Or poserai per sempre,
Stanco mio cor. Perì l'inganno estremo,
Ch'eterno io mi credei. Perì. Ben sento,
In noi di cari inganni,
Non che la speme, il desiderio è spento.
Posa per sempre. Assai
Palpitasti. Non val cosa nessuna
I moti tuoi, nè di sospiri è degna
La terra. Amaro e noia
La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.
T'acqueta omai. Dispera
L'ultima volta. Al gener nostro il fato
Non donò che il morire. Omai disprezza
Te, la natura, il brutto
Poter che, ascoso, a comun danno impera,
E l'infinita vanità del tutto.
Stanco mio cor. Perì l'inganno estremo,
Ch'eterno io mi credei. Perì. Ben sento,
In noi di cari inganni,
Non che la speme, il desiderio è spento.
Posa per sempre. Assai
Palpitasti. Non val cosa nessuna
I moti tuoi, nè di sospiri è degna
La terra. Amaro e noia
La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.
T'acqueta omai. Dispera
L'ultima volta. Al gener nostro il fato
Non donò che il morire. Omai disprezza
Te, la natura, il brutto
Poter che, ascoso, a comun danno impera,
E l'infinita vanità del tutto.
(XXVIII, Canti)
Le liriche appartenenti a questo ciclo sono tipiche della
poesia anti-idilliaca dell’ultimo periodo della poetica leopardiana; in esse viene meno il tono elegiaco degli idilli suggerito dalla dolcezza dei ricordi e
della giovinezza e si afferma un tono più energico, eroico e di ribellione. Il
poeta raggiunge la consapevolezza della propria dignità morale che lo porta ad
assumere coraggiosamente la propria condizione di uomo e contrapporla al mondo
cieco e crudele della natura.
Il componimento rappresenta il congedo da ogni illusione e
dalla vita stessa. L’ultima e disperata illusione di potersi aggrappare alla
vita attraverso l’amore espressa da Leopardi nella lirica “Il pensiero
dominante” è svanita per sempre. Il disinganno porta con sé il crollo
dell’ultima speranza del poeta - Perì l'inganno estremo, Ch’eterno io mi credei - quella felicità in terra che per un istante
l’amore appassionato per Fanny Targioni Tozzetti gli aveva fatto credere
possibile.
Leopardi senza un attimo di commozione, attraverso un ritmo
martellante e aspro, invita il suo cuore a non cedere mai più alle lusinghe
dell’amore e procedendo con una brevità epigrafica,
fatta di dichiarazioni nichilistiche - Amaro
e noia La vita – e fango è il mondo
– gli chiede di rinunciare definitivamente ad ogni speranza poiché la natura,
il potere malvagio e invisibile – a comun
danno impera – mentre – l’infinita
vanità del tutto – si allarga a dismisura.
“Vanitas vanitatum et omnia vanitas”
(Ecclesiaste 1,2) è la locuzione a cui si richiama l’ultimo verso del
componimento della lirica: ma mentre nell’Ecclesiaste l’invito è a disprezzare
le cose terrene per volgere lo sguardo verso quelle divine, in Leopardi diventa espressione della consapevolezza della vanità delle illusioni che sono negate
agli uomini dalla natura, per cui alla vita è preferibile il nulla eterno.
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