SE FOSSI FUOCO,
ARDEREI FIRENZE
di
Vanni
Santoni
EDITORI LATERZA
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Il titolo, evidente richiamo al famoso
sonetto di Cecco Angiolieri “S’i’ fosse foco, arderei ’l mondo”, è senza dubbio
un titolo in grado di incuriosire un possibile lettore.
Il libro non è un romanzo vero e
proprio, ma piuttosto un insieme di brevi
racconti che si susseguono concatenati l’uno all'altro.
Un personaggio con la sua storia
incontra un altro personaggio e qui la narrazione si sposta sul protagonista
della nuova storia fino a ritornare al
punto di partenza; unico filo conduttore le strade di Firenze, ecco quindi spiegato
il motivo della pianta della città all'inizio del volume.
I
personaggi appartengono alle più svariate categorie: artisti di strada, studenti d’arte,
artisti mancati, figli di papà e modaioli, spacciatori e spostati, avvocati, tutti protagonisti, ognuno a suo modo, della movida e spesso della mala-movida fiorentina.
Alcuni
di loro sono fiorentini, altri sono giunti a Firenze in cerca di qualcosa, attirati dall'intramontabile fascino della città d’arte.
Nessuno di loro è soddisfatto della
propria vita, tutti loro sono alla
ricerca di qualcosa di sfuggevole ed indefinito, per alcuni di loro è la fama,
per altri l’amore, per altri ancora un’ispirazione; ognuno è infelice a
modo suo nella continua ricerca dell’inafferrabile affermazione del proprio
essere.
La città fa da sfondo alle loro storie,
ma in realtà è Firenze stessa la vera protagonista del romanzo.
Una Firenze che sembra immobile, ferma
nei secoli, ma dalla quale se ci si allontana anche solo per poco, si rischia
di ritrovarsi tra facce sconosciute come accade a Maddalena.
Firenze seduce e affascina e per quanto
la si voglia lasciare, non è facile compiere questo passo; è come un’amante esigente, disinteressata ed egoista.
A
Firenze sembra non sia possibile potersi ritagliare un proprio spazio e
costruirsi una vita senza appoggiarsi ad una rete di conoscenze e amicizie; Ashlar si chiede se questo accada solo
nella sua città o sia così in ogni parte del mondo.
Magari si dice Ashlar l’unica differenza di chi, come lei, abita a
Firenze è potersi gustare un panino al lampredotto piuttosto che mangiare del sushi.
La lunga galleria di personaggi, Diego,
Gaia, Sylvie, Mattia, Niccolò, Vieri… le cui esistenze sfilano sotto i nostri
occhi pagina dopo pagina, sono anche un pretesto per condurci a spasso per le strade e le piazze di Firenze.
Così, insieme ai numerosi protagonisti
del libro, ci ritroviamo su Ponte alla Carraia, in Borgo Albizi, Piazza
Strozzi, Via Tornabuoni, Piazza della Passera, Via Gino Capponi…
Santoni
descrive una Firenze chiusa, di gente chiusa, una città che sembra condannata a
volgere lo sguardo sempre al passato, una città oggi inadatta ed incapace di
produrre arte.
Firenze sembra essersi adagiata sui suoi
fasti passati e, in questo suo vivere nel tempo che è stato, sembra trascinare
con sé i suoi abitanti, fiorentini e non, che non possono che restare soggiogati
da tanta bellezza.
Un
rapporto d’amore ed odio quello che li lega alla loro città natale o adottiva
che sia; impossibile per loro sottrarsi al suo fascino così da essere inevitabilmente
condannati anch'essi a condurre un’esistenza pigra e irregolare come quella della città.
Lo ammetto, all'inizio ho odiato questo
libro: l’immagine di Firenze che Santoni
presenta è quella di una città molto diversa da quella che tutti noi conosciamo
o meglio da quella che tutti noi vogliamo credere che sia.
Firenze nonostante la sua bellezza non è
una città che si lasci amare subito, se ne può rimanere immediatamente ammaliati,
ma non la si può capire ad un primo incontro.
Troppi turisti, troppo caos per
coglierne il carattere; Firenze nonostante sembri una città cosmopolita, come
potrebbe essere ogni altra città d’arte, prendiamo Roma per esempio, in verità è
invece una città molto chiusa e forse
anche po’ provinciale, senza voler dare assolutamente alcuna accezione
dispregiativa al termine.
Due dei protagonisti del libro, Mattia e
Gaia, si interrogano sull'aurea lisa e logora
che aleggia su Firenze, chiedendosi quale fiorentino oggigiorno potrebbe essere
meritevole di una statua a lui dedicata nel Piazzale degli Uffizi, la risposta
è nessuno.
Firenze era fucina di idee un tempo,
oggi non è più in grado di produrre nulla, ma forse questo non è solo il
problema del capoluogo toscano, forse, se ci soffermiamo un attimo a pensare, è
il problema dell’intera Italia.
Ai giorni nostri è impensabile anche
solo sperare di veder nascere un genio del calibro di Leonardo Da Vinci.
Firenze
si è lasciata trasformare in una città per i turisti, in una città viziata che si è chiusa
in se stessa, in nome di un turismo di massa spesso per assurdo irrispettoso
della sua storia e della sua bellezza.
Il
libro di Santoni in fin dei conti è un pugno nello stomaco per chi vuole
continuare a coltivare l’immagine di una Firenze fuori dal tempo, perché apre gli occhi su quelle che
sono anche le problematiche di una città contemporanea; il suo libro è a tratti dissacrante e demistificatore, ma reale e vero
come la città dei giorni nostri.
Durante la lettura spesso ci si trova ad
interrogarsi sulla vita dei protagonisti e ci sei chiede se sia possibile
condurre un’esistenza piena e felice a Firenze, ma il male di esistere che si
incontra tra le pagine di questo libro non è diverso da quello che provano le
persone in qualunque città essi vivano.
Il
mito della Firenze di Dante e di Lorenzo il Magnifico non
tramonterà mai, ma noi non possiamo e non dobbiamo dimenticare che
Firenze è anche una città viva.
Firenze più di molte altre realtà
italiane ha subito purtroppo danni a causa dell’emergenza Covid, ma ci è voluto
una pandemia perché gli abitanti potessero finalmente riappropriasi della loro
città.
L’unico augurio che posso fare a questa
città a cui sono molto affezionata è che i turisti possano tornare presto a popolare
le sue strade, ma che questo avvenga finalmente nel totale rispetto non solo
del suo glorioso passato, ma anche del suo presente.
Vanni Santoni è anche autore di romanzi
fantasy qui potete trovare un post dedicato alla sua saga, Terra Ignota.
Mah, secondo me, come dici tu l'inerzia e il volgersi verso il passato riguarda un po' tutta Italia. Quanto meno per certe generazioni, gli adulti di oggi. Non sono convinta che sia così per i più giovani, loro non hanno vissuto la 'crisi', sono nati e stanno crescendo in un'Italia che è quello che è, un'Italia in transizione.
RispondiEliminaPer quanto riguarda gli altri, noi, gli adulti di una certa età, secondo me non siamo capaci di cavalcare l'onda del cambiamento. E credo che, vista la situazione, fare paragoni con il passato non può che implementare la staticità.
La capacità di produrre c'è, di fare cose diverse sicuramente. Possibilità soprattutto per le nuove generazioni che spero non vengano frenate da noi e dalle nostre sovrastrutture mentali e burocratiche.
Guardare al passato purtroppo mi sono resa conto che è un'arma a doppio taglio.
EliminaSe tu riesci a trarne ispirazione per produrre qualcosa di nuovo ben venga, ma come dici tu per la nostra generazione è come se quel passato pesasse su di noi quasi impedendoci di andare avanti in quanto consapevoli che mai riusciremo a raggiungere certe altezze.
Il tutto diviene frustrante e alla fine ci si avvita su se stessi.
Forse però nessuno riesce davvero a riconoscere la grandezza del suo tempo e solo i posteri potranno giudicare con obiettività il nostro tempo.