelta delle illustrazioni è responsabilità dell’autore stesso la cui curiosità e passione per le immagini risulta evidente anche nella stessa scelta del titolo, “Il cavaliere, la morte e il diavolo” è infatti una delle più celebri incisioni di Albrecht Dürer, datata 1513.

Viviamo, Babbo Santo, che tutto il resto è burla!



Se siete interessati all’autore qui trovate il post dedicato ad un altro libro di Luigi De Pascalis, il primo di una trilogia, sempre edito da La Lepre Edizioni, di cui vi avevo parlato qualche tempo fa intitolato “Il signore delle furie danzanti”.